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CAPITOLO 8

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Bernardino uscì davanti alla sua bottega con una copia del suo ultimo lavoro in mano. Voleva vederlo alla luce del giorno, osservare come erano venute le illustrazioni a colori. Con quell’edizione illustrata della Divina Commedia aveva superato non solo il suo predecessore Federico Conti, ma anche se stesso. Bernardino aveva ripreso l’edizione fiorentina del poema del sommo poeta Dante Alighieri. Sapeva che nell’anno del Signore 1481, Lorenzo Pierfrancesco De’ Medici aveva commissionato a Sandro Botticelli la realizzazione di cento tavole illustranti le scene del poema. Di queste cento il Botticelli ne aveva realizzate solo diciannove, che erano state incise su lastre, per poter essere stampate, dall’incisore Baccio Baldini. Non essendo stata portata a termine l’opera da Sandro Botticelli, l’edizione fiorentina, che presentava uno spazio bianco all’inizio di ogni canto, era stata alla fine commercializzata senza immagini. Il sogno di poter realizzare un’edizione principe della Divina Commedia, con tutte le illustrazioni stampate a colori, era stato coltivato da Bernardino per anni e anni. Era riuscito a far disegnare le tavole mancanti, sullo stesso stile del Botticelli, da alcuni monaci benedettini dell’Abbazia di Sant’Urbano, in quel di Apiro. Ma il vero tocco da maestro, che gli aveva permesso di veder realizzato il suo sogno, era stato quello di aver fatto rintracciare da alcuni suoi fidi collaboratori le incisioni del fiorentino Baccio Baldini. Quest’ultimo era stato dato per morto a Firenze nel 1487, all’età di cinquantuno anni. Erano passati altri trentacinque anni e, dunque, fosse stato vivo, sarebbe stato ultra ottuagenario. Cosa rara, ma non impossibile, si era sempre detto Bernardino. E in effetti si sapeva che dalla sua bottega continuavano a uscire finissimi lavori di incisione su oro e rame, che non potevano essere opera dei suoi giovani allievi. Dietro c’era il suo zampino, che continuava a lavorare nell’ombra. Perché volesse farsi credere morto, anche se le ipotesi erano assai, nessuno lo sapeva con certezza. Qualcuno diceva che volesse sfuggire ai creditori a cui doveva somme esorbitanti. Altri raccontavano che temesse le ire del Botticelli, in quanto non aveva soddisfatto le sue aspettative nel realizzare le incisioni delle lastre con cui dovevano essere stampate alcune sue opere a decorazione del poema di Dante Alighieri. Fatto sta che le diciannove lastre prodotte a suo tempo erano rimaste nella bottega dell’incisore e non erano state più stampate. Non solo, ma non erano state più reclamate né dal Medici che le aveva commissionate, né da Botticelli, che aveva ideato i disegni.


Paolo e Valentino, due fedeli lavoranti di Bernardino, si erano recati a Firenze e avevano individuato la bottega dell’incisore. Di lui, neanche l’ombra. Forse qualche anno addietro era morto davvero e i suoi allievi erano riusciti in effetti ad affinare le tecniche di bottega fino a raggiungere e superare l’arte del loro maestro. Non fu impresa facile per Paolo e Valentino, ma alla fine l’offerta in denaro fece capitolare gli allievi di Baccio, che cedettero le incisioni delle opere del Botticelli per una somma di tremila fiorini d’oro. Molto più di quello che valessero in effetti, ma Bernardino era convinto che avrebbe di certo recuperato la somma con i dovuti interessi, qualora fosse riuscito a stampare la sua Divina Commedia. I frati avevano realizzato non solo le illustrazioni mancanti, ma anche le incisioni delle stesse su lastre di rame, che Bernardino avrebbe poi riportato su lastre di piombo, più idonee per la stampa. Usare inchiostri colorati per le illustrazioni non era una novità, ma implicava passaggi lunghi e ripetitivi per poter ottenere un buon risultato. Oltre il nero, Bernardino aveva usato il rosso, il blu e il giallo. Non più di quattro colori, si era detto, altrimenti non ne sarebbe venuto a capo.

Sfogliò con soddisfazione pagina per pagina, apprezzò ognuna delle cento illustrazioni, annusò l’odore della carta stampata, tastò con i polpastrelli la copertina in pelle seguendo con le dita le incisioni del titolo, lettera per lettera, la D, la I, la V, e così via. Alzò alfine gli occhi verso il cielo azzurro, terso, senza nuvole, del primo pomeriggio di una giornata di fine marzo. Ammirò le rondini che già volteggiavano nell’aria, animandola con i loro garriti. Era stanco, si sentiva stanco. Avrebbe voluto essere una di quelle rondini per vedere il mondo da una prospettiva diversa, dall’alto, volando come loro e scendendo in picchiata su tutto ciò che attirasse la sua attenzione. Ma capiva, dalla pesantezza delle sue gambe, che l’età si faceva sentire ogni giorno di più. A grandi passi stava per raggiungere i sessant’anni, e non erano pochi, soprattutto per uno che aveva sempre lavorato come lui. Ebbe la sensazione di un vuoto nel torace, il cuore fare un tuffo come quando si prova una paura improvvisa. Alcuni battiti mancati, qualche colpo di tosse, e il cuore riprese a ritmo accelerato, per poi acquietarsi nel giro di qualche istante. Era una sensazione sgradita, ma alla quale Bernardino da qualche tempo si stava abituando. Rimessa a fuoco la vista, a pochi passi da lui si materializzò la nobile Lucia Baldeschi.

«Bernardino! Come siete pallido! Che succede?»

«Oh, niente di grave, Madonna Lucia. Palpitazioni. Ogni tanto il mio cuore fa le bizze, ma ho imparato che imponendomi di fare qualche robusto colpo di tosse, esso riprende il suo ritmo regolare.»

«Niente di grave, dite? Avete una certa età, e i segnali che vi manda il cuore non vanno sottovalutati, o queste palpitazioni, come le chiamate voi, vi porteranno diritto alla tomba. E questa sarebbe un’evenienza a me ben poco gradita. Tenete!», e gli allungò una piccola boccetta di vetro scuro, contenente del liquido. «Quando avvertite questi disturbi, mettetene un paio di gocce in bocca. Ma non ingoiatele, trattenetele a lungo sotto la lingua e rimetteranno in sesto il vostro cuore, riportandolo a un ritmo e a una forza di contrazione normali. Se poi la vostra tachicardia – così si chiama in termini medici il vostro disturbo – dovesse peggiorare, ogni sera prima di coricarvi assumete un goccia di questo elisir, trattenendolo sotto la lingua come vi dicevo poc’anzi. Così facendo sarete preservato da nuovi attacchi, che potrebbero prima o poi rivelarsi fatali.»

«Mia Signora, volete incutermi timore? So di essere anziano, so che l’incidente occorsomi durante l’incendio della mia stamperia non mi ha lasciato indenne, so di avere anche qualche acciacco dovuto al fatto che sono anni che lavoro con il piombo, ma da qui a volermi far credere che sia a un passo dalla tomba…»

«Non dico questo, Bernardino. Dico solo che dovete riguardarvi. Sapete bene quanto tenga a voi e alla vostra amicizia. E infatti è per questo che sono qui. Volevo dirvi che mi recherò ad Apiro i giorni prossimi, e così ero passata a salutarvi.»

Lo stampatore infisse i suoi occhi in quelli nocciola della nobildonna. Ammirò la sua bellezza, ammirò come, da ragazza che era, nel giro di breve tempo fosse diventata una donna matura, ancor più bella e piacevole. Avvolta nella sua gamurra dalle tonalità del celeste, stretta in vita da un’elegante cintura di cuoio, la generosa scollatura che metteva in mostra la curva dei suoi seni, Lucia era di una bellezza che mozzava il fiato. I capelli neri, lunghi, erano raccolti dietro la nuca in una treccia, mentre la fronte era circondata da un semplice laccio in cuoio, abbellito sul davanti da una pietra preziosa dello stesso colore azzurro dell’abito che indossava. Bernardino, che non si era mai voluto legare a nessuna donna in vita sua, capiva che l’unica di cui si fosse innamorato, con cui era riuscito a condividere la passione per le arti, per la poesia e per la letteratura, era in quel momento a un passo da lui, ma era del tutto irraggiungibile. Non solo non avrebbe mai fatto l’amore con lei, ma da lei non avrebbe neanche mai ottenuto un bacio o una carezza. Doveva accontentarsi dei suoi sguardi, dei suoi sorrisi, delle sue parole. E già era tanto. Per il resto, poteva solo sognarla.

«Madonna, perché andare ad Apiro? Non c’è più nessuno che vi leghi a quei luoghi. Sono luoghi dannati da Dio, popolati da demoni e da servi del demonio, streghe e stregoni. Voi siete una nobildonna, perché volete essere scambiata per una guaritrice o, peggio, per una strega?»

«Oh, avanti, Bernardino! Cosa sono questi discorsi? Vi ha fatto male lavorare con i frati dell’abbazia di Sant’Urbano? Anche loro sono di Apiro, eppure vi hanno fatto comodo per il vostro lavoro. Per preparare infusi e medicinali come quello che vi ho fornito or ora, ho bisogno di raccogliere piante officinali. E ad Apiro, soprattutto nella zona di Colle del Giogo, se ne raccolgono tante e di ottima qualità. E poi questa è la stagione migliore per raccoglierne. Inoltre sfrutterò la fioritura dei Crocus per ricavarne i preziosi stimmi e potrò trovare anche tanti buoni germogli di asparagina. Così potrò rifornire anche le mie cucine. Starò via qualche giorno e ritornerò ritemprata nel corpo e nello spirito. L’invernata è stata lunga e l’ho passata nell’angoscia per non aver avuto alcuna notizia di Andrea. Ora ho bisogno di distrarmi un po’, e di farlo a modo mio. Tra l’altro, mi piacerebbe anche far visita a Germano degli Ottoni, il reggente della Comunità di Apiro.»

«Vedo che i miei consigli sono come parole gettate al vento. Datemi ascolto almeno in questo: fatevi accompagnare da una scorta fidata! In più, a questo punto, visto che vi recherete in quel di Apiro, voglio chiedervi un piccolo favore», e mise nelle mani di Lucia il prezioso libro che fino a poc’anzi aveva rimirato. «Questa è la prima copia da me stampata della Divina Commedia contenente le illustrazioni realizzate proprio dai frati di Sant’Urbano. Fermatevi all’Abbazia e consegnate il volume al Padre Guardiano, salutandolo e ringraziandolo da parte mia. Credo che sarà ben felice di vedere quest’opera finalmente ultimata, e di tenerne una copia a corredo della biblioteca del Convento.»

«Siete sicuro di volervene separare? Mi sembra che sia l’unica copia che abbiate finora stampato!»

«Ne ho verificato la qualità e ho tutto pronto per stamparne centinaia e centinaia di copie. Ritengo giusto che questa prima copia sia da consegnare alla comunità di frati che tanto ha lavorato per la sua realizzazione.»

«Bene, Bernardino, se è la vostra volontà, sarò ben lieta di portare a termine questa missione per vostro conto.»

Lucia fece quasi scomparire il tomo infilandolo sotto braccio. Poi si avvicinò con delicatezza allo stampatore, sfiorandogli una guancia con le sue labbra, a mo’ di saluto. Bernardino fece finta di nulla, ma il suo cuore era in subbuglio. Mentre la guardava allontanarsi, si abbandonò seduto su una panca di legno, in prossimità dell’ingresso della bottega. Mise una mano in tasca e strinse la boccetta che gli aveva dato Lucia. Ma non fece in tempo a mettere in bocca qualche goccia del medicinale, perché crollò prima. Ansimò, cercando aria, le palpebre si abbassarono. Sentì che il cuore non batteva più, era fermo. Scivolò dalla panca, fino a giungere in terra, poi tutto intorno si fece buio. Quando riaprì gli occhi vide Valentino, il suo garzone, sopra di lui, che gli stringeva il naso con le dita e spingeva forte il suo fiato all’interno della sua bocca. Gli fece cenno di smettere, trovando la forza di portare fino alla bocca la boccetta che ancora stringeva in mano. Riuscì a versare qualche goccia, trattenendola sotto la lingua. Nel giro di qualche istante si sentì pervadere da uno strano calore, riconquistò le sue forze, si ritirò in piedi, rifiutando l’aiuto di Valentino che gli tendeva la mano, e ritornò dentro la bottega.

«Paolo! Valentino! Preparate le macchine. Si va in stampa!»




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