Читать книгу Una Maestra D'Asilo Per Il Re - Shanae Johnson - Страница 7
Capitolo Quattro
ОглавлениеNonostante tutte le favole, i romanzi rosa e i film di Hallmark che Esme divorava, non si era mai considerata il tipo da damigella in pericolo. Ma, ragazzi, aveva funzionato benissimo! Esme era caduta tra le braccia di un vero eroe.
Tecnicamente, si era schiantata contro di lui mentre faceva la cosa più innocua e stereotipata che una millennial americana potesse fare. Ma chi se ne fregava, visto che aveva dato buoni risultati, e lei sarebbe sopravvissuta per raccontare quella storia. E che storia, si stava accingendo a essere!
Leo le tese il braccio in un perfetto angolo retto, da galantuomo. Proprio come nei film d’epoca della BBC che lei da bambina guardava alla televisione pubblica. Fu presa dal panico per un secondo, incerta sul da farsi.
Doveva infilargli la mano sotto il gomito e stringere le dita nell’incavo? O appoggiargli la mano sull’avambraccio, posando leggermente le dita? Che cosa aveva fatto l’attrice che interpretava Elizabeth con Mr. Darcy in Orgoglio e Pregiudizio? Non nel film di due ore con Keira Knightley trasmesso fino alla nausea via cavo. In quello deliziosamente lungo, diviso in episodi, che faceva partire nei fine settimana durante le raccolte fondi.
Alla fine, decise che voleva un po’ di azione. E così Esme gli mise semplicemente la mano tra le costole e il bicipite. Le sue nocche sfiorarono la giacca elegante che aveva rovinato con la sua epica distrazione. Quel capo era più fine del suo vestito più costoso. Non che quello rivelasse molto di lei, dal momento che tendeva a fare acquisti nei negozi dell’usato e non sulla Fifth Avenue. Ma ogni pensiero la abbandonò quando le sue dita incontrarono i muscoli di lui.
E... oh, cavolo... quelli sì che erano muscoli!
Quel tizio che lavorava a palazzo non era uno sciattone. C’erano più colline sul suo braccio che valli nel Grand Canyon. Si chiese che cosa facesse per il re. Doveva far parte della security, con quel fisico, la faccia seria e le doti da eroe.
Forse era Capitano della Guardia Reale? Possibile fosse un cavaliere? Nei libri di fiabe, gli uomini che proteggevano i re erano sempre cavalieri. Ma lui aveva detto di non essere un cavaliere. Tuttavia, per lei avrebbe sempre indossato le vesti di un cavaliere dall’armatura scintillante.
E, solo per dimostrare la cosa, le tenne la porta e le permise di precederlo. Chinò anche leggermente la testa mentre le permetteva di superarlo. Il cuore di Esme fece un sussulto e una giravolta e alla fine le si schiantò contro le costole.
Oh, cavolo, era in guai seri.
Al bancone c’era un uomo che li guardava accigliato. Aveva la stessa abbronzatura dorata e lo stesso aspetto bello e cupo di Leo. Era vestito come lui, ma era chiaramente più vecchio. Probabilmente solo di pochi anni. Non c’erano rughe sul suo viso, ma i suoi occhi erano velati dallo sfinimento.
«Ho deciso di mangiare qui la mia torta, Giles» disse Leo. «So che abbiamo un programma da seguire e che dobbiamo arrivare all’ONU per il discorso del re. Non ci metterò troppo.»
Quell'uomo, Giles guardò Leo da sopra la testa di Esme. Poi abbassò lo sguardo su di lei. Se possibile, il suo cipiglio si fece ancora più severo, come se avesse fiutato qualcosa da una fogna. Ma inclinò la testa. Con un’altra occhiata a Esme, lasciò il contenitore di torta da asporto sul bancone e si diresse verso la porta.
«Mi dispiace.» Leo si sedette accanto a lei al bancone. «Giles odia essere in ritardo.»
«Non voglio impedirti di fare il tuo lavoro.» Era una bugia. Sì, voleva tenerlo con sé.
«Abbiamo tutto il tempo per arrivarci. Giles pensa che arrivare in tempo significhi essere in ritardo.»
«Anche io non ho molto tempo. Posso fare solo una breve pausa pranzo. Ancora più breve, ora, visto che ho sfiorato la morte.»
«Che cosa?»
Entrambi si voltarono per guardare la donna dietro il bancone. Aveva sbattuto le mani sul bancone insieme a quell’esclamazione. Il rumore era stato solo un tonfo sordo poiché le sue mani erano coperte da un paio di guanti da forno.
Esme alzò le mani per calmarla. «Era solo un modo di dire, Jan.»
«Spesso sei incline al drammatico, tesoro, ma c’è sempre un minimo di verità.» Jan conosceva Esme fin troppo bene. Capitava, essendo migliori amiche.
«Mentre ti stavo scrivendo, non guardavo dove stavo andando e sono finita nel traffico.»
Gli occhi di Jan si spalancarono e divennero tondi come una teglia da torta.
«Per fortuna, Leo, qui, ha salvato sia la mia vita che il mio telefono da un sicuro disastro.»
«Giuro, Esme, hai sempre la testa tra le nuvole. Devi tenere i piedi e gli occhi per terra.»
Jan fece scivolare una fetta di torta verso Esme. La crosta era scurita da striature nere e il ripieno verde fuoriusciva dai lati. «A proposito di esperienze di pre-morte, ecco la tua torta di mele avvelenate.»
Esme si strofinò le mani, preparandosi ad assaporare il suo piatto preferito.
«Avvelenate?» chiese Leo, il viso contorto dall’orrore. Ma anche con quella smorfia, era ancora diabolicamente bello.
«Oh, è uno scherzo» chiarì Esme. «Porto il nome di una principessa.»
Qualcosa cambiò nei lineamenti di Leo. Esme non riuscì a capire se fosse sorpresa o sgomento.
«La principessa Esmeralda, protagonista nel Gobbo di Notre Dame della Disney.»
«Conosco la storia» disse lui. «Ma lei non mangiava una mela. E non era una principessa. Era una persona comune.»
Esme scrollò le spalle. «Licenza poetica.»
Di nuovo, lo sguardo di lui divenne imperscrutabile.
«Questa è per te, vero?» Jan tirò fuori la torta di Leo dal suo contenitore e la mise su un piatto.
Spezie provenienti da una terra straniera solleticarono il naso di Esme. Il loro calore le scaldò le guance. La dolcezza del profumo le solleticava la lingua, invogliandola a chiederne un boccone.
«Questo è il motivo per cui mi sono fermato» disse Leo. «Non potevo resistere a un tentativo di realizzare un piatto di autentica cucina cordovana. E questo sembra e profuma proprio come una bisteeva.»
Detto ciò infilò la forchetta e prese un morso. Alzò gli occhi al cielo, in estasi, il che era un evento comune lì nella panetteria di Jan.
«Ha lo stesso sapore della bisteeva che fa il cuoco di palazzo» disse Leo, prendendo un altro boccone. «No, meglio. Per favore, non fategli sapere che l’ho detto.»
Jan sorrise da un orecchio all’altro di fronte all’ennesimo cliente convertito alla sua cucina.
«Leo, questa è la mia migliore amica nonché creatrice delle migliori torte del mondo, Jan.»
«Piacere di conoscerti, Jane.»
«No, solo Jan» lo corresse. «Niente “e” in fondo. Sono troppo semplice per chiamarmi Jane. Solo Jan.»
Leo lasciò cadere la forchetta e tese la mano a Jan. Lei gli porse quella con il guanto da forno per una stretta. Lui sorrise e le girò la mano con il palmo rivolto verso l’alto e piantò un bacio sul tessuto ricoperto di margherite.
«Wow» disse Jan. «Questa è una novità.»
Wow davvero. Esme non aveva mai ricevuto un baciamano. Nessun ragazzo lo aveva mai fatto per lei, che lo sognava anche troppo. Forse Leo avrebbe potuto farlo anche con lei, se fosse stata nella posizione giusta quando si erano incontrati.
«Sei stata a Cordoba?» chiese Leo.
«Non sono mai andata da nessuna parte» rispose Jan. «Ho sempre avuto un talento per le spezie. I piccoli chiodi di garofano, i dolci e i fiori possono trasportare le papille gustative di una persona in giro per il mondo e ritorno spendendo poco e niente.»
Leo annuì. «Le mandorle sono così dolci che sembra che tu le abbia colte direttamente da un albero a Maiorca. Il cumino mi scalda la bocca come se fossi steso su una spiaggia del Mediterraneo. E hai usato il piccione invece del pollo.»
«Sono sorpresa che tu riesca a notare la differenza.»
«Hai un dono.»
Leo prese un altro boccone della sua torta. Chiuse gli occhi e gemette di gioia. Non c’era musica nel negozio di torte. Tutto ciò che si sentiva era un coro di gemiti felici dei clienti. Musica per le orecchie di Jan.
La sua amica guardò Leo, poi Esme. Tenacemente single, rivolse a Esme un sorriso di approvazione prima di spostarsi per servire un altro cliente. Esme rivolse la sua attenzione alla sua fetta. Ne mangiò un pezzetto mentre pensava a un argomento di conversazione per mantenere l’interesse dell’uomo che le sedeva accanto.
«Allora, Leo, com’è il re di Cordoba? È vecchio e incline alla follia come Re Lear? È un idiota maldestro come il padre di Jasmine in Aladdin? O è fuori di testa come la Regina di Cuori in Alice nel Paese delle Meraviglie?»
«Hai una bella immaginazione.»
«È la mia maledizione.»
«Mi piace.» Leo mangiò l’ultimo pezzetto della sua torta, chiudendo gli occhi mentre estraeva lentamente i rebbi della forchetta dalla bocca.
Esme era ipnotizzata. Oh, essere uno di quei quattro denti metallici.
«Però sei in errore sulle regole monarchiche» le disse.
«Chiedo scusa?»
«Parlo della monarchia moderna. Gestire un regno è molto simile a gestire un’azienda quotata nel Fortune 500, solo più difficile.»
«Come mai?»
«Nei tempi antichi e medievali, i re erano considerati i rappresentanti di Dio in terra. Possedevano i terreni e spesso le persone che vivevano su di essi. Nel corso del tempo, il loro potere venne limitato dai nobili feudali, perché i monarchi non potevano gestire da soli quell’immensa quantità di terra e risorse. Più tardi, fecero affidamento sull’assistenza della Chiesa. Anche se, il più delle volte, erano messi alle strette dal papato. I re giurarono di mantenere la pace, amministrare la giustizia, sostenere le leggi e proteggere i poveri che risiedevano nei loro possedimenti. La democrazia è cresciuta man mano che le persone diventavano autonome, ma l’influenza del re è rimasta forte in molti paesi.»
Fu una deliziosa lezione di storia. Ma lei non riusciva a capirne il senso. «Allora cosa fa in realtà il re?»
«In quest’epoca, i re e le regine delle nazioni delegano il loro potere in modo che la polizia mantenga la pace, i tribunali dispensino la giustizia e i governi si occupino di legiferare. E, in alcune monarchie, sono semplicemente delle figure di rappresentanza.»
«A Cordoba?»
«A Cordoba mi piace credere che il re guidi il regno. Ma non lo fa da solo. C’è un parlamento.»
«Come in Inghilterra? Quindi il re non si limita a farsi scattare delle foto e andare in vacanza?»
«Si procura anche affari remunerativi per le industrie del Paese. Fa accordi in base alle loro risorse. È il primo responsabile dell’economia, anche con i legislatori al timone. Cordoba ha una lunga storia di regnanti che giocano un ruolo attivo. Questa tradizione continua anche oggi.»
«Sembra un grande uomo» disse Esme. «Non proprio roba da fiabe.»
«L’aristocrazia non rispecchia granché ciò che viene scritto nei libri di fiabe. Quelli di sangue reale di solito sposano altri di sangue reale. Si sente parlare solo di eccezioni come i Windsor, e sono spesso sui tabloid, non sui libri per bambini.»
«Quindi non credi nel romanticismo o nelle favole?»
«Sono due cose diverse. Le favole sono storie inventate.»
«E il romanticismo?»
Leo guardò in lontananza. «Il romanticismo è reale. Ma non tutti possono permetterselo.»
«Non riesco a immaginare di sposarmi per nient’altro che per amore. Che senso avrebbe?»
«Sicurezza finanziaria. Protezione. Dovere. Ecco perché la nobiltà si sposava in passato, così come nel presente. Molte persone comuni si sposano ancora per convenienza. L’amore romantico ha solo poche centinaia di anni.»
«Se ne scrive da millenni.»
«Ed ecco le favole.»
«Beh, allora è una fortuna che noi due siamo persone comuni e possiamo scegliere di sposarci per amore e non per dovere.»
«Sì. Siamo proprio fortunati.»
Una gola si schiarì alle loro spalle. Esme alzò lo sguardo per vedere il disapprovante Giles che la fissava ancora una volta.
«Le mie scuse, Esme, ma il dovere mi chiama.» C’era vero rammarico nella voce di Leo. «Devo tornare al lavoro. È stato bello conoscerti.»
Allungò la mano. Lei gli porse la sua. Aveva qualche briciola di torta sulla punta delle dita. Tentò di tirare indietro la mano nel tentativo di pulirla, ma Leo gliela fermò. Le girò il palmo e lo baciò.
Le farfalle esplosero nel ventre di Esme. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma aveva la lingua incollata al palato. E nel momento in cui il cervello riprese a funzionare, lui se n’era andato.