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Capitolo 4

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Alzai la testa verso il volto della ragazza vestita di bianco. Sembrava serio e preoccupato. Vecchio. Il suo seno si era nuovamente riempito, il suo corpo aveva ripreso le forme morbide che aveva prima dell’arrivo di Ambrose. Infilai il mento nel collo della felpa, con le mani nelle tasche senza neppure ascoltare quello che stava dicendo. Non mi ero mai sentito così perso dentro me stesso come quando avevo attraversato il buio ricolmo di semisfere sospese e il corridoio oscuro per tornare alla collina. La mia essenza altalenava tra esaltazione e frustrazione in un continuo trasfigurare senza forma. Vedevo pezzi di verità e non una verità completa, mi sembrava di arrivare a una meta, poi venivo risucchiato via, tornando al punto di partenza, senza riuscire a tenere il controllo di quella che era per davvero la mia volontà. Non avevo una volontà.

Scossi la testa in risposta alla domanda che indirettamente mi ponevano gli sguardi delle tre figure. Chiusi gli occhi, senza dire una parola. Cercavo di accantonare il ricordo di ciò che era accaduto. Proteggevo la mia scelta con il silenzio o qualcosa del genere. Salvare qualcuno non aveva senso. Non sarebbe cambiato nulla, si sarebbe solo protratto un altro egoismo personale. Il mondo non avrebbe sentito la mancanza di Ambrose e al mondo non eravamo utili né io, né tutti quelli che sarebbero arrivati quella notte. Rappresentavamo la stupidità della vita, una speranza che, come tutte le inutili speranze, non sarebbe mai arrivata a niente di concreto. Eravamo evanescenti. Il ruolo che ci spettava era quello di spettri che non appartenevano più al mondo. Che, forse, non gli erano mai appartenuti.

Vidi il grande braccio piegarsi lentamente, fino a portare la piattaforma dall’aspetto di una mano al terreno. La ragazza vestita di nero, la Pura Verità, scese, raggiunse il ragazzo, gli mise una mano sulla spalla mentre lui immergeva con apparente disperazione la faccia tra le mani. Improvvisamente mi sembrò di sentire freddo.

Ambrose fu accompagnato in una lenta passeggiata verso la torre. Si voltò per un’ultima volta a guardarmi, a guardare il buio che era stato la sua vita. Forse rimpianse qualcosa, forse la morte gli era servita di più che l’esistenza stessa. Poi la ragazza lo spinse dentro, con tatto, quasi con compassione.

Dopo un lungo tempo inciso dalle crepe di un silenzio funebre, scese lei sola dalla torre marcescente. Le lunghe gambe sfilarono in un’andatura veloce, illuminata dal chiaro della pelle liscia e tesa sulle curve di donna. Mi voltai. Mi allontanai dalle due mani di rampicanti mentre la ragazza riprendeva la sua posizione e il braccio si rialzava poco per volta da terra.

Trascinai i piedi verso il confine del prato, là dove poco prima c'era stato il corridoio oscuro. Sul taglio netto del buio pendevano gli ultimi steli di erba turchese. Mi sedetti lì, con il fondo dei jeans sulla terra e le caviglie, sovrapposte l'una all'altra, immerse nel vuoto.

Dove si sta spingendo il tuo sguardo? Che cosa vedi, attraverso il buio?

Un oscuro futuro. Chiusi gli occhi per vederlo meglio.

* * *

Aveva i capelli scalati di media lunghezza, gli occhi piccoli e vicini tra loro, dietro un paio di occhiali da vista dalle lenti azzurre altrettanto piccole e rotonde. Indossava un paio di pantaloni bianchi troppo stretti, una camicia aperta sul collo, rosa con le righe sottili grigie che si deformavano aderendo al fisico flaccido, un paio di ridicoli mocassini bianchi alla moda portati senza calze e un maglione poggiato sulle spalle con le maniche riversate in avanti e i polsi annodati fra loro. Sul taschino della camicia, in un sottile ricamo viola, c'era una coppia di iniziali. Aveva almeno una quarantina d'anni. Stipulava polizze assicurative sulla vita. Quel genere di cose per cui una volta morto danno un corrispettivo in denaro alla tua famiglia.

Valentino era una di quelle persone capaci di far saltare i nervi soltanto col suono della loro voce e di quelle strane erre arrotolate talmente in alto da evaporare dalle parole. La maggior parte di quelle che aveva detto fino ad allora erano una raffica di stronzate. E la sua voce non si era ancora fermata da quando era arrivato.

«…e poi il lavoro bisogna inventarselo, non è più come una volta. Bisogna essere intraprendenti, stare al passo, avere delle ambizioni. Io ho fatto un sacco di sacrifici, adesso è arrivato il mio turno di passare a capo di zona. Ho dato la svolta, mi sono sempre dato da fare. La fatica che fai per gli altri, prima o poi saranno gli altri a farla per te».

«Che sacrifici hai fatto?».

«Stare tutto il giorno fuori casa, mangiare un primo di fretta con il buono aziendale per andare a trovare un cliente, continuare a fare giri fuori orario o restare in ufficio a sistemare le pratiche fino a tardi. La mia giornata di lavoro inizia alle sette di mattino e finisce a mezzanotte. Sono a disposizione del capo ventiquattro ore su ventiquattro. Vado a prendere i suoi figli a scuola, gli faccio la spesa, gli faccio da autista quando capita. Ho rinunciato spesso al giorno di riposo per accompagnarlo ai convegni. Lo faccio per amicizia».

«Se lo fai per amicizia, perché lo metti tra i sacrifici?».

«Io ci tengo alla mia azienda» Valentino sorrise «Non credere che siccome passo la maggior parte del tempo seduto a parlare, il mio lavoro non sia pesante. Lo è più degli altri, anzi. Devo convincere le persone. E per farlo bisogna avere le idee chiare ed essere informati su tutto. Solo così puoi diventare il loro mentore e solo quando ti riconoscono come mentore, puoi dare un valore alla loro vita».

«Tu dai valore alla loro vita?».

«Sì, beh, è solo una delle mie battute» si passò un dito sotto il naso.

Feci un paio di passi indietro, prima di voltarmi verso il campo dove si innalzavano le due braccia di rampicanti.

«Hai assicurato anche la tua vita?» ci avviammo.

«Stai scherzando? Non so come facciano a vivere tranquilli quelli che non l'hanno fatto. Purtroppo fino a ora ho potuto permettermi soltanto una delle polizze base. Ma, con la promozione, andrò immediatamente a maggiorare il premio».

«Daranno una bella somma ai tuoi parenti» dissi.

«Quando morirò, sì» i mocassini bianchi si scontrarono tra loro, Valentino si aggrappò con una mano alla mia spalla «Io dico sempre che la vita è un tavolo verde. Bisogna saper cogliere l'occasione e sapere quando è il momento di aumentare la posta. Non tutti sono abbastanza furbi».

«Qual è adesso la tua posta?» mi voltai verso di lui.

«Eh?».

«Quanto vale la tua vita?».

«Beh. Al punto in cui sono, ha assunto un certo valore, bisogna ammetterlo. Finché ero un semplice agente di zona, nonostante il grande potenziale di vendita, non è che valesse granché. I sacrifici non si fanno per niente» ridacchiò, si sistemò gli occhiali.

Tirai fuori l’armamentario per una sigaretta, la rullai stancamente mentre ci fermavamo.

«Non riesco a capire queste cose. L'azienda, il capo, la promozione…» accesi la sigaretta, bussando sul gomito del primo braccio di rampicanti, le ragazze tardavano a risvegliarsi «Finché accetti di dover chiamare qualcuno tuo superiore, sarai matematicamente il suo inferiore».

Guardai all’insù, ma le dita non davano segno di volersi smuovere. Valentino sorrise con sdegno, avvicinandosi.

«Oggi ho meno superiori di un tempo».

«Vuol dire solo che sei meno inferiore».

«Vuol dire anche che c’è più gente inferiore a me. Io ci ho saputo fare» si puntò un dito sul petto abbondante su cui si tendeva la stoffa rosa della camicia personalizzata «Ho avuto delle ambizioni. Sai cosa dicevo sempre agli altri? Se lavorate come cani e non avete sogni, voi continuerete a lavorare per sempre e io un giorno potrò permettermi di avere qualcuno sotto di me» allargò le braccia.

«Era questo il tuo sogno?».

«Quale?».

«Comandare, avere qualcuno sotto di te?».

«Perché la libertà cosa credi che sia?» sorrise, incredulo «A proposito di inferiori e superiori, ci sono interessi superiori per i giovani come te».

«Stai sbagliando persona» mi misi a cercare per terra.

«Immaginavo che l'avresti detto. Alla tua età si hanno altre cose per la testa, la morte appare lontana».

«Non così tanto» tirai su un pezzo di terra raggrumata.

«Benissimo» le mani di Valentino sfregarono l'una contro l'altra, era venuto fuori il mentore «Un domani avrai una moglie e dei figli, non sai in che condizioni di lavoro sarai. I nostri contratti prevedono il pagamento dell'indennizzo per la dipartita, cosa che tutelerebbe i tuoi famigliari in caso di morte, oppure la riscossione dell'intera somma al momento della pensione. C'è anche la possibilità di rateizzare l'incasso come integrazione alla pensione. Che cosa ne dici?».

«Che hai scelto proprio la notte giusta».

Lanciai il pezzo di terra in alto sopra la mia testa. Si infranse contro lo spigolo del dito medio della grande mano e sparse polvere e terriccio dappertutto.

«Come?» chiese Valentino facendosi indietro e riparando la testa sotto una mano.

«Niente» dissi. Mi ripulii la maglia dalla polvere.

Le due grandi mani al di sopra di noi si scossero fragorosamente. Stagliate in quell'irreale chiarore turchese proveniente dal cielo che si apriva tra le nuvole, le forme lucide e sinuose delle due ragazze si alzarono in piedi e offrirono limpidi paesaggi di carne. Valentino lasciò pendere la mascella tra le guance flaccide, con la testa alzata.

«La seconda anima ha varcato le soglie della notte» la Dolce Illusione avanzò verso la punta di un dito della grande mano, si chinò verso di noi, chiuse le gambe e lasciò che i lunghi capelli le cadessero davanti a una spalla.

Mi sedetti, incrociai le gambe, piantai una mano sotto il mento.

«Che cosa ti attrae, Valentino, della vita? Il denaro, l'affetto, il potere?» la Pura Verità si affacciò dal palmo di rampicanti.

«Niente di tutto questo» la Dolce Illusione scosse la testa.

«Quello che hai sognato durante tutte le notti della tua vita è stata la libertà».

Valentino mosse le spalle. Teneva una mano dentro l'altra congiunte sul davanti come durante una premiazione. Lanciai via la sigaretta senza neanche finirla.

«Eri arrivato a un passo. Stavi per vederla da vicino. Te ne saresti accorto?» riprese la ragazza dal vestito nero. Girò gli occhi verso l’altra.

«Non ti saresti accorto di aver rincorso qualcosa di diverso da quello che credevi».

«Sai perché sei qui?».

Valentino cercò di risvegliarsi, scuotendo debolmente la testa «Stavo… volevo chiederlo a lui, ma abbiamo parlato di altro» mi indicò con una mano.

«È incapace di comprendere, incapace persino di sospettare» la ragazza dal vestito bianco ricambiò lo sguardo dell’altra, le ciglia calarono sul riflesso d’oro degli occhi.

«Anche lui ha dimenticato che questa notte prima o poi sarebbe arrivata. Crede di essere ancora vivo».

«Mentre il suo corpo galleggia in mare aperto trascinato dalla tempesta».

«Il mio corpo?» si guardò addosso, schiacciando il doppio mento sul petto. Si girò verso di me

«Non capisco quello che stanno dicendo. Pensano che sia stupido?».

«Può darsi» alzai le sopracciglia.

«Dovrai raggiungerlo prima che cada dal pontile lungo il quale passeggiava» la Dolce Illusione puntò il suo sguardo nel mio.

«Passeggiavo sul molo, esattamente,» protestò Valentino «vorrei vedere se voi non avreste bevuto un po' di più alla festa della vostra promozione».

«Oppure potrai startene a guardare la sua ombra che barcolla incurante della pioggia a dirotto, per poi scomparire inghiottita dalle onde» le rughe si infittirono intorno alle labbra nello strano sorriso della Pura Verità.

«Non ho mai esagerato con gli alcolici in vita mia. Mai» Valentino stese un braccio in orizzontale «Ci tengo, alla salute».

Mi alzai in piedi, piantai una mano sulla sua spalla. «Sei sicuro di conoscere davvero il valore della tua vita?».

«Non capisco perché continui a chiedermelo» voltò la testa da un lato cercandomi con gli occhi. Scostò la mia mano con la spalla.

«Perché è arrivato il momento di riscuotere il tuo premio» gli dissi e iniziai a spingerlo lentamente dalla schiena.

«Dove mi stai portando?».

«Lì, in quella torre dove tutto finisce».

«Ehi, aspetta un attimo, che cosa vuol dire?».

«Che la tua assicurazione non ti garantisce la vita eterna. Hai perso di vista la prima legge: tutto si muove verso la morte. Anche tu».

«Fermo!» l’ordine delle voci delle due ragazze echeggiò nel campo e fece quasi vibrare l'erba tutto intorno. Mi voltai verso le grandi mani.

«Non puoi costringerlo alla torre finché la sua ora non sarà terminata».

«Nessuno può attraversare la porta della torre prima del tempo. Dovrai tornare indietro per mutare la sua sorte» disse la ragazza vestita di bianco.

«O per lasciarla inalterata» concluse la voce dell’altra, filtrando attraverso i denti serrati.

«Stanno dicendo che puoi salvarmi?».

«Rinuncio alla sua salvezza» dissi, ma non accadde niente.

Le dita delle grandi mani si mossero. Valentino si girò a guardarle finché non si chiusero completamente.

«Questo assurdo posto in cui mi trovo è davvero la morte?».

«Soltanto l'anticamera. O qualcosa del genere».

«Adesso capisco perché ho attraversato tutto quel buio» abbassò lo sguardo verso il terreno «Non è possibile. Sono esattamente uguale a un’ora fa. Ho ancora i miei vestiti» tastò le iniziali sulla tasca della camicia «Sembra tutto così reale. E pensare che mi aspettavo qualcosa di grande da questa notte».

«Più grande di questo non credo ci sia molto».

«È vero quello che hanno detto le due ragazze? Che puoi salvarmi?» gli occhi si muovevano velocemente dietro le lenti azzurre.

Continuai a guardarlo senza rispondere.

«Chi sei, se puoi salvare la gente dalla morte?» mi chiese.

«Uno che è morto questa notte, come te».

«Come è possibile? Se sei soltanto uno che è morto, chi ti ha dato questo potere?».

«Non lo so, non ne so niente» cercai di divincolarmi dalle sue mani che continuavano ad aggrapparsi alla felpa.

«Devi farlo. Tu devi salvarmi,» storse le labbra intorno alle due file di piccoli denti inclinati verso l'interno della bocca «non puoi lasciarmi morire senza fare niente. Hai sentito cosa hanno detto. Hanno detto che ero a un passo dalla libertà, che adesso inizia il bello della vita».

«Non preoccuparti, è soltanto un'illusione. Il bello non inizia mai».

«Smettila di fare il coglione. Lo dici solo perché non è a te che manca così poco per realizzare i tuoi desideri» mi mostrò uno spazio minuscolo tra due dita «È per questo che non vuoi salvarmi?».

Sentii i suoi occhi indagare sul mio volto. Alzai lo sguardo. Mi venne da ridere «Perché la libertà cosa credi che sia?».

Vidi gli occhi impazzire dalla rabbia muovendosi freneticamente. Due pugni mi raggiunsero nello stesso momento, uno sul collo e uno nello stomaco. Mi piegai a terra.

Valentino trovò lo spazio per passare e iniziò a correre pesantemente verso il buio. Il suo culo stretto nei pantaloni bianchi si agitava inutilmente per riportarlo alla vita. Mi alzai in piedi e mi misi a correre dietro di lui. Riuscii a bloccarlo lanciandomi a volo e agganciando le sue gambe poco prima che raggiungesse il corridoio oscuro che si era appena riformato. Cademmo in avanti. Strisciai sul terreno per mettermi seduto sopra di lui che si dimenava e si contorceva con i gomiti stretti sui fianchi. Mi piantò una mano sotto il mento e mi spinse la testa verso l'alto.

Cercai di tenerlo fermo per la camicia con una mano, mentre facevo oscillare l'altra sopra la sua faccia senza riuscire a mirare. Intravidi il suo naso, calai un colpo di palmo. Valentino diede uno strattone più forte per scansarsi e la tasca si strappò. Un buco si aprì nella camicia, la tasca mi restò in mano.

«La mia camicia» si risucchiò la saliva dalle labbra. Mi tirò via la tasca di mano e la riportò al petto, cercando il punto da cui si era staccata.

Lo afferrai per i capelli e lo trascinai per un pezzo a quattro zampe, le ginocchia continuavano a scivolargli e a strisciare sulla terra. Poi riuscì a sollevarsi in piedi. I mocassini bianchi sbattevano sul sentiero in lunghi passi veloci per rincorrere la testa ancora tenuta per i capelli dalla mia mano.

Aprii la porta della torre. Le mani di Valentino si strinsero intorno al mio polso sopra la sua testa. Riuscì a staccare la mia mano dai suoi capelli, strappandosi una fitta ciocca sulla tempia. Si passò due dita sulla fronte per sistemarli, con la chiazza vuota che lasciava intravedere la pelle arrossata. Quando decise che potevano andare bene, Valentino si sistemò anche la camicia e gli occhiali. Le ginocchia e le chiappe dei pantaloni bianchi erano striati di marrone e verde, ma Valentino non se n'era accorto.

«Cammino da me» disse.

Uno slancio di orgoglio.

Interessante. Un vero slancio di orgoglio.

Salimmo insieme la scala che portava al secondo piano. Spalancai la porta della stanza.

«Entra» spiegai, con calma.

«Non voglio».

Allungai le mani per afferrarlo. Valentino alzò le spalle e ci incassò dentro la testa, serrando gli occhi come un bambino. Fermai a metà strada un rovescio che stava per arrivargli dritto nei denti. Lo presi per i gomiti, lo sbilanciai in avanti e lo lanciai a terra, gli occhiali gli saltarono via mentre rotolava sul pavimento verso il centro della stanza.

Non entrare.

C’era qualcosa di strano in quel posto. Una specie di deformazione della realtà, un impercettibile errore fisico, una contrazione spaziale. Pressione, densità, qualcosa di invisibile e opprimente si concentrava tra le quattro pareti spoglie di pietra grezza giallastra.

Non entrare.

Entrai nella stanza.

Zenith

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