Читать книгу Una Amore Cosi’ Grande - Sophie Love, Софи Лав - Страница 7
CAPITOLO DUE
ОглавлениеQuando Keira si svegliò il giorno seguente, fu assalita da un senso di mortificazione. I ricordi della festa le tornarono alla mente tutti insieme, dagli shot di tequila con gli amici e la sgradevole esperienza del bacio di Rob, fino al drink che lei gli aveva gettato in faccia. Ma non era quella la parte peggiore. La parte peggiore era stato il messaggio a Cristiano.
Sollevò le coperte, rimanendovi impigliata nella fretta di trovare il cellulare e finendo per cadere sul sedere. Stesa sul duro pavimento emise un gemito e allungò una mano sul tavolino da caffè, trovando il telefono.
Non appena ebbe il cellulare in mano, ebbe paura di controllare. Esitò, con il pollice sospeso sopra il pulsante d’avvio, ma poi riuscì a mettere un freno alla sua ansia e a pigiarlo.
Immediatamente vide che c’erano diverse notifiche di messaggi ricevuti. Le balzò il cuore in gola. Ce ne poteva essere anche uno di Cristiano? Cliccò sull’icona dell’app.
Il primo messaggio era di Maxine, che le chiedeva se stava bene. Il seguente, sempre di Maxine, insisteva di farle sapere se era arrivata a casa sana e salva. Poi ce n’erano diversi di Shelby, parole sconnesse scritte come in un flusso di coscienza, un altro di Maxine di quella mattina presto che l’avvertiva che se non si fosse fatta viva per mezzogiorno avrebbe chiamato la polizia, e alla fine uno di sua madre che le chiedeva se aveva mai provato il latte di cocco nel latte macchiato. Ma niente da Cristiano. Si sentì lo stomaco sotto i piedi e la delusione le sbocciò nel petto. Ma una nuova sensazione prese rapidamente il sopravvento: il sollievo. Lei aveva fatto il primo passo, aveva rotto il muro di silenzio tra di loro, e Cristiano aveva scelto di non comunicare. Almeno adesso sapeva come stavano le cose. Non aveva più bisogno di domandarselo. Per quanto la consapevolezza che la loro relazione era definitivamente finita fosse dolorosa, era grata di quella certezza.
Rilesse i messaggi di Maxine, non più distratta dal pensiero di Cristiano e in grado di prestargli l’attenzione che meritavano.
Stai bene, tesoro? Mi dispiace così tanto per Rob! Che stronzo. Ti conosco abbastanza bene da sapere che di certo sarai in imbarazzo per questa faccenda, ma in questo momento sei letteralmente la mia eroina.
Lei sorrise tra sé e sé, e poco alla volta la sua mortificazione per aver fatto una sceneggiata svanì. Le scrisse una risposta.
Scusa se non ti ho più risposto. Devo essermi addormentata non appena sono arrivata a casa. Certo che sono imbarazzata, ma almeno tu sei orgogliosa di me.
Inviò il messaggio e fece per mettere da parte il cellulare, poi ripensandoci mandò una risposta a sua madre, Mallory. Sì, e ci sta benissimo.
Udì il suono di una chiave nella toppa della porta e sobbalzò per la sorpresa. Voltandosi per guardarsi alle spalle, vide Bryn che entrava nell’appartamento, abbigliata con un completo sportivo, le guance rosa, la fronte sudata e un ampio sorriso sulle labbra. Keira si accorse che non era da sola, con lei c’era Felix. Per essere un uomo di una certa età, in tenuta da palestra faceva la sua figura. Ricordava un modello per le pubblicità di tinte per capelli, nella versione prima del trattamento.
“Ti sei svegliata,” disse Bryn con un sorriso. “Come è stata la festa?”
“Avrebbe potuto andare meglio,” borbottò in risposta Keira. “Dove siete stati voi due?”
Bryn si diresse al lavandino per riempire la bottiglietta d’acqua vuota. Fu Felix a rispondere alla sua domanda.
“Siamo solo andati a fare una corsetta,” spiegò.
Keira dovette impedirsi di sbottare: “Alla tua età?” Riuscì a censurarsi e domandò: “A quest’ora del mattino?”
“È il momento migliore per farlo,” rispose lui. Sollevò una gamba per appoggiarla a uno degli sgabelli della cucina e allungarsi a toccarsi le dita dei piedi.
Era più in forma di Keira, quello era evidente. Lei aveva lasciato che quella parte della sua vita andasse a scatafascio e il suo giro vita ne stava subendo le conseguenze. Bere e mangiare a piacimento andava bene finché si arrampicava su per le colline in Italia, ma ora che i suoi pomeriggi consistevano in maratone televisive e montagne di pretzel, non era più tanto una buona idea. Si tastò lo stomaco. Era decisamente più morbido di quanto non fosse stato in passato. Avrebbe dovuto fare qualcosa e in fretta.
Bryn si voltò dal lavandino e bevve una sorsata dalla bottiglia. “Hai sentito la mamma?”
“Solo un messaggio strano sui cappuccini al latte di cocco,” rispose Keira.
Bryn scoppiò a ridere. “Chissà dove ha la testa. Avrebbe dovuto parlarti della cena di stasera.”
“Oh,” replicò Keira.
“Beh?” insistette la sorella. “Che ne dici? Una serata tra le donne Swanson?”
“Felix non è invitato?” domandò Keira, incuriosita. Sua madre sembrava adorare Felix; o quello oppure era estremamente sollevata dal fatto che finalmente Bryn avesse una relazione stabile.
Felix passò a fare stretching all’altra gamba. Lanciò un’occhiata a Keira, con le mani tese a stringersi l’alluce sotto le scarpe da ginnastica. “Stasera ho da fare con la mia famiglia. È l’anniversario di matrimonio dei miei genitori.”
Ancora una volta, Keira dovette mordersi la lingua per evitare di rispondere qualcosa di scortese. Ma era davvero sorpresa che i genitori di Felix fossero vivi e vegeti. Dovevano avere più di ottant’anni, la stessa età che avrebbero avuto i nonni di Keira se fossero stati vivi.
“È fantastico,” riuscì a commentare.
“Che cosa devo dire alla mamma?” chiese Bryn.
“Dille che va bene,” rispose lei.
Forse farsi viziare un po’ l’avrebbe aiutata a liberarsi della depressione. Non c’era niente al mondo come le sdolcinatezze di Mallory per ricordarle quanto tenesse alla sua indipendenza.
Bryn e Felix si scambiarono un cenno con il capo e si diressero verso la porta.
“E voi dove andate?” chiese loro.
“Altri cinque chilometri di corsa,” rispose Bryn.
“Dieci chilometri prima di colazione è sempre stato il mio motto,” aggiunse Felix.
La salutarono e uscirono rapidamente. Keira rimase a guardare la porta sbattendo le palpebre. Come faceva quell’uomo a essere tanto in forma, per di più a sessant’anni suonati? Si chiese quanto ci volesse per imparare a correre dieci chilometri e si rese conto che non doveva servire poi così tanto tempo. Di certo meno di un anno. Per quel che ne sapeva lei, Felix aveva iniziato i suoi allenamenti fisici il giorno del suo sessantesimo compleanno. Non era mai troppo tardi per un cambiamento.
Capì, tutto a un tratto, che doveva smettere di stare con le mani in mano ad auto-compatirsi. Improvvisamente motivata, prese la sua borsa di lavoro e tirò fuori il taccuino. Buttò giù rapidamente una lista di tutte le cose che doveva cambiare della sua vita, incluso perdere qualche chilo e rifarsi la tinta ai capelli. Studiò la lista e si accorse che c’era un cambiamento fondamentale da fare se voleva rimettere in sesto la sua vita, ed era trovare un appartamento tutto per sé. Più tempo passava a dormire sul divano di Bryn, e più le sembrava complicato persino immaginarsi indipendente e di nuovo autonoma.
Prese il portatile e andò sul un sito di un agenzia immobiliare. Erano almeno un paio d’anni che non controllava più i prezzi delle case in vendita, avendo vissuto con Zach tanto a lungo, e le cifre le fecero venire da piangere. Ma se metteva insieme i suoi bonus a lavoro con le diverse migliaia di dollari che aveva risparmiato non dovendo pagare l'affitto e nemmeno il suo cibo negli ultimi mesi, avrebbe potuto racimolare abbastanza da potersi permettere la caparra. Sulla carta sembrava una scelta sicura, dato che aveva un lavoro stabile con uno stipendio decente. Iniziò a intravedere la prima scintilla di speranza dopo giorni.
Scorse tutti gli appartamenti, alla ricerca di uno in affitto che fosse nel suo budget. La maggior parte sembrava un po’ malconcia, ma le piaceva il fai-da-te e non aveva problemi a prendere una casa da ristrutturare. Voleva solo qualcosa tutto per sé, un posto da poter chiamare casa dopo aver passato lunghe settimane in stanze d’albergo.
Alla fine, fu colpita da uno in particolare. Un appartamento con una camera da letto e un bagno più a ovest di Manhattan rispetto a dove si muoveva di solito. Dalle foto sembrava il classico appartamento in cui un divorziato triste si sarebbe trasferito per ridurre le spese, ma Keira riuscì a vedere oltre l’arredamento scialbo e trascurato. Le finestre erano enormi, i soffitti alti. Senza i tappeti grigi sarebbe apparso ancora più spazioso. Nel seminterrato dell’edificio c’era una lavanderia, ed era a meno di due chilometri dalla stazione della metropolitana.
Sembrava destino.
Keira prese il telefono e fece il numero dell’agenzia immobiliare. Dopo qualche squillo, le rispose una voce roca, il raschio di una donna anziana con un vizio del fumo di decenni.
“Chiamo per l’appartamento sul vostro sito,” disse, spiegando all’anziana signora a quale fosse interessata nello specifico.
“Oh, sì, quello è una meraviglia,” rispose la donna. “Una zona fantastica. Quanto è alta lei?”
Keira fu presa in contropiede dalla domanda. “Perché?”
“Perché gli ultimi due tizi a cui l’ho mostrato erano grossi come giocatori di pallacanestro e volevano più spazio. Una perdita di tempo per tutti. E il tempo è denaro, ragazza. Quindi? Quanto è alta?”
“Un metro e cinquantasette,” disse Keira.
“Perfetto,” gracchiò la donna. “Quando vuole dare un’occhiata?”
Keira pensò al suo lavoro, agli straordinari che spesso doveva fare al Viatorum. “Nel weekend sarebbe meglio.”
“Che cosa fa oggi?” fu la risposta dell’agente. “Mi hanno cancellato un appuntamento quindi potrei avere del tempo per lei.”
“Oggi?” ripeté Keira, sorpresa. D’altra parte non aveva altro da fare. “Okay, sì. Oggi va bene!”
Presero gli accordi necessari e Keira chiuse la chiamata, sentendosi un po’ frastornata per la velocità in cui era successo tutto. Sembrava davvero che fosse destino.
*
Keira uscì dalla metropolitana, ritrovandosi in una zona sconosciuta ma piuttosto gradevole di New York. Era una delle cose che amava di più di quella città, il modo in cui cambiava, si evolveva, e si sviluppava tanto costantemente da reinventarsi di continuo. Fino a poco tempo prima quell’area doveva essere stata un po’ degradata e ancora la gente non si era accorta del mutamento, perché altrimenti le sarebbe stato impossibile permettersi l’affitto in un posto del genere!
Si affrettò lungo il marciapiede, controllando i numeri della porte man mano che avanzava, alla ricerca del palazzo giusto. Mentre si avvicinava al numero corretto, notò una donna davanti a sé, vestita con un tailleur rosa fucsia e scarpe con il tacco dello stesso colore, che fumava una sigaretta. Doveva essere l’agente immobiliare con cui aveva parlato a telefono.
La donna si voltò, avendo udito il suono dei passi di Keira, e gettò la sigaretta a terra. La spense con la punta della scarpa e si diresse verso la porta, facendole cenno di seguirla, dopo aver soffiato il fumo da una lato della bocca.
“Entriamo,” le disse prima ancora che si fosse avvicinata. “Mi sto gelando le chiappe qui fuori.”
Keira batté le palpebre sorpresa per la velocità con cui quella situazione continuava a evolversi. Senza nemmeno uno scambio di presentazioni, seguì la donna dentro l’edificio.
All’interno era squallido come si era aspettata, ma le scale erano tutte intere e l’ascensore non puzzava. Salirono al tredicesimo piano e Keira fu lieta di vedere che non c’erano graffiti da nessuna parte del corridoio in cui si fermarono.
L’agente immobiliare infilò una chiave nella toppa di una semplice porta bianca e aprì.
Ne emerse un tanfo di polvere. Sembrava che nessuno avesse più passato l’aspirapolvere in quell’appartamento da anni. Entrarono.
“Il proprietario ha vissuto qui per un po’, prima di trasferirsi in un altro posto e di mettere questo in affitto. È uno scapolo,” raccontò l’agente, passando le dita sulla balaustra e sollevando la polvere. “Probabilmente lo aveva già intuito.”
Ma a Keira non importava dello sporco. Non le importava nemmeno quanto sembrasse più piccolo l’appartamento dal vivo rispetto alle foto, o che la carta da parati fosse macchiata di impronte di mani. Riusciva a vedere al di là di tutto quello. Per lei l’appartamento significava la libertà, l’indipendenza, l’inizio di una nuova vita. Una nuova partenza. Un’ancora di salvezza.
“Lo adoro!” esclamò, battendo le mani.
L’agente non sembrò colpita dal suo entusiasmo. “Bene,” rispose semplicemente. “La camera da letto è per di qua. È il motivo per cui è così economico. Non c’è abbastanza spazio per un matrimoniale come si deve, solo per un letto da una piazza e mezzo. Ma lei è bassa quindi non avrà problemi.”
Keira sbirciò nella camera da letto. In effetti era poco più di un ripostiglio, ma tanto le serviva solo come posto dove dormire. Non era come se avesse un partner con cui condividere il letto, sarebbe stata lei da sola. Lei e magari un gatto…
“Per me è grande abbastanza,” replicò. “Non ho ancora un letto quindi si tratterà solo di trovarne uno che ci stia.”
L’agente immobiliare annuì con l’ormai familiare atteggiamento disinteressato. “Fantastico. Lo vuole prendere in affitto?”
A Keira serviva un momento per riflettere. Stava succedendo tutto troppo in fretta. Uscì dalla camera da letto per tornare in soggiorno e si avvicinò a una delle grandi finestre, per ammirare il panorama. Da lì riusciva a vedere Central Park.
All’improvviso si riuscì a immaginare seduta davanti a quella finestra, in vista delle strade al di sotto, a bere caffè e a scrivere. Sarebbe stata come la sua personale finestra parigina. Non le serviva niente di più, non quando andava all’estero per lavoro tanto spesso. Aveva solo bisogno di una casa tutta sua. Il suo nuovo inizio.
Si voltò di scatto verso l’agente immobiliare vestita di fucsia. “Sì. Lo prendo.”