Читать книгу La corona dei draghi - Морган Райс, Morgan Rice - Страница 9
CAPITOLO TERZO
ОглавлениеIl sole picchiava forte su Lenore e gli altri mentre procedevano. Intorno a lei, si dispiegavano campi di grano e orzo che, separati da muretti in pietra, oscillavano dolcemente al vento mentre impronte leggere di mandriani indicavano i sentieri per arrivare da un luogo all’altro. Qua e là, uno spaventapasseri vegliava sui campi, o un gruppetto di alberi spezzava la monotonia del paesaggio.
Stavano camminando da giorni ormai, muovendosi con cautela tra i campi sui sentieri più piccoli. Le gambe le dolevano per lo sforzo, ma sapeva di non potersi lamentare. Erano fortunati a non essere già morti e, in confronto, un po’ di fatica non era nulla.
“State bene, principessa?” domandò Odd, che si era preoccupato per il benessere di Lenore da quando avevano lasciato la città per andare in campagna. Il suo aspetto appariva ancora bizzarro con quegli abiti nobili; la testa rasata stonava con il resto, e teneva il mantello intorno a sé, come se fosse un surrogato delle vesti di monaco.
“Sto bene,” replicò Lenore. In verità, era affamata, stanca e spaventata ma, anche se sapeva di essere in pessimo stato, doveva essere forte. Aveva i vestiti sporchi e i lembi le si erano strappati impigliandosi in siepi di rovi che avevano incontrato sulla strada. Portava i capelli bruni legati indietro per evitare di ritrovarseli sul viso, e la luce del sole la abbagliava.
Erin camminava davanti a lei, appoggiata a quel bastone che celava la sua lancia corta. Era più sporca di Lenore, perché si era lanciata sempre per prima nei ruscelli o al di là dei muretti. A ogni passo, si intravedeva un luccichio della sua armatura, e i suoi tratti apparivano duri sotto i suoi capelli tagliati corti, determinati a non mostrare il dolore che senz’altro provava. Si guardava intorno in cerca di minacce; scansionava ogni cespuglio, albero o campo di grano. Era stata silenziosa negli ultimi giorni, e Lenore non sapeva se fosse per la rabbia di non essere rimasta a combattere o per il dolore dovuto alla morte della madre.
Lenore condivideva quella sofferenza, e gran parte della rabbia a essa connessa. Se chiudeva gli occhi, riviveva il momento in cui Ravin aveva alzato la spada davanti a sua madre, legata e impotente sul patibolo. Non poteva sfuggire alla vista di quella lama che sprofondava nella carne della donna che le aveva dato la vita, assistendo più e più volte al momento in cui era morta. Perché avrebbe dovuto essere diverso per Erin?
“Riuscite a vedere qualcosa davanti a voi, Erin?” domandò Odd.
Erin non rispose.
“Erin,” intervenne Lenore. “La strada è libera?”
“Sì,” rispose Erin. Si guardò intorno e lanciò un’occhiata fugace a Odd prima di rispondere. “Credo che ci sia un villaggio più avanti, oltre quegli alberi. Riesco a vedere il fumo di un camino.”
Lenore guardò lontano e vide il fumo menzionato da sua sorella. Sperava che fosse di un camino, perché erano infinite le cose nefaste che potevano verificarsi così poco dopo un’invasione.
“Dobbiamo essere cauti,” disse Odd, come avesse letto i suoi pensieri.
“Cosa c’è che non va?” scattò Erin in risposta. “Avete paura?”
Lenore trattenne un sospiro. L’atmosfera era stata irrequieta da quando avevano lasciato il castello. Prima, Erin e Odd erano sembrati un perfetto complemento l’uno dell’altra, nonostante la stranezza dell’ex monaco. Ora… c’era tensione tra loro. Si allenavano a malapena l’uno con l’altra, ed Erin non partecipava alle meditazioni mattutine di Odd. Entrambi sembravano essere in sintonia con Lenore, ma l’ostilità tra loro era palpabile.
“Riusciremo a vedere meglio man mano che ci avviciniamo,” replicò Lenore. “Se è un incendio, dovremo andare avanti, ma non penso che si tratti di questo. Ravin pensa di aver stabilito il suo dominio, quindi non credo voglia bruciare tutto.”
Il solo pronunciare il suo nome fece chiudere i pugni a Lenore.
“Potrebbero esserci delle guardie,” aggiunse Odd.
“Allora le uccideremo,” scattò Erin.
Lenore continuò a camminare. “Dovremmo rischiare. Ci occorrono ulteriori scorte.”
Quelle si stavano rivelando preziose. Lo avevano messo in conto perché si erano portati denaro e gioielli che potevano vendere all’occorrenza ma, nonostante ciò, Lenore era preoccupata che non ne avessero abbastanza.
“Non possiamo scappare per sempre,” affermò Erin.
“Potrei trovare un posto sicuro per noi,” replicò Odd. “Da qualche parte al di fuori del regno.”
Lenore si fermò sulla strada. Non c’era tempo per trattare la questione, ma voleva essere chiara su una cosa. Fissò gli altri, lasciando che scorgessero la risolutezza in lei.
“Scappare per sempre è fuori discussione,” disse. “Siamo usciti dalla città, ma non passerò tutta la vita a fuggire. Ravin non vincerà, non dopo tutto quello che ha fatto. Discutete su tutto il resto se volete, ma noi ci riprenderemo questo regno.”
La osservarono sorpresi, ma mostrando subito un accenno di rispetto. Lei, però, aveva già ripreso a procedere. Non aveva tempo a sufficienza per mediare una discussione. In quel momento, le sembrava di averne già perso troppo. L’aveva sprecato essendo la principessa che tutti si aspettavano fosse. L’aveva sprecato mostrandosi sempre docile, obbediente e passiva.
Aveva chiuso con tutto questo; le sembrava di avere un fuoco che ardeva da qualche parte dentro di lei, alimentato da tutte le perdite che aveva sofferto negli ultimi mesi, da tutti i modi in cui era stata tradita o ferita, dalla brutalità in cui erano venuti meno tutti coloro che amava. Sua madre era stata la parte più difficile, ma non l’unica. Suo fratello Rodry era morto, e suo padre. Sua sorella Nerra se n’era andata, e Lenore non sapeva neanche se fosse viva o morta. Anche Greave era scomparso, e non era certo tagliato per diventare un ostaggio di guerra.
Neanche Lenore si era mai reputata adatta a tutto ciò, ma pareva che quel fuoco dentro di lei la stesse indurendo, come fosse il calore della fucina di Devin. Il pensiero di lui si portò dietro un’ondata di altre emozioni, facendole desiderare che fosse lì, che potesse trovarli. Lenore sapeva che doveva concentrarsi, però. Non poteva distrarsi, nemmeno per pensare a lui.
Continuarono a camminare e presto un villaggio si dispiegò davanti a loro; giaceva annidato in uno spazio circondato da alberi da un lato e campi aperti dall’altro. Appariva piccolo e assopito, con tetti di paglia e giardini silenziosi tra le case. Vi erano una fucina, una locanda, un granaio e una piccola piazzola aperta con poche persone che parlavano dei loro affari, ma poco altro.
Lenore si avventurò nel villaggio con gli altri alle sue spalle. La gente li fissava, ovviamente cercando di capire chi fossero e se rappresentassero una qualche minaccia. Lenore osservò gli abitanti, cercando di discernere se fra essi vi fosse un Taciturno. Questa era la parte difficile di quello che stava per fare: nel momento in cui avesse iniziato a riscuotere supporto, c’era il rischio che Ravin ne venisse a conoscenza e contrattaccasse.
Nonostante ciò, doveva farlo, quindi raggiunse il centro verde del villaggio; si fermò lì, mentre Erin teneva la mano stretta sulla lancia e Odd si guardava intorno in cerca di possibili minacce.
“Chi comanda in questo villaggio?” domandò Lenore, ma poi si rese conto di aver usato un tono troppo basso perché potessero sentirla. Poteva immaginare sua madre accanto a lei, che le diceva di alzare la voce, in modo che potesse attraversare la sala di qualsiasi signore. “Chi comanda qui?”
Un uomo si fece avanti; aveva forse quarant’anni, con quel suo aspetto segnato dal tempo passato all’aperto.
“Sono Harris, il mugnaio,” si presentò e fece un cenno con la testa a un altro uomo, che doveva avere dieci anni in più di lui ed esibiva una barba spolverata di grigio. “Questo è Lans, il borgomastro. Oltre a ciò, queste sono alcune delle terre di Lord Carrick. Chi siete voi, signora?”
Lenore inspirò profondamente, guardando prima Erin e poi Odd in cerca di sostegno; aveva i nervi a fior di pelle più che prima di un qualsiasi ballo di corte, e ancora di più. Era consapevole dei pericoli che poteva correre in quel momento, degli occhi indesiderati che potevano assistere alla scena e di tutte le minacce che potevano scaturire da ciò che stava per dire. Nonostante tutto, doveva farlo.
“Sono Lenore, figlia della Regina Aethe e di Re Godwin III. Sono venuta da Royalsport per parlare con tutti voi, per cercare di raccogliere sostegno e rimediare al danno causato da Re Ravin.”
L’uomo più anziano, Lans, guardò Lenore per un momento o due prima di scuotere la testa.
“Che razza di scherzo è questo?” chiese. “Siete qui per derubarci o per mettere alla prova la nostra lealtà? Perché ci state mentendo, ragazza?”
“No,” disse Lenore. “Non è una bugia. Io sono la Principessa Lenore.”
“La Principessa Lenore è morta,” ribatté Lans. “Lo sanno tutti. I banditori sono venuti ad annunciarlo, insieme alla morte della regina.”
Si allontanò, scuotendo la testa. Il mugnaio fece per andarsene con lui, ma Lenore avanzò, afferrandolo per un braccio. Cominciò a respingerla, piegando il braccio e nascondendolo dietro alla schiena, e Lenore vide Erin incamminarsi verso di lui, afferrare quell’uomo robusto e torcergli l’arto che aveva mosso in un modo che sembrava doloroso. Non era così che dovevano comportarsi in quel momento, dunque alzò una mano per bloccare sua sorella.
“Erin, lascialo andare,” le intimò. Poteva vedere alcuni degli abitanti del villaggio intorno a loro diventare inquieti, mentre Odd spostava una mano sulla sua spada, pronto a estrarla in caso di pericolo.
“Non vuole ascoltare,” rispose Erin.
“Ascolterà,” replicò Lenore. “Ma non se lo costringiamo a farlo con il dolore. Lascialo andare.”
Obbedì, e Lenore tirò un fugace sospiro di sollievo. Vide il mugnaio strofinarsi il polso dove sua sorella lo aveva afferrato, e sapeva di avere a disposizione poco tempo per fargli cambiare idea.
“Se hai sentito dire che sono morta,” spiegò Lenore, “forse dovresti pensare al motivo per cui hanno diffuso una tale notizia. Magari perché sanno che rappresentiamo una minaccia per loro. Magari perché siamo l’unica possibilità di combattere tutto ciò che sta accadendo. So che è difficile da credere, ma io sono la Principessa Lenore, e questa è mia sorella, la Principessa Erin. Avete sentito dire che si è allenata con i Cavalieri dello Sperone, vero? Pensate che qualcuno così minuto che non si fosse allenato con loro potrebbe fare a un uomo una cosa del genere?”
Il mugnaio osservò Erin. “Non penso.”
“E questo è Odd,” aggiunse Lenore, facendo un cenno dove l’ex cavaliere, con la mano sull’elsa della spada, era ancora pronto a difendere le principesse. “Lo chiamavano Sir Oderick il Folle.” Notò il modo in cui il mugnaio fissò Odd a quel punto, con evidente paura. “Qualcuno mentirebbe su questo? Qualcuno oserebbe affermarlo, sapendo tutti i problemi che comporta? Solo dicendovi chi sono, ho messo me stessa e mia sorella in pericolo.”
“Io… suppongo di sì,” replicò Harris il mugnaio.
Lenore sapeva di dover insistere adesso, o non l’avrebbe mai convinto. “Non siamo qui per mentirvi o per derubarvi, ma per formare un esercito. Basta che riuniate la gente e che chiediate loro di ascoltarmi. Dopodiché, sarà una vostra scelta cosa fare e se credermi. Vi prego.”
“Va bene,” disse lui. “Stasera alla locanda, ma non posso promettere che ascolteranno.”
“Lo faranno,” rispose Lenore. “Farò in modo che ascoltino.”