Читать книгу Una Amore Cosi’ Grande - Sophie Love, Софи Лав - Страница 10
CAPITOLO CINQUE
ОглавлениеKeira era al settimo cielo per la gioia mentre tornava a casa di Bryn dopo il lavoro, quella sera. Sua sorella non era ancora nell’appartamento, quindi non c’era nessuno a cui potesse raccontare le novità. Piuttosto, si infilò sotto il letto di Bryn alla ricerca della sua fidata borsa da viaggio, sorpresa della propria felicità all’idea di fare di nuovo le valigie. Era stata certa al cento per cento di non volerlo fare più, e invece eccola lì, entusiasta di viaggiare all’estero per lavoro ancora una volta.
Il suo telefono squillò per l’arrivo di un messaggio, e lei lo controllò, scoprendo che era di sua madre.
Che differenza c’è tra un cortado e un flat white?
Rise e chiamò il numero di Mallory. Non appena la madre rispose, iniziò a parlare di caffè, presumendo chiaramente che fosse quello il motivo della chiamata di Keira.
“Voglio dire, è solo la grandezza della tazza? Deve esserci qualcosa di più, no?” rifletté ad alta voce.
“Mamma, vado di nuovo all’estero,” disse Keira, senza prestare attenzione alla conversazione sul caffè.
“Davvero?” domandò Mallory, sembrando sorpresa. “Ma pensavo che avessi deciso di smettere con gli articoli della Guru del Romanticismo.”
“Era così,” spiegò Keira, sedendosi sul bordo del letto di Bryn con un breve sospiro. “Ma questo è diverso.”
“In che senso?”
“Il punto dell’articolo è che non mi devo innamorare di un ripiego questa volta. Voglio dire, è esattamente quello che mi serve, non credi? Un’occasione per lavorare su me stessa. Di stare da sola. Sto con un uomo o l’altro da troppo tempo, ormai.”
“Quando parti?”
“Domani. Tipico del Viatorum, non darmi più di un giorno di preavviso.”
Ci fu una breve pausa. “Beh, sono contenta per te, cara,” disse alla fine Mallory.
Keira colse nettamente un tono stranito nella sua voce. “Che c’è?”
“Niente,” protestò Mallory. “Ho solo detto che sono felice per te.”
“Sta per arrivare un ma…” disse Keira.
“No, invece no.”
“Sì, invece sì. Mamma, sono tua figlia da ventotto anni. Lo so quando stai per dire ma.”
Mallory sospirò. “Va bene. Stavo per dire: ‘Ma dove sarai per Natale?’”
“Ooh,” esclamò Keira, sollevata. Aveva temuto che la madre volesse farle qualche commento sul fatto che avrebbe potuto fallire l’incarico, che era destinata a innamorarsi dell’uomo sbagliato, che non si sarebbe mai sposata, non l’avrebbe mai resa nonna, e tutti quei discorsi lì. Con una risatina, la rassicurò: “Tornerò in tempo per il Natale.”
“Quindi questa volta è un viaggio breve?”
“Poco più di due settimane. Non hai niente di cui preoccuparti. Sarò presente alla Vigilia di Natale come sempre.”
“Bene,” rispose la madre. “Quindi tornando alla mia domanda. Quale è la differenza tra un cortado e un flat white?”
Keira scoppia a ridere. “Ciao, mamma. Ti voglio bene.”
Chiuse la chiamata e tornò a riempire la sua valigia. Vi impilò dentro i suoi vestiti più caldi, i maglioni e qualche sciarpa, delle calze particolarmente grosse e i leggings imbottiti. Poi aggiunse la sua borsa dei trucchi, i saponi, degli stivali impermeabili e una scorta di taccuini e penne.
A quel punto la porta si aprì, e udì sua sorella che gridava: “Sono a casa!”
Keira balzò in piedi e le corse incontro.
“Indovina un po’?” esclamò, mentre Bryn gettava le chiavi nella ciotola accanto alla porta e si sfilava le scarpe.
La sorella alzò lo sguardo. “Che cosa?”
“Vado in Scandinavia! Con una crociera!”
Bryn sgranò gli occhi. “Davvero? Wow! È fantastico.”
“E non mi devo neanche innamorare di nessuno.”
“Oh, bene. È esattamente quello che ti serve.”
Sembrava genuinamente felice per Keira, e ancora una volta lei vide un lato più maturo della sorella, come se gli spigoli della sua competitività avessero iniziato a smussarsi.
“E l’appartamento?” chiese Bryn. “Non dovresti firmare un contratto da firmare prima di andare?”
“Hai ragione,” disse Keira, mentre la realtà riprendeva il sopravvento sulla fantasia. “Dovrò chiamare l’agente immobiliare per mettermi d’accordo.”
Andò in camera da letto a prendere il cellulare, poi chiamò il numero. L’agente immobiliare rispose con la sua roca voce da fumatrice e Keira immaginò immediatamente col pensiero al suo tailleur rosa fucsia.
“Ecco, stavo giusto per chiamarla,” disse la donna. “Deve prendere appuntamento per venire a firmare il contratto.”
Keira scoppiò a ridere. “È esattamente il motivo per cui le sto telefonando. Devo andare all’estero per lavoro, per quindici giorni. Quindi devo firmare i documenti prima di partire, o dovranno aspettare che io ritorni.”
L’agente sospirò rumorosamente. “Così mi uccidi. Mi stai dicendo che devo lasciare tutto quello che sto facendo a metà per sbrigarti la burocrazia? Di solito mi serve almeno una settimana.”
Il cuore di Keira le piombò in fondo allo stomaco. Si sentiva malissimo ad avanzare pretese, ma allo stesso tempo l’agente si stava comportando piuttosto maleducatamente, dando l’impressione che la sua semplice richiesta fosse inaccettabile. “Forse sarebbe più semplice aspettare il mio ritorno, in questo caso?” suggerì. Poi aggiunse, con tono vagamente sarcastico: “Non vorrei certo che si stressasse troppo.”
“Posso parlare con il padrone di casa,” rispose la donna con un altro lungo sospiro. “Vedere che ne pensa. Ma so che voleva concludere in fretta e se lei si sta tirando indietro…”
La frustrazione di Keira crebbe. “Posso venire lì subito a firmare il contratto. Ma lei ha detto che le serve una settimana per prepararlo. Però quindici giorni sarebbero troppi? Mi sembra che abbia un’agenda inflessibile.”
Non appena ebbe finito di parlare, Keira rimase sbalordita dalla propria reazione. Non le capitava spesso di essere tanto diretta. Ma se fosse andato tutto a monte, quante erano le possibilità che trovasse un altro appartamento come quello? L’unico motivo per cui sarebbe riuscita a permettersi l’affitto era proprio la minuscola camera da letto. Di certo c’erano altre persone che avrebbero colto al volo l’occasione mentre lei era via! Perderlo sarebbe stato uno scherzo del destino troppo crudele.
“Va bene,” rispose l’agente. “Farò le corse per preparare tutto in tempo per il suo viaggio all’estero.” Aveva la voce carica di sdegno.
Tra i denti digrignati, Keira borbottò: “Grazie.”
Chiuse la chiamata, innervosita da quella conversazione, e solo allora divenne acutamente consapevole delle voci che provenivano dal soggiorno. C’era qualcuno. Sbirciò fuori dalla porta della camera da letto.
Keira rimase a bocca aperta. Là, in piedi nella cucina della sorella, c’era Zach. Aveva ancora il naso bendato, dove Cristiano glielo aveva rotto, e sotto i suoi occhi si vedevano i lividi quasi scoloriti del tutto.
Bryn, a braccia incrociate, lo stava fissando in cagnesco, con la sua più feroce espressione da sorella iper-protettiva.
“Non ti vorrà vedere,” la udì dire Keira.
In quel momento la porta della camera da letto cigolò, e Zach e Bryn spostarono lo sguardo verso di lei. Con riluttanza, Keira li raggiunse in soggiorno.
“Zach,” disse, imbarazzata. “Che cosa ci fai qui?”
Lui sorrise alla sua vista, anche se i suoi lineamenti erano per lo più coperti dalle bende. “Che fai, non mi abbracci?”
Keira si immobilizzò. Non ci sarebbero stati di certo abbracci per il suo ex-fidanzato, specialmente dopo lo scherzetto che le aveva giocato in Francia e la cattiveria nel negarle il suo denaro. Bryn roteò gli occhi sdegnata.
Zachary lasciò cadere le braccia. “Giusto,” disse rigido. “Ascolta, non voglio rubarti troppo tempo. Sono venuto solo per darti questo.”
Keira lo osservò mentre si sfilava qualcosa dalla tasca. Un foglio di carta, delle stesse dimensioni e forma di un assegno. Ma non aveva intenzione di permettersi di credere che lo fosse. Zach glielo tese.
“Che cosa è?” domandò Keira, ancora incredula.
“La tua metà della caparra,” spiegò lui. Poi sospirò, con aria un po’ stanca. “Senti, ho parlato con mio cugino, gli ho detto che non era giusto tenersi i tuoi soldi. Quindi ha accettato di restituirti la tua parte.”
“Davvero?” insistette lei, sollevando le sopracciglia. Alla fine prese il pezzo di carta e lo voltò tra le mani per vederlo a faccia in su. Era veramente la sua metà della caparra. Alzò di nuovo lo sguardo su Zach. “Wow. Grazie. Lo apprezzo molto.”
Bryn sbuffò. Era ovvio che pensava che la sorella fosse troppo gentile con Zach. Keira stessa sapeva che era così. Ma era solo il suo modo di fare. Non era da lei serbare rancore. Non aveva senso continuare a farlo, una volta che un torto era stato corretto. Solo un sacco di energie sprecate. Come Bryn e Maxine; non avevano la minima idea di come fosse iniziata la loro inimicizia, ma nessuna delle due aveva intenzione di lasciar perdere.
“Volevo anche dirti che mi dispiace,” continuò Zach. “So che quello che è successo in Francia è stato una follia. Ho parlato con mia madre, con Ruth e mia cugina, con Shelby e David e il mio psicologo, e c’è il consenso unanime che mi sia comportato come uno squilibrato.” Sorrise imbarazzato. “Mi dispiace molto se ti ho fatto paura.”
“Okay,” rispose Keira. “Apprezzo che tu me lo abbia detto. E il naso, a me spiace molto per quello.”
“Dio, me lo sono meritato!” rise Zach. “Se qualcuno si fosse comportato come me mentre eri la mia ragazza, avrei reagito nella stessa maniera. Spero solo che guarisca bene. Mi darebbe personalità.”
“Sono certa di sì,” ammise Keira, sorridendo con timidezza.
Bryn emise un altro verso disgustato dal fondo della gola. Strinse ancora di più le braccia al petto.
“Avete finito adesso?” chiese freddamente. “Abbiamo delle faccende da sbrigare.”
Zach spostò lo sguardo da Keira e Bryn. “Quasi,” disse. “Però potremmo avere un po’ di privacy? Poi mi leverò di torno.”
Bryn guardò Keira. Una delle sue sopracciglia era sollevata. Aveva le labbra strette. Tutto nel suo atteggiamento gridava non cascare nei suoi trucchetti. Ma alla fine cedette, dirigendosi verso la camera da letto e chiudendo la porta.
Keira guardò Zach. “Quindi?”
“Quindi….” iniziò lui. Tamburellò le dita sul bancone della cucina. Qualsiasi cosa dovesse dirle non doveva essere semplice. “Keira, lo so che sono stato uno stronzo.”
Keira si morse la lingua, anche se in realtà avrebbe voluto gridare: “Alla fine lo ammetti!”
“E… il fatto è… che mi sono comportato in quella maniera perché tengo troppo a te.” La fissò, con occhi profondamente addolorati. “Quando ti ho dato quell’ultimatum non pensavo assolutamente che avresti scelto il tuo lavoro.”
Keira ricordò con angoscia il malinteso che aveva portato alla fine della relazione tra lei e Zach. Non aveva creduto che lui avrebbe dato seguito alla minaccia di lasciarla, ma andare a letto con la damigella d’onore di sua sorella era stato il colpo di grazia della loro storia.
“E io non pensavo che saresti andato a letto con la prima donna che passava,” rispose seccamente Keira.
“Lo so, lo so,” disse lui, distogliendo lo sguardo ed emettendo un sospiro triste. “Stavo male. È tutto quello che posso dire. Ero così disperato all’idea che stessi mettendo qualcos’altro davanti a me che ho voluto fare qualcosa per punirti, per mettere i miei bisogni davanti a te. È stato… beh, è stato un modo orrendo di trattarti.”
Keira si limitò a borbottare il suo assenso. Di lì a pochi giorni, una volta tornata alla normalità, sarebbe stata grata per le scuse di Zach, ma in quel momento le stavano risvegliando tutta una serie di sentimenti che non aveva il tempo di esaminare.
“Okay, beh, grazie, suppongo,” disse alla fine. “Ma, come ha detto Bryn, abbiamo delle faccende da sbrigare.”
“Certo,” replicò Zach, guardando verso la porta della camera da letto che era appena stata socchiusa. Riportò lo sguardo su Keira e sbottò all’improvviso: “Puoi darmi un’altra possibilità?”
Keira alzò di scatto le sopracciglia. “Come?”
“Ti prego,” disse Zach. “Non vorrei supplicare, ma lo farò. Lo so che non ti merito, specialmente dopo il modo in cui mi sono comportato. Ma ho dato di matto perché io ti amo. Ora riesco a capirlo.”
La donna era sbalordita. Nei due anni che lei e Zach erano stati insieme, l’amore non aveva mai fatto parte dei loro discorsi. Erano stati amici, partner e compagni, certo, ma davvero innamorati? Non ne era certa. Non lo avevano mai detto, non avevano mai sentito la necessità di pronunciare quelle parole. Sentirle dire in quel momento la toccò nel profondo.
“Zach…” iniziò lei. “È molto dolce da parte tua. Ma… non posso. Mi dispiace.”
Vide il suo petto sgonfiarsi come un palloncino, privato di tutta la speranza da quelle parole.
“Ho mandato tutto all’aria, vero?” disse Zach, con tono depresso.
Lei scosse la testa. “Non è questo. Ne ho passate parecchie negli ultimi mesi. Sono cresciuta, ho imparato e sono cambiata. Ora so cosa voglio.”
“E non sono io,” concluse Zach al posto suo.
Keira annuì tristemente. “Mi dispiace. Ma no, non sei tu.”
“Quindi non funzionerà nessuna supplica per il tuo perdono?” chiese Zach.
“No,” disse Keira, dolcemente ma con fermezza. “Non servirebbe. Non è una questione di perdono o meno. È solo che… non ti voglio in quel senso. Ma possiamo essere amici.”
“Certo,” replicò Zach, fissando i propri piedi. “Possiamo essere amici.”
Keira accompagnò l’uomo sconsolato fuori da casa di Bryn. L’autocommiserazione di certo non lo avrebbe aiutato. Sperava che si sarebbe ripreso in fretta, e che avrebbe capito che non aveva rovinato tutto, ma semplicemente non erano giusti l’uno per l’altra, e che da qualche parte là fuori c’era la donna che faceva per lui.
Non appena ebbe richiuso la porta, Bryn emerse dalla camera da letto.
“Sorellina!” esclamò, alzando una mano per batterle il cinque. “È stato fantastico!”
Keira si sentì sollevare gli angoli delle labbra in un sorriso. Batté la mano di Bryn. “Davvero?”
“Sì! Gli hai tenuto testa alla grande.” Bryn le mise una braccio attorno alle spalle. “Andrai benissimo con questo incarico, so che sarà così.”
Keira sorrise, piena di forza e determinazione. Bryn aveva ragione. Quell’articolo sarebbe stato un successo.