Читать книгу Una Amore Cosi’ Grande - Sophie Love, Софи Лав - Страница 6
CAPITOLO UNO
ОглавлениеKeira aprì un occhio. Mentre passava dal sonno alla veglia, capì dove si trovava. Il divano di Bryn. Di nuovo. Proprio come il giorno precedente e quello prima e quello prima ancora.
Mugolò, strizzando forte gli occhi, cercando di costringersi a riaddormentarsi. Quando dormiva era come se tutta la faccenda di Cristiano sparisse. Poteva fingere di non avergli mai spezzato il cuore, e di non aver mai abbandonato quella che avrebbe potuto essere la miglior storia d’amore della sua vita. Nei suoi sogni, poteva anche immaginare di essersi sistemata, di non dover continuare a dormire sul divano di Bryn, sprecando il suo tempo a guardare TV spazzatura, evitando tutte le chiamate degli amici e prendendo tempo ogni volta che il suo capo, Elliot, le chiedeva di scegliere una location per il nuovo incarico all’estero.
La stanza era buia, nella fioca alba di inizio dicembre. Sdraiata sul divano a fissare le ombre sul soffitto, Keira si accorse del suono di acqua corrente. La doccia. Bryn doveva essere già sveglia, che era insolito considerando che era sabato mattina e che Bryn aveva sempre passato ogni sabato mattina della sua vita da adulta in preda ai postumi di una sbornia.
Confusa, si alzò a sedere sul vecchio divano cigolante e sentì il gorgoglio della macchina del caffè. Annusò l’aria e un aroma le riempì le narici. Bryn era già sveglia e stava preparando il caffè? Non era per niente da lei! C’era sotto qualcosa. Bryn era la più pigra e scombinata tra le due sorelle, ma recentemente era Keira a passare tutta la giornata stesa a far nulla. Ma non riusciva a riscuotersi. Dopo quello che era successo con Cristiano, non era ancora pronta ad affrontare il mondo.
Keira udì la porta del bagno aprirsi con uno schiocco, poi il suono dei passi goffi di Bryn che attraversava saltellando il corridoio. La sentì fischiettare un motivetto stonato. Poi apparve alla porta, avvolta in un asciugamano giallo, e con un altro attorcigliato attorno alla testa.
“Oh, sei sveglia,” disse Bryn, fermandosi di colpo e sorridendo allegramente. “Ho fatto il caffè. Ne vuoi un po’?”
Keira si accigliò sospettosa. “Perché sei così di buon umore? È sabato mattina. E a questo proposito, perché sei già sveglia?”
Bryn rise. “Ieri ho passato una serata tranquilla a casa. A quanto pare quando il fegato non è impegnato a filtrare litri di alcol dal corpo, ci si sente piuttosto bene.”
“Sono anni che cerco di dirtelo,” borbottò Keira. Sprofondò nuovamente nel divano, riassumendo la posizione supina con lo sguardo rivolto verso il soffitto. Un secondo più tardi, il volto di Bryn apparve sopra di lei. L’acqua gocciolò dalle ciocche dei suoi capelli sulla faccia di Keira.
“Stai facendo un’imitazione di un cadavere molto convincente,” commentò Bryn.
Keira sbuffò e incrociò le braccia sul petto, distogliendo lo sguardo dalla sorella.
“Così è persino meglio!” scherzò Bryn.
Keira si limitò a ignorarla. Udì la sorella allontanarsi, diretta verso la sua camera da letto per prepararsi per la giornata. Si sentiva in colpa a essere sgradevole con lei, specialmente considerando il gigantesco favore che Bryn le stava facendo permettendole di vivere nel suo appartamento senza neanche pagare l’affitto. Ma poi ripensò alla miriade di volte in cui la sorella era stata irritabile e ingrata nei suoi confronti e decise che una piccola inversione dei ruoli non era poi così male.
La udì tornare nel soggiorno. “Ti sto versando il caffè,” annunciò la donna.
Keira sospirò e si alzò a sedere. “Non voglio il caffè,” disse. “Non voglio niente che possa interrompere il mio sonno. Voglio solo dormire per sempre.”
Bryn invece ignorò la sua richiesta, versandole il caffè nella tazza più grande che aveva in casa. Si avvicinò e gliela tese.
“Non ti lascerò sprecare un’altra giornata sul divano, a guardare Netflix e a compatirti,” dichiarò, affibbiandole la tazza. “Bevilo. Datti una svegliata. Quando è stata l’ultima volta che hai fatto una doccia?”
Keira si accigliò accettando la bevanda fumante. “Giovedì sera.”
Bryn roteò gli occhi. Tornò con una piroetta al bancone della cucina e versò una tazza per sé.
“E comunque perché sei sveglia così presto?” borbottò Keira, prendendo un piccolo sorso di caffè. Era bollente. Lo appoggiò sul tavolino.
“Perché…” canticchiò Bryn, alzandosi in punta di piedi per prendere una bottiglia chiusa del suo sciroppo al caramello preferito, “io e Felix abbiamo dei programmi.” Si riabbassò con lo sciroppo in mano e sorrise trionfante a Keira.
Felix. Felix. Felix. Era tutto ciò di cui Bryn parlava in quei giorni. Era passata dall’essere una mangiatrice di uomini seriale a una fidanzatina fedele. In circostanze normali, Keira sarebbe stata entusiasta che la sorella avesse finalmente trovato una relazione stabile, ma Felix aveva la stessa età della loro madre e lei non riusciva a evitare di esserne vagamente disgustata. Faceva un po’ troppo “Problemi con la Figura Paterna” per i suoi gusti. Il fatto che il loro stesso padre le avesse abbandonate quando erano solo bambine non faceva altro che confermare la sua teoria.
“Che genere di programmi?” chiese.
Notò un netto rossore risalire sul collo di Bryn. Lei scrollò le spalle in una maniera che Keira identificò subito come un tentativo di sembrare noncurante. “Oh, solo un po’ di shopping di arredamento.”
Keira socchiuse gli occhi. Perché lo shopping di arredi per la casa avrebbe dovuto farla arrossire? Forse perché era il tipo di cosa che faceva un’adulta, che era qualcosa che Bryn, proprio come Peter Pan, aveva giurato di non diventare mai. O forse era perché la sorella festaiola non riusciva ad ammettere di potersi divertire scegliendo lampade insieme al suo innamorato tanto quanto una volta faceva bevendo e ballando tutta la notte nei nightclub di New York. Oppure…
“Quando parli di arredamento non intendi dire una statuina ornamentale di un gatto da mettere sopra il caminetto, vero?” domandò Keira, voltandosi di scatto per studiare meglio il volto di Bryn.
“No,” rispose la sorella nello stesso tono allegro. “Parlavo più di mobili.”
Keira rimase a bocca aperta. “Perché vai a comprare mobili con Felix?”
Bryn assunse una sfumatura intensa di rosso. “Si è trasferito in un nuovo appartamento, ecco tutto. Non significa niente. Smettila di guardarmi così!”
“Andrai a vivere con lui?” volle sapere Keira, mettendo sotto torchio la sorella.
“Non lo so,” rispose lei con una risata. “Chi lo sa?” Sprofondò la faccia nella tazza da caffè, cercando di nascondere un sorriso e fallendo miseramente. Non esisteva al mondo una tazza abbastanza grande da riuscire a nascondere l’ampiezza del sorriso di Bryn.
Keira era senza parole. Non riusciva a credere alle sue orecchie. La sorella alla fine era stata domata. Quella sì che era un’avventura degna di uno dei suoi articoli!
“E comunque, smettila di cambiare argomento,” disse Bryn, tutto a un tratto. “Stavamo parlando di te e della tua trasformazione in un sacco di patate. Non puoi passare l’ennesimo weekend chiusa in casa. Ti prego, esci e fai qualcosa. Non ti fa bene stare seduta al chiuso tutto il giorno.”
“Fa freddo fuori,” si lagnò Keira.
“Quindi?” rispose Bryn. “Mettiti un cappello! Sei nata e cresciuta a New York, puoi sopportare il freddo!”
Lei si morse il labbro. Le venne in mente un messaggio che le era arrivato da Shelby la sera prima. Ancora non le aveva risposto, ma l’amica l’aveva invitata a una festa sabato sera, vale a dire quel giorno.
“A dir la verità, stasera esco,” dichiarò a Bryn, con un certo compiacimento.
“Davvero?” chiese la sorella, inarcando un sopracciglio con ovvia incredulità.
“Sì,” ripeté seccamente Keira. “Vado a una festa. Stavo per domandarti se vuoi venire anche tu.”
“Sono felice di saperlo. Ma non posso. Io e Felix passiamo la serata a casa.”
Keira scoppiò in una fragorosa risata. “Ma chi sei tu?”
Bryn ridacchiò. Con una leggera scrollata di spalle disse: “La gente cambia.”
Quando la sorella replicò con poco più di un grugnito, Bryn si sedette accanto a lei e le strofinò la schiena. Tutta quella premura era molto insolita da parte sua.
“Lo so che stai male,” disse con voce rassicurante e materna. “Ma rimuginare sulla sofferenza non ti aiuta a guarire. Devi alzarti e affrontare il giorno. Una doccia ti farebbe bene.”
“Va bene,” brontolò Keira. “Ho capito l’antifona.”
Si alzò dal divano con i muscoli doloranti. Il torcicollo ormai stava diventando una parte integrante di lei.
“Sarò già uscita quando avrai finito,” l’avvertì Bryn.
“Okay, divertiti,” rispose Keira. “Saluta Felix da parte mia.”
Bryn arrossì all’istante.
Keira andò in bagno, scuotendo la testa di fronte alla sua totale trasformazione. Era incredibile quanto l’amore di un uomo avesse cambiato la sorella, pensò, sfilandosi il pigiama sudicio e aprendo l’acqua. Entrò nella doccia, chiudendosi la porta alle spalle.
Mentre l’acqua le scorreva sui capelli e la pelle, Keira rifletté meravigliata sull’inversione di ruoli che avevano subito lei e Bryn. Per quanto la sorella fosse cambiata per il meglio, lei sentiva di essere cambiata per il peggio. La fine della sua relazione con Cristiano l’aveva travolta come un treno merci. Stava persino influenzando il suo lavoro. Elliot non vedeva l’ora di mandarla di nuovo all’estero per un altro incarico ma ormai avevano già fatto tre riunioni per parlarne e ogni volta Keira aveva trovato una scusa per non prendere una decisione definitiva riguardo alla location. Quando Elliot aveva insistito, lei gli aveva ricordato che le aveva promesso più libertà creativa dopo l’ultimo incarico, e così lo aveva temporaneamente zittito. Ma non sarebbe durata per sempre, lo sapeva. Proprio come non poteva continuare per sempre a dormire sul divano dell’appartamento di Bryn. Avrebbe dovuto rimettersi in sesto prima o tardi.
Si sciacquò il sapone dai capelli, realizzando al contempo che Bryn aveva avuto ragione. Una doccia era proprio quello che le serviva per rinfrescarsi le idee. Forse andare a una festa quella sera le avrebbe fatto bene, anche se non ne aveva voglia. A volte quel che si voleva e quello di cui si aveva bisogno erano cose diverse, ricordò a se stessa. Si ripeteva quelle parole ogni volta che si ritrovava a sentirsi in colpa per quello che era successo con Cristiano. Solo perché lo aveva voluto, non significava che fosse l’uomo giusto per lei. Tuttavia spesso le era più facile credere alle proprie parole che a quelle degli altri.
Uscì dalla doccia, si avvolse in un asciugamano fresco, e tornò in soggiorno per cercare degli abiti puliti per la giornata. Tutte le sue cose erano ancora conservate dentro scatole e valigie, ma si era tanto abituata a quel modo di vivere che ormai sapeva dove trovarne la maggior parte. La maglia che cercava doveva essere nella scatola da scarpe sotto al tavolino da caffè. Si abbassò per prenderla. Allo stesso tempo le cadde lo sguardo sul cellulare. Lottò contro la familiare compulsione a controllare se Cristiano si era fatto sentire, afferrando invece la scatola e rovistandovi dentro alla caccia della maglia che le serviva. Mentre la tirava fuori, ripensò all’ultima volta che l’aveva indossata: a Parigi, durante una delle loro passeggiate romantiche nella città bagnata dalla pioggia. Immediatamente le si strinse il cuore e lasciò cadere l’indumento, afferrando al suo posto il cellulare, ormai priva di forza di volontà.
Non c’erano notifiche ma controllò individualmente ogni applicazione nel caso lui avesse deciso di mettersi in contatto con qualche mezzo meno scontato di un messaggio o un’email; un “like” su una delle sue foto, per esempio, o articolo rilevante pubblicato sulla sua bacheca di Facebook. Ma con un sospiro triste, si rese conto che non c’era nulla. Cristiano non aveva fatto alcun tentativo di comunicare, nemmeno impercettibilmente, da quando lei aveva chiuso la loro relazione all’aeroporto Charles de Gaulle.
La sensazione di turbamento nel petto le fece capire quanto avesse bisogno di vedere i suoi amici quella sera. Anche se una festa non era l’ambiente migliore per lei in quel momento, stare insieme a Maxine e Shelby le avrebbe fatto bene. Per la prima volta dopo tanto tempo, si ritrovò a desiderare la compagnia umana.
*
Keira salì di corsa i gradini della casa di Shelby e David. Faceva un gran freddo, e lei indossava un minuscolo abitino nero. Rabbrividì sulle scale mentre premeva ripetutamente il campanello, impaziente di vedere la porta aprirsi.
Finalmente si spalancò, inondando Keira di luce, musica e chiacchiere. Lei si strofinò le braccia e alzò lo sguardo per vedere Rob, il fratello di David, alla porta.
“Ehi,” disse lui, squadrandola da capo a piedi. Poi gli apparve una ruga divertita tra le sopracciglia. “Keira Swanson? Sei davvero tu?”
“Già,” rispose Keira. “Posso entrare? Sto gelando!”
“Ma certo!” esclamò Rob, spostandosi di lato. Keira lo superò rapidamente, emergendo dall’oscurità ed entrando nel corridoio luminoso. Lui chiuse la porta alle sue spalle. “Non ti avevo riconosciuta. Sei cambiata.”
“Non ho più ventun anni, se è questo che vuoi dire,” replicò la donna, sfilandosi la giacca.
Rob gliela prese di mano per appenderla a un gancio vuoto. “È stata allora l’ultima volta che ci siamo visti?”
Keira annuì. “Già. Alla fine del college.” La temperatura dentro l’appartamento iniziò a scaldarla e lei smise di strofinarsi tanto vigorosamente le braccia. “Quindi, come va?” chiese a Rob, cercando di fare conversazione.
“Alla grande,” rispose lui, con un largo sorriso. “Sì, molto bene.” Si grattò la testa, a quanto pareva a corto di argomenti. “Uhm, perché non vieni con me?”
“Certo,” confermò Keira.
Lui le fece cenno di seguirlo dentro l’appartamento. Keira obbedì, avanzando verso i rumori provenienti dalla cucina. David e Shelby avevano una bella casa, soprattutto considerando che nessun altro dell’età di Keira era ancora riuscito a permettersi di comprarne una. Che diavolo, Keira stessa non era nemmeno riuscita a mettere insieme il denaro per la cauzione di un appartamento in affitto!
Trovò tutti in cucina, Shelby seduta vicino a una grande isola intenta a chiacchierare con alcune persone che lei non conosceva. Colleghi di lavoro, suppose. Erano eleganti, con bei tagli di capelli, abiti alla moda e sorrisi sicuri. All’improvviso si sentì estremamente a disagio in presenza degli amici così calmi e tranquilli di Shelby.
“Keira!” esclamò Shelby, notandola. “Sei arrivata!” Appoggiò con forza il bicchiere sul bancone e barcollò verso l’amica, chiaramente già un po’ brilla. “Oddio, non pensavo che ti avrei mai più rivista,” strillò, gettandole le braccia attorno al collo e stringendolo.
Lei diede qualche pacca sul braccio che la stava strozzando. “Non essere sciocca,” disse con voce stridula. “Mi sono solo riposata un po’.”
Shelby la liberò dalla sua morsa e la guardò da capo a piedi. “Wow, sei bellissima!” Pizzicò la stoffa dell’abito di Keira tra le dita, per poi lasciarlo ricadere sul suo fianco. Poi voltò la testa per rivolgersi a tutta la sala. “Guardate quanto è splendida la mia amica Keira!” gridò. “Ed è SINGLE!”
Keira arrossì immediatamente. “Ti prego, Shelby,” borbottò tra i denti. Non si sentiva affatto attraente, per via dei chili di troppo che aveva messo su di recente.
“Che c’è?” ridacchiò Shelby. “Sei di nuovo sulla piazza e io ho degli amici molto affascinanti. E sappi che il tuo culo ha un aspetto magnifico.”
“È grasso, non magnifico,” borbottò Keira. “E ancora non sono pronta a uscire con nessuno. Oggi è letteralmente la prima volta che emergo dalle lande desolate della Depressione dopo due settimane.”
“Okay, okay,” rispose Shelby, roteando gli occhi. “Non insisto. Ma ti offrirò del vino.” E sorrise con aria maliziosa.
“No!” protestò Keira. Sapeva fin troppo bene quanto perdeva il controllo quando beveva troppo, e con quanta facilità si ubriacava quando era preda delle emozioni. L’alcol era l’ultima cosa che le serviva in quel momento.
Ma era troppo tardi. Un bicchiere pieno fino all’orlo di vino bianco attraversò la folla per piombarle davanti. Lei lo accettò dalla mano tesa e senza corpo, sbirciando lo spazio tra le teste di due persone per capire chi glielo stava offrendo.
“MAX!” gridò poi, quando alla fine capì che era l’altra sua migliore amica.
La donna sgusciò in mezzo a due uomini alti e dall’aria inamovibile, e abbracciò Keira.
“Ehi, straniera,” disse. “È bello vederti.” Si separarono e Maxine le sorrise, i suoi occhi scuri rilucenti di dolcezza. “Ero così preoccupata per te che ho persino mandato un messaggio a tua sorella.”
Keira alzò di scatto le sopracciglia. Maxine e Bryn si odiavano. Una qualche faida inesplicabile di cui nessuna ricordava le origini aveva reso la loro relazione quantomeno gelida.
“Non me l’ha detto,” replicò lei.
“Figurarsi,” ribatté Maxine, alzando gli occhi al cielo. “Comunque, sono felice che tu sia qui ora. Adesso posso dirti in faccia che sei una donna forte, potente e perfetta che non si lascia definire da nessun uomo.”
Keira scoppiò a ridere. Aveva l’impressione che fosse il primo sorriso autentico che faceva da giorni.
“Grazie, Max,” disse, sgomitando l’amica.
Sentendosi un po’ più felice, Keira bevve un sorso di vino. Era piacevole, con un sapore leggero e delicato. Immediatamente sentì la voce di Cristiano nella testa, a informarla che sarebbe stato benissimo insieme a del pesce. Fu attraversata da un senso doloroso di perdita.
“Hai notato che Rob ti sta fissando?” chiese tutto a un tratto Maxine, distogliendola dai suoi pensieri.
“No,” disse Keira, lanciando uno sguardo verso l’uomo appoggiato al frigo. Lui distolse subito gli occhi.
“Dovresti parlare con lui,” la esortò l’amica. “È chiaro che gli piaci.”
Keira scosse la testa. “Non sono dell’umore giusto per questo adesso. Quella con Cristiano è stata una relazione di rimbalzo dopo Shane, te lo ricordi? E guarda quanto è finita male.”
“Shane era stato un modo per superare la relazione con Zach,” le ricordò Maxine. “Ed è stata la miglior decisione che tu abbia preso per te in tanto tempo.”
Keira scosse di nuovo la testa. Abbassò la voce. “Ti prego, posso avere una sola serata senza dover pensare all’amore?”
Maxine sospirò con riluttanza. “Va bene. Ma a una condizione.” Afferrò la mano di Keira. “Ballerai con me tutta la notte!”
Keira sbuffò rumorosamente ma non oppose particolare resistenza mentre Maxine la trascinava al centro del soggiorno. I divani erano stati spinti verso le pareti, il tavolino da caffè spostato di lato, e già un certo numero di persone ballava in quello spazio. Ritrovarsi nel bel mezzo della stanza in quel modo non era certo il divertimento ideale di Keira, ma qualsiasi cosa era meglio che essere costretta a fllirtare.
Shelby le raggiunse saltellando, gettando le braccia attorno alle due amiche allo stesso tempo.
“Le mie preferite!” gridò. “Vi ho detto ultimamente quanto vi voglio bene?”
Keira rise.
“Qualcuno è ubriaco,” commentò Maxine.
“Già!” confermò l’amica. Poi alzò la voce e gridò sopra la musica: “Ed è bellissimo!”
Iniziarono a ballare insieme al ritmo della canzone, esibendosi in mosse di danza buffe ed esagerate. Keira si permise di rilassarsi per un momento. Bevve un’altra sorsata di vino, concedendosi di divertirsi e di lasciarsi andare almeno un po’. Insieme alle sue migliori amiche poteva scatenarsi.
Aveva svuotato il bicchiere, quando Shelby esclamò all’improvviso ad alta voce: “Oddio! Quando è stata l’ultima volta che ci siamo fatte degli shottini insieme?”
Afferrò le mani di entrambe, guardando prima una e poi l’altra con ansiosa anticipazione, come se avesse avuto l’idea migliore del mondo.
“Assolutamente no,” disse Keira, scuotendo la testa. Aveva già scolato un bicchierone pieno di vino. Aggiungere anche uno shot al miscuglio sarebbe stato pericoloso.
“Andiamo!” insistette Shelby, mettendo il broncio. Saltellò su e giù, e la sua espressione insieme alla sua stazza minuta la fecero sembrare una fatina petulante. “Abbiamo la tequila!”
Keira ricordò che loro tre si erano sempre fatte degli shot di tequila alle feste del college, quasi come un rito delle loro serate di libertà, e che era stato molto divertente.
“In onore dei vecchi tempi?” disse Maxine, sospingendola.
Magari uno solo non sarebbe stato così grave, pensò Keira.
“Okay, okay,” disse alla fine, cedendo alla pressione sociale per l’ennesima volta nel corso della serata.
Prendendola per le spalle, Shelby la guidò verso il bancone della cucina, seguite da Maxine come se avessero dato via a un trenino. David era lì a parlare con un gruppo di amici, Rob incluso.
“Tesoro, ci diamo alla tequila,” farfugliò Shelby, stendendogli un braccio sulle spalle e piantandogli un bacio umido sulla guancia. Il suo anello di fidanzamento brillò sotto le luci vivaci.
David le lanciò uno dei suoi sguardi adoranti e Keira distolse il proprio, sentendo una fitta di gelosia trapassarle il cuore. Mentre si girava, inavvertitamente guardò dritto negli occhi di Rob. La sua espressione sembrava il riflesso di quella di Keira, come se stesse cercando di nascondere l’invidia. Si chiese se anche l’amico stesse cercando di superare la fine di una relazione come lei.
“Ma certo, cara,” disse David a Shelby, baciandole il naso.
Lei gli tolse le braccia dal collo e il suo fidanzato si avvicinò ai pensili, radunando ciò che le serviva: la tequila, il sale e i bicchieri da shot.
“Rob, puoi prendere i lime?” domandò Shelby, indicando il frigo contro cui lui era appoggiato di schiena.
Keira lo guardò ripescare una busta piena di lime, avvicinarsi al bancone e appoggiarli.
“Ne bevo uno anche io,” disse lui, indicando la fila di bicchierini che David stava preparando.
“GRANDE!” gridò Shelby.
La ragazza fece per prendere un coltello per iniziare a tagliare i lime e subito le fu sfilato di mano da Maxine.
“Lascia fare a me, okay, tesoro?” disse Max con una risatina.
Shelby annuì.
Non appena fu tutto pronto ed ebbero riempito i bicchierini da shot, David, Rob, Keira, Maxine e Shelby presero posizione davanti a essi. Si misero il sale sulle mani e presero un bicchiere ciascuno, preparandosi per il conto alla rovescia.
“Tre, due, uno!” strillò Shelby.
Keira buttò giù la tequila in un colpo solo. Il liquore le bruciò subito la gola. Il sapore era intenso e lei deglutì in fretta, sentendo il calore che le scendeva nel ventre. Sussultando, leccò immediatamente il sale, poi afferrò una fetta di lime da succhiare.
Con gli occhi lacrimanti, guardò i suoi amici. Shelby si tolse la fetta di lime di bocca e la gettò sul bancone, per poi essere travolta da un improvviso conato. Si voltò e vomitò violentemente nel lavandino.
David scoppiò a ridere, e si affrettò a confortarla. Maxine lo seguì, accantonando il proprio lime con una risatina.
Keira rimase sola con Rob. Gli gettò un’occhiata. L’uomo stava ridendo, con la fetta di lime ancora infilata in bocca.
“Shelby non regge proprio l’alcol,” commentò, dopo averla tolta.
Anche Keira si tolse il lime di bocca. La tequila le aveva raggiunto lo stomaco, e si sentì riempire dal suo calore.
“Non è colpa sua,” replicò con un sorriso. “Non ci sono molte donne alte a malapena un metro e cinquanta e sui 45 chili che reggono bene l’alcol.”
“Tu te la cavi bene però,” replicò Rob.
Keira si diede un colpetto sulla pancia recentemente ingrassata a mo’ di spiegazione.
“Comunque, a parte tutto,” continuò. “Che te ne è parso del tuo shot?”
“Non è stato male,” rispose Rob, scrollandosi con noncuranza. “Ma devo ammetterlo, sono più un tipo da birra. Ho pensato solo di provare.”
“I miei complimenti,” disse Keira.
Si sentiva le guance sempre più calde per il mix di vino e liquore. Per la prima volta dopo tanto tempo, aveva la voglia e la capacità di mantenere una conversazione.
“Quindi, Rob, che cosa hai fatto negli ultimi…” Si fece mentalmente il conto. “… sette anni?”
“Ho rigenerato ogni cellula del mio corpo,” rispose lui.
Keira si accigliò perplessa. “Eh?”
“Sette anni. È il tempo che impiegano le cellule del corpo a rigenerarsi,” spiegò Rob. “C’è una teoria secondo cui è questo il motivo per cui esiste la crisi dei sette anni nelle relazioni.”
“Oh,” disse Keira. “Non credo che raggiungerò mai i sette anni in una relazione.”
Rob rise. “No, neanche io. Riesco ad arrivare a uno, a volte due. Ma qualsiasi cosa al di sopra è territorio sconosciuto.”
“Vale lo stesso per me,” rispose Keira. Sentiva che l’alcol le aveva sciolto la lingua. Era piacevole comunicare di nuovo. Fece per prendere la tequila. “Un altro?”
Rob alzò le sopracciglia. “Certo.”
Keira versò un altro shot a entrambi. Si misero a turno il sale sulle le mani, e quella volta fece lei il conto alla rovescia. “Tre, due, uno!”
Bevvero lo shot in contemporanea, sbattendo giù i bicchierini allo stesso tempo, leccandosi il sale dalle mani e cercando di prendere in fretta le fette di lime. Entrambi si diressero verso lo stesso pezzo, e Keira colpì giocosamente la mano di Rob, rubandoglielo. Lo succhiò, ridendo, e poi se lo tolse dalle labbra.
“È stato diverten-” iniziò, ma si interruppe quando all’improvviso Rob si lanciò verso di lei e la baciò. Keira lo spinse via, sconvolta. “EHI!” gridò. “Che diavolo fai?”
Rob apparve sbalordito. “Che vuoi dire?” esclamò. “Stavi flirtando con me.”
“NO, non lo stavo facendo!’ ribatté Keira. Ancora peggio di essere baciata senza consenso, era l’accusa di aver dato in qualche modo il via libera quando invece non lo aveva assolutamente fatto.
“Oh, ma per favore,” rispose Rob, furibondo. “Allora perché continuavi a guardarmi? Perché mi hai offerto un altro drink?”
“E da quando guardare significa flirtare?” ribatté Keira.
“Uhm, da quando la nostra specie ha sviluppato parti maschili e femminili ben distinte?” La rimbeccò lui.
Sembrava inviperito. Keira si rese conto che era veramente ubriaco. In precedenza aveva retto bene, ma con i due bicchierini di tequila in rapida successione aveva superato i limiti di tolleranza del suo fisico, e tutto a un tratto apparve tutto arruffato.
Keira si voltò. Non era preparata a gestire una discussione sulle tecniche di flirt con un idiota sbronzo. Ma quando fece per andarsene, fu bloccata dalla stretta di Rob sul suo braccio, che cercava di fermarla.
“Ehi,” le disse l’uomo. “Dovresti chiedermi scusa.”
“Cosa?” esplose lei, resa più sicura dalla tequila che le riscaldava il ventre. “TU dovresti chiedermi scusa. Io non ho fatto niente.”
“Mi hai illuso!”
Keira fu travolta dalla rabbia. “Sei un porco!” gridò, allungando una mano verso il più vicino bicchiere. Ne trovò uno di vino che era stato abbandonato e lo versò in faccia a Rob.
Fuggì via, afferrando la giacca e uscendo in fretta e furia dall’appartamento prima che chiunque riuscisse a fermarla. Non voleva essere seguita da Shelby o Maxine per essere consolata. Voleva solo tornare a casa.
Fortunatamente, quando scese in strada, un taxi si stava dirigendo verso di lei, con la luce accesa. Lo fermò.
Il veicolo parcheggiò lungo il marciapiede e lei vi saltò dentro, dando l’indirizzo di Bryn all’autista. Mentre si allontanava, vide Maxine e Shelby che scendevano in fretta i gradini alla sua ricerca. Fece loro un timido saluto dal retro del taxi mentre le superava, poi sprofondò nel sedile. L’umiliazione le aveva arrossato le guance. Frugò dentro la borsetta, afferrando il cellulare per mandare un messaggio di scuse a Shelby. Ma invece di scrivere all’amica, si ritrovò invece a inviare un messaggio a Cristiano. Due semplici parole.
Mi manchi.