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1.2 Luigi Pirandello: Suo marito (1911) Silvia Roncella. L'angustia della crisalide

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Alla presentazione che segue si premette che del testo si è seguita la prima edizione del 1911[28], al suo esaurirsi non più ristampata per la comprensibilmente dura reazione di Grazia Deledda agli evidenti riferimenti biografici alle proprie vicende coniugali[29] (il dato “identificativo” sarebbe il trasferimento nella capitale anche della coppia sarda). A partire dalla metà degli anni '30 Pirandello intraprende una nuova stesura apportando modifiche importanti per porre rimedio all'“indelicatezza”, senza però riuscire a portare a compimento la nuova opera dal titolo “Giustino Roncella nato Boggiòlo”, che il primogenito Stefano pubblicherà postuma e incompiuta nel 1941[30].

Silvia e Giustino, di cui il titolo del romanzo pirandelliano nella versione originaria attesta la natura di coprotagonisti, sono una giovane coppia non bene assortita da poco stabilitasi a Roma dalla lontana Taranto patria della moglie. Lei, bruna, esile e riservata, ha scritto, oltre ad altri testi in prosa, La casa dei nani – “caso letterario” che le ha garantito un enorme successo di pubblico, seppure, secondo un noto copione, non di critica. Lui, della provincia torinese, loquace e abile comunicatore, a tratti viscido adulatore, si adopera alla ricerca dei canali più efficaci per la notorietà dell'autrice presso il vasto pubblico.

Tutto secondo un piano definito. Dopo il matrimonio, in tempi relativamente brevi la cura e la promozione del lavoro della donna, e della sua immagine, sono divenuti monopolio e stesso obiettivo professionale di Giustino Boggiolo. E qui se ne è aperta la carriera, da mediocre impiegato dell'Archivio Notarile (Suo marito[31], p. 29. D'ora in poi il testo sarà indicato con “S.M.”) di Taranto (diretto dal suocero), relativamente ben collocato nella pubblica amministrazione italiana di inizio secolo, ad agente a tempo pieno della moglie indissolubilmente legato al suo compito. Come mostreranno i fatti, è a tale funzione, e non alla persona della compagna, che si sente vincolato da tacito giuramento. Sarà proprio l'irrompere della fama nelle pareti domestiche a decretare la fine di un rapporto affettivo sempre più disarmonico.

Nel suo progetto, come egli aveva disposto lo sradicamento della moglie dalla Puglia natale per il trasferimento a Roma a fini promozionali, così ne cura la realizzazione della prima opera teatrale, La nuova colonia, che, lungi dal tradire le aspettative, fin dalla prima rappresentazione – parallela alla nascita dell'unico figlio Vittorio – consacra la scrittrice nel mondo letterario del tempo.

Dopo il parto, Giustino predispone per lei una pausa a Cargiore, suo paese di origine in Piemonte, presso la propria madre; e ancora, in seguito, il definitivo rientro in una lussuosa villa della capitale (“Villa Silvia” appunto), da lui nel frattempo resa consona all'immagine dell'autrice, in cui il bambino non la seguirà. Nel suo intento di “reclusione” a fini produttivi, il marito la sottrae al compito più prezioso, quello della maternità, rendendone così completa e definitiva la solitudine.

Ma il nuovo ambiente non sortisce l'effetto sperato, e l'autrice procede a tentoni nella realizzazione della seconda opera teatrale, Se non così; mentre i tentativi di scrittura si accompagnano ad uno spontaneo processo di analisi interiore che metterà in luce, inconfondibile, uno stato di asservimento ancor più intollerabile perché non percepito come tale da chi ne è responsabile. Giustino, infatti, si considera in tutta coscienza al servizio della moglie e primo artefice della fama da lei raggiunta; in un mutamento delle prospettive tipico di Pirandello e ancor più marcato in ragione della situazione paradossale in cui i due protagonisti si muovono.

A complicare la condizione di Silvia è la presenza di Maurizio Gueli, scrittore attempato e al momento in una fase di vuoto creativo che, nell'affiancarla nelle fatiche del nuovo testo teatrale, le si avvicina e con lei progetta una fuga dal marito – di cui ormai sono evidenti a tutti la ridicola presunzione come il tratto tragico. Ma la sua amante, l'assai più giovane, sensuale e spietata Livia Frezzi, dinanzi al tradimento lo ferisce gravemente con un'arma da fuoco (S.M., p. 189-190). Con un colpo che non gli sarà fatale ma determinerà – lo si saprà sul finire del racconto – l'amputazione di un braccio, senza impedirne il riavvicinamento all'amante rimessa in libertà dopo una breve reclusione (S.M., p. 195). Silvia, intanto, si congeda con una lettera da Giustino (S.M., p. 188) che, ritiratosi poi a Cargiore in una solitudine disperata e insieme abulica, saputo dopo diversi mesi del successo riscosso dall'opera Se non così nel capoluogo piemontese, vi assiste in disparte da un palchetto vuoto sul fondo del teatro, piangendo angosciato lacrime amare di rimpianto (S.M., p. 207).

All'episodio segue immediatamente il dramma del piccolo Vittorio, che soccombe ad un attacco di influenza perniciosa. La veglia al bambino defunto è la circostanza in cui i coniugi si incontrano per l'ultima volta. In chiusura del romanzo è la separazione definitiva, nella scena di lei che si allontana in macchina, in cui si riconferma la previdenza ormai del tutto disinteressata di chi, da crudele sfruttatore, si è fatto mitomane disilluso ingenuo e quasi simpatico: “– Ecco, – le disse, porgendole le carte, – tieni… Ormai io… che… che me ne faccio più? A te possono servire… Sono… sono recapiti di traduttori… note mie… appunti, calcoli… contratti… lettere… Ti potranno servire per… per non farti ingannare… Chi sa… chi sa come ti rubano… Tieni… e… addio! addio! addio!...” (S.M., p. 221-222).

La prima metà del testo, a sua volta bipartita, è dedicata alla storia di Silvia asservita al marito, l'altra alla graduale presa di coscienza del suo stato di sottomissione. Gli stessi titoli dei sette capitoli, a loro volta quadripartiti (solo il primo articolato in cinque sottocapitoli) evidenziano immediatamente le tappe della vicenda. Il primo, “Il banchetto”, è riservato alla contestualizzazione della storia nell'ambiente letterario superficiale e ipocrita della capitale all'alba del XX secolo, e contrassegnato da un tono umoristico che a tratti adombra la critica mordace; ad esso segue “Scuola di grandezza

Di chi tiene la penna: immagini di scrittori e scrittura nel romanzo italiano dal 1911 al 1942

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