Читать книгу Terre spettrali - Софи Лав - Страница 8

CAPITOLO CINQUE

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Marie ritrasse immediatamente la mano. Era piuttosto sicura che sarebbe sembrato sgarbato come gesto, ma non gliene importava. Aveva già avuto a che fare con un agente immobiliare insistente prima ancora di avere il tempo di sistemarsi come si deve in casa: una spocchiosa e presuntuosa signora che rispondeva al nome di Stacy Hamlett. Ed eccone un altro, che probabilmente voleva approfittare della situazione disastrosa che si era venuta a creare da quando Marie aveva accettato che June Manor venisse considerato come un luogo potenzialmente infestato.

“Non è un gran favore,” commentò Marie. “Non sono affatto interessata a vendere. Questa casa apparteneva alla mia prozia e l'ho ricevuta in eredità. E, come vede, sto cercando di portare avanti un'attività.”

“Sì, e ne ho sentito parlare. Il bed-and-breakfast sul mare che è infestato dagli spettri, o almeno così si dice, ma forse non davvero,” ironizzò Avery Decker.

“Beh, questo non è proprio corretto da dire, no?”

Decker scrollò le spalle ma era chiaro che non era affatto dispiaciuto di aver detto ciò che aveva detto. Da quel gesto Marie percepì che Decker era molto probabilmente il tipo abituato a parlare alla gente come gli pareva, e che in genere otteneva ciò che voleva.

“Ecco cosa le propongo,” attaccò Decker. “Sono l'ex proprietario di un'impresa edile che vent'anni fa ha fatto buoni affari qui in zona. Negli ultimi cinque anni, sono diventato una specie di promotore immobiliare e ho adocchiato questa casa da parecchio tempo. Neanche la proprietaria precedente era esattamente entusiasta all'idea di vendermela.”

Marie sorrise pensando alla zia June che diceva esplicitamente a quest'uomo di togliersi dai piedi. “Quindi mi sta dicendo che lei compra case, le rivolta come un calzino, poi le vende.”

“È una descrizione rozza e semplicistica, ma sì… il nocciolo è questo. E, inutile dirlo, sono disposto a pagare profumatamente.”

“Non sono interessata.”

“No?” disse Decker, con un largo sorriso, come se fosse pronto a giocare a quel gioco per tutto il giorno. “Ne è sicura? Non cerchi di vendermi un quadro più roseo di quanto non lo sia davvero. Non mi pare affatto che la sua attività se la passi granché bene. Posso alleggerirla di questo fardello.”

“Non è un fardello,” protestò Marie, facendo del suo meglio per non perdere la calma.

“La prego… mi faccia lei un prezzo,” continuò Decker, imperterrito. “Capisco il lato sentimentale, certo, ma conosco anche gli affari e il valore del denaro. Quindi, non faccia complimenti. Mi proponga lei un prezzo.”

Marie appoggiò i gomiti sul banco della reception e lo guardò fisso negli occhi. Voleva fargli capire che lei, a differenza degli altri, non si sarebbe lasciata intimorire. “Dieci milioni di dollari,” sparò.

Decker scoppiò a ridere e si batté una mano sulla gamba. “Signorina Fortune, sa benissimo che è una cifra assolutamente ridicola.”

“Non più ridicola di un perfetto sconosciuto che si presenta in casa mia, nella mia attività, pensando di farmi un favore a comprare la mia proprietà quando non ho assolutamente intenzione di vendere.”

“Suvvia, signorina Fortune, possiamo farci un bel gruzzolo sia io che lei se…”

“Non sono interessata.”

“Guardi, conosco già quattro potenziali acquirenti con le tasche piene di s…”

Non. Sono. Interessata.” Fece un respiro profondo, cercando di dissipare la rabbia. “Detto questo, ho altre cose a cui badare. Quindi, se vuole scusarmi…”

Decker aveva toccato un punto dolente, ma Marie rifiutava di arrendersi così facilmente. Quando allungò la mano per indicare la porta, finalmente l'uomo schiodò, scuotendo la testa ma senza perdere il suo ampio sorriso dalle labbra. Mentre avanzava verso la porta, di spalle volle aggiungere un'ultima cosa. “Si ricordi il mio nome tra sei mesi, quando starà annegando nei debiti e l'attività starà per andare a gambe all'aria. Forse allora mi potrà convincere a comprarla.”

Poi subito chiuse la porta, per assicurarsi di aver avuto l'ultima parola. Rimasta sola, Marie imprecò sommessamente, portandosi una mano davanti alla bocca. Non era mai stata così rude con nessuno in vita sua. Certo, Avery Decker se lo era meritato, ma era un sentimento che non le era per niente familiare.

Rimase lì impalata per qualche secondo, fissando la porta d'ingresso e cercando di calmarsi. Proprio mentre si allontanava dal banco della reception per tornare nella sala da pranzo e concentrarsi nuovamente sull’assaggio dei dolci di Posey, sentì un rumore di passi, rapidi e pesanti, provenire dal piano di sopra.

Pensò immediatamente ai fantasmi, ma questi passi erano molto più presenti. Più reali. Sentì che si avvicinavano alle scale, per poi iniziare a scenderle. Marie scacciò infine ogni ipotesi paranormale: era soltanto Benjamin. Solo che sembrava un po' spaventato e confuso.

“Dov'è il tuo ospite?” domandò.

“L'ho cacciato via. Tutto bene, Benjamin?”

“Sì. Ma… Credo che di sopra ci sia qualcosa che devi vedere.”

Marie fremeva ancora dalla rabbia per l'incontro avuto con Avery Decker, ma dovette reprimerla con ancora più decisione, per evitare di innervosirsi con Benjamin. Le sfuggì, invece, un commento passivo-aggressivo: “Ancora qualcosa per cui mi toccherà mettere mano al portafoglio?”

“No, niente del genere. Solo… vieni a vedere.”

Benjamin si diresse verso le scale e Marie lo seguì, senza sapere cosa aspettarsi. Di solito Benjamin la scomodava con le sue domande e i suoi aggiornamenti solo quando si trattava di questioni davvero importanti. Marie gli aveva chiarito sin dal principio che non era il caso di interpellarla per qualsiasi decisione di poco conto, che si fidava del suo giudizio e della sua esperienza.

Benjamin la condusse nell'ultima camera del corridoio del piano di sopra, dove stava cambiando la vecchia e malridotta moquette nel ripostiglio. Quando entrarono, Marie notò che la porta dello stanzino era aperta. Per quel che poteva vedere, Benjamin non aveva ancora iniziato.

“Dunque, di che si tratta?” chiese.

“Ero dentro lo sgabuzzino, e stavo iniziando a togliere la vecchia moquette quando ho notato qualcosa di molto strano sulla parete. Guarda tu stessa.”

Marie notò che Benjamin si teneva a debita distanza dal ripostiglio. Non sembrava spaventato, ma decisamente confuso per qualche oscuro motivo. Marie era un po' scocciata e non capiva perché Benjamin non le dicesse semplicemente quale fosse il problema, ma c'era anche un certo eccitante alone di mistero in quella faccenda.

Entrò nel ripostiglio. Era di dimensioni modeste, un po' più grande di un tipico armadio a muro, ma non così spazioso da poterci distendere completamente le braccia. Guardò per terra e vide che Benjamin aveva iniziato a rimuovere la moquette nell'angolo in fondo. Subito notò la stranezza a cui aveva accennato.

A circa sette centimetri dall'angolo, c'era una riga dritta incisa nel muro. Si inginocchiò per osservarla meglio e vide che non si trattava di un'incisione, ma piuttosto di una fessura. Continuava per circa quindici centimetri poi spariva. Per come scompariva all'improvviso, si accorse che la parete non era pitturata, ma ricoperta da carta da parati. Come aveva fatto a non rendersene conto fino ad allora?

“Sapevi che c'era della carta da parati qua?” domandò a Benjamin.

“No,” rispose lui, tenendosi sempre a debita distanza.

“Di cosa pensi si tratti?”

“Credo che sia una porta. Ma non volevo strappare la carta da parati senza il tuo permesso.”

Marie non ci pensò nemmeno un secondo. Allungò la mano e strappò la carta. Venne via più facilmente di quanto si aspettasse. L'operazione richiese diversi passaggi, ma fu completata rapidamente. E più tirava via la carta da parati, più il sospetto di Benjamin si dimostrò fondato.

Quando la carta da parati fu del tutto rimossa, si materializzò, in effetti, una porta. Era rimasta nascosta per chissà quanti anni, e attendeva soltanto di essere aperta.

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