Читать книгу Tranquilla Cittadina Di Provincia - Stefano Vignaroli, Stefano Vignaroli - Страница 7

Оглавление

1 PROLOGO

Agosto 2009

CATERINA…

Il ponte di Ferragosto era passato veloce e la mattina del 17 mi ritrovavo di nuovo sul volo Ancona – Genova per rientrare nella mia sede di lavoro, ancora una volta immersa nei miei pensieri. Era stato bello passare due giorni interi con Stefano, a far progetti per il futuro, a parlare di noi e del figlio che avremmo avuto e a scambiarci coccole reciproche. Il mio compagno, in quel breve lasso di tempo che io avevo passato in Liguria, aveva cambiato stile di vita, e non parlo solo della passione per la musica. Aveva abbandonato la sua stanza all'interno della clinica, per trasferirsi in una cascina a pochi chilometri da lì. Era un luogo stupendo, immerso nel verde delle colline marchigiane. La casa era accogliente e arredata con gusto, in perfetto stile rustico. Un caminetto, che troneggiava nel soggiorno, avrebbe riscaldato le fredde serate invernali. Attraverso un ampio cortile, ideale per trascorrere all'aperto giornate e serate estive, si giungeva alle scuderie, dove già facevano bella mostra di sé due cavalli e un Pony. Poco più in là c'erano dei box per i cani, due dei quali già occupati da un Alano e da un Setter Gordon. La cascina confinava con un boschetto sul lato posteriore e con dei campi coltivati sugli altri lati.

«È meraviglioso», dissi a Stefano, mentre eravamo nel cortile a goderci i colori di uno splendido tramonto. «Peccato che non mi potrò godere a lungo questo luogo insieme a te!»

«Oh, non è detta l'ultima parola. Grazie alla tua gravidanza, potresti chiedere un avvicinamento. E comunque, dal momento in cui andrai in congedo per maternità, verrai qui e non ti permetterò di allontanarti in alcun modo fino a che nostro figlio non sarà ben cresciuto. I due cavalli li monteremo noi, ma il Pony è riservato al piccolo.»

«O piccola! Perché parlare solo al maschile?»

Sorridendo e scherzando, Stefano mi prese per mano, mi condusse di corsa verso la scuderia, sciolse i cavalli, senza neanche sellarli, e mi invitò a saltare sopra la giumenta, mentre lui saliva in groppa al maschio. I cavalli erano docili ed era facile cavalcarli anche senza sella e finimenti. Tutto ciò mi ricordava i tempi quando, da ragazzina, spesso facevo a gara con lui per conquistare il miglior cavallo che c'era nella scuderia da noi frequentata, spronando il malcapitato animale per sentieri e strade sterrate aggrappata alla sua criniera. Bei tempi! Certo, mi sarebbe piaciuto molto vivere la mia vita lì con Stefano, ma come avrei potuto fare con il lavoro? Anche quello mi piaceva moltissimo e non l'avrei cambiato per nulla al mondo.

Il lunedì mattina Stefano mi aveva accompagnato all'aeroporto, restandomi vicino fino alla chiamata per l'imbarco. Il momento di salutarsi fu davvero duro, ma il dovere mi chiamava e salii, un po' a malincuore, sull'aereo. Ora che era prossimo l'atterraggio, le emozioni stavano lasciando il posto alla voglia di rientrare al lavoro. Tutto sommato, a Imperia mi trovavo bene e con i colleghi c'era una grandissima intesa. Mi ero accorta che il Distretto era un po' come una grande famiglia e io mi sentivo ormai un buon capo, accettato da tutti non perché imponevo la mia volontà, ma perché avevo la capacità di coordinare quello stupendo gruppo di volenterosi poliziotti, dimostrando di fare la mia parte quando ce n'era bisogno. Certo era che, a parte l'indagine sui delitti di Triora, i luoghi erano piuttosto tranquilli. Certo, episodi di microcriminalità non mancavano e, considerando il fatto che i distretti di Polizia sono cronicamente sotto organico, tutti noi eravamo costretti a fare turni di lavoro prolungati per coprire il servizio in maniera adeguata. Ero stata felice che l'Ispettore Giampieri, messo davanti alla scelta se rimanere al distretto o ritornare a lavorare accanto al questore, avesse senza dubbio scelto la prima alternativa. Mi ero ormai molto affezionata a lui, era il mio vice, lo consideravo il mio alter ego e sarebbe stato difficile per me doverne fare a meno, anche in considerazione del profondo affiatamento che si era fin da subito stabilito fra noi due.

Nella sala arrivi dell'aeroporto di Genova non trovai stavolta né lui, né altri ad aspettarmi. Ritirai il mio bagaglio e raggiunsi Imperia in Taxi.

Quando misi piede dentro il Distretto, mi resi conto che c'era un insolito trambusto. Durante la notte, al porto c'era stata una rissa tra immigrati stranieri e i colleghi avevano provveduto ad arrestare alcune persone di colore, che stavano facendo un baccano insopportabile. Chiesi spiegazioni a D'Aloia.

«Erano quasi tutti ubriachi, Dottoressa. Hanno iniziato a litigare, credo per motivi legati alla loro religione e, quando la discussione è degenerata, si sono tirati le bottiglie vuote della birra. Qualcuno le ha ricevute in testa ed è stato medicato al Pronto Soccorso. Ora li prendo a verbale, controllo i loro permessi di soggiorno e li butto fuori da qui nel più breve tempo possibile.»

«In bocca al lupo, D'Aloia! Non la vedo un'impresa semplice.»

Alle sei del pomeriggio, quando uscii dalla mia stanza, Walter era infatti ancora alle prese con alcuni di loro che, nonostante il permesso di soggiorno non in regola, affermavano di lavorare, chiaramente in nero, per alcune imprese edili.

«Dottoressa, non so più che pesci pigliare. Dovrei far loro il foglio di via, ma mi fanno pena!»

«Una soluzione ci sarebbe: denunciano chi li fa lavorare in nero e noi gli forniamo un permesso di soggiorno provvisorio per un massimo di tre mesi.» Sorrisi a D'Aloia, perché sapevo benissimo che nessuno di loro avrebbe avuto il coraggio di sporgere denuncia, mettendo magari in difficoltà altri loro amici o parenti che lavoravano per le stesse ditte, e uscii dal Distretto per avviarmi verso casa.

Stavo per fermare un Taxi, quando alle mie spalle comparve Mauro.

«Ho la mia auto e per oggi ho terminato. Io vado verso Ventimiglia per incontrare Anna, credo che una deviazione per accompagnarti a casa non mi farà fare troppo tardi.»

Accettai di buon grado il passaggio e, nel giro di un quarto d'ora, giunsi finalmente a casa. Clara era in giardino a giocare con Furia e notai che nel saluto che fece al mio collega traspariva molta complicità nei suoi confronti. Sul momento non badai molto alla cosa, in fin dei conti avevamo trascorso parecchio tempo tutti insieme in quell'ultimo periodo. E poi avevo altre cose per la testa.

Una delle priorità che dovetti affrontare nei giorni successivi fu quella di rivolgermi a un ginecologo che mi seguisse durante la gravidanza. Laura mi consigliò una giovane dottoressa che lavorava nel reparto di Ostetricia dell'Ospedale di Imperia.

«La Dottoressa Valeri è sempre disponibile e molto alla mano. Qui a Imperia il reparto è all'avanguardia e si preferisce farsi seguire nella struttura pubblica piuttosto che in ambulatori privati esterni. Vedrà che si troverà molto bene.»

Il consiglio di Laura fu ottimo e, dopo qualche giorno, uscii dallo studio della ginecologa con in mano le prime immagini ecografiche della creatura che portavo in grembo e la lista di una serie infinita di esami di laboratorio da eseguire. Il sesso del feto non era ancora sicuro, ma la Dottoressa si era sbilanciata.

«All'ottanta per cento femmina, ma non ci giurerei ancora.»

La successiva ecografia, dopo circa un mese, avrebbe confermato che era una femmina e, in cuor mio, decisi che si sarebbe chiamata Aurora.

Il mio stato di gravidanza non mi dava alcun disturbo e riuscivo a portare avanti tutti i miei impegni, sia lavorativi che extra. Andando ormai verso l'autunno, per mantenermi in forma, avevo iniziato a frequentare una palestra, dove l'istruttore mi aveva proposto un piano personalizzato, adeguato anche al fatto che ero incinta.

A metà Ottobre, a tempo di record, era stato completato il restauro di casa Della Rosa, che era pronta ad accogliere Clara come Direttrice della Fondazione Studi Esoterici di Triora. Avevo supportato Clara in quei mesi e l'avevo aiutata a sviluppare le sue idee. La ragazza era davvero in gamba e aveva un'intelligenza e una sapienza notevole. Credo che ascoltasse i miei consigli più per cortesia che perché ne avesse bisogno. Già conosceva bene i testi e i manoscritti presenti all'interno dell'abitazione della strega, per averli a suo tempo catalogati e sistemati, anche se molto materiale si era poi perso nell'incendio della dimora. Il salone del pentacolo sarebbe divenuto un centro studi aperto a tutti coloro che avessero desiderato arricchire il loro bagaglio culturale in materia di magia ed esoterismo, sotto la guida vigile della direttrice e bibliotecaria Clara Giauni. Mauro era sempre più presente ad aiutare la nostra amica, soprattutto nei lavori pesanti, tipo sistemazione di scaffalature, disposizione di suppellettili d'arredo e via dicendo. La parte più delicata, quella di adattare i passaggi segreti e i cunicoli sotterranei a una visita turistica guidata, fu diretta in pratica da Mauro, che sembrava quasi un vero esperto della Sovrintendenza alle Belle Arti o ai Beni Culturali. Quello che più mi meravigliava, e un po' mi preoccupava, era che invece vedevo sempre più raramente Anna accanto a lui. Cominciavo già a sospettare qualcosa, quando un giorno sorpresi Mauro e Clara scambiarsi tenere effusioni. Colto alla sprovvista dalla mia inaspettata presenza, Mauro farfugliò qualcosa.

«Tranquilla, Anna sa tutto già da qualche giorno. Ci siamo lasciati da buoni amici.»

Certo, si dice sempre così, ma poi bisogna vedere come sta la persona che ha subito l'abbandono e che, di solito, prova dentro di sé un vuoto incolmabile, anche se cerca di far finta di niente e non far pesare la cosa all'altro. Così telefonai ad Anna e capii che stava da schifo.

«So che non me la dovrei prendere così, Caterina. Mauro e io abbiamo sempre vissuto il nostro rapporto in piena libertà e ho sempre ritenuto normalissimo che potesse finire da un momento all'altro, ma ora ci sto male. Non ce l'ho né con lui, né con Clara, sia chiaro, ma Mauro mi manca molto.»

Decidemmo di andare a cena insieme e mi ci volle del bello e del buono per consolarla e per cercare di portare il discorso su altri argomenti. Terminata la cena in una trattoria di Sanremo, decidemmo di dedicarci allo svago totale, sconfinando nel principato di Monaco e andando a passare la nottata al casinò di Montecarlo. Rientrai a casa all'alba, ma quella fu l'ultima follia che mi concessi, dal momento che l'aumento di circonferenza del mio girovita mi suggeriva di iniziare una fase della mia esistenza che fosse più tranquilla e regolata.

A Novembre Clara e Mauro si trasferirono in via definitiva nell'ex casa Della Rosa e io rimasi da sola a condividere con Furia il casolare nella bassa Valle Argentina. L'inaugurazione del Centro Studi, alla presenza di importanti autorità, a metà del mese di Novembre, fu una bellissima festa. Casa Della Rosa risplendeva di nuova vita. Il salone del pentacolo, restaurato, era meraviglioso, l'incendio non aveva affatto rovinato il marmo del pavimento che, lucidato, era spettacolare. La specchiera era stata lasciata aperta, perché fosse visibile la biblioteca ricca di antichi testi e manoscritti. Un lungo tavolo in legno massiccio era stato disposto nel salone, a disposizione degli studiosi che avessero voluto consultare i testi, che venivano dispensati attraverso una scrivania disposta in corrispondenza del passaggio dal salone stesso alla biblioteca, un tempo delimitato dalla specchiera scorrevole. Quest'ultima era ancora funzionante, ma il complicato meccanismo d'apertura era stato sostituito da un comodo telecomando. Il lungo tavolo era in quel momento imbandito per il rinfresco e, dopo i discorsi del Sindaco, di un Sottosegretario del Ministero dei Beni Culturali, del Dottor Leone e della Dottoressa Honoris Causa Clara Giauni, una ditta di catering vi riversò sopra ogni ben di Dio.

Quando, uno dopo l'altro, tutti gli illustri ospiti se ne furono andati, rimasi sola con Clara e Mauro. Ero davvero contenta di aver potuto aiutare quella ragazza, non solo le avevo salvato la vita, ma adesso lei aveva un futuro davanti a sé, e non era poco. E aveva trovato anche un ottimo compagno, anche se a scapito di un'altra donna. Ed ecco che Anna fece capolino dalla porta d'ingresso.

«Sono venuta a farti i miei più sinceri complimenti, Clara, è tutto meraviglioso e te lo sei ampiamente meritato.»

Baciò sia Clara che Mauro con affetto, e notai che non c'era ombra di rancore nei suoi gesti, che erano chiaramente sinceri.

Meno male, mi dissi, La bufera forse è passata. O forse Anna è molto abile a nascondere il suo vero stato d'animo!

«Beh, ragazzi, auguro ogni bene a tutti voi. Purtroppo fra qualche giorno vi lascerò. Ho già pronta la richiesta di congedo per maternità e credo proprio che trascorrerò l'ultima fase della gravidanza nelle Marche, vicino al mio compagno. Ma, anche se non ci vedremo, ci terremo in contatto!»

Sia Mauro, che Clara, che Anna mi assicurarono che non sarebbe passato giorno in cui non ci saremmo sentiti per telefono, magari con un semplice SMS. Quella sera tornai a casa felice, piena di quel calore umano che di rado in vita mia avevo provato. Sarebbe stata dura andarsene da quei luoghi, meravigliosi sotto tanti aspetti. Ero convinta che comunque, dopo alcuni mesi, sarei ritornata lì, non sapendo ancora che cosa la vita e il destino mi stavano riservando.

Quando entrai nella stanza del Dottor Perugini per consegnare la busta contenente la mia richiesta di congedo, vidi che il Questore teneva a sua volta in mano una grossa busta con sopra scritto in stampatello il mio nome a caratteri cubitali.

«Sapevo che i suoi contatti con le streghe di Triora l'avevano dotata di poteri soprannaturali, ma questa è telepatia pura, mia cara Dottoressa. Stavo giusto per convocarla!»

«Bene. Prima Lei o prima io?» dissi, alternando lo sguardo dalla mia busta alla sua.

«Credo che dopo che avrà letto il contenuto di questa, non ci sarà più alcun bisogno che Lei presenti più niente a me, richieste di ferie, congedi o altro...», disse, porgendomi la busta sigillata, ma di cui, a giudicare dal sorriso complice che aveva stampato sul viso, conosceva benissimo il contenuto. Aprii il plico, che giungeva dal Ministero dell'Interno, e iniziai a scorrere con lo sguardo quanto vi era scritto.

Viste le notevoli capacità investigative, nonché lo sprezzo del pericolo, l'abnegazione e l'attenzione nei confronti delle persone coinvolte nelle indagini... La Dottoressa Caterina Ruggeri, attualmente di stanza alla Questura di Imperia con il grado di Commissario, per decisione di questo Ministro, viene promossa Vice Questore Aggiunto e destinata alla Questura di Ancona, dove dovrà prendere servizio entro il 15 Dicembre p.v. Il Questore disporrà la sua sede di servizio, in base alle esigenze, tenendo conto delle ottime qualità della Dottoressa Ruggeri...

Non riuscivo neanche a credere a quanto stessi leggendo. Nel giro di un brevissimo lasso di tempo ero avanzata nella carriera in maniera inaspettata, direi incredibile. Lo stesso Ministro dell'Interno dispensava elogi nei miei confronti e, per di più, dopo solo pochi mesi trascorsi lontana dai miei luoghi di origine, potevo tornare a pieno titolo a lavorare vicino casa, e proprio in concomitanza con la mia maternità. Salutai il Dottor Perugini, ringraziandolo per tutto quanto aveva fatto per me in quel breve periodo e uscii dalla Questura, con la testa che scoppiava per i pensieri che si accavallavano, uno dietro l'altro, dentro di essa. Salii in auto e neanche mi accorsi della strada che avevo fatto per giungere a casa, tanto ero assorta nelle mie elucubrazioni mentali. Non c'erano decisioni da prendere, come era accaduto qualche mese prima. In quel momento le decisioni erano state già prese per me, e di certo non mi sarei potuta opporre. Eppure adoravo quei luoghi, anche se ci avevo vissuto per un brevissimo periodo, e non sopportavo l'idea di staccarmi, forse per sempre, dalle mie nuove amicizie. In vita mia non avevo mai avuto rapporti umani così intensi, di amicizia, di solidarietà, come quelli che avevo vissuto in quell'ultimo periodo. Non avevo neanche il coraggio di dire addio a Mauro, o a Clara, o ad Anna, ma neanche a Laura, a D'Aloia e persino all'Ispettore Gramaglia o all'ultimo Agente che lavorava al Distretto. Ma, d'altra parte, sarei tornata nei miei amati luoghi d'origine, sarei stata vicina al mio amore, al padre della mia bambina. E la piccola sarebbe potuta vivere in un clima familiare normale e avrebbe goduto della presenza di un affettuoso papà. Sapevo che il mio lavoro mi avrebbe tenuto parecchio fuori di casa e che, se mia figlia fosse dovuta crescere sola con me, avrei dovuto affidarla di continuo ad asili nido e baby-sitter. In questo modo, invece, sarebbe stato tutto più semplice.

Rimanevano ben pochi giorni da passare in Liguria. L'inverno era ormai alle porte e il freddo, anche per la vicinanza delle montagne ormai già innevate sui cocuzzoli, cominciava a farsi sentire. Furia sempre più di frequente cercava di entrare in casa per accucciarsi di fronte al caminetto acceso. Io, non senza una punta di malinconia, cominciavo a racimolare le mie cose, preparando alcuni scatoloni da caricare in auto assieme alle valige.

Chissà perché! mi chiesi. Anche in poco tempo una persona è in grado di accumulare dentro casa una quantità incredibile di oggetti da cui non si vuol separare per nessun motivo.

Ritrovai, tra le altre cose, il prezioso libro scritto in Ebraico con traduzione a fronte in Latino, che mi era rimasto fra le mani il giorno dell'incendio di casa Della Rosa. Lo avevo sempre tenuto come ricordo dell'indagine e dello scampato pericolo, ma in quel momento decisi che era giusto riconsegnarlo a Clara. Così colsi l'occasione per andarla a trovare e salutare lei e Mauro.

«Grazie, Caterina. Pensavo che questo libro fosse andato perduto per sempre tra le fiamme, e invece... Ma permettimi di regalarti una copia della Chiave di Salomone tradotta in Italiano. La potrai tenere come ricordo e potrai capire la potenza, la saggezza e i misteri che il testo nasconde. Sai solo tu come quella notte sei stata in grado di recitare a memoria l'invocazione che ti ha permesso di salvarmi la vita. E la recitasti in perfetto Ebraico.»

Visto che eravamo sole, in quanto Mauro era uscito a prendere della legna per il camino, le confessai ciò che credo già sapesse.

«È stata Aurora Della Rosa a inculcare le parole nella mia mente, ma di questo non ho fatto mai parola con nessuno. Credo che solo tu mi possa capire. In effetti, dopo aver avuto il rapporto con la maga, io sono cambiata, ho delle percezioni che prima non mi sarei neanche sognata di avere. Se mi concentro, vedo l'aura delle persone, e ho l'impressione di poter anche intuire i pensieri di chi mi sta di fronte.»

«Sono poteri, mia cara Caterina, che ognuno di noi ha in maniera innata. Le frontiere della mente umana sono ancora inesplorate. C'è chi impara a far uso di certe capacità e chi invece le tralascia, non si allena a utilizzarle e pertanto è come se non le possedesse.»

«Comunque sia, ritengo che sia stata Aurora Della Rosa a favorire lo sviluppo in me di queste percezioni, nuove e fantastiche per me, e così ho deciso che mia figlia si chiamerà Aurora, in suo onore e in sua memoria, e anche perché mi sento in parte responsabile della sua morte, o quanto meno di non aver fatto abbastanza per evitarla.»

Vidi che, sentendo quel nome, gli occhi di Clara erano diventati lucidi.

«Tutto questo ti fa onore, Caterina. Di certo la tua bambina, indipendentemente dal nome che le darai, avrà una personalità eccezionale, e ce lo sapremo ridire. Non credere che, per via della lontananza, non venga a conoscere tua figlia! Non saranno certo qualche centinaio di chilometri a impedirmelo!»

Mauro era rientrato con una bracciata di legna, tagliata a ciocchi, riversandola vicino al caminetto.

«Se le chiacchiere delle comari sono finite, gradirei salutare anch'io la mia collega, prima che parta per una remota regione del Centro Italia. La Polizia di Stato laggiù sarà ancora rimasta all'età della pietra!»

«Oh, di certo una Lamborghini Gallardo in dotazione non ce l'hanno», dissi, imitando il suo tono sarcastico. «Ma nulla mi vieterà di richiedere la tua specifica collaborazione, quando sarò invischiata in un'indagine particolarmente intricata.»

«Ah, per come te le tiri dietro tu, non credo che tarderai molto a chiamarmi!»

Mi fermai a cena da loro e, tra una battuta e l'altra, un bicchiere di vino rosso, una grappa e un punch al mandarino, risalii in auto con un tasso alcolemico superiore al consentito, ma felice di aver passato una serata tra veri amici.

Decisi di ritornare nelle Marche non in aereo, ma affrontando il lungo viaggio con la mia auto, così anche Furia avrebbe viaggiato con me.

Tranquilla Cittadina Di Provincia

Подняться наверх