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«Hoc speculum cotidie intuere»: le «Vitae matrum» e la «fabula depicta» di Lutgarda d’Aywières (1182-1246)
ОглавлениеQuesto nostro percorso prende le mosse da una raccolta di vite di donne, le Vitae matrum, scritte dal domenicano Tommaso di Cantimpré (1200?-1272) fra il 1231 e il 1248. Si tratta di un florilegio composto dal Supplementum alla Vita della beghina Maria d’Oignies (†1213) – che era stata scritta dal teologo Giacomo de Vitry (†1240) – e dalle biografie di altre tre religiose: Cristina di St. Trond (†1244), Margherita d’Ypres (†1234) e Lutgarda d’Aywières (†1246). Caratterizzando le protagoniste dello spicilegio tramite la vocazione alla vita ascetica, alla stregua dei padri del deserto,1 come vedremo, l’intento di Tommaso è quello di offrire un quadro esemplare, un modello di comportamento rivolto alle donne e per realizzare questo modello egli illustra vita, mors et miracula di queste quattro religiose belghe. Se fino ad allora gli agiografi avevano rivolto la loro attenzione solo alle nobili regine (si pensi, ad esempio, all’agiografia ottoniana)2, ora sono donne «comuni» (seppur caratterizzate da un’intensa esperienza mistica) come Maria, Cristina, Margherita e Lutgarda a rappresentare dei «prototipi» comportamentali. La nostra attenzione sarà rivolta segnatamente all’ultima delle Vitae: quella dedicata alla monaca Lutgarda d’Aywières, mistica e profetessa. In primo luogo analizzeremo la tradizione del testo; in secondo luogo indagheremo il rapporto fra testo e immagini, a partire da una mappatura delle visioni che il testo registra. Adotteremo in seguito tre prospettive critiche; la prima di esse è quella delle tecniche mnemoniche: si sottolineerà infatti la presenza di alcune immagini (come la figura mentale del quadrato) che servivano tanto a delineare un percorso esemplare, quanto a fissarlo nella memoria dei lettori. Rispetto agli studi di Giovanni Pozzi, di Claudio Leonardi, di Caroline Walker Bynum (e veniamo alla seconda prospettiva) cercheremo di dimostrare che alcuni motivi letterari e iconografici hanno una tradizione più antica di quanto si pensasse, sottolineando il fatto che esista una circolazione di motivi e immagini che accomuna i Paesi del Nord con l’Italia: in questo contesto la Vita di Lutgarda rappresenta un punto nodale. I testi saranno infine analizzati dal punto di vista dei generi letterari: la Vita di Lutgarda appare infatti debitrice, oltre che al genere biografico, alla tradizione del romanzo cortese.
Si cercherà quindi di capire che tipo di messaggio voglia filtrare quest’opera delle Vitae matrum prendendo in esame la biografia di Lutgarda per due ragioni. Morta Lutgarda, la badessa del monastero di Aywières dispone che il cantipretano, il quale aveva dato prova del suo talento di biografo scrivendo le agio-biografie di Maria, di Cristina e di Margherita, metta a sistema la Vita di Lutgarda, monaca che le altre religiose del monastero, rilassate nei costumi,3 avrebbero dovuto emulare.4 Estensore della biografia di santa Lutgarda, come vedremo, Tommaso può essere considerato uno dei primi agiografi a doversi porre5 il problema di come «trans-mittere» la vita di una monaca, creando un ideale, un exemplum nel quale le monache brabantine, avrebbero dovuto rispecchiarsi, sì che la comune monialis liegese potesse guardare al racconto della mater di Tommaso – letto? Ascoltato attraverso il medium dei predicatori come Tommaso? – , come termine di paragone, sì « (…) che ce se vedeva tucta, come quasi in uno specchio».6 Insomma: si può affermare che questa biografia ha valore particolarmente didascalico perché va considerata alla stregua di vademecum della monaca di allora.7 L’altro motivo per il quale abbiamo scelto di soffermarci sulla Vita Lutgardis, preferendola così alle altre, è il continuo dialogo fra testo e iconografia, al punto che si potrebbe pensare a questa Vita come a una fabula depicta. Tantissime le occorrenze figurative all’interno di questo libercolo e riposti i significati di questi punti di incontro fra dimensione testuale, figurativa e scritturale. Essendo persuasi dall’idea secondo la quale questa prossimità fra testo e iconografia è finalizzata a istituire la connivenza di un linguaggio pensato, sulla scia di chi ha dimostrato l’impossibilità di scindere il significato del leggibile e del visibile,8 vorremmo provare a leggere questa Vita Lutgardis alla luce della probabilità di rinvenirvi uno sviluppo articolato nei termini di un linguaggio doppio, con dei fini affatto particolari. Da un lato il linguaggio scritto, dall’altro quello figurato cooperano bellamente nel tentativo di trasmettere la speciale missione affidata agli Ordini nei confronti della comunità ecclesiale, missione sulla quale non indagheremo perché la nostra ricerca ha obiettivi strettamente legati all’analisi dei testi, anzi saranno proprio i testi (l’agiografia di Lutgarda, così come le opere letterarie con le quali questa Vita è interconnessa) a consegnarci dei «mattoni», attraverso i quali costruire un discorso che pure sottende dimensioni pluridisciplinari.