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IV.

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Ah, la terribile idea!

Lo invasava da una settimana, facendolo inorridire ogni volta che vi si sorprendeva fissato e già propenso a metterla in discussione, ora come ipotesi strana, ora come non difficile possibilità!

— Oh! oh!

A quali infami accessi lo riduceva colei, spingendolo alla disperazione con la insopportabile gelosia! E perciò egli fremeva, scoprendola sempre tanto più tenera e più ciecamente innamorata, quanto più egli si sentiva distaccare da lei!

Intanto la speranza di poter sposare la figlia della Merlacchi gli si accendeva nel cervello coi colori più vivi e cominciava a sembrargli cosa seria. La signora Merlacchi, che ad ogni nuova visita di Fausto diventava quasi aggressiva, non gli repugnava più. La graziosa civetteria di Cornelia lo eccitava, gli risvegliava nell'animo la passione della musica, se non la scintilla creatrice del compositore.

— Scriverà una romanza per me? Da cantarla io e nessun'altra? — gli disse un giorno Cornelia.

— Ben volentieri, signorina; vorrei poter fare un capolavoro!

— Lo farà, ne sono certa.

E questo desiderio, espresso con tanta carezza nella voce e tanto scintillìo di sorriso negli occhi, gli era parso, quasi, un tacito fidanzamento.

— Sono matto? — tentava di riflettere.

Ma l'amor proprio gli annebbiava il cervello.

— Accadrà uno scandalo! Colei commetterà qualche pazzia!

Si desolava ripensando le assurde proposte di fuga, di rifugio in qualche città straniera, che Paolina gli veniva facendo da qualche tempo in qua. La sua dote, tutta in cartelle dello Stato, non poteva toccargliela nessuno. Suo marito, è vero, in un momento di urgenza, aveva ottenuto da lei il consenso di adoprarla per le sue vaste speculazioni ferroviarie... Ma gli affari andavano bene. Certamente egli aveva pensato a guarantirla... Anche senza la sua dote però essi avrebbero potuto vivere comodamente, lei lavorando da sarta, lui dando lezioni, o, meglio, conducendo a fine la sua Venere infernale.

— Ah! La mia Venere infernale è proprio lei! — esclamava Fausto disperatamente.

E perchè doveva egli rassegnarsi? L'aveva forse sedotta? No, anzi era stato avviluppato, stregato lui!

— Se commettessi un delitto per riavere la libertà, chi potrebbe condannarmi?

Era arrivato a farsi tale domanda senza fremere di orrore.

Per evitare in quei giorni la frequenza delle visite della signora Ghedini, aveva ideato un pretesto: ma quella volta la signora Paolina non si era lasciata ingannare.

Si vedevano sparsi, con calcolato disordine, sul tavolino, sul letto, sul canapè e sul leggìo del pianoforte i fogli dell'abbozzo dei primi due atti della sua opera, parte scritti col lapis, parte con l'inchiostro. La carta si era ingiallita e la scrittura aveva preso la tinta dell'inchiostro invecchiato dalla luce e dalla polvere. Robba morta tutti quei fogli! Quella mattina però dovevano simulare di essere vivi per evitargli il tormento della presenza di colei e il pericolo di scene repugnanti. Gli era forza mentire, mentire, mentire, se voleva ottenere un po' di tregua!

Egli andava su e giù per la stanza con le braccia conserte, strette nervosamente dalle mani aggrappate, coi capelli in disordine e con lo sguardo fisso nella truce visione che più non lo abbandonava un momento e lo avvinceva e lo soggiogava: andava su e giù ripetendo mentalmente le uniche parole che pensasse da una settimana, anche ragionando d'altro, anche nei sogni:

— Se commettessi un delitto per riavere la libertà, chi potrebbe condannarmi?

E gli parve che qualcuno venisse a sorprenderlo, sentendo aprir l'uscio e vedendo apparire la signora Ghedini che guardava diffidente i fogli sparsi qua e là.

— Lavori?

— Riprendo la Venere infernale; me la sento frullare nel cervello.

E con un po' d'esitanza, di cui ebbe dispetto, soggiunse:

— Dovresti lasciarmi più libero in questi giorni.

— Non è vero che tu voglia lavorare! — gli gridò in faccia, indignata, la signora Ghedini — Oh, Fausto!

E continuò, con accento di dolore e di rimprovero, parlando affrettatamente, a voce bassa:

— Vedi come mi hai ridotta? Non mi riconosco. Perchè mi fai soffrire? Che male ti ho fatto? Fin mio marito, che ha tante cose per la testa, fin mio marito si è accorto che non sono più quella di prima. Mi crede ammalata; vorrebbe che io consultassi un dottore.

— Ricominci?

— Bada, Fausto, bada! Mi conosci male, se ti figuri che io possa sopportare in pace un tradimento. L'abbandono, sì, lo sopporterei; ne morrei, forse, e sarebbe finita. Ma un tradimento, no! Sei tornato dalle Merlacchi, e mi avevi giurato che non ci saresti andato più! Sono loro, la madre o la figlia, o tutt'e due — quella mamma è capace di tutto! — sono loro che tentano di rubarmiti. Bada, Fausto! Bada!

Glielo ripeteva con labbra frementi. E gli occhi le lampeggiavano; e tutta la persona, scossa da tremito, trambasciava, mentre le lagrime cominciavano a scenderle silenziose lungo le gote coperte d'improvviso pallore.

— Ah! — urlò Fausto, prendendo con furia il cappello, sfuggendo dalle mani della signora Ghedini che tentava di trattenerlo.

— Ho avuto torto! Fausto, perdonami! — ella balbettava supplicando.

Ma Fausto era già uscito di casa, sbatacchiando l'uscio villanamente.

Il dottor Anguilleri fu meravigliato di vederselo comparire davanti.

— Che è stato?

— Niente. Sai? Ho riflettuto su quella tua idea... bellissima... della Sinfonia dei baccilli, o della Morte.

— Ah!

— Sono in vena. Voglio farne proprio qualcosa di grandioso e di terribile, come tu hai detto. Ho già abbozzato... in testa... i punti principali, s'intende: Un crescendo, capisci?... dopo un pianissimo di violini e viole.... Poi, un unisono di ottoni.... Vengo per ispirarmi.

— Mi hai fatto paura! — esclamò il dottore, stupito di quell'aspetto sconvolto, di quegli occhi che luccicavano sinistramente evitando lo sguardo altrui, di quelle parole pronunziate ora a scatti, ora esitando. — E l'ispirazione musicale ti riduce ogni volta così?

— Fammi vedere di nuovo la stanza... dove sono le stufe,... no, l'altra appresso. Voglio averne un'impressione più viva, più immediata.

— Alla buon'ora! Non mi par vero che tu voglia lavorare. Sarà la prima e, forse, la sola volta che i baccilli serviranno per un'opera d'arte.

Fausto gli andò dietro, camminando come un sonnambulo, senza scorgere niente lungo il corridoio e le sale che attraversavano.

Il dottor Anguilleri, un po' invanito di veder presa sul serio da un artista come Fausto un'idea buttata là, per ischerzo, in un momento di buon umore, aperse l'uscio del camerino buio:

— A te! Ecco qui, spaventevole crescendo, tutti i morbi della terra!

Prendeva tre, quattro tubi per volta, e glieli faceva osservare dando particolareggiate spiegazioni, scherzando intorno alla pericolosa materia:

— Pei toni minori, i baccilli dell'erisipela, della difterite, della tisi!

E rideva.

— Pei toni acuti, i baccilli del tifo, del colera, dell'edema maligno... Ah! Ah!... dico bene? Scusa, tieni un po'; non aver paura! Bisogna rimetterli attentamente, ognuno al loro posto, per non confonderli.... E questi qui, finalmente, pei toni bassi: sono i baccilli del tetano e del carbonchio.... Hai già tutta l'orchestra....

E, voltandogli le spalle, non si accorse di Fausto che, in mezzo all'usciolino, si cacciava lestamente in tasca uno dei tubi affidatigli.

Fausto Bragia, e altre novelle

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