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PRIMA PARTE.
I.

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— Prendi quelle valigie e portale in questo scompartimento. Su, presto, che il treno riparte!

La voce nota diede un sussulto a Loredana, che stava sola, ancora col velo grigio abbassato sugli occhi, come quando era partita da Venezia.

— In questo? — domandò il facchino.

— Ma sì, su questo!...

Filippo salì, sorrise a Loredana, si volse a prender dalle mani del facchino le valigie, le collocò sulla rete, e sedette infine di fronte alla giovane, con un sospiro di sollievo. Poco dopo, lo sportello era chiuso e il treno riprendeva la marcia.

Filippo non aspettò altro, e si chinò a baciar le mani dell'amica, poi il volto e le labbra, senz'attendere ch'ella raccogliesse il velo sulla fronte.

— Hai fatto bene, — egli disse, enunziando mille pensieri in una volta. — Siamo soli. Fra un'ora saremo giunti. Sai chi ho trovato alla stazione di Venezia? Mi hai visto parlare con un signore alto e calvo? È il conte Lombardi: mi ha invitato a pranzo per lunedì, e ho accettato. Dove saremo lunedì?... Ma tu, cara, sei spaventata?... Quanta gratitudine ti debbo, cara!... Vedrai: non aver paura, non accadrà nulla, non ti toccheranno, non ti faranno nulla....

La campagna triste fra Verona e Peschiera era sinistramente illuminata dalla luce sanguigna del tramonto che alcune nuvole grige interrompevano.

Loredana non diceva parola, tenendo le mani tra le mani di Filippo, sempre col viso celato da quel velo bigio, che pareva la togliesse dal mondo, l'allontanasse da tutti, la dovesse nascondere come una delinquente.

— Ascoltami, cara, — seguitò Filippo. — Hai scritto alla mamma?

— Sì....

— Che cosa le hai scritto?

La fanciulla non rispose subito. Le veniva innanzi agli occhi della mente la visione della sua casetta bianca nel campiello solitario; e la mamma che ogni mattina entrava a chiederle che cosa desiderasse per colazione; poi la mamma usciva, andava per la spesa, e, tornata, preparava la colazione per la figliuola, che con una vestaglia bianca e lunga, raccoglieva intanto i capelli intorno alla testa e si guardava nello specchio e si dava un po' di cipria e si sorrideva. La vestaglia bianca e lunga era stata abbandonata, anche quella, come tutto il resto....

— Le ho scritto, — rispose Loredana scuotendosi. — Le ho scritto che non si dia pensiero; che avrà mie notizie.... Voglio scriverle anche stasera, subito.... Si può?

Filippo scosse la testa.

— Domani ci raggiungerebbe! Puoi scrivere, e io manderò la lettera a un mio amico a Roma, perchè la faccia partire di là.

— Così la mamma la riceverà tardi, — osservò Loredana, — e per tanto tempo non saprà nulla.

— Due giorni: fra due giorni sarà a destinazione....

La fanciulla rimase muta e guardò il tramonto tragico. A quell'ora, la mamma e la figlia terminavan di cenare, e si mettevano alla finestra prospiciente il campiello, dove i bambini del vicinato si raccoglievano a far chiasso. Sul davanzale la mamma disponeva il vassoio col bricco, e andava centellinando l'ultima tazza di caffè....

Loredana guardò acutamente Filippo. Che sapeva egli di tutte quelle cose, delle piccole cose amate, tanto piccole nei giorni di pace e tanto tristi a rammentar come perdute?

Ella ritrasse le mani dalle mani di lui e sentì che il cuore le doleva, che la vita era cupa e misteriosa, che quel cielo pareva farle entrar nell'anima tutta la disperata violenza del suo colore di sangue.... Con quali parole avrebbe ella potuto esprimere quel tormento a colui che le era così vicino e così lontano?...

A Peschiera, nello scompartimento salì un uomo: andava a Brescia e non aveva trovato posto in seconda classe. Vedendo Filippo e la signora col velo, si ritrasse in un angolo, dopo aver posto sulla rete una valigia grossolana, biancastra con gli angoli di pelle rossa; e chiuse gli occhi, senza addormentarsi, quasi per far comprendere che non voleva disturbare, che sentiva di essere importuno, ma sapeva esser discreto.

— Sei stato mai sul lago di Garda? — chiese Loredana, dopo aver guardato con diffidenza il nuovo viaggiatore.

— Sì, due volte. In questo mese, con questo caldo, siamo sicuri di non trovar nessuno che possa importunarci.

— Come farò?... — disse nuovamente la fanciulla, ma poi s'interruppe impacciata.

— Come farai, che cosa? — domandò Filippo, riprendendole una mano e accarezzandola.

Era venuto in mente alla ragazza, fra tanti pensieri gravi e terribili, era venuto anche in mente che non aveva abiti, non biancheria, nulla di nulla. Fuggita dalla casa col pretesto di salutare un'amica, non possedeva che gli indumenti dei quali era vestita, e aveva tre lire nel borsellino.

— Non vuoi dirmi? — incalzò Filippo con la dolcezza di chi prega.

La fanciulla trovò modo di cambiar la frase:

— Ci son negozii a Desenzano?

Filippo capì e si mise a ridere.

— Oh non importa, — disse.

Loredana non osò più insistere e chiedere spiegazioni: non importava, la sua roba, non contavan nulla i suoi abitini modesti, a parecchi dei quali aveva dato mano la mamma; non contavan nulla i suoi oggetti d'abbigliamento, i braccialetti, gli anelli, i pettini per la testa.... Tutto perduto e scomparso per sempre, come la vestaglia bianca! Ella sospirò e si guardò l'abito nero, che aveva indossato di furia, perchè capitato prima sotto gli occhi in quell'ora di decisione suprema.

Il treno rallentò la corsa e si fermò.

— San Martino! — gridò un impiegato, — San Martino della Battaglia!...

Filippo stava per additare alla sua amica la torre storica, allorchè lo sportello fu aperto e un signore attempato salì nello scompartimento.

Era un uomo sui sessant'anni, robusto, acceso in volto, con basette brizzolate e ancor folti capelli bianchi; gli occhi grigi fissarono un istante Filippo, e più attentamente la sua compagna, il volto della quale era sempre celato dal velo.

— Buona sera, — disse Filippo sorridendo. — Vai a Fasano?...

— Oh, — esclamò il signore, mentre stendeva la mano a Filippo. — Non ti avevo riconosciuto!... Sì, vado in villa, per qualche giorno....

Guardò di nuovo Loredana, facendole un inchino, al quale essa rispose con un cenno del capo.

— E tu?... Non ti ho mai veduto da queste parti...!

— Un capriccio, — borbottò Filippo impacciato. — Farò una corsa fino a Riva....

— Bravo, bravo, bravo! — concluse il signore con tutta l'aria di chi non crede una parola.

E mentre il treno si rimetteva in moto, aperse la valigia e ne trasse un libro, lanciando un'occhiata sospettosa all'uomo che stava nell'angolo dello scompartimento e teneva ancora gli occhi chiusi....

Filippo guardò Loredana ed ambedue pensarono che quell'incontro era noioso, ma senza pericolo. La fanciulla conosceva di vista il signore e ne aveva udito parlare molto a Venezia.

Zio di Filippo, il conte Roberto Vagli, noiato, stanco, indifferente, si occupava poco degli affari altrui, e punto di ciò che faceva il nipote. Egli trovava tutto possibile, tutto giusto, tutto bene, purchè non gli si desse noia e non lo si disturbasse nelle sue abitudini....

Col libro in mano, un romanzo inglese, si volse ancora a Filippo:

— Ti fermi all'Albergo Reale? — domandò.

— Sì, e riparto domattina.

— Io pure: ma tu partirai col battello delle dieci e venti?

— Sì.

— E io più presto, col legno.

Rassicurata così la coppia, poichè per non disturbare e non essere disturbato avrebbe dormito a un altro albergo se fosse stato possibile, il conte Roberto aperse finalmente il libro e si mise a leggere.

Loredana, allora, osò guardarlo un istante con un lieve sorriso. Dalle poche parole scambiate con Filippo, riconosceva bene l'uomo che Filippo le aveva così spesso descritto, e sentì una strana gratitudine pel signore che non si occupava di lei. Forse egli stesso, molti anni addietro, aveva viaggiato in qualche parte del mondo con una fanciulla; certo, i suoi amori non erano stati sempre regolari; aveva fatto male e aveva fatto bene, aveva visto molte cose esotiche, molti paesi lontani, aveva conosciuto molta gente, ormai dispersa. E non giudicava.

L'amore di Loredana

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