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CAPITOLO XXIX

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Che le mercanzie ed altre cose si modereranno nelli prezzi in dipendenza dei giusti valori dati all'oro ed all'argento in monete ridotti; e anco si mostra l'ordine che si dovrá tenere nel contrattare essi preciosi metalli non coniati con i coniati, e che molte dispute si leveranno via.

Avendo da mostrare tutto quello, ch'io propongo, esser vero, dico che l'oro e l'argento, mentre che sono grezi e non lavorati, ed anco dopo che sono in qualunque sorte di opere posti o fabricati (eccettuando però sempre i danari), sono mercanzia come le altre robbe, o cose che si comprano o che si vendono overo che in altro modo si contrattano. Ma, quando sono ridotti e fatti in monete, essi non si possono con ragione alcuna domandare «mercanzia» per cagion di tale loro essere; imperoché divengono e sono poi fatti base, fondamento ed una misura publica e commune a tutti per far contratti di mercanzie e di molte altre cose. Il che manifestamente e con alta filosofia vien dimostrato e dichiarato dallo stagirita, prencipe de' peripatetici, Aristotile, nel capitolo V del quinto libro dell'Etica sua, sotto la rubrica De permutatione, nummo et indigentia e nel capitolo I del nono libro dell'opera istessa, sotto la rubrica Quae conservant amicitiam (sopra i quai capitoli commentando il dottissimo Donato Acciaiuoli, egli con molta acutezza ha esposto i passi sopra ciò dal filosofo descritti); e la qual cosa pare che volesse anco esser significata e mostrata dal medesimo Aristotile nel capitolo VI del primo libro della Politica, sotto la rubrica De nummularia acquisitione, quod sit praeter naturam et quod differat a cura rei familiaris, ecc. Ma, perché l'oro e l'argento, nel ridurli in danari, quasi sempre sono stati compartiti sotto ordini diversi e variati, cioè da una cittá all'altra e da una provincia all'altra, però essi sono stati e sono misura disuguale e non uniforme, quanto sia in universale. Ora, quando di detti preciosi metalli saranno fatte monete nuove, e che su esse, cosí su quelle di lega fina come su quelle di bassa lega, s'imprimeranno le note del lor valore, della lega o finezza e del peso, nella forma e con l'ordine giá nel capitolo XXII dimostrato; allora sí che si potranno con veritá domandare, sí come in effetto saranno, una sola misura, giusta, reale, publica e commune a tutte le genti, in tutte le parti del mondo, per fare ogni sorte di contratti tanto di mercanzie e d'altre cose quanto per fare ogni e qualunque pagamento con integra e perfetta sodisfazione. E i quai oro ed argento non si potranno mai in alcun modo giustamente, in corrispondenza proporzionata, dispensare o compartire in picciola o in gran quantitade, ed in particolare nel far monete, se non saranno terminati e compartiti con un solo real peso e fermo, e sotto giusti e corrispondenti proporzionati dati valori, che servino in universale, come ho giá detto, con il peso della libra di Bologna, e sotto li valori di lire 72 e di lire 6 imperiali l'oncia del puro e del fino. E saper si dee che per questi ordini non ne tornera né intervenirá danno ad alcuno che ne voglia vendere o contrattare, e in particolare alli mercatanti che li vendono dalle minère, ed in generale a tutti quelli che ne faranno mercanzia o contratti. Imperoché non vien vietato loro di poterli contrattare, cosí grezi o in verghe, over a loro spese coniati sotto la regola proposta, con qualsivoglia mercanzia o altra cosa che loro aggradi, sotto qual prezzo o valore che loro piacerá, cioè di poter domandare in contracambio cosí d'ogni oncia, denaro e grano d'oro puro, come d'ogni oncia, denaro e grano di fino argento, non coniati over in monete ridotti, quella quantitá di mercanzia o altre robbe a lor modo; ma non si dovranno giamai movere il peso ed i valori dell'oro e dell'argento giá detti. E parimente quelli mercatanti, che gli avranno ricevuti in contracambio delle loro robbe, potranno permutarli o contrattarli cosí grezi over di nuovo cosí monetati, e in quelle sorti di monete o grosse o minute secondo il loro commodo, con altre mercanzie o robbe; facendosi con dette robbe pagare le mercedi ch'avessero speso in farli coniare, over ch'avessero fatte buone a chi gli avesse dato loro cosí di nuovo coniati, e con li suoi guadagni e come loro renderá piú conto; stando però (com'ho detto) sempre fermi a detti oro ed argento i suddetti peso e valori, sí come stanno e mantenuti sono i pesi e le misure delle cittadi, quali in esse particolarmente stanno fermi e non mai sono mossi dalle loro terminate forme. Conciosiaché, quando questi pesi e misure fossero ogni qualch'anno mossi dal detto lor ordine, con accrescerli ogni volta di qualche poco o di assai, tanto in una cittá come in piú, nelle quali i mercatanti insieme negoziassero, e poi si volessero fare i conti sopra le misure e pesi passati e i nuovi insieme, non si potrebbono mai confrontare i conti sopra essi; ed il simile sarebbe nelli pesi e valori d'essi oro ed argento, tanto non coniati quanto in monete ridotti, quandoché ogni qualch'anno fossero mossi dalla loro terminata forma e regola. E perché è cosa quasi impossibile che le monete si possano pesar tutte nello spendere alla giornata, e perché ancora sotto il nome del valore segnato su esse, come nel detto capitolo XXII, e per la tassa ch'a tutte le giá coniate si fará, ciascuna verrá come quasi pesata senza bilancia; però è necessario che, cosí quelle d'oro come quelle d'argento, tutte sian regolate in tutti i luoghi sotto un ordine medesimo. Oltre di ciò si sa che i danari sono trasportati da una cittá all'altra e da una provincia all'altra, e non restano in quelle ove sono stati fatti. E se ben si contratteranno con essi le mercanzie e altre cose con vari pesi e prezzi di esse mercanzie, nondimeno in queste non vi potrá mai nascere alcun disordine. Perché, com'ho detto, l'oro e l'argento in monete ridotti sono il fondamento dal quale le mercanzie e altre cose deono regolarsi, ed essi deono star sempre fermi nella loro vera e reale proporzionata concordanza, cosí delli pesi come delli valori, e massimamente quando sono posti in zeca, e che dalli zechieri e contisti han da essere compartiti per far monete di varie leghe o finezze sotto questi ordini; ma non mai l'oro e l'argento deono regolarsi dalle mercanzie o altre cose. Imperoché, quando sono ridotti in danari e che dalle zeche vengono dispensati, non vi si può poi levare né crescere il pur'oro e l'argento fino in essi compartito con fermo e proporzionato fondamento e con vera e perfetta ragione. Né meno vi si può crescere né sminuire il loro reale dato valore, perché giá sono stabiliti e fermi: onde chi crescere o calar poi volesse ogni qualch'anno due o tre soldi lo scudo, e cosí l'oncia dell'oro e dell'argento (cosa che sott'ordine di ragione alcuna non si potrá fare), tal valore non si potrebbe poi dividere sopra le monete, ed in particolare sopra le minute; e perciò fa di bisogno che vi sia la terminata forma e regola per essi oro ed argento da esser coniati, qual osservata sia in tutti i luoghi, volendo che le monete non si abbiano mai piú a guastare per rifarne altre, né a bandire, come sinora è stato fatto. E perché con i danari si negoziano quasi tutte le cose del mondo, com'è detto, però per quest'ordine si causerá che ogni mercanzia si moverá di prezzi e valori in dipendenza dall'oro e dall'argento cosí in monete ridotti; e ciò sará perché tutte le monete cosí d'oro come d'argento si spenderanno solamente per il giusto valore della rata del puro e del fino ch'in esse ed in ciascuna d'esse si troverá essere, ma non per alcun altro valore dato loro oltra la rata della loro bontade, sí come di presente forse si usa in molti luoghi. E perciò, nel fare i contratti delle mercanzie, le cose si negozieranno in altra maniera di quello che si fa e si usa di presente; imperoché s'avrá sempre riguardo alli valori della giusta quantitá in peso del puro e del fino, che si troverá essere nelle monete e non altrimenti, e per queste ragioni le mercanzie ed altre cose, come serve, avranno dipendenza nelli prezzi da essi preciosi metalli coniati nel modo suddetto, come loro padroni e dominatori, perché tutte le monete saranno di giusti e perfetti valori. Oltre di ciò pare che il dovere e l'onesto non voglia o comporti che l'uomo debba fare i guadagni duplicatamente, cioè nelli prezzi delle robbe o mercanzie che si vendono o che si contrattano con i danari, e poi anco nello spendere essi danari, ora per un valore ed ora per un altro da luogo a luogo in un medesimo tempo, over nel farli riconiare nei modi usati, e quasi sempre, in cosí fare, con vantaggi. Ma ben tengo per fermo che il dover voglia che solo basti che si facciano i guadagni leciti sopra le robbe o mercanzie che si vendono o che si contrattano con i danari, senza avere alcun riguardo di far altri guadagni nelle monete estrinsicamente, eccetto che sopra le fatture e laggi loro, e come in altro luogo del presente capitolo si dice. E perché non occorrerebbe mai piú ch'alcuno portasse oro o argento di qualunque sorte dalla sua patria ad un'altra cittá per far fare danari (quando però in quella fosse aperta la zeca), essendoché sarebbe spesa sopra spesa per causa delli viaggi o altra, e non gli tornerebbe conto; e ch'altri con le monete fatte sotto questi ordini comprasse monete d'oro o d'argento in altri luoghi fatte con gli ordini medesimi per farle riconiare, sapendosi che si perderebbono le fatture; però da una zeca non sarebbono guasti i danari in un'altra zeca fatti. Le quali fatture, com'ho giá detto, dovranno esser pagate da chi fará ridurre in monete i detti preciosi metalli, sí come aviene nell'opere dei metalli inferiori, cioè del rame, dello stagno ed altri; e ben si sa, chi li fa lavorare, essergli necessario pagar le fatture. Cosí parimente si dirá dell'oro e dell'argento, che, quando si fanno far collane, vasi o altri lavori, non solo si pagano le fatture ma i cali ancora, e l'oro e l'argento cosí lavorato poi muta il nome suo in quello dell'opera e si nomina per «collana» o altro; e l'istesso fanno anco quando sono in monete ridotti, percioché mutano il nome loro e si nominano solo col nome della moneta. E se quello che fará fare qualch'opera con oro e con argento grezo, over con monete nei valori delle quali sono comprese le fatture, pagherá le fatture di essa; e, volendola poi ridurre o ritornare in monete per prevalersene per conto suo, perché non è il dovere ch'egli paghi le fatture, come se volesse far fare, di essi preciosi metalli grezi, o di monete, collane o vasi o simili, essendoché nel fare e l'uno e l'altro tutte sian fatture?

Oltre di ciò dico che il far fare i danari a sue spese sará cosa fatta per utile e conto di ciascun particolare che cosí gli avrá fatto fare, sí come è il far fare vasi o altre simili cose, perché nello spendere i danari e nel riceverli si dará e si piglierá di quegli istessi over d'altri in altre cittadi e provincie con i medesimi ordini fatti, come se ciascuno avesse fatto fare vasi col suo argento per uso suo; e tutto ciò sará cosa reciproca e commune a tutte le genti in universale, essendo che ciascuno piglierá da altri i danari per i medesimi valori, e con la medesima quantitade in peso di oro puro e di fino argento, con la quale ciascuno avrá fatto fare li suoi. Il che non potrá mai tornare danno né a persone publiche né a private, imperoché da ciascuno si riceverá quello che ad altri si avrá dato: onde manifestamente si conosce che non vi si potrá mai trovare differenza alcuna, cosí nel dare come nel ricevere. Ed il simile riuscirá di tutte le monete sinora fatte, che saranno tassate sotto gli ordini che si descriveranno. E senza alcun dubbio affermar si dee che la spesa del fare i danari spetta a quelli che vogliono servirsi del suo oro o argento, perché li fanno cosí fare principalmente per servirsene per utile ed interesse loro particolare, sí come è detto. Ed avvertire si dee non esser cosa necessaria che i danari siano fatti o rifatti per spenderli per i dati valori, nei quali siano comprese le fatture con tanta diversitade e disproporzione in essi compartite. Perché, essendo fatti cosí, non possono poi essere la detta giusta misura, e non possono servire ad uso publico in tutto il mondo, né meno particolarmente a cittá per cittá ed a provincia per provincia con certezza e fermezza, per cagione dell'instabile corso loro ed alle volte incerto e dannoso di tempo in tempo; ma, essendo fatti senza il comprendervi nei loro valori le fatture e sotto questi ordini, essi saranno e resteranno per sempre per uso publico col corso stabile e con i valori fermi e certi, e non potranno giamai esser dannosi in tempo alcuno, né in particolare né in universale, in qualunque parte del mondo.

E, quanto a me, s'io mi trovassi avere alcuna quantitá d'oro o d'argento, e che vi fossero aperte le zeche con tali concessioni, non mi parerebbe cosa grave e non vi farei difficultade alcuna ridurli in monete a spese mie sotto questi ordini; prima per mio servigio, e poi perché esse si potrebbono spendere e sarebbono accettate per sempre da ogni persona e da me in tutti i luoghi, senza danno o perdita alcuna; oltre che, nel fare i pagamenti si conoscerebbono in un istante i valori alle monete dati, le leghe o finezze, e quante monete di un medesimo valore e lega n'andassero alla libra; e ciò per cagion dell'inscrizione delle note su esse fatta. Il qual ordine a me pare che dovrebbe piacere a tutti, ed anco che dovrebb'essere molto ben considerato, ed in particolare ed in universale, da ogni nazione, sapendosi che il far danari è cosa di necessitade e anco per instituto antico ordinata, accioché fossero una misura, commune a tutte le genti, di poter fare l'ugual permutazione nel contrattare le mercanzie e molte altre cose, ed anco per fare i pagamenti giusti, com'è detto: essendo che i detti preciosi metalli non possono né potranno giamai essere la detta misura, se bene di essi fosse fatta ogni e qualunque altra sorte di opere, a spese o grandi o picciole di chi le facesse cosí fare; perché l'uomo, che volesse poi servirsi o prevalerse di tali opere per far contratti, anderebbe a pericolo il piú delle volte di perdere le fatture di quelle, oltre che i baratti o contracambi sarebbono quasi sempre disuguali e non appetibili ad ambe le parti.

E quantunque alcuni dicessero che il cavare le fatture dal corpo delle monete sia cosa trovata per publica commoditade, nondimeno, essendo tutto l'opposito, di ciò ne tratterò nel capitolo XLII.

Dico anco che, se bene ciascuna maestranza ora crescerá ed ora calerá nelle sue mercedi in fare qualunque sorte di opere, ciò niente importa, perché neanco dalle maestranze si debbe regolare il coniare l'argento e l'oro. Ed essendo anco necessario che quasi ogni ora si comprino piú cose con qualche picciola parte d'argento in moneta ridotto in corrispondenza dell'oro, nondimeno, movendosi anco esse di prezzi, niente importa; ma ben importa che stiano fermi il peso ed i valori di essi preciosi metalli, quali, com'ho detto, sono giá stabiliti ed in monete ridotti sotto una real concordanza proporzionata e perfetta forma. Onde non si potrá poi piú allegar quello ch'alle volte da alcuni vien detto: che per causa delle triste monete non si possono avere le robbe se non con quasi duplicati valori; laonde con buona ragion essi preciosi metalli dovranno esser mantenuti per sempre nella detta real concordanza.

E, perché l'oro e l'argento, tanto non coniati quanto monetati, si troveranno essere in uno stato, dal quale da ora inanzi piú non si rimoveranno, però si può ben tener per fermo che si vederanno maggiori quantitá di monete d'ogni sorte. Imperoché non saranno rinchiuse nelle casse, con speranza che debbano in un poco di tempo crescere di valore; né meno si potrá far alcuna cerna o scelta di esse, per rifarne poi altre, over per portarle a spendere in altri luoghi con vantaggi, come si è fatto per il passato e come forse da alcuni anco di presente si usa di cosí fare. Ma quasi tutte, cosí le antiche che tassate saranno, come le nuove sotto questi ordini fatte, si spenderanno in mercanzie, o in comprar case o terre, o altre cose secondo gli appetiti degli uomini, eccetto però quelle che si teneranno per li suoi bisogni over per qualche belle effigi in esse impresse. E non succederá piú il disordine, che solea accadere, del non trovarsi or monete d'oro e or d'argento per contracambiare; ma, servando questi ordini, ben se ne potranno aver in ogni tempo, non solo da chi ne fará professione di cambiare, ma anco da altri.

Dico anco ch'essi oro ed argento, tanto non coniati quanto in monete ridotti, si contratteranno con regola ordinata; cosa che non si è fatta per li tempi passati, essendo che questi preciosi metalli non coniati si davano ed anco si danno a peso, ricevendo per li loro prezzi le monete con diversitá d'ordini valutate, e di valori disproporzionati, cioè da un paese ad un altro, ed anco da una sorte di moneta all'altra, se si riguarda al fino ch'in esse si trova. E ciò credo essere stato usato ed usarsi cosí per l'oro e l'argento cavato dalle minère, come per il comprato diversamente dalli zechieri e banchieri ed altri. Ma per l'avenire si fará altrimenti, perché si daranno le monete d'argento in contracambio dell'argento non coniato a peso per peso, in quanto al fino. E, come per essempio, s'alcuno dará once 100 d'argento di coppella, e riceverá in contracambio delle monete che vagliano lire 600 d'imperiali (delle monete, dico, che si faranno o che si tasseranno secondo questi ordini), in esse saranno altre once 100 di fino argento, e solamente fará di bisogno che chi dará l'argento non coniato reimborsi le fatture ed i laggi a quello che dará le monete, e come i contraenti sopra ciò s'accorderanno tra loro. E per quest'ordine la cosa anderá del pari, cioè da peso a peso in quanto al fino, percioché si permuterá solamente l'argento fino ridotto in monete (ancorché accompagnato) con il fino non coniato a peso per peso nel modo suddetto, e le note segnate su le monete dimostreranno il peso del loro fino; col mezo delle quali note si potrá anco facilmente conoscere il brutto di esse monete. Ed è cosa ragionevole che ciascuno sappia tutto quello che piglia di bontá o finezza nelle monete, essendo quasi impossibile poter fare di continovo il saggio delle monete ad una per una. E tutto ciò sará un ordine reale ad uso di mercanzia da tutti intesa, cioè permutazione di puro in puro e fino, a peso in proporzione, e solamente mercanzia sopra le fatture e laggi; e perciò avvertir si dee che il permutare il puro ed il fino a peso per peso proporzionalmente è una cosa, e l'accordarsi sopra le fatture delle monete e de' laggi loro è un'altra. Oltre di ciò dico che chi averá l'argento non coniato lo potrá far ridurre in monete, facendone fare di quelle sorti di leghe o di maggiore o di minor valore, secondo ch'egli conoscerá poterle contrattare in altre robbe con suo lecito guadagno, over in far cambi di monete. Ora, per mostrare che per essi preciosi metalli non coniati, dati a peso in ragion di fino, sono state e sono date per i loro prezzi monete d'alterati valori, oltra il valore del fino ch'in esse si trova, come di sopra è detto, ciò si può manifestamente vedere nella tavola fatta in essempio sopra le sei sorti di monete a capitolo XXXVII, qual tavola passa in essempio delle monete fatte in molte cittá e province. Onde si vede che once 132 d'argento fino compartite in quarti, ed altretante compartite in quattrini o in altre sorti di monete, sono in grandissima disproporzione di valori tra esse sorti di monete, come in quella. E simil disordine aviene anco alle volte per l'oro ridotto in ducati o in scudi o in altre sorti di monete, con le quali si compra l'argento non coniato. Perché, crescendo di continovo per diverse cause il valore dell'oro coniato, si contratta poi cosí valutato col detto argento; cioè questo a peso in ragion di fino, e l'oro coniato con i valori usati, com'è detto, senza aver forse riguardo alle proporzioni naturali reciproche che sono tra essi preciosi metalli, a quali proporzioni per l'avenire in effetto s'avrá riguardo. E, come per essempio, colui che dará once 12 d'argento di coppella, che valerá lire 6 imperiali l'oncia, le quali fanno in tutto lire 72, e riceverá in contracambio scudi 9 da lire 8 l'uno, overo scudi 10-2/7 da lire 7 l'uno, overo scudi 12 da lire 6 l'uno, in ciascuna sorte de' quali vi sará un'oncia di pur'oro, che valerá lire 72 d'imperiali, averá il giusto contracambio; e quello, che dará dett'argento, rifará a colui che gli dará gli scudi la fattura e il laggio d'essi, secondo il loro accordo sopra ciò.

Egli è ben vero che, quando si è contracambiato, e che alle volte si contracambia l'oro non coniato con l'oro coniato, quasi sempre si è usato e si usa aver riguardo al peso del puro dell'uno e dell'altro; e le fatture e i laggi sono stati reimborsati o rifatti, e si rifanno a quello c'ha dato e che dá il coniato, e di quel tanto che si è restato e che si resta d'accordo tra le parti. E con questi tre ordini, cioè uno di permutazione d'argento fino non coniato col fino ridotto in monete, l'altro dell'argento fino non coniato col pur'oro coniato, e l'altro dell'oro puro non coniato col pur'oro coniato, tutti a peso ed in real proporzione quanto al puro ed al fino, vengono dimostrate quattro azioni, con le quali debb'essere per sempre ragionevolmente mantenuta la vera reale e proporzionata concordanza tra essi preciosi metalli, cioè uno per dodici e dodici per uno, tanto delli pesi quanto delli valori, sí come in molti luoghi di questo Discorso è stato detto; volendo che le monete cosí d'oro come d'argento siano fatte, e che tutte le giá fatte sian tassate con un sol ordine in universale, accioché restino poi per sempre nel loro giusto essere proporzionato cosí delli pesi come delli valori.

Si leveranno anco via molte dispute, che tuttodí nasceano sopra i pagamenti cosí del dare come dell'avere, e sopra i crediti cosí antichi come moderni; perché basterá pagarli con tanto pur'oro o argento fino coniato, come importava il puro ed il fino a peso nelle monete nel tempo che fu creato il debito, come nel capitolo XIII e nella settima utilitá delle dodici ed in altri luoghi del Discorso si dimostra.

Economisti del cinque e seicento

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