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2 Oma3 e Opa 4

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Germania del nord, anni venti. La Grande Depressione. Un’inflazione che moltiplica i prezzi non per due, non per cento, per mille o per milione, che già sarebbe stata un’enormità, ma per dieci milioni, un miliardo, mille miliardi. Serve una carriola per far compere: non per portare a casa la merce, ma per trasportare le banconote al supermercato. Capita che i prezzi aumentino più volte al giorno. Le code fuori dai negozi sono infinite. Molti tedeschi trascorrono le loro giornate in coda, cercando di sbarazzarsi rapidamente dei loro soldi prima che perdano valore. I contadini non portano più nemmeno i loro beni in città, perché non vale la pena scambiarli con il denaro. Gli abitanti delle città non sempre riescono a saziarsi.

La super inflazione5 cessa nell’ottobre 1923 e sembra che una relativa prosperità abbia inizio.

È qui che inizia la storia di Oma e Opa, i nostri nonni materni. Gli anni ‘20 corrispondono ai loro 20 anni.

Ma la fine della super iperinflazione non risolve tutti i problemi di Opa. Dopo il suo apprendistato come sarto, deve tentare la fortuna altrove perché il laboratorio di famiglia è rilevato da suo fratello maggiore.

Il Brasile fa sognare molti tedeschi e Opa ha un fratello che abita a San Paolo. Così, è su un mercantile pidocchioso che i nostri nonni materni attraversano l’Atlantico per sbarcare a Santos.

In cucina, il 27 giugno

Buongiorno FM,

“Cosa? Vuoi tornare indietro di due generazioni? Ma è follia pura!”, esclamerai senza dubbio leggendomi. “Non ho solo questo da fare”, aggiungerai, ovviamente. Ma non mi lascerò scoraggiare, per ora. Se colloco l’origine di questo caso in un’epoca così remota non è a causa di un capriccio romantico della mia PS, come forse potresti pensare. No, ho le mie ragioni, e spero con tutto il cuore di essere in grado di fartele capire mentre leggi la mia storia.

Considerati fortunato, perché sono tentata di andare anche più oltre. Ai nostri bisnonni, per esempio…ma per tua fortuna non ho molte informazioni su di loro. Quindi, tornerò ai nostri nonni materni.

Anche il fratello che ho tenuto orgogliosamente per mano dall’alto dei miei 7 anni, mentre visitavamo lo zoo di San Paolo, avrebbe voluto saperne di più. La voce di mio fratello s’inteneriva quando parlava di Opa e del suo eterno sigaro in bocca.

Vorrei davvero poter chiamare Oma e farle delle domande.

“A che numero?”, mi chiederesti, probabilmente. Sono passati più di trent’anni dall’ultima volta che le ho parlato, ma il numero di telefono non è un problema. Lo ricordo ancora a memoria, anche se mi viene in mente solo in portoghese: meia - um - sete - zero - meia- sete. 617. 067. Vedi? Ho buona memoria. Detto tra noi, non pensi che questo dovrebbe convincere i nostri genitori della mia buona capacità di memorizzare?

Se Oma avesse potuto rispondere al telefono sarebbe stata senza fiato. Il suono del telefono doveva essere per forza una cattiva notizia, allora lei correva. Oma, per natura, non era ottimista, per usare un eufemismo.

Se in questo caso potessi farle delle domande, sarebbe felice di parlarmi del suo passato. A Oma piaceva farlo. Penso che le sia mancata la sua terra natale. A volte mi raccontava della sua infanzia nella piccola città nel nord della Germania, della sua scuola, alla quale si recava in bicicletta attraversando la pianura, dello stagno ghiacciato, su cui pattinava con le sue amiche in inverno. Anche della primavera, la sua stagione preferita, quando le piaceva spiare la comparsa dei primi fiori sugli alberi spogli.

Ascoltavo Oma piena di meraviglia. A quel tempo, non conoscevamo né i cambi di stagione, né gli alberi spogli, né i laghetti ghiacciati. Telefonare a Oma, però, rimarrà ovviamente solo un’idea stravagante: nel luogo in cui si trova oggi con Opa, non esiste una linea telefonica.

La linea telefonica stessa, probabilmente, è scomparsa insieme alla casa, demolita dai bulldozer con l’indifferenza che caratterizza questo tipo di macchine, insensibili alle mie vaghe proteste interiori quando ho immaginato il saccheggio del giardino, luogo di molti ricordi, di giochi con i nostri cugini.

È vero che la distanza tra me e i bulldozer (vivevamo già a qualche decina di migliaia di chilometri, in un altro continente) e la discrezione con cui ho espresso le mie proteste, rimaste sia silenziose sia interiori, non ha aiutato. Comunque non c’era altro futuro possibile per questa casa circondata da grattacieli su tutti i lati. Il terreno è stato venduto a un prezzo elevato e un edificio di circa venti piani ha sostituito la casa su un unico livello.

E tu ne sai di più? Potremmo mettere insieme i nostri ricordi e chi lo sa, raccontare questa storia insieme?

Mathilde, pensierosa

In cucina, 28 giugno

So che non mi risponderai. Mio fratello l’avrebbe fatto. E tu, FM? Quello che ho visto l’ultima volta più di due anni fa, quello con le linee dure, scolpite sul viso emaciato, quello che non sono nemmeno sicura di riconoscere per strada, ha ancora tempo per ricordare o commuoversi?

Così, ho deciso di attenermi ai fatti. Solo ai fatti, cifre e date.

Grazie a Google, “of course”

Ho dovuto solo digitare il nome di Opa. In cinque minuti, molto meno tempo di quanto ci sarebbe voluto allora per avere Oma al telefono, poiché la linea non funziona sempre bene, Google mi ha indirizzato all’archivio della città di Brema e alle liste dei passeggeri delle navi. Tre minuti dopo, ho trovato i nostri nonni: Maria-Elisabeth Jakobens, ventidue anni, di sesso femminile, di Wardenburg, residente a Visbek, si imbarcò a Brema il 26 ottobre 1929, a bordo del Sierra Cordoba. Franz Sennheiser, ventisei anni, di Ostbevern e residente a Lengerich, si imbarcò il 17 agosto 1928 sul Sierra Ventana.

Oma e Opa, quindi, non avevano viaggiato insieme. Opa è partito quasi un anno e mezzo prima di Oma. Invece, sembra che Oma abbia fatto la traversata da sola per unirsi al suo fidanzato che la stava aspettando in Brasile.

Poiché non siamo in vena di confidenze, non ti parlerò della mia emozione e delle lacrime che sparsi quando pensai a Oma, così giovane, probabilmente con poco più di un baule in ogni mano, che si imbarcava da sola per una destinazione sconosciuta e lontana. La lista dei passeggeri menziona le nazionalità. Dei trentadue passeggeri del Sierra Cordoba, c’erano solo sei persone di lingua tedesca (quattro tedeschi, un austriaco e uno svizzero). Il resto dei passeggeri proveniva dalla Lituania. Lei, che amava parlare, forse non poteva farlo liberamente. Sai forse come si dice in lituano “Ho lasciato tutta la mia famiglia. Non sono sicuro se la rivedrò mai, e ho un po’ paura”?

Con i piedi nella piscina dei bambini, 2 luglio

Ciao FM,

Spero che perdonerai la mia posizione. Ci sono 39°C, la canicola imperversa. Provo a rinfrescarmi un po’ con i piedi nella piscina di plastica per bambini di Bastien. Certo, quest’acqua calda riesce a malapena a essere di una qualche utilità in questo senso, ma non ho trovato nulla di meglio.

Per distoglierti un po’ dagli archivi polverosi di Brema e dalle loro liste di passeggeri, oggi ho nuove notizie per te. Data la temperatura, è un peccato che questa notizia sia fresca solo in modo figurato.

Ho pubblicato le foto delle navi su Facebook. Nostra cugina Fernanda è stata la prima a condividere la mia emozione. Poi Amelia e i nostri cugini: Oscar, Fabian, Lukas, Linus. Juliana, la figlia di Linus e infine, Tante6 Felizia e Tante Marlene.

Tante Felizia ha promesso di inviarmi altri vecchi documenti sulla nostra famiglia.

Ti terrò aggiornato non appena li riceverò!

In cucina, il 3 luglio

Non ti ho fatto aspettare molto, perché Tante Felizia ha già mantenuto la sua promessa. Ho appena ricevuto una foto di famiglia di Oma.

Ci sono molte persone nella foto! Oma aveva nove tra fratelli e sorelle. Cerco di trovare qualcosa di familiare, di comune, nei volti che ho davanti agli occhi. La nostra bisnonna ha lo stesso sorriso di Oma e di tre delle sue altre sorelle.

Devo ammettere che questa foto mi ha appena confuso le idee. Mi aspettavo di trovare indizi che testimoniassero un’epoca patriarcale, ma è piuttosto il contrario che percepisco: è la nostra bisnonna che regna su tutta la tribù. Lo fa quasi in modo maestoso, con un lungo vestito nero, una spilla sul collo e qualcosa che sembra un diadema tra i capelli. Il nostro bisnonno, che certamente sfoggia con fierezza i suoi baffi e un abito elegante, rigido come il suo sorriso, non è al centro, ma a lato, e anche se la sua posa è dritta, l’aspetto è dimesso.

Oma è seduta accanto a sua madre. Il suo viso rotondo mi è familiare. Il sorriso giocoso, d’altro canto, è sostenuto da uno sguardo sereno e calmo che mi ha sorpresa, tant’è vero che l’ho scritto a Tante Felizia: “Guarda che viso forte ha Oma! Incredibile!” Tante Felizia mi ha risposto che aveva avuto esattamente il mio stesso pensiero.

Che cosa è successo tra lo scatto della foto e il momento in cui l’abbiamo conosciuta? Dove si è persa la sicurezza nello sguardo, nella linea di donne tra Oma e me?

Ti lascio con questa domanda e alcune nuove previsioni meteorologiche: oggi a San Paolo la temperatura è di soli 10°C!

Ricordi gli inverni di San Paolo? Duravano solo due o tre giorni l’anno e, tuttavia, non succedeva tutti gli anni. Quei giorni erano una vera tortura. Ovviamente non c’era il riscaldamento nelle case, e anche quando indossavamo tutti i nostri maglioni a maniche lunghe uno sopra l’altro rabbrividivamo, perché il freddo umido non perdona.

Spero che evocare l’inverno in questo periodo torrido abbia rinfrescato un po’ il tuo spirito!

Saudade

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