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1 FESTA IN VILLA

28 Maggio 2010

Le sette di sera di un tranquillo venerdì di fine maggio. Avevo finito di impartire le ultime raccomandazioni alla baby-sitter, una giovane studentessa universitaria, che all'apparenza tutto sapeva fare tranne che trattare con i bambini, mentre Stefano stava tirando fuori dalla rimessa l'auto di lusso, una Mercedes classe E berlina color grigio metallizzato, tutta tirata a lucido.

Al suono del clacson, mi affrettai a congedare la ragazza e precipitarmi in cortile.

«Questi consessi mondani sono una cosa che odio», disse Stefano, concentrato sulla guida. «Come odio quest'auto, che dovrebbe rappresentare lo status symbol di una certa categoria sociale, costituita da professionisti e piccoli imprenditori, che devono apparire in società più che essere apprezzati per come svolgono il loro mestiere. Anche se appartengo alla stessa categoria, sai bene che non mi ci trovo in mezzo a loro. Stasera ci sarà tutta l'élite della città, immagino, a partire da Sindaco e Assessori vari, alcuni noti avvocati, alcuni baroni della medicina, il Notaio Criscuoli, e via dicendo.»

Mentre parlava, prese una strada a senso unico che costeggiava le antiche mura medioevali della città, in salita per la Costa del Montirozzo, per sboccare poco più a valle di Porta Bersaglieri, dove, in dei piccoli giardinetti, trovava posto il monumento dedicato a Federico II di Hohenstaufen. Imboccò poi Via Bersaglieri e da lì si portò in Via Nazario Sauro per proseguire in Via Mura Occidentali. In un punto in cui la strada correva a ridosso delle mura castellane, notai dei lavori. Era stato aperto un varco a forma di arco nelle mura, gli antichi mattoni erano stati accatastati su un lato, e intorno all'apertura si notavano dei tubi corrugati di plastica, di quelli per far passare i cavi dell'elettricità. Un tabellone indicava estremi della concessione edilizia, inizio e termine dei lavori e ditta appaltatrice, riportando a caratteri cubitali il nome del progetto: VIVERE IL CENTRO STORICO.

Mi rivolsi al mio compagno, chiedendo lumi.

«È un vero scempio. Cosa diavolo ci vogliono realizzare?»

«Una scala mobile, o un ascensore, credo, per raggiungere con facilità Piazza Federico II, attraverso il vecchio Palazzo Pianetti, che fino a qualche decennio fa ospitava le carceri. Solo che è tutto fermo perché subito dietro le mura hanno trovato dei reperti archeologici che risalgono all'epoca romana. E non è stato scoprire l'acqua calda! La parte storica di questa città sorge esattamente sopra il tracciato del Castrum realizzato dai Romani, che giunsero qui circa nel 300 Avanti Cristo, dopo aver sconfitto la coalizione di Umbri, Etruschi e Sanniti nella battaglia del Sentino. Proprio in questa zona, in prossimità del complesso di San Floriano, c'era un'enorme cisterna per l'approvvigionamento idrico della città di Aesis. La cisterna funzionava da riserva d'acqua anche per le Terme, che erano situate nella zona compresa fra Piazza Federico II e Porta Bersaglieri. Ancora oggi la zona è individuata da due strade che si chiamano, per l'appunto, Via delle Terme e Vicolo delle Terme.»

«È incredibile come queste cose le sai benissimo tu, mentre sembra che i progettisti dell'ascensore ne fossero del tutto all'oscuro.»

Stefano sospirò, cercando di defilarsi dal fare troppi commenti.

«Caterina, dietro tutto questo c'è sempre la politica. Non sappiamo quali siano le motivazioni che hanno portato l'amministrazione comunale ad approvare questi lavori, ma di sicuro ci sarà stata una bella discussione in consiglio comunale. Molti degli assessori e il sindaco sono miei amici fin dai tempi dell'infanzia e ti assicuro che hanno fatto e stanno facendo un buon lavoro, anche se a volte non tutta la popolazione apprezza il loro operato. Non è detto comunque che tra gli amministratori ci sia qualcuno che, sapendo comunque cosa ci fosse là sotto, ha favorito l'appalto per favorire un sostenitore della sua fazione politica, che al momento opportuno gli porterà voti. Oppure ci può essere qualche gioco legato alle parentele.»

«Già, finita tangentopoli, adesso c'è parentopoli», sorrisi a denti stretti della mia battuta.

«Beh, così com'è, non è bello da vedersi come spettacolo, ma dovremmo capire come sarà recuperata l'area a lavori finiti. E comunque adesso il cantiere è sigillato e i lavori sospesi.»

Accettai le spiegazioni del mio compagno, anche se il mio istinto mi faceva pensare a possibili appalti truccati e tangenti. Ma, pensai, ero la solita esagerata.

Tra una chiacchiera e l'altra avevamo raggiunto Villa Brandi e Stefano aveva parcheggiato la sua auto a fianco di altre non meno lussuose, tra una Lancia Thesis nera e un'Alfa 169 blu notte.

Ammirai la parte esterna della villa alla luce di uno splendido tramonto, un'enorme costruzione su tre livelli, circondata da un parco, dipinta di fresco in rosso mattone. Lampioncini in stile antico, disposti in posizione strategica, erano già accesi nonostante ci fosse ancora la luce del giorno. Una sontuosa scalinata conduceva all'ingresso principale, che era situato al primo livello sopraelevato. Da un ampio ballatoio, attraverso un grande portone, si entrava in un atrio e quindi in un enorme salone, illuminato da un incredibile lampadario arricchito da migliaia di cristalli Swarovski. Al piano terra c'erano le cucine e gli eventuali alloggi per il personale, mentre al piano superiore erano state realizzate le camere da letto, per la famiglia e per gli eventuali ospiti. Prima di entrare, dal ballatoio situato avanti all'ingresso principale, gettai lo sguardo verso il cortile e notai che la recinzione della dimora, nello stesso stile e dal muretto dello stesso colore della villa, circondava completamente la proprietà, ma in un punto, sulla parte anteriore, presentava una strana rientranza, in corrispondenza della quale, all'esterno, era presente un grande pozzo.

«Perché quell'artefatto?» chiesi a Stefano. «Il pozzo non poteva essere ricompreso nel parco della villa?»

«Quello è il pozzo della discordia!» rispose Stefano, che ormai avevo capito fosse a conoscenza della storia e delle questioni sociali della sua città meglio di chiunque altro. «Questa villa, e il relativo parco, di cui faceva parte il pozzo, anni fa era in completo stato di abbandono. Proprietà dei Brandi da secoli, quando gli ultimi discendenti della famiglia si trasferirono a Roma, abbandonando l'abitazione, il Comune di Jesi l'acquisì ai beni comunali, con il progetto di restaurarla e farne un ostello. Parliamo dell'anno 1983, e ne è passato di tempo! Come al solito i fondi, resi disponibili, si persero in appalti fantasma, tangenti a politici locali, e via dicendo. In ogni caso il Comune ha sempre garantito la fruibilità al pubblico dell'acqua dell'antico pozzo, tanto che in un'ampia fetta di terreno, che sarebbe di pertinenza del parco della villa, alcuni cittadini hanno pensato bene di coltivare piccoli appezzamenti, considerati ormai per tradizione orti privati. Si dice che l'acqua del pozzo sia miracolosa, e non solo a fini irrigui. Sembra che, bevuta, abbia effetti diuretici, depurativi e antipiretici. Qualcuno afferma – ma non so sia verità o leggenda – che queste proprietà curative dell'acqua del pozzo siano dovute al fatto che in quel punto preciso, circa due millenni e mezzo fa, sia caduto un meteorite, che ha rilasciato nella falda acquifera sali minerali provenienti dallo spazio che fanno tuttora risentire i loro effetti benefici. Fatto sta che, nel 2003, il Comune mise di nuovo in vendita la proprietà, villa e 2.700 metri quadrati di parco, in quanto in venti anni l'amministrazione comunale non era riuscita a mettere in atto le opere di restauro e l'immobile era andato in ulteriore degrado. Questo fu acquistato dal nostro Roberto Gloriani, con la promessa che avrebbe riservato alcune stanze alla vecchia famiglia Brandi, la quale doveva essere ancora liquidata, e che pozzo e orti sarebbero rimasti all'esterno della recinzione della proprietà. Quando il Gloriani, forte della sua disponibilità economica, diede l'incarico all'impresa edile Spergolini di restaurare l'immobile e realizzare il progetto che vediamo avanti ai nostri occhi, l'intera area, a causa delle esigenze di sicurezza tipiche di un cantiere, dovette essere recintata. In quel frangente si sollevò una specie di sommossa popolare, nel timore che l'acqua del pozzo non potesse essere più utilizzata a scopo irriguo. Si arrivò addirittura a un attentato incendiario, e una notte, le impalcature che già avvolgevano la villa furono date alle fiamme, con il risultato di un notevole danno economico. Per fortuna i lavori erano iniziati da poco, ma ci volle un comunicato stampa ufficiale da parte del Sindaco e dell'Assessore all'urbanistica e all'ambiente per tranquillizzare l'opinione pubblica, aizzata dal consigliere comunale capogruppo di Rifondazione Comunista, al fine di assicurare che, al termine dei lavori, pozzo e appezzamenti di terreno ormai dedicati a orti sarebbero rimasti al di fuori della recinzione della proprietà. E questo è quanto.»

«Ho sentito dire anche che la villa sia stata abbandonata per decenni perché si pensava fosse infestata dai fantasmi, che era una delle mete preferite dove fare sedute spiritiche, che la famiglia Brandi se ne sia andata in via definitiva dopo un pauroso faccia a faccia con uno spirito malvagio. C'è anche la diceria che il pozzo sia comunicante, per mezzo di un condotto artificiale realizzato nell'antichità, con la cisterna romana di cui parlavi prima in auto. Che mi dici di tutto questo?»

«Oh, vedo che ti sei documentata! Mah, leggende, dicerie, favole. Nulla che abbia qualcosa di fondato su cui basarsi. Però, sul fatto che sia una villa di misteri, hai proprio ragione. E ora entriamo.»

In eleganti abiti da sera, Stefano e io eravamo una delle coppie più ammirate della serata. Stefano, nonostante le sue precedenti affermazioni si muoveva bene nell'ambiente, salutava chiunque gli si avvicinasse con strette di mano a volte calorose e cordiali, a volte ossequiose, a seconda del grado di conoscenza e di amicizia che aveva con l'interlocutore di turno. A volte si dilungava in qualche commento, a volte baciava la mano di qualche signora. Man mano mi presentava tutti coloro che lo salutavano, mettendomi al corrente di vita, morte e miracoli di ognuno.

«Niente male per essere un ambiente che non ti va a genio!» commentai a bassa voce, sorridendo.

«Beh, mi adeguo alla situazione, buon viso a cattiva sorte.»

Un cameriere si avvicinò a noi con un vassoio di calici pieni di champagne, mentre un altro ci porgeva dei piattini contenenti cocktail di scampi. Rispetto all'inaugurazione di casa Della Rosa su a Triora, qui era tutto molto più elegante, non esistevano piatti e bicchieri di carta e il rinfresco era di tutt'altro tenore rispetto a quello preparato dalla ditta di catering qualche mese prima. Non mi sentivo a mio agio in mezzo a quella gente, ma anch'io facevo buon viso a cattiva sorte, elargendo sorrisi a chiunque mi venisse presentato e offrendo la mano per insulsi quanto ipocriti baciamano.

A un certo punto, Stefano mi prese sotto braccio e mi condusse verso un gruppetto di cinque persone particolarmente distinte.

«Vieni, ti presento i padroni di casa. Purtroppo Roberto Gloriani non è riuscito a essere presente questa sera, dopo tutto quello che è successo l'altro giorno a Genova.»

«È ancora trincerato in albergo, assediato dai tifosi?»

«No, sembra che ieri in tarda serata la situazione si sia risolta, ma Roberto non ha fatto in tempo a prendere l'aereo per Ancona. O forse sì, ma magari non era nello spirito adatto per partecipare a questa festa, anche se è lui stesso che l'ha organizzata.»

In compenso, Stefano mi presentò Aldo, l'anziano padre di Roberto, un uomo alto, atletico nonostante l'età, settantatre anni, i capelli bianchi. Era il presidente, nonché finanziatore, di un'importante scuola di calcio per giovani della nostra città. Insieme a lui, il fratello Giulio, quindici anni più giovane, accompagnato dalla moglie Giada Spergolini, amministratrice unica dell'impresa edile che aveva provveduto a restaurare la villa.

Sento forte odore di appalti milionari, qui, pensai tra me e me. Questi due non stanno di certo insieme per amore. La Spergolini avrà a dir poco vent'anni meno del marito!

L'altra coppia di attempati signori era parte di quanto rimaneva della famiglia Brandi, Alfredo e Liana, ed erano due ottantenni in piena forma, gli unici del gruppo che reputai non essere attaccati al Dio denaro. I loro occhi luccicavano vedendo la casa riportata a un antico splendore, di cui loro forse erano stati testimoni solo in giovane età.

«Davvero incantato, Dottoressa Ruggeri. Se la sua intelligenza è pari alla sua bellezza, come mi hanno decantato, sono convinto che, come tutore dell'ordine pubblico, saprà proteggere a meraviglia questa cittadina!» esordì il Signor Alfredo.

«Oh, non esageriamo. Non sono mica uno sceriffo. Sono stata chiamata qui per dirigere la Sezione omicidi e persone scomparse, ma ancora, grazie a una splendida bimba che ho dato alla luce da poco, non ho preso servizio appieno.»

«Le voci corrono e so che su in Liguria ha risolto un caso molto complicato, dimostrando determinazione e sprezzo del pericolo!»

Abbassai lo sguardo, sentendomi lusingata, e cercai di cambiare discorso.

«Siete gli unici membri della famiglia Brandi?»

«Che verranno ad abitare in questa dimora, sì. Abbiamo una figlia, Maria Lucia, che da tempo si è allontanata da noi, per fare la bagnina e maestra di Yoga in una località della riviera del Conero. È la nostra disperazione, vorremmo tanto che ritornasse a vivere con noi, che mettesse la testa a posto, ma lei rifiuta qualsiasi tentativo di riavvicinamento.»

Mentre parlava, osservavo Alfredo e lo paragonavo un po' a un vampiro. Era una persona alta, magra, il naso aquilino, i canini pronunciati, la carnagione molto pallida e gli occhi cerchiati di rosso. Non da meno era la sua moglie, Liana, una donna magra, che cercava di coprire il pallore del suo viso con molto fard e un rossetto dal colore intenso. La sua capigliatura era folta e grigia, con una piega impeccabile, le sue mani avevano le dita ossute e affusolate.

«L'altro membro della famiglia di cui non abbiamo più notizie da quasi trent'anni, ventotto per l'esattezza, è il mio anziano genitore, Vladimiro», continuò Alfredo Brandi. «Nel 1983, versavamo in pessime condizioni economiche e l'unica via d'uscita era vendere questa dimora, almeno a mio avviso. Mia moglie era del mio stesso parere e trovammo buono l'accordo di esproprio proposto dall'amministrazione comunale del tempo. Ma mio padre era contrario a tale transazione e, dopo un furibondo litigio, se ne andò sbattendo la porta e non avemmo più notizie di lui. Allora aveva settantaquattro anni, ma era in perfetta salute. La nostra figlia al tempo quattordicenne, Maria Lucia, si schierò dalla parte del nonno, lo rincorse e di certo visse per un periodo insieme a lui. Per alcuni mesi, quasi un anno, non avemmo notizie di nessuno dei due. Nel frattempo avevamo ceduto la casa al Comune ed eravamo in procinto di trasferirci a Roma. Una domenica pomeriggio di inizio estate, Maria Lucia si ripresentò a casa, accompagnata da una specie di santone, a sua detta suo fidanzato e guida spirituale, con cui sarebbe partita per l'India, per un viaggio alla ricerca di sé. Provammo a chiederle che fine avesse fatto il nonno Vladimiro, se sapesse indicarci dove ritrovarlo per poterci riappacificare con lui, ma la ragazza non ci volle rivelare nulla. “Il nonno sta bene, ma non cercatelo più!” furono le uniche parole che Maria Lucia pronunciò sulla vicenda.»

Cominciavo a drizzare le antenne sulla questione dell'anziano scomparso. Sarebbe potuto essere pane per i miei denti, un caso irrisolto da decenni a cui dare un senso e una conclusione.

«Se fosse vivo, Vladimiro avrebbe ora oltre cento anni. Sarà sicuramente morto», intervenni. «Ma oggi noi della Polizia abbiamo dei buoni metodi per poter dare un nome a un cadavere, anche se ridotto a scheletro, e non parlo solo di esami del DNA. Lei mi è simpatico, signor Brandi, e le assicuro che farò quanto è in mio potere per poterle riconsegnare quanto meno la salma del suo caro per potergli offrire almeno una sepoltura. Avevate fatto denuncia della scomparsa dei due, all'epoca?»

«Certo, avevamo denunciato la fuga di mia figlia, che era minorenne. Allora, la polizia disse che un adulto come Vladimiro poteva allontanarsi di sua spontanea volontà dalla famiglia e che comunque, se la ragazzina era in effetti in compagnia del nonno, questi l'avrebbe di certo protetta. Così, non ci fu un grande impegno nelle ricerche da parte delle forze dell'ordine. E comunque, cara dottoressa, non venda la pelle dell'orso prima di averlo ucciso. Anche se ultracentenario, non è detto che mio padre sia morto. In famiglia siamo molto longevi, e più di un mio antenato ha superato il secolo di età. Bernardo Brandi, per volere del quale nel 1659 fu eretta questa sontuosa dimora al posto di un'antica roccaforte ormai in rovina, sembra sia vissuto in salute fino a centosette anni! È per questo che ho ancora fiducia che mio padre sia vivo e possa ancora chiedergli perdono. E fargli vedere la sua villa restituita ad antico splendore.»

«Vivo o morto, le prometto che mi darò da fare per ritrovarlo.» Conclusi la conversazione con un leggero inchino e porgendogli la mano per farmela baciare. Ero convinta di aver fatto un'ottima impressione su di lui e di sicuro, appena mi fosse stato possibile, avrei mantenuto la mia promessa, anche se ero più convinta di poter trovare un mucchietto di ossa piuttosto che Vladimiro Brandi vivo e vegeto. Chissà perché, quel nome richiamava alla mia mente il conte Dracula, Vlad Tsepesh, o Vlad l'impalatore. Forse ero suggestionata dall'aspetto di suo figlio e dal nome stesso, Vladimiro.

Tra assaggi di prelibati manicaretti e calici di champagne, il ricevimento andò avanti fino al momento in cui il Sindaco prese la parola per un discorso ufficiale di inaugurazione, rammaricandosi dell'assenza di Roberto Gloriani, colui che con tanta magnanimità aveva messo a disposizione i fondi per il magnifico restauro della villa. Calzò l'accento sul merito suo e dell'amministrazione comunale di aver fatto sì che parte del parco e il famoso pozzo fosse restato fruibile da tutta la cittadinanza, e concluse augurando alle famiglie Gloriani e Brandi una serena convivenza sotto lo stesso tetto.

«È campagna elettorale questa?» sussurrai a Stefano.

«Oh, i politici non perdono mai occasione per farsi belli e tirare acqua al loro mulino, cercando così di assicurarsi voti per le prossime elezioni.»

Tra le undici e mezzanotte, gli illustri ospiti, uno dopo l'altro, cominciarono a dileguarsi. Stefano si era attardato in una conversazione con la signora Giada Spergolini, nella quale aveva scoperto un'inaspettata amante della musica jazz, e che quindi, per lui, era un'ottima interlocutrice. Non senza una punta di gelosia, che peraltro ero riuscita subito a reprimere, mi ero allontanata dai due per dedicarmi a osservare alcuni dipinti appesi alle pareti e un'antica libreria dove erano conservati testi anche piuttosto datati e introvabili. Adocchiai in particolare un libro, con un'elegante sovraccoperta a colori raffigurante Piazza Colocci e il Palazzo della Signoria, dal titolo “Storia di Jesi”. L'edizione era datata 1969; sarebbe stato molto difficile trovarne una copia in libreria, e mi sarebbe piaciuto sfogliarla, ma le ante della scaffalatura erano chiuse a chiave e potevo ammirare il testo solo attraverso i vetri. Quando mi accorsi che erano rimasti solo pochissimi ospiti, oltre i padroni di casa, mi riavvicinai a Stefano.

«Andiamo. È davvero tardi, e abbiamo promesso alla baby-sitter che saremmo rincasati entro l'una», gli dissi. Non oppose resistenza, salutammo quanti erano ancora presenti e ci avviammo verso l'uscita. Uscimmo dall'ingresso principale, scendemmo la scalinata e ci avviammo sul vialetto che conduceva all'esterno della proprietà, verso il parcheggio dove avevamo lasciato l'auto.

La pressione avvertita dai miei timpani, dovuta a un improvviso spostamento d'aria, mi fece rendere conto della situazione di grave pericolo. Una frazione di secondo prima di sentire il boato dell'esplosione, d'istinto gettai un braccio intorno alle spalle di Stefano, che camminava al mio fianco, e mi buttai a terra trascinandomelo dietro. Non feci in tempo a toccare il terreno, la faccia rivolta in basso, che mi sentii investire da una pioggia di pezzi di intonaco, di mattoni e di vetri infranti. Quando fu finita, sollevai la testa con cautela, rivolgendomi nella direzione di Stefano, che si stava per rialzare.

«Fermo, aspettiamo qualche istante. A una prima esplosione ne potrebbero seguire altre, così per lo meno mi hanno insegnato al corso di addestramento. Meglio rimanere ancora fermi!»

Dopo sessanta interminabili secondi in cui non successe più nulla, decisi, anche se non ne potevo essere sicura, che ci si poteva alzare. Osservai Stefano ricoperto da una coltre di polvere bianca, lo scuro smoking aveva cambiato colore, mentre i capelli, da brizzolati, erano diventati del tutto bianchi. Mi resi conto che io ero conciata in condizioni simili se non peggiori.

«Ormai dovrei saperlo che vestire in abiti eleganti mi porta sfortuna!» pensai, girandomi verso la villa per cercare di capire cosa fosse successo. La facciata dell'abitazione era stata ferita da uno squarcio di almeno quattro o cinque metri di diametro, a lato dell'ingresso principale. Due finestre del salone, all'interno del quale stavamo conversando solo pochi minuti prima, erano state disintegrate e dalla voragine usciva del fumo nero e qualche lingua di fuoco. Mi guardai intorno e vidi che alcuni degli ospiti, che stavano percorrendo il vialetto come noi, si erano buttati a terra coprendosi la testa con le braccia, imitando forse quanto avevo fatto io. Una signora che era rimasta in piedi era stata colpita in fronte da un grosso frammento di mattone e aveva l'arcata sopraciliare che sanguinava.

Presi il palmare e chiamai il mio ufficio. Dopo un paio di squilli rispose Roberta.

«È un'emergenza, priorità assoluta. C'è stata un'esplosione, suppongo un attentato dinamitardo, qui a Villa Brandi. Occorrono i pompieri e delle ambulanze. Non so ancora dire con certezza quanti siano i feriti. Di sicuro ci sono vittime all'interno dell'abitazione.»

«Ricevuto. Provvedo subito a mandare i soccorsi e raduno la nostra squadra, è lavoro per noi. Ah, la prego, Dottoressa, ormai la conosco abbastanza da credere che entrerà in quell'abitazione semidistrutta prima di chiunque altro. Non le chiedo di desistere ma, per l'amor del cielo, faccia attenzione, non si metta in condizioni di pericolo anche lei!»

La sovrintendente mi aveva letto nel pensiero? Certo che sarei entrata, e subito! Se non altro per verificare se c'erano morti o feriti.

«È dotata di un estintore la tua auto?», chiesi a Stefano.

«Sì, certo. Piccolo, ma funzionante. Ehi, dico, non vorrai mica entrare lì dentro? Ora arriveranno i pompieri e ci penseranno loro!»

«Ogni istante può essere prezioso al fine di salvare delle vite umane. Portami l'estintore e poi vai a casa. Tu qui non puoi essere di nessuna utilità, e sapere che sei insieme ad Aurora mi renderà un po' più tranquilla.»

«Bene, vedo che il tuo congedo per maternità è finito in questo preciso istante. Hai ripreso appieno i tuoi panni di poliziotto. Mi adeguo, ma mi raccomando al tuo buon senso, ora che oltre a essere un poliziotto sei anche una mamma.»

Mmh... non c'è due senza tre. Chi sarà il prossimo a farmi raccomandazioni? Rimuginai tra me e me. Poi, ad alta voce: «Tranquillo, so badare a me stessa!»

Mentre Stefano andava a prendere l'estintore, io riflettei su quale fosse la via d'accesso migliore per entrare in villa. Reputavo infatti l'ingresso principale troppo rischioso. A piano terra c'erano almeno due ingressi di servizio, scelsi di utilizzare quello dal lato opposto rispetto alla zona in cui, al piano superiore, si era verificata l'esplosione. E feci bene, perché in corrispondenza dell'altro ingresso, il solaio era ceduto e avrei trovato l'accesso sbarrato da una montagna di detriti. Entrai con l'estintore in mano, incontrai alcuni camerieri e cuochi che avevano fatto servizio durante la serata e che, per fortuna, stavano rigovernando la lavastoviglie ed erano quindi tutti nel lato della casa rimasto illeso. Se fossero stati nelle cucine, sarebbero stati investiti dallo sprofondamento del solaio sovrastante.

«Polizia! Tutto bene qui?» fu la domanda di rito. Erano tutti impauriti, ma incolumi. Dal momento che l'impianto elettrico era saltato, la dimora era pressoché sprofondata nel buio, a parte la fievole illuminazione fornita dalle luci di emergenza.

«Inutile dirvi che dovete uscire da qui, ma nessuno deve allontanarsi da questo luogo per alcun motivo finché non arriveranno i miei colleghi per prendere le vostre generalità e interrogarvi sull'accaduto! Come si fa ad andare di sopra?»

Ero conscia che l'attentatore o gli attentatori potevano benissimo essere all'interno dell'abitazione. E io ero disarmata. L'unica cosa con cui mi potevo difendere era l'estintore ma, contro una pistola o, peggio, dell'altro esplosivo, sarebbe servito a poco! Comunque un sesto senso mi diceva che non avrei trovato criminali all'interno della villa. Si potrebbe essere trattato di un ordigno a tempo, o magari telecomandato. E poi perché ero convinta si trattasse di un attentato? Forse per tutte le storie che avevo avuto modo di ascoltare sulla villa? Potrebbe essersi trattato di un semplice incidente, che so, dovuto all'esplosione di una tubatura del gas. Ma proprio in quella serata e con quel tempismo? L'esplosione sembrava avvenuta ad arte, nel salone dove erano rimasti ormai solo i membri delle famiglie Brandi e Gloriani. Inutile fare congetture prima dell'arrivo della Scientifica. In quel momento c'era solo da preoccuparsi di vedere se ci fosse qualche superstite da trarre in salvo.

Fu il capo cameriere a indicarmi una porta, da cui si accedeva al vano scale che conduceva al piano di sopra. Arrivata nel salone, riuscii a domare un piccolo principio di incendio grazie all'estintore. Fortuna aveva voluto che vicino alle fiamme non ci fossero suppellettili propense a prendere fuoco, tipo librerie o mobili in legno, e il pavimento era piastrellato, niente moquette o parquet. Ma lo spettacolo che si presentò ai miei occhi era comunque raccapricciante. Le cinque persone che solo pochi minuti prima erano stati ameni interlocutori erano riversi a terra, senza segni di vita. Il signor Aldo aveva la testa fracassata e il corpo, a ridosso di una parete contro la quale era stato scaraventato dall'esplosione, era piegato ad angolo retto, il tronco appoggiato al muro e le gambe al pavimento. La sua gamba sinistra era stranamente ripiegata su se stessa, spezzata in due, mentre credo che la destra si fosse disarticolata dal bacino, in quanto sporgeva in maniera smisurata dal pantalone. Suo fratello, il signor Giulio, a giudicare dalla scia di sangue, si era trascinato, gravemente ferito, fino alla voragine aperta dall'esplosione, magari cercando scampo all'esterno, ma era ora senza vita, riverso bocconi con la testa penzolante dalla facciata esterna della casa e l'addome squarciato, da cui fuoriuscivano le interiora. Il corpo di Giada Spergolini era carbonizzato, alcuni lembi dei suoi vestiti erano ancora in fiamme, la poveraccia era stata investita dalla fiammata innescata dalla deflagrazione. Non avrebbe mai più parlato di musica jazz con Stefano. La signora Liana e il Signor Alfredo sembravano quelli in condizioni migliori. Forse erano rimasti più distanti degli altri e avevano subito meno insulti. La donna era riversa sul pavimento, faccia a terra. Palpai il collo per cercare un battito sulla doccia giugulare, niente. Ripetei la stessa operazione sul marito, c'era battito. Cercai di metterlo supino e di praticare massaggio cardiaco e respirazione artificiale, come mi era stato insegnato ai corsi di primo soccorso. Dopo alcuni cicli di percussioni sopra l'aia cardiaca, alternate a potenti immissioni di aria nella bocca dell'anziano, tenendo chiuso il suo naso con le mie dita, lo vidi sollevare l'addome e fare un atto respiratorio spontaneo, poi un altro, e un altro ancora. Il suono delle sirene giunse come una melodia alle mie orecchie. Mi affacciai dalla voragine, vincendo il raccapriccio che provocava in me la vicinanza del cadavere di Giulio Gloriani, e mi feci notare dal personale a bordo della prima ambulanza che era arrivata.

«Quassù, presto! Ce n'è uno ancora vivo. In pessime condizioni, ma vivo.»

Dal momento che erano arrivati i soccorsi, potevo uscire da quel luogo trasformato in così poco tempo da angolo di paradiso in girone infernale. Scesi le scale come un automa e raggiunsi l'auto della Polizia, accanto alla quale trovai la presenza rassicurante dei miei colleghi. Mi accorsi che stavo tremando, e non di freddo. La scarica di adrenalina in circolo era terminata, e non avevo certo vissuto un'avventura piacevole.

Mentre raccontavo a Roberta e Andrea ciò di cui ero stata testimone, il piazzale intorno casa si trasformò in un andirivieni di mezzi che illuminavano di luce azzurrina lampeggiante il buio della notte. L'Ispettore Santinelli e Gaetano Perrotta erano giunti nel frattempo con un'altra auto, seguiti dal furgone della scientifica. I Vigili del Fuoco finirono di domare i focolai di incendio e, quando il capo squadra giudicò che l'edificio era in sicurezza, fecero cenno ai miei colleghi che sarebbero potuti entrare. Per primi entrarono il Medico Legale e i ragazzi della Scientifica, bardati in tute bianche, calzari e guanti di lattice, seguiti da Santinelli e Perrotta.

«Io ho già visto abbastanza, non ho voglia di entrare di nuovo là dentro», dissi, rivolta a Roberta e Andrea, che ancora erano accanto a me. «Voi due che ne dite di fare due chiacchiere con il personale che era presente nelle cucine? È quel gruppetto di persone laggiù.»

«Benissimo, Dottoressa! E Lei?»

«E io, per il momento, mi ritirerei alla mia vita privata. Sono qui per sbaglio e...»

Non feci in tempo a finire la frase, che squillò il palmare. Guardai il display e vidi la scritta a caratteri maiuscoli QUESTORE. Ero tentata di premere il tasto di rifiuto, a cui sarebbe seguito il messaggio preimpostato Spiacente, ho da fare. Richiamate più tardi, per favore. Ma il mio dito deviò all'ultimo momento sul tasto verde.

«Dottoressa Ruggeri? Sono il Dottor Spanò. Com'è la situazione lì?»

«Quattro cadaveri e un ferito grave, al quale posso offrire scarsissime possibilità di sopravvivenza. C'è stata un'esplosione incredibile, devastante, e non credo all'ipotesi di un incidente.»

«Un attentato dinamitardo, quindi. Quale pista crede che dovremmo seguire, quella del terrorismo internazionale? O dobbiamo pensare a qualche recrudescenza di cellule anarchiche o addirittura di Brigatisti Rossi rispuntati da chissà dove?»

«È un po' prematuro fare supposizioni. Si potrebbe pensare anche a delle ritorsioni di gruppi di tifosi facinorosi che ce l'hanno ancora su col Gloriani, come allenatore della squadra del Chelsea, dopo la partita dell'altra sera. Oppure ancora di qualche gruppo estremista che ce l'ha politicamente a morte con la famiglia Gloriani per l'acquisto di questa villa. Dovremmo aspettare qualche ora per vedere se qualcuno rivendica l'attentato.»

«Preferirei le sue ipotesi. Se fosse un atto di terrorismo ci ritroveremmo tra i piedi quelli del SISDE, dei Servizi Segreti, che ci toglierebbero l'indagine per non capirci nulla, come loro solito. E comunque Lei si è trovata sul posto e questa è una fortuna per noi. Ho già parlato con il Magistrato di turno, il Dottor Moscatelli, e siamo d'accordo di affidare l'indagine solo a lei, Dottoressa. La riteniamo l'unica che possa far luce in maniera veloce ed efficace sui fatti appena accaduti.»

«Ma…», tentai di obiettare.

«Lo so che è ancora in congedo per maternità, ma so benissimo che non rifiuterà di condurre l'indagine.»

«D'accordo, farò il possibile, ma dovrà lasciarmi fare a modo mio, senza starmi col fiato sul collo.»

«Ha la mia parola.»

Per quel che rimaneva di quella nottata c'era poco da sperare di poter raggiungere Stefano a casa e riposare qualche ora a letto. Chiesi ad Andrea di connettersi a Internet tramite il computer di bordo dell'Alfa e prestare attenzione alla radio, dovevo sapere se ci fossero state rivendicazioni dell'attentato e da parte di chi. Puntualmente giunse un messaggio di Al Quaeda, che Rosati, espertissimo in questo genere di cose, classificò come non attendibile.

Proprio mentre venivano trasportate fuori dalla casa le salme coperte da teli delle vittime, giunse un'auto senza lampeggianti, da cui scese, visibilmente sconvolto, Roberto Gloriani, che riconobbi per essermi fissata la sua immagine nella mente durante la partita di calcio di un paio di sere prima, nonché per la sua incredibile somiglianza con il padre.

Lo fermai, prima che iniziasse a sollevare i teli che coprivano ognuna delle salme per scoprire quale fosse quella del suo genitore.

«Le assicuro che non è un bello spettacolo! Mi creda, è meglio che lasci che le salme vengano ricomposte e potrà fare il riconoscimento domani all'obitorio. Ora non le resta altro che pregare per le anime dei suoi poveri cari.»

«Di sicuro era me che volevano uccidere. E io invece non ero presente, e ci sono andati di mezzo cinque innocenti. Hanno decimato la mia famiglia e massacrato anche quei poveracci dei Brandi, che avevo preso così a ben volere! Ormai consideravo anche loro come membri della famiglia Gloriani. Deve fare di tutto per assicurare questi criminali alla giustizia, Dottoressa, chiunque essi siano e qualunque organizzazione ci sia dietro.»

«Non si preoccupi, è il mio lavoro e lo farò fino in fondo. Lei piuttosto dov'era questa sera? Non doveva essere presente al ricevimento?»

Mi guardò irritato, come se già da subito lo considerassi il sospettato numero uno.

«Perdoni la mia domanda, Mister. Ho conosciuto i suoi durante la serata e le giuro che sono rimasta favorevolmente colpita. Consideri la domanda che le ho fatto come pura deformazione professionale, se vuole può rispondermi, ma in caso contrario non la considererò reticente.»

«Le risponderò», disse, abbozzando un mezzo sorriso. «Prima che lei vada a controllare in qualche modo tutti i miei movimenti, le dico subito che sono giunto con un aereo privato all'aeroporto di Ancona oggi pomeriggio alle diciotto circa. Non sono riuscito a prendere il volo di linea e così ho noleggiato un piper. Ero in tempo per presenziare all'inaugurazione della villa, mi dirà Lei. E la mia intenzione era di venire. Ma poi, all'ultimo momento, ho capito di non essere nelle condizioni psicologiche più adatte ad affrontare una festa, dopo tutto quello che ho passato su a Genova in questi giorni. Così mi sono trattenuto in albergo, dove solo poco fa ho appreso la notizia dell'accaduto, e mi sono precipitato qui.»

«Le mie più sentite condoglianze. Credo che le convenga rientrare in albergo. Per stanotte non può fare più niente», gli dissi stringendogli la mano. Poi mi rivolsi ai miei colleghi. «Come noi, in fin dei conti. Medico Legale e scientifica hanno terminato, i cadaveri sono stati rimossi e l'unico superstite è ormai in sala rianimazione, che Dio gliela mandi buona. Direi che possiamo rientrare alla base e iniziare a pensare a qualche strategia che ci conduca su una pista possibile da seguire. E non sarà facile!»

Il cielo, a oriente, al di là della sagoma addormentata del centro storico della città, cominciava a schiarire. Mentre salivo in macchina con i miei colleghi, diedi un ultimo sguardo alla villa ferita, che veniva circondata da alcuni agenti con le classiche strisce di plastica bianche e rosse, attaccate alle quali ogni tanto venivano posti bene in evidenza dei cartelli che riportavano la scritta Area sottoposta a sequestro giudiziario.

Il Commissario Caterina Ruggeri era scesa di nuovo in campo.

Tranquilla Cittadina Di Provincia

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