Читать книгу Novelle umoristiche - Albertazzi Adolfo - Страница 15
II.
ОглавлениеQuesti, subito, quasi avesse fretta di levarsi un peso d'addosso, mandò un «servizio» di sei tazze, poh! abbastanza fine: Ginori di seconda qualità.
— Di terza, di terza! — mormorò la mamma, meno paga e sempre astiosa con l'ipocrita e avaro donatore. Ma — A caval donato.... — aggiungeva per suo stesso conforto.
Quanto agli altri regali desiderati e attesi: nessuno; e quale rabbia allorchè una prozia e una cugina, su la cui intelligenza s'era fatto assegnamento, inviarono la prima un ombrello di raso paonazzo e la seconda un astuccio per guanti! Stupide! La Gigia era forse una donna più da passeggio che da casa? Chi regalerebbe ora il cofano, i candelabri o il lume, lo specchio e l'album? Forse la zia paterna, ch'era ricca assai, manderebbe alla sposa le posate? Forse lo zio paterno manderebbe i vasi giapponesi?
.... — Vostro zio? — domandava Terpalli ogni volta che rincasava, facendo quattro gradini alla volta.
Sì! Lo zio materno — a loro che avevano rinunciato al viaggio di nozze — regalò.... una borsa da viaggio!
.... — La zia?
Un monile bello, assai bello, regalò la zia; ma la Gigia avrebbe preferita qualche cosa di più utile sebbene di minor prezzo; avrebbe preferito restar disadorna lei a lasciar il salotto disadorno, nudo.
Nè le amiche poterono far molto: un libro da messa; una scatola di profumi; cinque metri di pizzo; un cuscino da sofà; un portafogli ricamato all'antica....
Quand'ecco, alla vigilia del gran giorno, la mamma su la scala venne incontro a Terpalli più che desolata, irosa e sbuffante. Una combinazione incredibile! La signora Tecla, antica loro conoscente, memore d'aver visto nascere la Gigia, aveva pensato a un regaluccio: e aveva pensato proprio a.... un «servizio da caffè»! A guardare la faccia della mamma mentre diceva: — Eh! che ne dite? —, Gustavo credè leggervi come un'accusa di complicità sua col caso; e provò tal pena a veder lagrimosa la Gigia mentre essa diceva: — Si può essere più disgraziati? — che si sforzò a ridere, da uomo di spirito.
— Faremo così: quello di mio zio — disse — l'useremo per romperlo; e quello della signora Tecla lo metteremo nel salotto per conservarlo.
— Già: sulla tavola, con l'ombrello aperto! e, sotto, la borsa, il libro da messa, la scatola di profumi e il cuscino! Che bel salotto! — esclamò la Gigia.
Propose Gustavo:
— Perchè non avvertire la signora Tecla? Potrebbe ottenere qualche cosa in cambio, dal negoziante.
— Oh io non m'attento! — borbottò la mamma.
E la figliola:
— Nemmeno io!
— Dunque si tiene il secondo «servizio» e si ringrazia! — disse Terpalli, al quale rincrebbero il broncio della vecchia e l'ironia della sposa.
— Lo butterei dalla finestra! — esclamò la Gigia, alla quale per contro rincresceva l'indifferenza ostentata dallo sposo.
— Ma la colpa è vostra! — esclamò la mamma, che il riso del genero aveva inviperita.
— Che colpa?
La vecchia tacque; poi sospirò e borbottò:
— E siete senza parenti; non avete che quell'avaro gesuita!
— Colpa mia? — Gustavo dimandava. — Colpa mia? — ripeteva.
Presentendo il litigio, la ragazza pregò:
— Zitti! basta!
— Se non ho parenti, ho degli amici — asserì lo sposo. — Ho i colleghi!
Allora la signora Clotilde si mise a ridere lei.
— I colleghi? Un mazzo di fiori e tanti saluti! Un bouquet, come daranno i vostri testimoni; e ciao!
— E il conte? Perchè è in viaggio credete si dimentichi?... Mi vuol bene, lui!
Terpalli l'aveva ricordato per il colpo finale.
Il signor conte non solo non si dimenticherebbe, ma spedirebbe o le posate o lo specchio.
— Vedrete!
Questa la sua fede.
— Il conte? — ribattè la mamma rivelandosi del tutto suocera. — Neanche un biglietto vi manda! Ci scommetto!
— Forse sì e forse no.
— Oh che pretendereste da lui? Cosa può regalare a un impiegato così.... modesto come voi?
— Il lume! — rispose in modo di canzonatura Gustavo.
Frattanto la Gigia pregava:
— Smettetela; finitela....
— Il lume dovevate chiederlo a quel tanghero; e adesso non avreste due servizi da caffè!
— Ma sono un profeta, io? — urlò Terpalli.
— Profeta, no; timido, sì.
.... — Mamma! Gustavo!
— Timido?
— Timidissimo! Avete avuto paura d'obbligarvi troppo con vostro zio, e gli avete domandato quel che costa meno!
— Sissignora! E ho fatto uno sforzo a domandare anche così poco!
— Ma Dio vi ha castigato! Chi non si aiuta..., mio marito lo diceva sempre, muore senza aver goduta una zuppa calda!
— Mio marito; — grugniva Gustavo senza attendere alla Gigia che lo tirava per la giacca. — Sempre «mio marito»! Lui, lui sapeva stare al mondo!
— Ah, meglio di voi, signorino!
— Infatti....
.... E la Gigia scoppiò in pianto. E lo sposo afferrò il cappello, e scappò via.
— Gustavo! Gustavo!
— Mio marito era un uomo! — la suocera gli gridava dietro. — Si può dir forte: era un uomo lui! Se fu disgraziato....
Insomma, la buona donna aveva bisogno di sfogare un gran malumore; e la buona figliola ebbe ragione di gemere:
— Il cuore me lo diceva che eravamo troppo felici!