Читать книгу Tre storie di santità femminile tra parole e immagini - Mattia Zangari - Страница 6
Introduzione
ОглавлениеPer i boschi della Spagna del siglo de oro, una donna cattolica, ma con origini ebraiche, viaggiava raminga, spostandosi da un convento all’altro, animata da un ideale, ossia la riforma dei monasteri carmelitani: era Teresa d’Ávila, che da lì a poco sarebbe diventata, nell’immaginario cattolico, la santa fundadora, la mistica escritora. L’obiettivo di Teresa era sì il rinnovamento dei monasteri, ma pure la messa in forma di un ideale di monaca che prendesse le distanze dalle rilassatezze che dilagavano al monastero dell’Encarnación di Ávila. Tre secoli prima, come vedremo nel primo capitolo di questo libro, un frate domenicano brabantino – Tommaso di Cantimpré – si poneva il medesimo problema, ovvero la ricerca di un modello comportamentale che ispirasse le monache del suo tempo; per la messa a punto del suo progetto, il frate illustrò in un testo la vita esemplare di una monaca morta due anni prima in odore di santità: Lutgarda d’Aywières (1182-1246). È con la biografia di Lutgarda che si chiude la raccolta di vite di donne – le Vitae matrum – scritta da Tommaso di Cantimpré, il quale si era specializzato nell’arte di biografare donne sante, donne mistiche molto diverse dalle sante regine che altri agiografi, prima di lui, avevano profilato con dei ritratti a penna. Il testo che Tommaso dedica a Lutgarda è molto ricco di spunti d’indagine. L’analisi delle visioni della mistica, infatti, rivela un delicatissimo rapporto – talvolta molto stringente – fra parole e immagini. In questo libro vedremo innanzitutto il modo in cui Tommaso informa il suo prototipo di monaca, il suo specchio di donna pensato per le monache sì, ma pure per le tutte quelle religiose – come le beghine, le cellanae, le reclusae, le eremitesse – senza un’identità istituzionale precisa. Il testo deve rispondere a esigenze di veridicità, esso deve cioè convincere che la santa Lutgarda – mistica, profetessa, taumaturga – è realmente esistita. Per assolvere a questo compito il frate compie un’indagine, «intervista» una serie di testimoni fededegni; fra questi vi sono le consorelle di Lutgarda e una in particolare – Elisabetta de Wans – non solo rappresenta una straordinaria «teste», ma mostra pure di aver avuto esperienze mistiche molto simili a quelle di Lutgarda, diventando quindi una specie di doppio di lei.
Come anni fa ha mostrato Chiara Frugoni, le mistiche medievali sembrano sublimare il proprio desiderio di vita coniugale nelle loro esperienze di indiamento1 e, parimenti, il desiderio di maternage poteva manifestarsi nella voglia di cullare Gesù Bambino, come ben si vede nel caso di santa Gertrude di Helfta. Dato che nei monasteri del Nord Europa di allora è documentata la presenza di culle portatili e di corredi infantili, proveremo a vedere come si declinava il culto di Gesù Bambino all’interno del monastero di Lutgarda, con un’analisi che prende le mosse dal rapporto testo-immagine, ma che si allarga anche all’analisi dei cerimoniali delle monache. Come abbiamo detto all’inizio, l’agiografia oggetto del nostro commento è un testo estremamente ricco di spunti di riflessione e questo anche per via dell’ibrido genere di appartenenza; esso sembra cioè rispondere non solo allo «schema» della biografia mistica, ma pure a quello del romanzo cortese e si vedrà via via su che livello i due generi si intersecano.
L’agiografia – e non soltanto quella tardo-medievale – si configura dunque come un pensatissimo progetto «letterario» dalle finalità soteriologiche – e non solo – messo a punto nelle officine agiografiche dei vari Ordini religiosi, che sponsorizzano le proprie Sante per ragioni diverse, il che presuppone uno studio attento, un lavoro ricercatissimo da parte dei biografi, i quali «confezionano» le vitae delle religiose ricorrendo a dei motivi comuni, a dei tòpoi talvolta molto antichi, talaltra meno. L’analisi della Vita Lutgardis ha rivelato risvolti inattesi perché si può ragionevolmente pensare che essa sia una delle prime biografie in cui confluiscono alcuni fra i topòi più ricorrenti delle agio-biografie delle mistiche europee. Del resto quella di istituire dei confronti sistematici fra le mistiche italiane e quelle del Nord Europa, allo scopo di rinvenirvi dei punti di contatto, era una pista di indagine suggerita da Romana Guarnieri che si è voluta qui applicare, come mostreremo. «Sarebbe estremamente istruttivo» – affermava Romana Guarnieri più di vent’anni fa a proposito della mistica italiana Angela da Foligno – «compiere un raffronto serrato tra le esperienze – mistiche e paramistiche – tipiche di tutte queste donne estatiche e quelle corrispettive, narrate nel Liber di Angela da Foligno. Più fruttuoso ancora risulterebbe un raffronto sistematico tra le loro dottrine».2 Ad esempio il tema della maternità sublimata – come si vedrà – consente di raffrontare Lutgarda con le mistiche del monastero di Helfta, mentre il tema del sangue consente un «controllo incrociato» fra Lutgarda da un lato e santa Caterina da Siena dall’altro.
Appuntando l’attenzione sulle mistiche più sensibili alle immagini e segnatamente all’iconografia, incontreremo in questo percorso una visionaria straordinaria cui abbiamo accennato: Angela da Foligno (1248-1309). Nel ricco ventaglio delle mistiche francescane, Angela da Foligno rappresenta un esempio mirabile e affatto singolare nella sua ricerca dell’Assoluto. Di grande interesse è il testo che la mistica detta a un frate francescano: il Memoriale. Si tratta di un testo estremamente complesso non soltanto per la fase di redazione – durante la quale Angela interviene continuamente e corregge il suo scriptor – ma anche per la storia della tradizione. L’analisi del Memoriale, in questo libro, è rivolta al rapporto del testo con l’iconografia della basilica di San Francesco di Assisi, ove Angela pellegrina. Le maestranze che avevano lavorato nella basilica inferiore di Assisi avevano affrescato le pareti rappresentando la Gerusalemme celeste, con la quale culminava tutto un ciclo di immagini pensate per i pellegrini. Ora, le immagini lì affrescate – è noto – non avevano, ai tempi di Angela, una funzione puramente decorativa, elogiativa e documentale; alla stregua di Biblia pauperum, esse stimolavano l’intelletto dei pellegrini in maniera da far assimilare le cose viste. Inoltre le rappresentazioni pittoriche non erano lì «da sole» perché altre dimensioni, quali la predicazione e la presenza di tituli abbinati agli affreschi si sovrapponevano alla «voce» delle immagini. Dato che Angela pellegrina e nella basilica inferiore e nella basilica superiore, la folignate – ci siamo chiesti noi – trasferisce nel suo Memoriale queste immagini? Se è sì, in che modo e con quali risultati? Angela sembra effettivamente assimilare i concetti rappresentati nella basilica a seguito di una catechesi che procede proprio per immagini. Inoltre la mistica è colpita da una vetrata della basilica superiore – la Vetrata degli angeli – i personaggi della quale si animano fino a determinare in lei una reazione particolarmente violenta, che ricorda la stessa teatralità di san Francesco:
«Appena mi inginocchiai alla porta della chiesa e vidi san Francesco dipinto in braccio a Cristo, mi disse: “Ti abbraccerò così e molto di più di quanto si possa desiderare con gli occhi del corpo. […]”. […] poi si allontanò lentamente, indugiando. Fu allora, dopo la sua partenza, che incominciai a gemere a voce alta e a gridare. E senza nessuna vergogna davo gemiti e urli […]. E io gridavo che volevo morire […]».3
Incentrata sulla dimensione miracolistica della protagonista piuttosto che su quella «teatrale» è l’agiografia di sant’Agnese da Montepulciano (1268?-1317), un testo che abbiamo attraversato nel capitolo conclusivo. La biografia rivela molti punti di contatto con le fonti classiche, evidentemente familiari al dotto biografo: il domenicano Raimondo da Capua (1330-1399). Espressioni caratteristiche della letteratura latina, desunte dai più celebri autori, fanno bellamente capolino in questo nostro testo. Particolarmente evidenti sono i richiami alle biografie di Cornelio Nepote, dal quale sembrano estrapolate alcune aretalogie.
Un’altra prospettiva critica adottata nel capitolo è la relazione della biografia di Agnese con i testi delle mistiche europee. La pista di analisi suggerita da Romana Guarnieri sarà applicata nuovamente quindi, nel tentativo di capire, ancora una volta, se i testi delle mistiche presentino corrispondenze oppure no. Ci si soffermerà sulle immagini con le quali il testo «dialoga»; in particolare si analizzerà una visione in cui la Madonna, con in braccio Gesù Bambino, appare a sant’Agnese, che tenta di afferrare il piccolo, dando luogo quindi a una curiosa contesa fra la mistica e la Vergine. Il che farà vedere che le visioni delle donne mistiche si diversificano, dando forma ad esiti più o meno solenni – come la visione del sangue in Lutgarda, che ha valore martiriale e salvifico –, o più o meno naïf – come nel caso del certamen fra sant’Agnese e la Madonna.
Ancora una volta i testi confermano come le mistiche – e i biografi – considerassero le immagini parte integrante di un «processo» contemplativo, che può dare luogo ad esiti inattesi e interessanti, come le visioni, condite dalla vena sanguigna e passionale di chi, devotius, prega davanti all’immagine.
Questo libro è il risultato di una tesi dottorale discussa nel dicembre 2016 alla Scuola Normale Superiore di Pisa in co-tutela con la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Desidero ringraziare, in questa sede, quanti hanno contributo alla messa a sistema di questo lavoro. Anzitutto i relatori, i Proff. Lina Bolzoni e Bernhard Teuber, che mi hanno letto e ascoltato con dedizione, illuminandomi con il loro talento e i loro consigli. Ringrazio la commissione internazionale davanti alla quale ho discusso e dunque Isabella Gagliardi, Giovanna Rizzarelli, Florian Mehltretter e Albrecht Berger per il paziente lavoro di lettura. Devo grazie poi ai tanti interlocutori che hanno contribuito, ognuno a proprio modo, a dare una forma alle mie idee; un ringraziamento particolare va ad Anna Benvenuti, un’anima grande, che mi ha sempre incoraggiato a studiare le sante donne con uno stile che fosse il mio; un grazie sincero a Chiara Frugoni, per i consigli inerenti al rapporto testo-iconografia; altrettante grazie a Grado Giovanni Merlo, per la delicatezza di pensiero, senza la quale non avrei capito quanto forse ho capito dei testi francescani. Altrettanto importanti sono stati Massimo Vedova, per la perizia filologica che mi ha messo a disposizione e alla quale non ho attinto abbastanza; Rosanna Alhaique Pettinelli, per gli straordinari consigli di lettura inerenti al romanzo cortese e al romanzo cavalleresco; Alessandra Bartolomei Romagnoli per la disponibilità al dialogo sulle mistiche; Francesco Bausi per aver letto uno dei miei primissimi lavori su Angela da Foligno, ai tempi della mia tesi di Laurea magistrale; Mariateresa Horsfall Scotti, per il sostegno morale indefesso; il compianto Thomas Ricklin, per alcune generose osservazioni in merito al mio approccio alla mistica femminile; Claudia Märtl e Georg Strack per avermi accolto fra i dottorandi del ZMR (Zentrum für Mittelalter- und Renaissancestudien) della Ludwig-Maximilians-Universität München. Infine vorrei ringraziare padre Luigi Marioli, che mi ha beneficato a lungo con la sua finezza intellettuale; suor Maria Costanza Iannone, madre e sorella «in spirito»; i colleghi e gli amici della Normale, con i quali mi sono spesso interfacciato traendo sempre grande beneficio.
Questo libro è dedicato alle mie sorelle ai miei genitori, per me via maestra nel percorso «tra le stelle e il profondo».
Catanzaro, 20 luglio 2019. Mattia Zangari