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Lutgarda: storia di una monaca

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Come le altre tre agio-biografie, la Vita Lutgardis, che analizzeremo tra poco, sembra risentire molto dell’idea di santità che sottostà al modello femminile paolino. Le pagine di san Paolo dedicate alla santità non intendono, come sappiamo, quella costituita «populi credentis intuitu», stabilita dai processi istituzionali, dagli albi e dai codici; la santità della «letteratura» paolina fa fede alla testimonianza oculare e riguarda la condotta di chi, come le madri di Tommaso di Cantimpré, sta spesso ai margini della società.1 Lutgarda (come le altre protagoniste delle Vitae matrum) non è una nobile regina altomedievale di cui ci si appresta a trascrivere vita e miracoli,2 si tratta di una donna «normale», come nel caso «dei santi paolini, uomini e donne, ai quali il linguaggio apostolico di Paolo e della sua cerchia assegna originariamente questo attributo di aghios nella ferialità silenziosa o anche dimenticata della loro vita».3 Indagando le parole del Santo, ci si imbatte in quei famosi «divieti» imposti alle donne, veti che si rievocano qui per il motivo che stiamo per vedere. Paolo aveva affermato:

Come in tutte le comunità dei santi, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea (1 Cor 14, 33-35).

Queste stesse inibizioni sancite da san Paolo avrebbero fatto da punto d’appoggio ideologico alla Periculoso, la bolla di Bonifacio VIII risalente al 1298, con la quale sarebbe stata imposta la vita claustrale al «sottobosco» europeo di cellanae, reclusae, bizzoche e beghine che, al di fuori di una precisa identità istituzionale, vivevano presso municipi, palazzi, ponti, cattedrali, ma pure nelle foreste e nei dirupi, presso gli ospizi, gli eremi e le curie.4 Lutgarda rappresenta, già si anticipava, lo specchio delle virtù monastiche, la monaca da emulare e ricordare per la sua sottomissione e la sua obbedienza, sotto le quali giace tuttavia il potere della preghiera d’intercessione (così come nel caso delle donne delle quali si parla in 1 Cor 11,5)5 e in tal senso si può forse affermare che testi come la Vita Lutgardis preparano il terreno alla costituzione bonifaciana.6

Il valore della Vita è inoltre strettamente legato a finalità soteriologiche perché Lutgarda, specchio di tutte le monache, è compartecipe all’azione redentrice:

La Vita Lutgardis rappresenta una tappa fondamentale nella storia dell’autocoscienza cristiana, perché la mistica di Aywières vive nella consapevolezza del valore costruttivo e dell’energia spirituale della sofferenza quando essa viene offerta nel segno della croce. Abitando nel cuore di Cristo, tutta raccolta nelle sue piaghe gloriose, Lutgarda partecipa all’opera di redenzione del mondo.7

Profetessa di principesse e castellane,8 unica interlocutrice del fantasma di Maria di Roavia,9 ammonitrice di sacerdoti, essendo dotata di grazia nel linguaggio,10 la monaca Lutgarda di Aywières, come dicevamo, è l’ultima delle quattro matres di cui Tommaso di Cantimpré ci trasmette la biografia. Benedettina originaria di Tongeren, nelle Fiandre, era passata all’età di ventiquattro anni (intorno al 1205) al Cistercio di Aywières, in Brabante, nella diocesi di Liegi. La mistica, dotata di xenoglossia, infaticabile quanto a tenacia nelle lunghe e severe astinenze, è presentata da Tommaso, nel libro secondo, una volta eletta priora (II, 20), essendo lei la candela più splendente del monastero, come fosse un candelabro, una candela posta sulla sommità del candelabrum «poiché non era giusto che una lucerna tanto grande fosse di lato sotto il moggio»:

Præterea, quoniam tantam lucernam latere sub modio non decebat, posita est super candelabrum; ut fulgor gratiæ eius omnibus appareret. Præposita ergo, id est priorissa ancillarum Dei in monasterio S. Catharinæ uno omnium consensu electa est, et concessa: abbatissam enim habere in ipso monasterio non solebant.11

Quando nel 1246, il sedici di giugno, la santa madre Lutgarda si addormenta per sempre nel catafalco custodito dalle cistercensi del monastero di Aywières, il suo corpo risplende col candore dei gigli, la sua pelle è come di bisso al tatto di chi la palpa, gli occhi spalancati, vitrei, ritti verso il cielo, quasi fosse una bambola di cera:

Proinde proprium ex natura morientium est, ut in morte livido pallore nigrescant: pia autem Lutgardis, in signum innocentiæ virginalis, candorem in morte cum nitore lilii in facie prætendebat. Oculos in cælum (ut dictum est) instante hora mortis diu ante clausos aperuit, nec eos postea in morte vel post mortem reclusos habere potuit: quia ipse oculorum gestus, iter, per quod transierat spiritus, indicavit. Cutis autem totius corporis eius tantæ lenitatis a contrectantibus est reperta, ut sub palpantis manu byssus pariter candens et lenis plenissime crederetur: nemirum simplex hæc sine felle columba, lotos lacte puritatis oculos habuit, quæ speculabatur residens iuxta fluenta plenissima.12

Questa scena in cui è descritta la monaca esanime è arricchita dalla composizione di alcuni versi, nello stile di un epitaffio, versi composti dalla fedele compagna di Lutgarda, Sibilla de Gagis, i quali avrebbero costituito il ricordo della defunta, apposti nel lato destro del coro del convento di Aywières, il lato in cui la morta era solita pregare:

Lutgardis luxit; vitam sine crimine duxit; [cum epitaphio]

Cum Christo degit, quam lapis iste tegit.

Esuriens hæc et sitiens cælestia, luxit;

Mera dies, sponsi facies, illi modo luxit.

Hæc speculum vitæ, flos claustri, gemma sororum;

Fulsit in hac pietas, compassio, gloria morum.13

Da notare la triplice anafora del verbo luceo («luxit», brillò), ripresa nell’ultimo verso da «fulsit». Oltre ad alcune rime interne, che danno forse luogo a un insieme stilisticamente un po’ goffo («luxit» – «duxit» v. 1, «degit» – «tetigit» v. 2, «esuriens» – «sitiens» v. 3, «dies» – «facies» v. 4), riluce al v. 5 l’espressione «speculum vitae», riferito al valore dell’esemplarità della vita in cui rispecchiarsi.

Le sequenze qui riportate hanno tutti crismi di frammenti polinodali: hanno un impianto agiografico, quindi didascalico, ma presentano in pari tempo finalità soteriologiche ed elementi di raccordo rispetto ad altri testi coevi, testi di monache e beghine vissute tra le Fiandre e il Brabante, ma pure di religiosae mulieres tedesche e, come già segnalava Romana Guarnieri, forti tangenze nei confronti delle Vitae delle bizzoche del Centritalia.14 Tommaso di Cantimpré scrive la vita di Lutgarda e più in generale queste Vitae matrum prendendo coscienza progressivamente del valore di queste mulieres, del tracciato descritto dal vissuto di tutte loro le quali pur vivendo ai margini dell’istituzione ecclesiale e del contesto sociale, divengono exempla.15 Sono opere enciclopediche, arazzi densi di informazioni estremamente preziose per ricostruire l’ambiente del tempo, dai menologi dei benedettini, dei cistercensi e delle spiritualità cui i reclusori beghinali erano legati, via via sino alle finalità propagandistiche con le quali queste donne divengono i simulacri di un culto che va impresso e trasmesso, attraverso i testi e le immagini.

Tre storie di santità femminile tra parole e immagini

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