Читать книгу L'amore di Loredana - Luciano Zùccoli - Страница 8

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La mattina dopo l'arrivo a Desenzano, Loredana corse al balcone dell'albergo e vide sotto il sole fastoso scintillare il lago di cobalto. Lontano, a levante, un piccolo paese si spingeva per una lingua di terra molto innanzi nell'acqua.

— Andremo laggiù, — disse tra di sè, contenta di vedere paesaggi nuovi, ella che non si era mai allontanata da Venezia se non per pochi chilometri.

Il colore del lago, così azzurro da dare quasi all'acqua una densità materiale, era mirabile. La fanciulla, abituata alle trasparenze leggere della laguna, ne restò meravigliata e sentì come un piacere intenso per quella vita liquida che si stendeva ampiamente sotto i suoi occhi.

Filippo bussò discretamente all'uscio ed entrò.

— Amore mio, come sei elegante! — disse.

Loredana vestiva tutta di bianco, con una cintura bianca e lo scarpe bianche, e sorrideva all'amico, il quale era superbo della sua candida bellezza.

— Ogni cosa fatta a pennello! — dichiarò Loredana, indicando l'abito; e soggiunse, dopo una lieve esitazione: — Tu mi portavi con te, nella tua mente, quando ordinavi i miei abiti!

Ma il pensiero non le si era presentato così; era stato piuttosto un senso di molestia per quella strana perizia dell'amico suo, la quale svelava una lunga e costante dimestichezza con le donne, una singolare esperienza d'anime e di corpi femminili. Nulla a lei importava di ciò che era finito ieri: ma domani?

Ella disse, attirando Filippo sul balcone:

— Vedi, laggiù? Quel paese che si spinge nel lago? Là, vuoi andare?

— No, — rispose Filippo. — Quello è Sirmione; noi andremo a Maderno o a Gargnano o più oltre, nel Trentino, a Riva....

— Che peccato! Dev'essere molto bello, laggiù.

— Vuoi? Se ti piace, io non ho nulla in contrario. Farà molto caldo, ecco tutto. Sirmione è grazioso. Manderemo a vedere se vi sono alloggi....

Mandarono a vedere; partì un uomo dell'albergo con la vettura; tornò dopo colazione. V'erano alloggi, modesti ma puliti, nell'unica trattoria del paese; si poteva tentare....

La cosa piacque molto a Loredana. In quel tempo, Sirmione non vantava ancora alcun grande albergo nè uno stabilimento di bagni. Vi arrivavano di tanto in tanto gli escursionisti, quasi tutti tedeschi, a visitar le grotte leggendarie di Catullo; mangiavano, ammiravano, ripartivano. Il piroscafo v'approdava una volta al giorno, se il tempo non era cattivo. Tutto questo, raccontato dal direttore dell'Albergo Reale, accese la fantasia della ragazza, che già pensava di vivere più anni in quella penisoletta con Filippo, lontani dal mondo e pur vicini, obliati e felici....

Nel pomeriggio, sotto un sole rovente, per la strada piana e bianca di polvere, gli amanti partirono in una carrozzella alla volta di Sirmione, seguiti da un baroccio coi bauli che avevano spaventato il conte Roberto. Quando giunsero al punto nel quale si lascia la strada provinciale per volgere a sinistra e inoltrarsi nella penisoletta, la fanciulla fu molto contenta. Dal balcone dell'albergo di Desenzano non avrebbe mai imaginato un paesaggio così bello. A destra e a manca, tra i rami degli ulivi e il fogliame degli alti pioppi, scintillavano le acque del lago riccamente turchine, immote nella accidia delle ore calde. È a un gomito di quella strada che s'incontra una casetta modesta, con uno svelto cipresso innanzi, e sotto si stende il lago irto per buon tratto di canne fragili; angolo pittoresco, riprodotto migliaia di volte da sapienti e da timidi pennelli.

— Andremo un giorno a vedere quei paesi laggiù! — disse Loredana, indicando i gruppi di case sulla sponda veronese. — Voglio veder tutto il lago.

— Ti piace? — domandò Filippo.

— Ah, immensamente! Sarò felice! — esclamò la fanciulla in un impeto di gioia, battendo le mani.

Tacque. La fronte le si rannuvolò subitamente; ripensava alla mamma, cui non aveva ancor dato notizie, e che era sola ormai nella casa deserta. Per celare a Filippo la tristezza improvvisa, si volse indietro a guardare il baroccio che correva tra un nugolo di polvere.

Ma già si vedeva la torre del castello Scaligero, cinta a metà da mura grigiastre, e la strada si ampliava; la carrozza oltrepassò il ponte di legno che dalla porta del castello mette in paese, e la rocca apparve lacerata da lunghe feritoie, circondata tutta intorno dall'acqua; lo stemma degli Scaligeri, ancor visibile, il leone di San Marco, in rilievo, la croce bianca in campo rosso del Comune, posti simmetricamente sull'alto della porta che guarda a occaso, dicono i tre dominii che si susseguirono.

Le donne e i pescatori raccolti in gruppo sulla piazza osservarono l'equipaggio insolito e il carro coi bauli, ma nessuno si mosse. Non avevano alcun bisogno dei forestieri. L'acqua li faceva liberi, e quell'anno la pesca delle sardelle era stata insolitamente fortunata.

Si fece incontro alla vettura il proprietario dell'albergo, e aiutò Loredana a discenderne. Era un uomo tozzo dal viso rubicondo; non abituato a cerimonie, salutò con una certa dimestichezza e annunziò che gli « sposi » si sarebbero trovati benissimo in casa sua. Aveva tutto approntato, rinfrescato, ripulito con cura; le due camere e il salotto guardavano il lago; di giorno faceva caldo, ma si tenevan le persiane chiuse e si scendeva in giardino; di sera, poi, era una bellezza ovunque. A pochi passi di là, comparve anche la moglie dell'albergatore, più timorosa per l'aspetto signorile di Loredana, della quale notò in un batter d'occhio l'abito, la figura slanciata, il viso freschissimo, la bella bocca. Essa dichiarò che era felice di non alloggiare i soliti tedeschi con la piuma di gallo sul cappellino verde.

Mentre i due vetturali scaricavano i bauli, gli amanti salirono a veder le camere, e sulla scala s'imbatterono in una signora ampia di forme, col viso pitturato e le sopracciglia duramente segnate a nerofumo. Ella salutò chinando la testa, e si fece da un lato.

— È la signora Teobaldi, di Verona, — disse l'albergatrice, che seguiva. — Una buona e bella signora.

Filippo la guardò appena, rispondendo distratto al suo saluto, Loredana sorrise per quelle spaurevoli sopracciglia; e per la maschera di biacca e di belletto che le deturpava la faccia.

Le due camere da letto erano grandi e pulite, ciascuna con un armadio a specchio, un cassettone di legno chiaro, una tavola rettangolare coperta da un tappeto modesto ma nuovo. Il salotto era addobbato con carta a fiori d'oro sul fondo rosso; i mobili mal disposti, in ordine scrupolosamente simmetrico, facevan pensare a lunghi mesi d'abbandono, quantunque non vi fosse un grano di polvere. Il pianoforte, del quale Filippo toccò alcuni tasti, emise un miagolìo prolungato che fece ridere Loredana.

— Bisognerà comprare molti oggetti inutili per nascondere la bruttezza degli oggetti utili, — osservò Filippo, senza badare alla faccia scorata dell'albergatrice. — Va bene, — seguitò con quest'ultima. — Faccia portare subito i bauli....

— Sì, signor conte, — disse la donna.

— A proposito: sa il mio nome?

— Me lo ha detto l'uomo che è venuto stamane a vedere le camere, — rispose l'albergatrice. — Il signor conte Filippo Vagli e la signora contessa, di Venezia. Anzi, volevo chiedere alla signora contessa se suona il piano....

— Perchè? — domandò la giovane.

— Perchè in tal caso lo farei accomodare: è un po' scordato.

— Lo faccia accomodare, — disse Filippo.

E quando la donna se ne fu andata, seguitò con l'amica sua, che si toglieva il cappello:

— Non vorrei esser caduto in un covo di pettegole....

— Dove sarebbero? — domandò la fanciulla stupita.

— Quella signora di Verona, per esempio: Teobaldi o Tibaldi o Ribaldi....

— L'albergatrice ha detto che è buona....

— Sì, — osservò Filippo, — ma ha detto pure che è bella! E allora, stiamo freschi!

Loredana diede in una risata, pensando alle terribili sopracciglia immobili. Ella s'era affacciata alla finestra e sembrava compenetrarsi della luce folgorante che saliva dal lago, dardeggiava la linea onduleggiata delle montagne, incendiava le case di Desenzano, faceva frinir le cicale sugli alberi.

Ad un tratto si volse e disse:

— Oggi scrivo alla mamma.

— Appunto, — rispose Filippo. — Anch'io....

E stava per continuare, quando fu bussato alla porta ed entrarono gli uomini con un baule.

— Che cosa dicevi? — domandò Loredana, allorchè gli uomini uscirono per prender gli altri bagagli.

— Volevo dirti che ho intenzione di andare a Venezia, fra qualche giorno. Bisogna ch'io sappia ciò che si dice, — dichiarò Filippo, sedendo in una poltroncina. — La mia assenza non può essere stata notata: a Venezia son rimaste poche famiglie che io conosco, e in quest'epoca, tutti gli anni io vado in campagna. Ma voglio udire se si fanno chiacchiere e voglio, se mi riuscirà, aver notizie di tua madre.

— Come farai?...

Di nuovo gli uomini entrarono con un baule, che Filippo ordinò di deporre nella sua camera.

— Non dev'esser difficile, — egli continuò poscia, — mandare qualcuno da lei con un pretesto. Anzi, servendomi d'una persona fidata, potrei farle consegnare la tua lettera.

La fanciulla tacque un istante. Quel disegno di Filippo le pareva logico e pure la turbava; appena arrivata in un paese nuovo, tra gente sconosciuta, doveva rimaner sola, di giorno e di notte. E all'idea che Filippo volesse abbandonarla, un tale spavento la prese, che si sentì sbiancare il volto, come tutto il sangue le si fosse gelato nelle vene.

Ritornò alla finestra, per nascondere il suo turbamento; ma non vedeva nè il lago, nè il sole, nè la città dirimpetto, che un minuto prima le era parsa sfavillante....

— Che pazza! — disse a sè medesima. — Come potrebbe abbandonarmi, se mi ama, se lo amo, se gli ho dato tutta me stessa? Non lo conosco da tre anni, non sono stata per tre anni la piccola amica, e non sono oggi la piccola amante?

Udì che gli uomini, recato l'ultimo baule, salutavano e uscivano ringraziando. Si tolse dalla finestra, e disse a Filippo, con voce un po' debole:

— Sì, è giusto. Devi andare.

Quella stessa mattina, il conte Roberto, arrivato a Fasano in carrozza, spedì subito un telegramma a sua cognata. Il telegramma, alla forma del quale aveva pensato durante tutto il viaggio, diceva: « Non ho visto nessuno. Lascia fare ».

E la contessa Bianca ricevendolo si chiese se quel « Lascia fare » significasse « Fida in me » o non piuttosto: « Lascia che ciascuno viva a modo suo ».

Ma le parve che la seconda interpretazione fosse la buona.

L'amore di Loredana

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