Читать книгу L'amore di Loredana - Luciano Zùccoli - Страница 7

IV.

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— Perdonami, cara, — disse Filippo entrando e avvicinandosi a Loredana, che scriveva, seduta innanzi a un tavolino. — Mi ha data una lezione di storia: la torre, la battaglia, i quadri con gli episodii più importanti.... Un quadro rappresenta anche lui, che a quei tempi era tenente di cavalleria e si è battuto a San Martino.... E tu, che hai fatto?

Loredana scriveva a sua madre una lettera felice e disperata, piena d'umiltà e di carezze. Filippo vide che gli occhi dell'amica erano umidi.

— Amore mio, — disse, chinandosi a guardare, — se tu adoperi la carta dell'albergo con la veduta del lago, di Desenzano, dei piroscafi, e il nome del proprietario e l'indirizzo, tanto vale chiamar qui la mamma e il Procuratore del Re.

Si morse le labbra, ma ormai troppo tardi: Loredana lo fissava corrucciata e pallida.

— La mamma e il Procuratore del Re? — disse. — Che cosa significa?

— Nulla, proprio nulla, ti assicuro, — rispose Filippo, accarezzandole lievemente i capelli.

— Che cosa volevi dire? — incalzò la fanciulla. — Come ti son venute queste idee?

— Volevo dire che non dobbiamo trascurare ogni precauzione e che le imprudenze potrebbero recarci qualche noia.

Loredana prese il foglio di carta già coperto di scrittura diritta e uguale, lo fece in pezzi minuti e li gettò a terra.

Filippo conosceva da tempo l'anima sdegnosa e taciturna della fanciulla. Non pareva fosse nata da piccola gente operosa (il padre era stato mercante di stoffe a Rialto); ma la sensibilità intellettuale, l'intelligenza acuta, la rapida intuizione e sopra tutto un orgoglio e un coraggio più pronti all'azione che alla parola, facevan pensare a un'origine aristocratica, a un atavismo imperioso, a un ambiente squisito. E tuttavia, ella ora così carezzevolmente e voluttuosamente femmina, così sommessa a chi sapeva guidarla, che Filippo non ricordava d'aver conosciuto una donna più varia d'atteggiamenti e più degna d'amore.

Da tre anni ella si recava a villeggiare con la madre a San Donà, in una villetta confinante coi poderi dei conti Vagli; e così Filippo le era diventato amico, senza sognare che un giorno egli, a tanta distanza d'età, avrebbe avuto bisogno di quella giovanetta, allora tuttavia con le sottane corte e coi capelli sciolti, che le scendevan per le spalle.

Egli le aveva raccontato molti fatti della sua vita, che gli amici più intimi di lui ignoravano; e senza amarlo, ella ne sentiva la protezione e la forza. Quand'egli partiva o da San Donà o da Venezia per qualche viaggio, una tetra malinconia le piombava sul cuore. Ella trovava in lui i modi, le forme, la perizia di vita, che scarseggiavano o mancavano interamente fra le persone le quali frequentavano la casa della mamma, piccole borghesi che con l'instancabile chiacchierìo la inviperivano e l'allontanavano.

In tre anni, la bambina s'era fatta una giovane bella, della fresca e molle bellezza veneziana, e a Filippo piaceva. Ma anch'egli non l'amava; era la piccola amica....

La piccola amica! Quante volte, sprofondato tra i cuscini della gondola silenziosa, o seduto in un salotto a fianco d'una dama, o in un palco della Fenice tra la luce dorata e lo scintillìo dei diamanti, Filippo Vagli aveva pensato alla piccola amica, che dormiva tranquillamente nella casetta bianca sul campiello muto! E rideva dentro di sè, chiedendosi che cosa avrebbero detto quelle patrizie, le amiche officiali, se avessero conosciuto l'umile sua confidente, colei che sapeva farlo sorridere, sapeva parlare come a lui piaceva, sapeva ascoltare e discutere.

In quei tre anni egli aveva avuto più d'una amante; e la voce, per i meandri molteplici del pettegolezzo veneziano, esagerato ed innocuo, era giunta fino all'orecchio di Loredana, la quale non capiva se quei racconti le facevan piacere o se l'angustiavano; ma intanto si studiava d'osservare le donne che la voce popolare additava quali amanti di Filippo, per vedere s'eran belle, se vestivan bene, se non erano indegne di lui.

Osò parlarne con Filippo, che ne rise.

— Stia attenta, — egli le disse, — e vedrà che ogni mese e fors'anco di quindici in quindici giorni il nome della mia amante cambia. Son discorsi di sfaccendati, i quali mi rendono il favore di sviar la curiosità dietro mille tracce, e non si sono ancora avveduti che io passo tanto tempo vicino a lei.

— Non ha amanti, allora? — chiese Loredana.

Essi parlavan di sera, nel tinello; una sera a metà gennaio del 1893. Spesse volte si trovavan così quasi soli, perchè la mamma, con la fiduciosa ospitalità veneziana accresciuta dalla stima ch'ella aveva per la figlia, non vigilava i loro discorsi e stava innanzi alla finestra della saletta a centellare la ventesima tazza di caffè.

E quella domanda, la quale sarebbe parsa ardita e sconveniente per un'altra fanciulla, ai due amici sembrò così naturale, che si stupirono di non aver mai parlato d'un argomento che si prestava a tante confidenze.

— No, non ho amanti, — rispose Filippo.

Loredana si mise a ridere.

— Neanche la contessa Fausta di Montegalda? — domandò maliziosamente, e soggiunse: — Fausta! Che bel nome!

— Toccato! — pensò Filippo. Quindi rispose: — No!

— Eppure, si ricorda quella sera che andai alla Fenice l'inverno scorso, con la mamma e gli zii? Lei era nel palco della Montegalda, che aveva un così bel diadema di brillanti sui capelli neri; e qualcuno mi disse che lei era innamorato della contessa. Io guardai attentamente e capii che avevano ragione.

— In ogni caso, — osservò Filippo, — tra innamorato e amante v'è un abisso.

— Oh sicuro! — esclamò Loredana con gravità comica. — Un abisso!... E lei, tanto timido, si spaventa degli abissi....

La fanciulla rise e Filippo la guardò. Non gli era mai parsa così bambina come in quell'ora, e tutta fresca, con la bocca sinuosa e ardente appena ombreggiata da una lievissima pelurie sul labbro superiore; e la luce che veniva dai grandi occhi scuri gli sembrò più vivida del consueto.

Prima ancora di riflettere, si chinò e baciò quegli occhi e quella bocca, mentre Loredana abbassava la testa, attonita e sommessa.

— Ciò che egli fa, è ben fatto! — ella pensò. — Ciò che egli fa, si può fare!

Loredana pensava in tal maniera, pure senza amare Filippo, e Filippo la baciava senza amarla. Ma ambedue con ogni sforzo avrebbero difeso quella loro strana amicizia, perchè sentivano l'un per l'altra una fiducia, che nessuno al mondo aveva mai loro ispirato.

Fu in quello stesso mese di gennaio che Filippo trovò un giorno la casetta in festa. Era l'onomastico della mamma e v'eran due o tre famiglie, recatesi a portar dolci e augurii alla buona donna. Intorno a Loredana, tutta vestita di rosa e lievemente scollata, stavano altre fanciulle, e alcuni giovanotti scherzavano con la piccola amica di Filippo, la quale rideva e si scaldava presso il caminetto, avanzando i piedini con una mossa non priva di civetteria.

Filippo guatò lo spettacolo. Tra quei giovani, uno fermò specialmente la sua attenzione, un biondo con occhi cerulei; si chiamava Adolfo Gianella, era impiegato in una banca e possedeva qualche po' di terra in provincia di Vicenza. Parlava poco, vigilava gli amici, ascoltava, serrando le labbra, i madrigali ch'essi rivolgevano alla giovinetta; e sopra tutto, pareva noiato e diffidente per la presenza di Filippo. Egli stava presso il caminetto, in piedi, di fronte a Loredana; e v'era nel suo atteggiamento muto un significato di padronanza e di protezione, che svelava in lui il fidanzato o almeno l'innamorato serio. Dai suoi occhi si sprigionò più d'una volta qualche occhiata cupida al collo bianco e perfetto di Loredana. Il contegno di Adolfo Gianella divenne a poco a poco tanto chiaro, che i suoi compagni smisero di corteggiare quella e si volsero alle altre ragazze.

Filippo se ne andò, con un male in cuore, con una rabbia, con un'angoscia, che lo stupivano e lo facevano tremare.

Entrò nel salotto della contessa di Montegalda e parve distratto tutto il tempo che vi rimase. Fausta gli passò vicino, gli fece un lieve cenno di seguirla e quando furono nella sala da ballo, deserta, gli chiese:

— Che cosa avete, Flopi?

— Mi fa male il cuore! — egli rispose.

— Male? — ripetè Fausta. — Un male fisico?

— Fisico. Un aneurisma, — disse Filippo sbadatamente.

— Mio Dio! — esclamò la contessa con voce soffocata. — Siete pazzo? Di aneurisma si può morire!

— Si può morire di tutto, amica, mia! — concluse Filippo.

La giovane voleva insistere, chiedere quali cure facesse, ma Filippo le lanciò un'occhiata stranamente beffarda, e rientrò nel salotto, dove si intavolava una partita di boston.

Egli aveva bisogno di sapere, e tuttavia stette parecchi giorni senza recarsi a trovar le signore De Carolis. La comparsa di quel giovanotto biondo con gli occhi cerulei gli aveva fatto sentire che un giorno Loredana gli sarebbe stata tolta per sempre e ch'egli non avrebbe potuto nulla per impedire una cosa tanto semplice e tanto grave, poichè non aveva intenzione di sposare la fanciulla, d'affrontare una lotta con la propria famiglia, con la madre, con le sorelle e coi cognati.... Loredana avrebbe appartenuto ad Adolfo Gianella, impiegato di banca e piccolo possidente.

Fausta di Montegalda conobbe in quei giorni molte amarezze; Filippo era irascibile e pareva che il fasto e l'eleganza della giovane signora lo irritassero, quando per l'addietro gli erano stati tanto cari. In un convegno, egli sbadigliò più d'una volta, mentre Fausta gli esponeva, come nei primi tempi del loro amore, i progetti per la primavera, per l'estate, per l'autunno, tutto un programma di divertimenti, studiato in modo da non dover vivere troppo lontani l'uno dall'altra.

Quello stesso giorno, Filippo incontrò in Piazza, sotto le Procuratie Nuove, Loredana che camminava frettolosa, di ritorno dall'aver fatto alcune compere. Egli la salutò e tirò dritto, perchè evitava di farsi vedere dagli amici con una fanciulla, ch'essi non conoscevano e che non apparteneva al loro « mondo »; il quale era un gruppo di men che duecento persone. Ma tornò presto indietro, e corse a casa delle De Carolis.

Loredana era molto impacciata; Filippo era freddo e pieno di rabbia. Anche il fatto, punto nuovo, d'averla trovata sola per istrada, gli faceva dispiacere, sebbene non avesse mai ignorato che la signora De Carolis permetteva alla figlia, come del resto usavan tutte le sue amiche, di uscire sola a far compere o di andare sola a far visita alle conoscenti.

Infine, per togliere quell'ombra che s'addensava tra di loro, la fanciulla raccontò a Filippo che l'avevano fidanzata, da un mese circa, ad Adolfo Gianella.

— Le piace? — domandò Filippo.

— No, per niente.

— Le pare che sarà felice con lui?

— Ne dubito molto.

— E allora?

Allora? La mamma aveva consigliato così; la famiglia Gianella era contenta; Adolfo era innamorato e minacciava d'uccidersi e di uccidere, se Loredana non fosse stata sua. Poi, che cosa poteva fare ella al mondo? Adolfo era un giovane onesto, in buona posizione, e le voleva bene davvero.... Ella s'era rassegnata e il fidanzamento era avvenuto.

— Senza dirmi nulla! — interruppe Filippo.

— Non osavo, — confessò la fanciulla, guardando l'amico a occhi socchiusi, tra le lunghe ciglia. — Del resto, che cosa poteva importare a lei? Lei non si occupa di queste piccole miserie.

Filippo non rispose, ma disse a se medesimo, che infatti egli non poteva e non doveva occuparsi dell'avvenire di Loredana, poichè non voleva toglierla ad Adolfo e sposarsela lui.

— Tutto ciò che la riguarda m'interessa, — osservò. — La mia amicizia aveva qualche diritto.

La fanciulla chinò il capo e non rispose. Una sofferenza nuova sorgeva nel suo cuore per quell'interrogatorio. Aveva qualche diritto, Filippo? E allora anche lei aveva qualche diritto, e pur tuttavia Filippo le aveva sempre taciuto, anzi le aveva sempre negato quell'amore per la contessa di Montegalda, del quale si parlava ormai con sicurezza in città.

La madre sopravvenne, e mostrò a Loredana i campioni di alcune stoffe per gli abiti della fanciulla. Filippo volle sceglierne due egli stesso, ma la signora De Carolis osservò ch'eran troppo cari; bisognò contentarsi dei più semplici, che a Filippo sembrarono anche molto brutti. Egli comparò mentalmente la vita modesta, quasi povera della sua piccola amica col lusso onde si circondava Fausta; e fu intenerito, ricordando che Loredana non si lagnava mai, non badava a quei particolari meschini, non invidiava nessuno.

Fausta sarebbe rimasta intontita se avesse potuto sapere che la povertà di Loredana era più gradita a Filippo che non l'eleganza di lei.

Una sera a pranzo dalla contessa Lombardi, Filippo s'irritò sordamente incontrando Fausta gemmata come un idolo, coperta di merletti preziosi, superba. C'era il marito, il conte Ettore di Montegalda, e Filippo non potè subito dire a Fausta qualche parola crudele; ma non gliene mancò l'occasione durante la serata; e ripensando ai campioni delle stoffe per gli abitini di Loredana, sentì il bisogno di criticare l'abbigliamento di Fausta, con tanta ingiustizia, che la contessa ne rimase stupefatta.

— Via, via, — ella disse, sforzandosi a ridere, — voi non potete giudicar di queste cose!

— Voi, piuttosto, non potete dare un giudizio di nulla e di nessuno! — rimbeccò Filippo. — Credete di vivere, e siete tanto lontana dalla vita quanto la terra dal sole!

Fausta aveva l'abitudine di comandare, d'imperare sempre e dovunque. Era bella, alta, formosa, coi capelli nerissimi e gli occhi azzurri; gli uomini la desideravano, le amiche ne tolleravano il potere, il marito ne era orgoglioso senza mai aver pensato ad amarla.... Sentendosi, per la prima volta dacchè viveva, così umiliata e torturata da Filippo Vagli, ella ne provava un dolore inesprimibile, e invece di ribellarsi, a poco a poco era tratta a soggiacere a quella forma di dominio non mai provata. Se un giorno ella aveva amato Filippo tepidamente, lasciandosi prendere per accidia e per noia, ora la rudezza insospettata dell'amante, la prepotenza che si tramutava qualche volta in sarcasmo, la soggiogavano; e temeva di perderlo, e si chiedeva ansiosa se quella irascibilità, quella voglia di tormentare non fossero i sintomi della stanchezza; e divenendo umile, moltiplicava le cure gentili per l'innamorato, cercava di farsi piccola e buona.

Ma ella era ormai condannata a scontare ciò che Filippo soffriva per Loredana; ogni episodio triste o increscioso dell'amicizia tra la fanciulla e il conte Vagli si ripercuoteva nell'amore tra il conte Vagli e Fausta; la quale non capiva, non sapeva darsi ragione, non sospettava menomamente la causa di quella mutazione improvvisa, e cominciava a credere che Filippo fosse malato davvero, seriamente, più di quanto egli aveva detto.

— Quel suo fidanzato è molto antipatico! — disse un giorno Filippo a Loredana. — Perchè mi guarda sempre di sottecchi, e scappa appena giungo io? Non potrebbe trattare da persona educata?

Adolfo Gianella voleva togliere di mezzo Filippo: la presenza di quest'ultimo, le sue cortesie e la sua assiduità presso una fanciulla dalla quale non doveva sperar niente, gli sembravano strane e sospette.

— È il mio amico! — aveva risposto Loredana alle insistenze del fidanzato. — È il solo amico che io abbia: mi vuol bene come un fratello. Perchè devo fargli uno sgarbo e mandarlo via, dopo tre anni d'amicizia onesta?

Adolfo non capiva. Un conte, un libertino, un pessimo soggetto, preso da sentimento purissimo per una giovinetta di diciotto anni, bella e povera? Non aveva mai udito raccontar nulla di simile. Ed essa, fredda e testarda, continuava a ripetere ch'era l'amico, e che non lo avrebbe mandato via, e che Adolfo non doveva pensar male.

Ogni giorno si tornava daccapo; il carattere passionale d'Adolfo s'accendeva e s'inveleniva; il giovane avrebbe voluto che la signora De Carolis intervenisse a favore di lui, ma la mamma giudicava con la testa della figlia, e non ricordava nemmeno di averla rimproverata una volta in diciotto anni. Anzi, vedendo che la figlia era triste, anche la signora De Carolis cominciava a pensare, senza avere il coraggio di dirlo, che Adolfo era brutale; e si pentiva d'avere accolta e favorita la proposta della famiglia Gianella, che voleva unire i due giovani. Non si poteva negarlo: la pace della casetta bianca era stata turbata da Adolfo Gianella; Loredana, sempre allegra, aveva mutato carattere per colpa di lui; egli, geloso, inquieto, pieno di sospetto, guardava tutti in cagnesco, non voleva che si andasse a teatro, s'irritava per la spensieratezza di Loredana, l'offendeva con incessanti osservazioni, pretendeva ch'ella fosse già grave e prudente come una madre di famiglia, e infine, anche nei momenti buoni, era querulo e noioso, pedante e meschino.

Per quel contrasto incessante, la fanciulla era accasciata; e più d'una volta Filippo la trovò con gli occhi rossi e gonfi.

— Non bisogna sposarlo, sa? — egli diceva recisamente. — È un matrimonio impossibile. Che cosa farà quel ragazzo quando sarà suo marito e avrà i diritti più stupidi e più antipatici? Vuole che parli io con la mamma?

La fanciulla non aveva il coraggio di togliersi da quella situazione tormentosa: tutta la famiglia Gianella, madre, padre, zii, cugini di Adolfo, le stavano attorno, magnificando le virtù del giovane, facendo disegni per l'avvenire, dimostrandosi tanto sicuri, tanto lieti per quel matrimonio singolarmente felice, che Loredana soffocava e taceva. Ma non si sarebbe potuto trovare un uomo il quale fosse più di Adolfo incapace di comprenderla, tanto che essa, buona con tutti, era sempre con lui irritata, nervosa, dolente.

Da ultimo egli voleva anche legger le lettere ch'ella riceveva dalle amiche, delle quali non si fidava punto; una mattina, mentr'egli s'era recato a dare il buon giorno alla fidanzata, sopravvenne il portalettere, e Adolfo s'impadronì della posta, aperse la lettera d'una ragazza che scriveva a Loredana da un paese della provincia, domandò notizie delle persone ch'eranvi ricordate, e finì col mettersi la lettera in tasca.

Quando giunse Filippo verso sera, la fanciulla vibrava ancora tutta di sdegno e d'ira; raccontò ogni cosa all'amico, anche quel che aveva taciuto fino a quel giorno, le angherie, le taccagnerie, la diffidenza oltraggiosa, la gelosia irragionevole, la presunzione di Adolfo.

— Non lo voglio, non lo voglio, non lo voglio! — esclamava con gli occhi sfavillanti di rabbia. — Qualunque cosa piuttosto di questo matrimonio! Mai, mai, mai!

Filippo aveva ascoltato in silenzio, guardando il pavimento a piastrelle bianche e rosse e segnando col piede il ritmo d'una marcia.

A un tratto sollevò il capo, afferrò le mani dell'amica, e chiese:

— Vuole venire con me?

La fanciulla non capì subito.

— Dove? — ella domandò.

— Via, lontano, fuori di Venezia, per sempre! — incalzò Filippo.

— Fuggire? Fuggire con lei? — ella disse sottovoce, già tremando senza saperne la ragione.

— Mi ascolti, — mormorò Filippo.

Andò fino al limitare della saletta, vide che la mamma leggeva attentamente un libro mal rilegato, e continuò, tornando presso Loredana:

— Quella che noi chiamiamo amicizia, non è che amore. Se n'è accorta?

Essa, ferma e fissa, con gli occhi spalancati, non rispose.

— Me ne sono accorto io, — proseguì Filippo. — So che ti amo, sento che ti amo, sento che noi possiamo essere felici. Io non posso sposarti; capiscimi bene, non posso sposarti perchè tutta la mia famiglia ci darebbe tali e tanti dispiaceri, che, in confronto, ciò che hai sofferto finora ti sembrerebbe una gioia. Sono ignoranti, caparbii e feroci.... Ma ti offro lo stesso il mio amore e la mia vita.... Anch'io sono stanco; anch'io non posso più trascinare questa esistenza tormentosa e inutile. Dimmi che accetti, e saremo felici.... Partiremo subito....

Loredana tolse le mani dalle mani di Filippo e si alzò in piedi: fece alcuni passi come per uscir dalla camera, ma si fermò e si addossò al muro; piangeva in silenzio e le lagrime le scendevan giù per le guance.

Filippo le si avvicinò di nuovo. Era pallido e la sua voce tremava. Disse:

— Sei offesa?

Ella negò con un movimento del capo.

— Allora non mi ami d'amore, come ti amo io?

La risposta non venne. Loredana guardava l'amico attraverso il velo delle lagrime. Egli fece un passo come per allontanarsi, ma la fanciulla, rapidamente, istintivamente lo trattenne con un gesto.

— Sì, l'amo anch'io, — ella mormorò sottovoce.

Filippo l'afferrò per il busto e la baciò sulla bocca.

— Pensaci, — disse. — Pensa che saremo tanto felici.... La mamma perdonerà. Ti vuol troppo bene per condannarti. Capirà che tu avevi il diritto di vivere, di sottrarti a un avvenire spaventoso. Tu saprai farti perdonare, non è vero? poichè conosci la strada per giungere al cuore della mamma! Dimmi che accetti, e partiremo subito....

Essa, sempre addossata al muro, sempre immobile, con gli occhi pieni di lagrime, non rispondeva. Ma una scampanellata fece sussultare lei e Filippo.

La fanciulla s'asciugò prestamente gli occhi, e corse nella saletta.

— Dev'essere Adolfo, — ella disse alla mamma. — Io ho l'emicrania, non voglio vederlo, mi chiudo nella mia camera!

La mamma sospirò e alzò lo sguardo al soffitto. Loredana tornò da Filippo, gli strinse le mani, mentr'egli la baciava ancora sulla bocca.

— Pensaci! — ripetè Filippo.

Ella fece un gesto vago e scomparve, per chiudersi nella sua cameretta.

Adolfo Gianella saliva le scale, e Filippo udendone il passo, diceva con la signora De Carolis:

— Mi dispiace molto che la signorina sia indisposta; spero non sarà nulla....

— È malata? — chiese Adolfo sopraggiungendo e salutando Filippo con un saluto freddo e un'occhiata di sbieco. — Dov'è stata iersera? Avrà preso freddo, o avrà mangiato qualche cosa d'indigesto....

Filippo se ne andò subito, e senza volerlo si disse, ridendo dentro:

— Tu, dovrai mangiare fra poco qualche cosa d'indigesto!...

Ripensò, quella notte, all'idea della fuga, balenatagli così di repente; e più vi pensava e più gli pareva buona. La signora De Carolis non avrebbe osato nulla contro la figlia adorata; Adolfo avrebbe trovato una consolazione nel pensiero che una fanciulla capace di scappar col conte Vagli non era degna di lui.... Infine, la cosa si sarebbe saputa da pochi, malamente, e si sarebbe sminuita, polverizzata per così dire, nel classico pettegolezzo veneziano. Filippo trovava l'onestà della sua disonestà; amava Loredana; sentiva che le sarebbe stato fedele, che l'avrebbe fatta contenta, ch'ella non avrebbe sofferto, e poichè di matrimonio era assurdo parlare a causa dell'opposizione formidabile che avrebbe trovato in famiglia, la fuga, una fuga prudente, senza troppo scandalo, senza chiasso, metteva termine a una situazione insopportabile per lui e per la piccola amica.

Gli venne anche il pensiero di Fausta; ma la disgraziata donna s'era in quel periodo di tempo totalmente perduta agli occhi di lui, pel suo strano contegno d'umiltà, nel quale egli non capiva nulla. Egli pensava con rammarico alla devozione della sua amante: Fausta non era fatta per obbedire, per tacere, per soffrire; ogni donna ha il suo fascino e il suo destino. L'asservimento aveva smorzato la bella fiamma di quegli occhi cilestri e tolto al viso il colorito della fresca giovinezza.

— È veramente doloroso, — pensava Filippo, — ch'io non possa amarla!

A poco a poco, ribadita dal conte, l'idea della fuga conquistava anche Loredana; nulla pareva più dolce che la vita con Filippo, e la fanciulla non trovava termini di paragone se non nella paura di quel matrimonio. Adolfo aveva svelato un nuovo difetto, insolito in un giovane: l'avarizia. Egli spiegava certe sue miserabili economie con la necessità di aver denaro pel giorno degli sponsali, d'aver molto denaro per far bella figura; ma la fidanzata gli credeva poco, e notava, senza volerlo, quasi arrossendo, che intanto lo spirito gretto di lui si rivelava nei regalucci ch'egli le faceva e che sarebbero rimasti in casa a fare non bella, ma triste figura. Egli anche — aveva scoperto Loredana, ormai maestra di scoperte incresciose — egli mangiava troppo, ingordamente, magnificando la bontà delle salse e dei sughi. La madre sua si beava vedendolo così allegro, con un appetito quasi insaziabile; e Loredana, per non odiare l'uno e l'altra, inventava un'emicrania ogni qualvolta la signora Gianella l'invitava a pranzo.

Sui primi di maggio, quando la ragazza pensava di farsi qualche abitino nuovo e di comperarsi qualche piccolo oggetto d'eleganza, Adolfo decretò che gli abiti e i cappelli dell'anno precedente, ritoccati qua e là, potevano servire ancora; e la petulanza del fidanzato le sembrò tanto grave, che senza ribatter verbo, ella si ritirò nella sua camera e vi restò fin che Adolfo non se ne fu andato.

Ma egli giudicava quei malumori con la presunzione di un esperto conoscitore di donne, sorridendo e aspettando che la bufera si calmasse.

Era ben lungi dall'imaginare che proprio quel giorno, otto maggio, qualche cosa di terribile e d'irreparabile doveva avvenire nella vita di Loredana.

Sua madre l'aveva lasciata sola in casa, dopo la visita di Adolfo; la donna di servizio era andata alla stazione a incontrare il fidanzato che giungeva a Venezia per passarvi alcuni giorni di vacanza. Loredana non doveva aprire ad alcuno e stava nella sua camera, sdraiata sul lettuccio, leggendo un romanzo. Verso le quattro udì una scampanellata; corse al balcone, vide Filippo, e la tentazione fu troppo forte: andò subito a tirare il cordone e la porta si spalancò innanzi al conte, che credeva di trovar la fanciulla con la mamma.

Quando seppe ch'era sola, egli la guardò in silenzio ed ella guardò lui; le loro bocche si unirono e così, dopo tre anni, la piccola amica diventò la piccola amante.

Quella medesima sera, la fanciulla andò a teatro con la madre e un'altra signora. Aveva il suo abitino rosa lievemente scollato e un cappellino di paglia rossa a tricorno, sotto il quale i capelli parevan più bruni e i riflessi più dorati. Ella stava attentissima alla rappresentazione, « L'amore ricama », una commedia francese in tre atti; teneva gli occhi fissi alla scena, la bocca dalle labbra purpuree un poco schiusa. Filippo la vide e fu colpito da quell'atteggiamento ingenuo, quasi infantile, come se un'altra anima, la vera anima della giovinezza indifesa, si fosse sovrapposta a quella ch'egli conosceva. Sentì il rimorso per ciò che aveva osato poche ore innanzi, nella cecità della passione e dell'egoismo.

Ma l'atto finiva e parecchi spettatori alzandosi e volgendosi guardavano la fanciulla con ammirazione.

— Imbecilli! — mormorò Filippo, guardando a sua volta Loredana, sorridente e bianca sul fondo scuro del palchetto. — È mia!

E la certezza di quell'amore tacito e misterioso, pericoloso e crudele, potè meglio d'ogni altro pensiero. Filippo stette un istante a fissar la folla in platea, la quale, ammirando la piccola amante non osava sospettare ch'ella conoscesse già i baci, tutti i baci d'un uomo; e la stupidità della moltitudine non gli sembrò mai più amena.

Due mesi eran passati da quel giorno indimenticabile, quando, sui primi di luglio, Loredana si decise, e abbandonò la casetta bianca sul campiello solitario per seguire Filippo Vagli.

L'amore di Loredana

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