Читать книгу La vita Italiana nel Cinquecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1893 - Autori vari - Страница 4
I.
ОглавлениеSignore e signori.
Non mai spettacolo più imponente vide l'umanità. Dileguavansi appena dalla Germania, dalla Francia, dall'Inghilterra le ultime nebbie del Medio-Evo, e gagliardi di lor giovinezza salutavano i popoli il sole rinascente d'Italia. Le monarchie armate, equilibrantisi sui varii ordini delle nazioni, sembravano associare gli interessi dinastici al trionfo di un nuovo principio di diritto maturatosi nelle scuole. Conformemente alle varietà di stirpe, di linguaggio, di condizioni storiche si erano venuti aggruppando i popoli, e formavano delle unità politiche forti e compatte. Sotto la protezione dei re, che assecondavano i meravigliosi e rapidi progressi della risorta civiltà, le borghesie, già schiacciate sotto il peso dell'oppressione feudale, perfezionavano gli ordinamenti politici e la legislazione degli Stati; spogliavansi dei rozzi costumi di un tempo, vedevano rispecchiato nelle corti già ricche di gentilezze spirituali, e di agiatezze domestiche, un ideale di vita migliore.
Una profonda rivoluzione intellettuale e morale poneva l'Italia alla testa del mondo civile. Per l'umanesimo noi avevamo riacquistata coscienza del nostro passato, ci eravamo di nuovo fatti signori di un patrimonio perduto o disperso; e ravvivate per esso le forze dell'intelletto, avevamo riguadagnato il senso reale della vita, trasformati i metodi della scienza, restituito il mondo all'uomo. La varietà dei nostri ordinamenti politici, il possesso già da tempo rivendicato della sapienza giuridica di Roma ci aveva addestrati, meglio e prima d'ogni altro popolo, nell'arte della diplomazia e della politica, il genio artistico nazionale si era ritemprato e perfezionato nell'imitazione del bello classico. Le ricchezze accumulate nelle nostre laboriose città rendevano possibili le solenni manifestazioni dell'arte, ne assicuravano le nuove vittorie nelle corti signorili italiane, ove con l'ingentilirsi del costume, delle abitudini, della lingua preannunciavasi la vita moderna.
Eppure quel secolo così fecondo di pensiero e d'azione, in cui lo spirito d'avventura congiunto alla stimolatrice curiosità della scienza rivelava di là dall'Oceano un continente inesplorato, in cui la stampa prestavasi al mutuo e rapido scambio della cultura, e abolivasi il privilegio nei campi di battaglia come nelle istituzioni politiche e nella scienza, il fatto politico, che incentra tanto febbrile moto di vita, e ci offre pur l'orditura di tanta parte della storia moderna, presenta tutti i caratteri di un dramma medioevale. Ne sono protagonisti i due principi più potenti del Cinquecento, Francesco I di Valois, Carlo V d'Absburgo. Rivivono in Francesco I le tradizioni cavalleresche della Francia cristiana; soldato e poeta alla fede degli avi, al culto della donna, al sentimento dell'onore sacrificherà troppo spesso gli interessi della dinastia e della Francia. Ridestasi in Carlo V, che ha fatta sua la patria del Cattolicismo e dell'Inquisizione con le melanconie ascetiche del Medio-Evo, l'ideale politico del passato. Un faro luminoso è la mèta inafferrabile del suo destino. Dagli espedienti volgari della politica quotidiana quel sogno lo distrae e lo conforta: restaurare la monarchia universale a difesa della fede e della Chiesa cattolica. Alle attonite moltitudini il prigioniero di Pavia, che dalla tetra torre di Pizzighettone invia alla madre Luisa di Savoia il famoso messaggio, e versi caldi d'amore alla donna de' suoi pensieri, sembra un cavaliere d'antiche leggende. Il sacco di Roma rievoca la lontana memoria di Alarico e de' Visigoti; la guerra di sterminio contro Firenze provoca su Carlo V le imprecazioni e le ingiurie, che già colpirono il capa del Barbarossa, e quando l'eco di quegli improperii lentamente si spegne nell'Italia lacera e sanguinante, la plebe affamata di Napoli acclamerà il principe poc'anzi maledetto, dopo l'impresa di Tunisi, novello Cesare trionfatore.
Ma in pieno Rinascimento le antiche e sistematiche forme che aveano per tanta parte sterilizzata la vita politica del Medio-Evo, nel tempo stesso in cui la Scolastica avvolgeva di metafisica nube il pensiero, non rifiorirono di fatto che nella fantasia artistica di un popolo assetato di ideali, geloso delle tradizioni classiche e del suo passato. Chi vorrà creder sincero Romolo Amaseo inneggiante a Bologna, innanzi alla maestà di Carlo V, al rinnovamento dell'Impero romano, e alla restaurazione della lingua latina! Chi vorrà scorgere nel poema dell'Ariosto, che rielabora nel nostro volgare le leggende del cielo di Carlo Magno un segreto intendimento politico, o cercarne seriamente il motivo storico nella rinnovata potenza cesarea di Carlo V! Non domandiamo ai poeti, e ai retori delle scuole un aiuto soverchio per apprendere il vero.