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CAPITOLO QUATTRO
ОглавлениеSulla strada per Port Bliss, a venticinque chilometri dalla cittadina, Marie vide l'oceano. Le apparve la prima volta superando un incrocio, quando intravide alla sua destra, in lontananza, uno scintillio blu e bianco.
Dopo che lo ebbe visto, l'oceano le servì da bussola. Sapeva dove andare e cosa attendersi. Condusse la sua vecchia ma affidabile Saab più vicino a Port Bliss, avvicinandosi lentamente alla costa. E quando l'autostrada iniziò a costeggiare l'acqua, separata solo da brevi tratti di boscaglia, casette e lingue dorate di sabbia, le affiorò alle labbra un indelebile sorriso.
Cominciò a vedere, sparsi per il paesaggio, piccoli segni che le ricordavano dov'era diretta. Le banchine per la pesca, i cartelli stradali che segnalavano le attrazioni balneari, le barche trainate a rimorchio da modesti pick-up.
Quando le sue ruote toccarono il primo dei due grandi ponti che attraversavano i bacini idrici e le distese di acquitrini, fu difficile non soccombere alla nostalgia. Il suo passato tornava in forze, come se qualcuno stesse sfogliando, proprio davanti a lei, le pagine di un libro molto familiare.
Poteva già vedere con gli occhi della mente la grande vecchia villa di June, con le sue guglie e le sue grandi finestre. Rivide il mare, che le sembrava così vasto e tremendamente profondo quando era bambina.
Poteva raffigurarsi così bene quella casa perché era stata, dopo tutto, l'ispirazione del suo sogno ad occhi aperti di aprire un bed-and-breakfast.
Erano due anni che non vedeva June ma, cavoli, le sarebbe proprio mancata.
Eppure, era onestamente un po' seccata dal fatto che l'immagine della vecchia villa prevalesse, nella sua memoria, persino sul ricordo di June. Sì, c'erano gli scones e il tè oolong, e le battute e gli incessanti scherzi che potevano continuare per settimane, ma era stata la casa il cuore di tutto. Marie rimaneva per ore nella biblioteca del salotto della zia mentre June e sua madre chiacchieravano bevendo un bicchiere di vino o di brandy. Poi si metteva a correre nei corridoi e sgattaiolava in terrazza.
Ridacchiò nuovamente, meravigliandosi di come la mente potesse reagire in modo strano alla morte di una persona cara.
Per lo meno il funerale si tiene a Port Bliss, pensò. Conoscendo June, avrà sicuramente avuto in mente un mucchio di ambientazioni bislacche per quest'evento.
Ovviamente, il pensiero del funerale era triste. Specialmente il funerale di zia June. Quella vecchia pellaccia aveva vissuto come se fosse immortale. Oltre a scherzare su razzi da lanciare e sul fare da modella per i truccatori delle pompe funebri, June aveva anche accennato a farsi ibernare criogenicamente. Parlava sempre di come Walt Disney e qualche giocatore di baseball fossero ibernati da qualche parte.
Man mano che si avvicinava a Port Bliss, Marie si rese conto che quella che sentiva non era nostalgia, o almeno, non esattamente. Non sapeva se esistesse una parola precisa per descrivere quella sensazione di tornare a casa in un posto che però non è mai stato esattamente casa tua. Eppure, era proprio quello che stava provando. Si immaginò che esistesse una parola giapponese per dirlo, perché i giapponesi hanno una parola per qualsiasi cosa.
Mentre i ricordi di zia June continuavano ad attraversarle la mente, un'altra cosa le accadde. Pensò che in qualche modo il tempismo dell'evento avesse un che di cosmico: forse zia June, ovunque si trovasse in quel momento, se la stava ridendo, sapendo che la sua morte aveva attutito il duro colpo del collasso di una relazione. June sarebbe stata proprio capace di fare una cosa del genere. Anzi, non faceva fatica a immaginare che la zia potesse mettersi a infestare l'appartamento di Chris per ripicca. Quel pensiero la fece sorridere.
Nel flusso di tutti quei ricordi, in qualche modo era arrivata al secondo ponte e lo aveva attraversato. Sulla sua destra si estendeva Port Bliss. Era quasi del tutto fuori dalla sua visuale, ma la configurazione era proprio come se la ricordava. A sinistra, molto in lontananza e perlopiù coperto dagli alberi, c'era il faro Boggie. I fari la avevano affascinata per un bel pezzo quando era piccola e aveva sempre pensato al faro Boggie come a una sorta di pietra miliare, quando veniva in visita con sua madre. La sua apparizione indicava che erano arrivate.
Marie ingoiò l'emozione quando raggiunse la fine del ponte. Percorse ancora 800 metri poi arrivò a un incrocio a T.
E lì, ecco finalmente Port Bliss.
Non ci veniva da almeno vent'anni, ma sembrava così familiare. L'unico grande cambiamento sembrava essere l'abbondanza di caffetterie e di negozi di prodotti alimentari biologici.
Tuttavia, alcune cose non erano affatto cambiate. La gelateria di Bruce era ancora al suo posto, all'angolo tra Main e Pine street. Le lettere sbiadite sulla vetrina le scaldarono il cuore e, in tutta onestà, le fecero venire voglia di un bel gelato al gusto Cappuccino Crunch. Anche la libreria Little Things era ancora attiva; un volantino affisso sulla vetrina promuoveva un firmacopie con un autore locale. Si chiese se il posto avesse anche lo stesso odore di un tempo, quello di vecchia carta immersa nel caramello.
Mentre superava queste viste familiari, Marie abbassò i finestrini e respirò profondamente. L'aria salmastra era un po' forte, ma piacevole. Quel sorriso indelebile le si allargò sulle guance, come da molto tempo nessun sorriso riusciva a fare.
Cercò altri punti di riferimento e luoghi simbolo di Port Bliss trovandoli ovunque: la vecchia ancora, collocata come statua all'ingresso dell'unico parco della cittadina; la concessionaria auto Ottoman, con la sua ridicola automobile mascotte disegnata sull'insegna al neon del parcheggio; il ristorante Lamplighter; e il Coastal Treasures, un pittoresco e un po' pacchiano negozio di souvenir.
Proprio come sapeva dove trovare queste attrazioni locali, sapeva anche dove fossero situati gli hotel. Ma non voleva ancora metterci piede. Prima di tutto doveva vedere la casa di zia June. Si sentiva attirata dalla villa come da una calamita, sin da quando aveva ricevuto la telefonata del vicesceriffo Miles.
Fu contenta di constatare che le sue mani e il suo cuore sapevano guidarla perfettamente, conducendo la sua piccola Saab verso il limitare della città. Si ritrovò su Crabapple Road, una strada non contrassegnata che continuava per circa 3 chilometri giù lungo la costa. A circa quattrocento metri, iniziava uno stretto e tortuoso vialetto, in parte asfaltato e in parte sterrato.
In fondo al vialetto, Marie poteva vedere la vecchia villa. Il graduale dislivello della strada faceva sì che la casa si stagliasse sul fondo, come se la sovrastasse. Aveva una bellezza maestosa e un po' gotica: ora, da adulta, le fu facile capire perché fosse così scontato per i bambini del posto pensare che la villa fosse infestata dai fantasmi.
L'oceano non era visibile, ma il tenue sbaffo pastello dell'orizzonte e il blu acceso del cielo sembravano prometterne la presenza sul retro della proprietà. Con le braccia leggermente tremanti, Marie svoltò nel vialetto d'accesso.
Mentre dall'altro lato del parabrezza la casa si faceva sempre più grande, le affiorarono in mente altri ricordi. Si ricordò che dormiva nella stanza per gli ospiti al piano superiore, con la zia June che le rimboccava le coperte dopo averle letto una delle sue strambe favole della buonanotte. Si ricordava persino delle tende della camera, sottili e viola, che proiettavano su ogni oggetto della stanza una strana sfumatura vinaccia, quando filtrava la luce del sole.
Si ricordò dell'enorme conchiglia nella toilette, collocata proprio sopra il gabinetto, e di come si mettesse ad ascoltare il ruggito del mare quando andava a fare le sue cose. Non riusciva a sentirlo molto bene, ma si ricordava che zia June le aveva detto che quando le conchiglie rimanevano troppo tempo lontane dall'oceano perdevano il loro legame con l'acqua e, per questo, non riuscivano più a ricordarsi il suono. Questa conchiglia in particolare, secondo sua zia, ogni tanto suonava “Blue Suede Shoes” di Elvis Presley, se si ascoltava attentamente.
Parcheggiò davanti alla casa e restò a fissarla. Eccola là, l'ispirazione per il suo bed-and-breakfast immaginario, e il fulcro di tutti i suoi più bei ricordi d'infanzia. Fu sul punto di uscire e camminare fino al portico, ma pensò che forse era spingere le cose un po' troppo oltre. Ignorava quali fossero le regole da seguire in questi casi, quando si trattava di proprietà, banche e anziane eccentriche signore da poco defunte.
Rimase seduta, ancorata in un sentimento tra gioia e tristezza. Tutto era come se lo ricordava. Era come se il tempo si fosse fermato da quando era stata lì l'ultima volta, una ventina d'anni prima. Aveva pensato di venire in visita quando aveva saputo che June era caduta e si era slogata una caviglia ma, giusto il tempo di organizzarsi, e quella era già guarita ed era partita per un viaggio a Stoccolma. Dopo questa visita mancata, l'unica volta che aveva visto la zia era stata due anni prima, quando June era venuta a trovarla a Providence, di passaggio durante un altro dei suoi viaggi. A parte queste occasioni, avevano soltanto parlato per telefono. C'erano state anche due goffe chiamate Skype in cui June aveva passato metà del tempo a frignare su quanto odiasse la tecnologia.
Tutto era rimasto così uguale che si sorprese a esaminare il cortile alla ricerca di gatti mutanti somiglianti a scoiattoli.
Non sapeva da quanto tempo fosse seduta lì. Fissò la casa, sentendo la sua influenza avvolgerla come un'ombra. Aveva qualcosa di vittoriano, con minuscole guglie e tetti conici. La facciata esterna era composta perlopiù di mattoni sbiaditi dal tempo, tra i quali crescevano ciuffi di muschio qua e là. Da così vicino, quell'effetto spettrale che impressionava così tanto i bambini del circondario svaniva. Da così vicino, anzi, la casa sembrava calda e invitante.
Fu solo quando riavviò l'auto e fece retromarcia che si rese conto di quanto quella casa le fosse mancata.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterci entrare di nuovo. Ma probabilmente, a meno di un miracolo, non sarebbe mai più successo. L'ultima volta che aveva parlato a June, le aveva accennato a come stesse cercando un'organizzazione di buona reputazione a cui donare la casa: forse un centro di riabilitazione, o magari una specie di pensione per animali dove le persone potevano portare i loro amici a quattro zampe quando avevano bisogno di partire per un lungo periodo.
Fossero venute da chiunque altro, Marie avrebbe dubitato di quelle idee. Ma, trattandosi di zia June, entrambe le possibilità sembravano essere assolutamente verosimili. Durante quella conversazione, l'ultima approfondita che avevano avuto, June sembrava alquanto ossessionata dall'idea di lasciare la casa in buone mani.
Quindi, a meno che i futuri proprietari, o, immaginava, il sovrintendente del patrimonio di zia June, le permettessero di entrare e dare una rapida sbirciatina di cinque minuti, era più che probabile che non avrebbe mai più messo piede in quella casa.
Dopo aver raggiunto Crabapple Road, uscendo dal vialetto d'accesso Marie gettò un ultimo sguardo alla casa dietro di sé. La luce del sole si riflesse su una delle finestre della facciata anteriore del vecchio maniero e, per un attimo, sembrò che la casa le stesse facendo l'occhiolino, come se avesse un segreto che si rifiutava di svelare.
Si chiedeva se la zia June si fosse lasciata alle spalle qualche segreto. Riservata com'era stata, la prospettiva era scoraggiante. Ma, con il funerale imminente, Marie non poteva fare a meno di pensare che magari avrebbe sentito uno di questi segreti dalle labbra di qualche sconosciuto… e questo avrebbe potuto alterare il suo ricordo di June.
***
“Che diavolo avete da guardare?”
Era così che iniziava l'ultimo messaggio di June Fortune al mondo.
Fulminò con lo sguardo le circa quaranta persone che si erano riunite attorno alla televisione a schermo piatto nell'aula multifunzionale della chiesa della comunità locale. Lentamente, sul viso di June si disegnò un sorriso, che si irradiò verso tutti coloro che erano venuti a rendere omaggio alla sua vita.
Ci furono diverse risatine soffocate. Poi le risate si fecero più nitide a mano a mano che June, nei venti minuti successivi, si prodigava a spiegare a tutti per quale motivo non dovessero piangere la sua dipartita ma, al contrario, celebrare la sua lunga vita. Disse che stava andando in un posto migliore (scherzando sul fatto che si sarebbe trovata benissimo a Montego Bay per trascorrerci l'eternità), e passò la maggior parte del tempo a fare battute su quanto lunga fosse stata la sua vita.
Quando il video finì, ci furono lacrime e risa a riempire la stanza. Era davvero quello il modo migliore per commemorare la prozia June. La donna aveva lasciato il mondo alle sue condizioni, nella sua casa, e aveva pronunciato un addio degno di uno spettacolo comico.
Marie non era estranea ai lutti. Suo padre era morto quando lei aveva vent'anni. Prima ancora, quando Marie era appena quattordicenne, sua madre era letteralmente svanita nel nulla. Marie aveva anche partecipato al funerale della nonna della sua migliore amica ai tempi delle superiori. Ma qualcosa del funerale della zia June e della veglia funebre sembrava surreale. Le persone come June sembravano non dover morire mai.
Il ricevimento fu organizzato nel centro ricreativo della comunità locale, in una piccola sala che affacciava sull'oceano. Si radunarono tutti sul patio posteriore. Ci fu molto vino e moltissimi dolci. L'impianto stereo suonava musica swing degli anni '40 e '50. Marie provò a passare un momento gradevole, ma le improvvise interruzioni da parte di persone di cui si ricordava a malapena o che non conosceva affatto resero il tutto difficile. Non partecipò alle conversazioni, ma sorrideva e annuiva quando le sembrava appropriato.
“Che pazza, June,” le disse un anziano signore con gli occhi lucidi. “Ma pazza in senso buono, capisci cosa intendo?”
“Sinceramente, pensavo che non sarebbe mai morta,” aggiunse una robusta signora sulla cinquantina. “Era proprio una donna scoppiettante!”
“A proposito di far scoppiare cose, sa che ha seriamente accarezzato l'idea di farsi cremare e di far esplodere le proprie ceneri con dei fuochi d'artificio?”
“Vorrei dire che non ci credo, ma sembra proprio una delle cose che avrebbe fatto!”
Marie fu felice di sentire le persone condividere storie su sua zia. Era chiaro invece che quasi nessuno sapeva chi fosse lei. Alcune persone, infatti, le si avvicinarono e le chiesero come conoscesse June. A quanto pareva, “era la mia prozia” non era una risposta così interessante, dato che non faceva avanzare granché la conversazione.
Marie vagò verso l'estremità del patio, dove c'era meno traffico di persone e una vista spettacolare sull'oceano. Continuò ad ascoltare ancora altri racconti e storie su June. Che fossero storie vere o meno non le importava molto. Era comunque bello sapere che la zia June aveva lasciato un retaggio di questo tipo in una piccola città come Port Bliss.
“Ho sentito dire che una volta ha infilato un biglietto da cinque dollari dentro tutti i libri di Sue Grafton in stock alla libreria Little Things, sia quelli nuovi sia quelli usati.”
“Lo sa che ogni volta che un venditore porta a porta bussava alla sua porta lei si comportava come se fosse posseduta da un fantasma o un demone?”
“Ah! Con quella casa, è facile da credere. Sa che si dice in giro che è infestata, vero?”
“Fantasmi di naufraghi, ho sentito dire.”
E giù altre risate.
Marie guardava l'oceano e trovava piacevole sentire quelle risa. La casa si trovava a due chilometri e mezzo di distanza, proprio in fondo alla costa. Pensò che avrebbe dovuto socializzare un po' di più se voleva trovare il modo di entrarci di nuovo. Pensò che sarebbe stato un bel modo di recuperare energie prima di tornare nel mondo reale e affrontare il fatto che era rimasta senza lavoro e senza un ragazzo.
Ma le era difficile distogliere lo sguardo dall'oceano. Per un momento le sembrò che la stesse chiamando, che le stesse chiedendo di rimanere ancora un po'. Mentre lo fissava si chiese, e non era la prima volta, come sarebbe stato crescere lì. Dopo la morte di suo padre, zia June l'aveva invitata a rimanere con lei fino a che non si fosse rimessa in sesto. Marie non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe cambiata la sua vita se avesse accettato. A quei tempi, aveva pensato che fosse solo una proposta educata e gentile, ma dopo aver ascoltato il videomessaggio che June aveva lasciato si rese conto che aveva ignorato quanto davvero sua zia fosse spontanea e intrepida.
Sì, avrebbe assolutamente potuto vivere a Port Bliss. Sarebbe stato un po' come chiudere un cerchio.
Certo, era disoccupata e aveva poco meno di undicimila dollari di risparmi. Non voleva nemmeno provare a indovinare quanto costasse lì l'affitto. Ma la parte più coraggiosa di lei pensava che avrebbe potuto trovare un lavoro e magari ricominciare tutto daccapo qui. L'ombra del maniero di zia June sempre sopra di lei l'avrebbe certamente aiutata a trovare la motivazione.
Non doveva essere poi così difficile trovare un lavoro decente in un posto come Port Bliss, giusto?
Era un pensiero allettante, così allettante che la spinse a muoversi, nella speranza che qualcuno le potesse indicare dove trovare il rappresentante legale di June. Guarda caso, non dovette cercare troppo a lungo. Mentre stava tornando all'interno del centro ricreativo, una voce la fermò.
“Mi scusi, signora?”
Sulle prime pensò che si trattasse dell'ennesima persona che voleva chiederle come avesse conosciuto June. Si voltò e alle sue spalle vide un uomo che si teneva a rispettosa distanza. Indossava un completo dall'aria costosa, ma niente di troppo appariscente, date le circostanze. I suoi capelli, che iniziavano a ingrigire all'altezza delle tempie, erano pettinati all'indietro. Portava con sé una valigetta.
“Sì?” chiese Marie.
“Lei è Marie, giusto? Marie Fortune?”
“In persona,” confermò lei. Pensò si trattasse di uno degli amici di June che si ricordavano di lei dalle sue visite di quand'era bambina. “E lei è?”
“Mi chiamo Malcolm Carey. Sono il legale di sua zia June.”
“Oh. C'è qualcosa che non va?”
“No, niente affatto. Detesto doverla fermare qui e adesso, data la situazione. Ad alcuni potrebbe sembrare non professionale. Ma non ero sicuro di quanto a lungo si trattenesse a Port Bliss ed è importante che le parli. È un buon momento adesso?”
“Uno vale l'altro, direi.”
“Forse è meglio andare nel parcheggio qui fuori,” suggerì Carey. “Preferirei non dover trattare la questione alla presenza di tutti.”
Uscirono nel parcheggio e si sedettero su una panchina giusto accanto alle scale d'ingresso. Carey aprì la valigetta e ne estrasse diversi moduli e una massiccia pila di documenti.
“Sono sicuro che lei sappia,” iniziò Carey, “che June non aveva familiari qui nei dintorni. Da quello che capisco, l'unico contatto che la polizia ha potuto trovare sulla scena è stato il suo numero di telefono sul frigorifero.”
“Beh, sì, il resto della mia famiglia è eccentrico tanto quanto la zia June.”
“Considerata quest'informazione, suppongo che abbia senso che il suo nome appaia diverse volte nel testamento.”
“Davvero?” Non ci aveva mai neppure pensato.
“Sì, proprio così,” disse Carey. Sorrise di proposito e lanciò uno sguardo ai documenti. “Difatti, le ha lasciato qualcosa di molto speciale.”