Читать книгу Terre spettrali - Софи Лав - Страница 6
CAPITOLO TRE
ОглавлениеMarie avrebbe voluto prendersi a schiaffi. Meno di trenta secondi prima, aveva osato chiedersi se la sua giornata potesse peggiorare in qualche modo. Ed ecco la risposta. Aprì la bocca, ma non uscì nessuna parola.
“Signorina Fortune, è ancora lì?”
“Ehm…”
Fu tutto ciò che riuscì ad articolare, la mente invasa dai ricordi della sua prozia June.
Zia June era stata una donna molto eccentrica. Era stata lei a pronunciare la prima battuta sconcia che Marie avesse mai sentito, ed era stato sempre da zia June che aveva bevuto alcol per la prima volta (un sorso di whiskey). Era sempre stata innamorata della casa di sua zia. Anzi, era stata proprio quella casa a instillare nella mente di Marie il sogno di aprire, un giorno, un bed-and-breakfast.
June aveva novant'anni, ma non rimaneva mai a lungo nello stesso posto. Aveva vissuto sulla costa del Maine nell'ultima trentina d'anni ma viaggiava spesso in Florida, a Porto Rico e, chissà mai perché, anche in Wyoming. Era sempre stata una dei parenti preferiti di Marie ed erano state parecchio vicine negli anni della scuola media. E quando sua madre era uscita di scena che Marie era ancora adolescente, la prozia June ne aveva fatto in qualche modo le veci, per un po'.
Ciononostante, Marie non la vedeva da quasi due anni, quando June era stata per l'ultima volta di passaggio a Providence. All'improvviso questi due anni le sembrarono un periodo davvero lungo. Ma, stranamente, i giorni e le settimane che aveva passato da bambina a casa di June le sembravano invece incredibilmente vicini, quasi li potesse toccare. Le passavano davanti come un bizzarro caleidoscopio: la quantità folle di libri, l'enorme salotto, le candele, l'odore del lucido per legno e dell'oceano, la sabbia che le scottava le dita. Poteva facilmente richiamare alla memoria i castelli di sabbia che costruiva sulla spiaggia dietro la casa, cercando di imitare le guglie e le colonne della villa alle sue spalle. E poteva ancora facilmente rivivere l'attesa di percorrere quel tortuoso viale che portava alla casa, che la faceva letteralmente sobbalzare dal sedile per l'eccitazione.
Mentre se ne stava lì immobile con il telefono in mano, all'improvviso le sembrò di sentire l'odore del tè oolong e degli scones bruciacchiati che June preparava ogni volta che lei andava a visitare quella vecchia casa sulla costa del Maine, subito dopo Ogunquit.
I ricordi si interruppero quando si rese conto che, di tutti i familiari, la polizia aveva chiamato proprio lei. Non aveva senso.
“Signorina Fortune? Tutto bene?”
La voce del vicesceriffo la ricondusse alla realtà, strappandola al vago reame dei ricordi. “Ci sono. Sto solo… elaborando.”
“Posso immaginare.”
“Com'è successo?” chiese Marie, combattendo le lacrime per la seconda volta quella sera.
“Crediamo che si sia spenta in pace nel sonno. Un pisolino pomeridiano, forse. La sua vicina ci ha chiamati e ci ha detto che June non rispondeva al telefono da due giorni e che non aveva risposto nemmeno alla porta quando lei è andata a bussare. L'abbiamo trovata adagiata sulla sua sedia.”
“Chi altri avete chiamato?”
“A parte la vicina di casa, lei è l'unica.”
“E gli altri familiari? Voglio dire… siamo state vicine, ma non di recente.”
Nel momento stesso in cui menzionò altri potenziali membri della famiglia, però, capì perfettamente. Per come era messa la sua famiglia, aveva senso che fosse lei l'unica a essere stata contattata.
“C'erano il suo numero di telefono e l'indirizzo e-mail sul frigorifero,” spiegò il vicesceriffo Miles. “La vicina ci ha detto che le parlava sempre molto bene di lei. E dal momento che non abbiamo ritrovato né una rubrica, né un telefono, né nulla che contenesse altri contatti, lei è l'unica persona che potevamo chiamare.”
“Già, immagino che non avesse una rubrica,” commentò Marie. “Né un cellulare.”
Il pensiero di zia June che provava a usare un iPhone le fece affiorare alle labbra un tremolante sorriso. June aveva coniato tanti motti, e uno di questi era: “Quando l’angelo Lucifero è stato cacciato dal paradiso, è caduto nella tecnologia.”
“Beh, la vicina ci ha detto di non essere a conoscenza di altri familiari,” continuò Miles. “Le viene in mente qualcuno che potrebbe occuparsi delle disposizioni? Sembrerebbe che la povera donna fosse tutta sola.”
“Lo era. Ma preferiva così. Era una bisbetica fatta e finita.”
“E non c’è nessuno che le venga in mente a cui dovremmo comunicare la notizia?”
Tristemente, no, non c'era. A dire la verità, Marie sembrava essersi completamente paralizzata in un ricordo molto preciso della sua prozia, che le era tornato in mente. Marie si ricordava un giorno d'estate perfetto. Era seduta nella veranda sul retro e guardava le bianche creste delle onde. June era venuta da lei e le aveva detto che sua madre avrebbe potuto non tornare mai più, che era scomparsa e che nessuno sapeva dove fosse.
In un primo momento, Marie aveva pensato che si trattasse di uno dei soliti scherzi di June, come quella volta che l'aveva convinta che il grosso scoiattolo con cui aveva giocato una volta in giardino fosse in realtà un gatto mutante. Aveva insistito con così tanta determinazione e sicurezza che Marie aveva finito davvero per credere, durante tutta l'estate, che quello stupido scoiattolo fosse un gatto.
Ma quella volta l'espressione tetra sul volto di June nel riportare la notizia alla nipotina quattordicenne era stata molto diversa. Dalla linea sottile delle sue labbra, Marie aveva capito che la zia stava dicendo la verità.
La polizia non era mai riuscita nemmeno a ritrovare l'auto di sua madre. Nessun indizio.
“Mi spiace… Signorina Fortune?”
“Mi scusi. L'ho fatto di nuovo, vero?”
“Sì. Va bene così.”
Marie spazzò via il ricordo della scomparsa di sua madre. Stavolta non era di sua madre che si trattava. Aveva sprecato già abbastanza la sua vita a rimuginarci sopra. Questa volta si trattava di zia June, che era stata trovata morta nella sua casa da sogno.
“Mi occuperò io di tutto ciò che è necessario per il funerale,” assicurò Marie. “Un momento… verrà sepolta, vero?”
“Non lo sappiamo ancora. Dobbiamo trovare il suo testamento prima di occuparci di questo genere di cose. Per caso lei sa qualcosa delle sue ultime volontà?”
“Non vorrei mai dover tirare a indovinare. Zia June era… beh, era una persona insolita. A un certo punto diceva di voler donare il suo corpo alla scienza, per servire da modello ai truccatori delle pompe funebri. Un'altra volta voleva che mettessimo le sue ceneri in un fuoco d'artificio e che lo lanciassimo nel mare. Un'altra volta ancora parlava di farsi trasformare in compost per fertilizzare non so quante piante di lillà chissà dove in Virginia.”
Il vicesceriffo Miles ridacchiò. “Doveva essere proprio un bel tipo.”
“Lo era eccome.”
“Allora annoto che posso contattarla in caso di necessità. Lei sta bene, signorina Fortune?”
“Mi riprenderò,” lo rassicurò Marie, e terminarono la telefonata.
Ma, in realtà, non era sicura di quanto fosse vero. Le venne un groppo in gola e sentì le lacrime colmarle gli occhi.
Si sforzò di non esplodere in quel pianto disperato che stava per dirompere. Pensò alla vecchia casa di June, a come i bambini, a quei tempi, dicessero che fosse infestata. Pensò a quel giorno in cui aveva parlato a June di questa diceria, e si erano messe a canticchiare la sigla di Scooby Doo. Quel motivetto le rimase in testa e le provocò brevi scoppi di risa che arginarono le lacrime.
Andò in camera e si gettò sul letto, sopraffatta da tutti gli eventi di quella giornata. Niente più lavoro. Niente più Chris. E adesso niente più zia June.
C'era un solo pensiero che scongiurava il rischio che quella nottata diventasse un vero e proprio festival del pianto: pensare alla villa di zia June e a quel bellissimo litorale. Stava per tornarci, per motivi molto tristi, certo…
Ma stava per tornarci.