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V.

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— In tre o quattro giorni! — aveva detto Anguilleri.

E da tre giorni Fausto spiava con ansia la sua vittima, mostrandosi buono, indulgente; meravigliandola con la insperata mutazione; invitandola a visitarlo più spesso.

Non aveva rimorsi, nè timori; il cuore gli s'era indurito. Rappresentava la sua parte con perfetta tranquillità, rassicurato dalla certezza che nessuno avrebbe potuto, non che accusarlo, sospettarlo.

— Hai consultato il dottore? — le domandava appena entrata.

— No; il mio vero dottore sei tu; tu solo conosci il mio male, tu solo puoi guarirmi!

— Ti senti bene?

— Benissimo, da che tu non sei più cattivo con me!

Egli la guardava fisso, scrutandone il colorito della pelle e delle labbra, quasi avesse potuto scorgervi a occhio nudo i baccilli che già dovevano essersi sviluppati dalle spore.

Intanto nessun sintomo, neppure al quarto giorno!

Anguilleri, si era dunque ingannato? Gli aveva dato a intendere una frottola, come accade ai giovani scienziati che spacciano per cose certe le ipotesi più ardite? O colei resisteva anche alle spore del carbonchio, per sciagura di lui?

Come domandarle intanto se avesse mangiato il micidiale frutto candito ch'egli le aveva regalato giorni addietro?

Paventava di tradirsi; e attendeva ansioso, smaniante, sforzandosi di non lasciar scorgere il suo profondo turbamento, e per ciò soffrendo di più, quando la coscienza gli faceva sentire qualche sordo e fuggevole rimprovero.

— Ormai!

E con quest'esclamazione cercava di stordirsi.

Ma di giorno in giorno, di ora in ora la coscienza tornava a rimorderlo più forte, quantunque a intervalli, quasi stentasse di svegliarsi dal torpore in cui si trovava caduta da un pezzo.

E Fausto strizzava gli occhi, per vincere i brividi che lo assalivano, per arrestare il capogiro che lo faceva vacillare.

La notte, però, appena abbassate le palpebre....

Abbandonando il putrefatto cadavere della signora Ghedini, a miriadi, a miriadi, avidi di nuova preda, i baccilli, non più invisibili, ma grossi come formiche, incalzavano Fausto, lo circondavano da ogni parte, lo assalivano, lo rodevano, lo riducevano a lentamente lentamente agonizzare accanto al nero carcame della sua vittima, che però aveva ancora qualcosa di vivo negli occhi viscidi, enormemente spalancati, e sembrava godere della interminabile agonia del suo infame assassino.... E nessuno che osasse soccorrerlo! E Anguilleri, freddo, impassibile, gli appuntava addosso l'inutile microscopio.... Non li vedeva dunque a occhio nudo i terribili baccilli, grossi come formiche?

Si svegliava di soprassalto, bagnato di sudore diaccio, balbettante il grido di aiuto che stava per sfuggirgli nel sonno; e seduto sul letto, spalancava gli occhi dal terrore, non ben sicuro che qualche bacio di lei non gli avesse attaccato il male, quantunque egli, da quattro giorni, evitasse di baciarla in bocca, e si lavasse spessissimo col bicloruro di mercurio diluito nell'acqua a l'un per mille.

E la mattina tornava a fremere, smanioso, impaziente, fino al momento della solita visita di Paolina, che non poteva mai venire a trovarlo prima delle dieci e mezzo. Il cuore gli trabalzava al lieve scricchiolìo dell'uscio; e il giorno ch'ella non comparve all'ora consueta, nè più tardi. Fausto diè un rantolo, e si sentì venir meno.

— Le spore hanno agito!

Rimase immobile in mezzo alla camera, quasi non se lo fosse aspettato, quasi il fatto non avesse dovuto accadere, ed egli avesse sperato, anzi voluto, che non fosse potuto accadere. Gli era cascata la benda dagli occhi; si vedeva assassino, nè poteva più riparare.

— Ormai.... — ripetè anche quella volta, ma balbettando d'orrore.

Una scampanellata! Era il dottor Anguilleri.

— Insomma, questa sinfonia dei baccilli?

Fausto si sentì strozzare le parole in gola.

— È fatta? O non la farai più?

— Sì, sì, la farò — potè rispondere con gran sforzo. — Una sinfonia non s'improvvisa.

— Ah!, io temo che l'unica sinfonia dei baccilli rimarrà quella mia di ieri — altro che la tua! — mentre cercavo un tubo di spore di carbonchio che non riuscivo, nè son riuscito a trovare. L'avrò messo per isbaglio in qualche altro bicchiere, l'ultima volta che tu venisti lassù.... Quella, sì, è stata una sinfonia di imprecazioni sgorgata proprio di getto! Quanto a la tua, sapevo bene che non ne avresti fatto niente, che non ne farai più niente, ed ho voluto accertarmene coi miei propri occhi, uscendo dalla camera dell'ingegnere che è gravemente indisposto.... L'ingegnere lavora troppo e mangia troppo; credo che abbia un'enterite bella e buona. Non ne sai nulla?

— No.

— La signora m'ha domandato se è cosa grave; le ho detto la verità. È abbattutissima, povera signora.

— Indisposta anche lei?

— Lei sta bene; è per via del marito.

— C'è pericolo?...

— È stato già proposto un consulto.

Fausto Bragia, e altre novelle

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