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Capitolo Uno

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Guardando dalla finestra della sua stanza, Leo vide le guglie di alti castelli. Imponenti torri di metallo e vetro punteggiavano il paesaggio. Più in alto, bestie gigantesche ruggivano e lasciavano scie di fumo nel cielo mattutino. Luci multicolori lampeggiavano in lontananza, come se una strega o un mago stessero lanciando un incantesimo. In fondo alla strada, animali a grandezza naturale salutavano i bambini intimoriti e posavano per i passanti chiassosi.

Times Square, a New York, era pura magia.

Leo voleva scendere e farne parte. Ma sarebbe stato impossibile. Il dovere lo chiamava. Lo faceva sempre, motivo per cui raramente dormiva bene la notte.

Poteva anche vivere in un palazzo pieno di domestici, il cui compito principale era quello di servirlo e riverirlo, ma ognuna di quelle persone era, in definitiva, una sua responsabilità. Come loro monarca, i loro mezzi di sussistenza erano nelle sue mani.

«Siete pronto per il vostro discorso, Maestà?»

Re Leonidas si allontanò dai festeggiamenti che si svolgevano in strada. Si diede una spolveratina all’abito formale e allo stemma sul petto. Deteneva un titolo. Sapeva come maneggiare una spada. Ma niente favole o romanticismo nella moderna nobiltà. No. Solo affari e protocollo.

«È importante menzionare le ampie risorse di Cordoba» gli ricordò Giles, che era sia il suo assistente personale che il capo dello staff durante quel viaggio a New York. «Attireranno interessi commerciali maggiori.»

«Sì, lo so.» Leo si avvicinò allo specchio presente nella suite per sistemarsi la cravatta, ma Giles gli allontanò le mani e sciolse il nodo già perfettamente dritto.

«Sarebbe molto vantaggioso se riuscissimo a catturare l’interesse del governo spagnolo. Le loro risorse si sposano alla perfezione con le nostre. Sarebbe un’accoppiata perfetta. In effetti, questa non è l’unica partita che andrebbe a beneficio dei nostri due paesi.»

Leo alzò gli occhi al cielo. Sfortunatamente, Giles non colse l’allusione. Quell’uomo era troppo concentrato a rendere ancora più grazioso il cappio intorno al suo collo.

Erano passati due anni dalla morte della prima moglie di Leo. Giles non era l’unico a tallonarlo perché scegliesse una nuova consorte. L’intero paese era ansioso di avere una nuova regina, e Leo stava iniziando a sentirsi sotto pressione.

Sapeva di essere responsabile per ogni cittadino del suo paese. Ma ciò dava loro il diritto di avere voce in capitolo nelle sue scelte personali? Lì, nella Terra degli Uomini Liberi, Leo si chiese se la democrazia non fosse un modo per andare oltre il concetto di monarchia.

Guardò di nuovo le luci brillanti della grande città. Se fosse stato solo un cittadino comune, sarebbe stato libero dai suoi doveri e si sarebbe goduto la vita. Andando a Times Square. Assistendo a un evento sportivo senza sconvolgere l’intero Paese. Prendendo una tazza di caffè in un locale tranquillo. Avrebbe potuto chiedere un appuntamento a una ragazza, per quella tazza di caffè – senza che nessuno lo tenesse d’occhio. Era un re di trent’anni, e, per buona parte della sua vita, doveva ancora essere accompagnato da assistenti e uomini della sicurezza.

Cordoba era un piccolo stato, situato su un’isola nel Mediterraneo tra il confine sud-occidentale della Francia e quello nord-orientale della Spagna. Era praticamente sconosciuto, lì in America. Quello era il motivo per cui la sua scorta e il suo entourage erano al minimo. Solo Giles e un autista, il più delle volte. Avrebbe potuto liberarsene con facilità. Aveva visto suo fratello farlo molte volte.

Leo diede le spalle alla finestra e sollevò gli appunti per il suo discorso. Sapeva che migliaia di persone si affidavano a lui per il proprio sostentamento, quindi faceva il suo dovere. E si sarebbe pure trovato una nuova moglie. Prima o poi.

Non poteva chiedere di uscire a una donna qualunque. Proprio come era capitato per il primo matrimonio, anche il secondo sarebbe stato un affare. Non un affare di cuore, ma uno da cui dipendevano gli interessi nazionali.

«La duchessa spagnola, Teresa d’Almodovar, ha ottime referenze. È giovane, istruita, si occupa di beneficenza, e le donne della sua famiglia sono ottime fattrici.»

Leo sarebbe rabbrividito se non avesse sentito quella litania anche per la sua prima moglie. Isabel aveva tutte quelle stesse qualità, ed erano andati d’amore e d’accordo. Ma la cosa era finita lì.

Non aveva mai sperimentato la passione. Non sarebbe mai successo. Non era destino, per un re.

Leo diede un’ultima occhiata ai suoi appunti. Li conosceva tutti a memoria. Nel suo destino c’era la stabilità economica e una moglie che avrebbe soddisfatto le esigenze del suo paese e gli avrebbe dato un erede. Se fossero riusciti ad andare d’accordo, come avevano fatto lui e Isabel, sarebbe stato un vantaggio, ma non un requisito.

«Sono passati due anni» gli ricordò Giles. «Un tempo sufficiente per un lutto rispettoso. Cordoba ha bisogno di un erede.»

«Ho già un’erede.»

«Sapete che la costituzione del nostro paese è patriarcale.» Giles alzò la mano prima che Leo potesse obiettare. «Non abbiamo né il tempo né il supporto per cambiare quella legge. Dovrete trovare una nuova regina e generare un erede maschio. In caso contrario... non voglio prendere in considerazione l’alternativa.»

Come se li avesse sentiti parlare di lui, l’alternativa irruppe nella stanza. Una versione leggermente più giovane e molto più disordinata di Leo aprì la porta e si precipitò dentro la stanza.

I lembi della camicia di Alex erano sbottonati. Gli mancava la cintura. Il colletto era storto e con visibili tracce di rossetto impresse sul tessuto bianco. Probabilmente Alex si era fatto strada tra la baldoria di Times Square.

Leo non invidiava suo fratello, né il suo comportamento da playboy. Invidiava il fatto che potesse scegliere chi amare. Non che suo fratello optasse per una scelta sola. Perché farlo quando poteva averle tutte?

«Buongiorno, Vostra Altezza, è una bellissima mattina di sole» disse Giles, ponendo l’accento sulla parola “mattina”.

«È già mattina? Speravo di riuscire a fare un sonnellino prima che sorgesse il sole.» Alex si riparò gli occhi dalla luce delle prime ore del giorno. «Troppo tardi. Eccolo.»

«Non hai chiuso occhio?» gli chiese Leo.

«Oh, un po’ ho dormito. Solo non nel mio letto.» Alex si tolse la giacca. E, in maniera maleducata, la lasciò cadere sul pavimento, sicuro che qualcuno l’avrebbe raccolta. «Oggi non hai bisogno di me, vero? Nessun nastro da tagliare? Nessuna ereditiera da intrattenere? Nessun giornalista da distrarre con il mio ghigno follemente fotogenico?»

«In realtà», disse Leo, «ho bisogno di te. Hai promesso di portare fuori Pen, oggi.»

Alex sbatté le palpebre, come se si stesse svegliando da un lungo sonno. «L’ho fatto?»

Leo annuì. «Dovete andare in una scuola locale. Voleva visitare una classe dell’asilo.»

«Bene.» Alex sospirò drammaticamente e si passò una mano sulla ricrescita della barba. «Per quella piccoletta non posso venire meno alla parola data. Ho solo bisogno di un pisolino. E di una doccia. E di un cambio di vestiti. E poi sarò come nuovo.»

Alex si accasciò sul divano. Appena chiuse gli occhi, si addormentò. Quell’uomo aveva sempre avuto la capacità di scivolare in un sonno beato ovunque posasse la testa. Era facile, quando non ti importava di niente e nessuno al mondo.

Leo rimise in ordine le sue note e si infilò i fogli nella tasca del cappotto. Prima di andarsene, fece capolino nella stanza di sua figlia. Lei era la piccola donna a cui, per prima, andava la sua lealtà. A parte il suo dovere verso il popolo, sua figlia era la sua ragione di vita.

La principessa Penelope dormiva pacificamente nel letto della camera d’albergo. I suoi capelli scuri si allargavano a ventaglio sulla federa bianca. Sul comodino c’era un libro di frazioni.

A differenza della maggior parte dei bambini di cinque anni, la sua Pen preferiva addormentarsi facendo matematica. Era un tratto che aveva ereditato da sua madre. Isabel aveva studiato ingegneria all’università, anche se sapeva che non le sarebbe tornata utile nei suoi doveri di regina. Ma farlo l’aveva resa felice. I numeri facevano lo stesso con la sua bambina, quindi lui era più che contento di impugnare una matita e fare algebra prima di coricarsi, al posto di leggere una storia.

Perdere sua madre in così giovane età era stata dura, per la sua Penelope. Avrebbe dovuto lasciarla a casa, ma odiava starle lontano. Lei era il vero amore della sua vita.

Il suo angelo dormiva profondamente. Non osò svegliarla, anche se voleva darle il buongiorno prima di dare il via ai suoi impegni. Leo stava iniziando presto la sua giornata, e non voleva che lei saltasse il programma fatto. Specialmente con lo zio messo fuori combattimento nell’altra stanza.

Penelope meritava una madre e lui le avrebbe trovato la migliore possibile. Quello sarebbe stato il suo primo criterio di scelta. Non un interesse economico per il suo paese: Leo si sarebbe concentrato sull’interesse di sua figlia. Con quella determinazione, uscì per guadagnarsi favori per il suo paese e trovare una madre per sua figlia.

Una Maestra D'Asilo Per Il Re

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