Читать книгу La vita Italiana nel Cinquecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1893 - Autori vari - Страница 5
II.
ОглавлениеFrancesco I saliva il trono l'anno stesso (1515) in cui Carlo di Gand, appena quattordicenne, assunse il governo dei Paesi Bassi. Vigente la legge salica, inalienabili i feudi della corona, allo spirito di conquista animavasi la nazione francese, cui Luigi XII lasciava in retaggio prosperità economica, unità di leggi, e promesse di vittorie riparatrici. Come allora sottrarsi alla protezione e all'alleanza del nuovo Re. Incerta la successione per Carlo all'avo materno Ferdinando il Cattolico, debole e distratto dalle resistenze degli Ungheresi e dei Boemi Massimiliano imperatore, già alleati di Francia gli Inglesi e i Veneziani, vassallo della Francia egli stesso. In qual modo schermirsi dalla politica provocatrice del nuovo Re? Tristi ricordi per Carlo V le prime prove tentate nelle gare diplomatiche di quegli anni! Eppure debbonsi cercare in esse le cagioni prime del suo odio implacabile contro la Francia ed il Re. Claudia, la figlia di Luigi XII che gli aveano promessa sin dalla culla, era divenuta regina di Francia, recando in dote a Francesco I due delle più ricche provincie già appartenute ai beni ereditari di casa d'Absburgo. Per guadagnare la mano di Renata, la sorella di lei, gli si crearono tali impacci che il matrimonio non potè più effettuarsi. Erede, come arciduca della Germania orientale, sovrano dei Paesi Bassi e dell'antico ducato della Borgogna, presunto successore della Castiglia e dell'Aragona, di Napoli, e di Sicilia, il possessore di così vasti territorii sentivasi offeso dall'alterigia del Re; nè i ministri fiamminghi si stancavano mai di dipingergli i Valois come nemici acerrimi, e spogliatori della sua casa. Quale tormento per lui i primi e fortunati successi di Francesco I! Le irrisorie proposte di pace al re cattolico, all'imperatore Massimiliano, agli Svizzeri aveano preannunziata prossima la guerra pel ricupero del Milanese. Celebratesi le nozze di Giuliano de' Medici con Filiberta d'Orleans, Francesco I avea saputo così abilmente tenere a bada Leone X, il quale in favor di Giuliano vagheggiava il possesso feudale del regno di Napoli, che tutta Europa dovè persuadersi di una imminente aggressione francese. E la guerra scoppiò fulminea, e fu tra le più brillanti che mai si combattessero nei piani lombardi. La vittoria di Melegnano assicurò ai Francesi il possesso del ducato Sforzesco; il colloquio di Viterbo e l'incontro di Leone X col vincitore a Bologna tranquillarono a patti ben gravi il pontefice: la cessione ai Francesi di Parma e Piacenza. Che se più tardi la defezione di Enrico VIII, e i nuovi intrighi papali per formare uno Stato, dopo la morte di Giuliano, a Lorenzo de' Medici, e per raffermare la supremazia politica del papato in Italia, crearono seri imbarazzi al dominatore di Lombardia, nè i successi militari di Massimiliano, nè l'interposizione dell'arciduca Carlo nelle trattative di pace valsero a porre un freno alle ambizioni francesi. Nella pace di Noyon del 1516 gli interessi della Francia trionfarono completamente. Carlo vi ottenne assicurata, per la mediazione del re d'Inghilterra, la successione al trono di Spagna, ma le clausole restrittive nell'esercizio della sovranità in Navarra, l'obbligo impostogli di riconoscere i diritti di Francesco I non solo sul ducato di Milano, ma sul regno di Napoli, la ingiunzione a Massimiliano imperatore di restituire Verona alla repubblica veneta, tradirono, a giudizio di Massimiliano stesso, con gli interessi degli Absburgo i diritti della Germania e dell'Impero. L'oratore inglese scriveva di quei giorni al celebre ministro Wolsey: “Se non poniamo riparo alla baldanza francese noi vedremo risorgere in Francesco I un nuovo Alessandro.„ Onerosi da vero quei patti se per poco consideriamo che tutti gli sforzi posteriormente tentati, con le conferenze di Cambray a fine di ricomporre in via diplomatica il turbato equilibrio fra gli Stati italiani, fallirono completamente. Di un più grave e generale disequilibrio era stata inoltre cagione la morte di Ferdinando il Cattolico, avvenuta fin dal gennaio del 1516, e la successione a lui di un giovane straniero e inesperto, chiamato al governo di una nazione non ancor doma dell'assolutismo monarchico, turbava i sonni del vecchio imperatore. Ci sembrarono tuttavia ingiuste le gravi accuse che egli scagliava, dopo la stipulazione di quel trattato contro Guglielmo di Croy signore di Chévres, l'aio di Carlo V, rimproverandolo d'essersi lasciato aggirare a Noyon da Arturo Gouffier il devoto maestro del re di Francia. Se bene in difetto di prove noi crediamo che il principe di Castiglia si dimostrasse verso il suo educatore e ministro assai meno severo.
Stringevanlo a lui forti legami di affetto e di riconoscenza. Deserta delle materne carezze l'infanzia, quando Carlo V uscì dalle cure diligenti di Margherita d'Austria sua zia, e di Margherita di York, la vedova di Carlo l'Ardito, avea trovato nel signore di Chévres un protettore e un amico. Sotto la guida di lui, Carlo V, dotato di un senso naturale singolarissimo, d'una penetrante finezza di spirito, d'una rara energia intellettuale e morale, si era per la prima volta affacciato alla vita. Gli era debitore insomma di quella scienza che non si trova nei libri, e che è perciò più preziosa e più rara. Riflessivo e prudente nel giudicare, cauto e risoluto nell'operare, egli dovea in gran parte ai consigli del suo precettore l'acquisto di quella precoce dignità principesca, che tutti i biografi gli riconoscono. Ma ben più nell'arte di vivere che nella scienza avea fatto il giovine principe meravigliosi progressi. Adriano d'Utrecht, il dotto teologo di Lovanio, che fu poi Adriano VI, non seppe trasfondere in lui alcun amore alle lettere antiche. La pietà del severo fiammingo favorì certo le naturali tendenze ascetiche dell'allievo, non lo rese però gran fatto sensibile alle grandi vittorie dell'arte, che compironsi all'età sua, nè destò in lui eccessivo entusiasmo per il classicismo risorto. Più che il greco e il latino amò Carlo V le lingue viventi; tra le scienze: la matematica, la geografia, e più che tutto si compiacque di conoscere a fondo la storia. Predilesse tra gli antichi scrittori Tucidide, che gli fu noto in una traduzione francese. Gli divennero poi indivisibili compagni de' viaggi, delle imprese di guerra, e conforto prezioso nelle ore delle incertezze e degli scoramenti, due libri: la vita di Luigi XI del Commines, il Principe di Niccolò Machiavelli. Non tra le astratte meditazioni, o nel sepolcrale silenzio di una biblioteca monastica, erasi dunque formato lo spirito di Carlo V, in contatto immediato con la realtà viva del mondo parve quasi ch'egli compisse in Fiandra il noviziato della sua esperienza politica; ma non dal paese nativo di certo egli ritrasse le linee marcate della sua fisionomia morale. All'ambiente storico più vasto, che più tardi lo accolse spettava compiere l'educazione politica e religiosa di Carlo V, e quell'ambiente fu la Spagna, meraviglioso teatro ancora di drammi sanguinosi, e di cavalleresche leggende, la patria di Ximenes, di Torquemada, di Consalvo di Cordova. Strano contrasto! Mentre tutte le nazioni si erano ringiovanite, o ringiovanivano, per una serie di profonde rivoluzioni intellettuali, la Scolastica, la Riforma, il Rinascimento; la Spagna rimaneva indifferente a questo progressivo moto d'Idee. Intrepida amazzone teneva ancora in pugno le armi a difesa dell'altare e del trono, e tra una battaglia e l'altra cantava le proprie vittorie. Le dispute di Abelardo, le dottrine di Ruggero Bacone, la filosofia di S. Tommaso non la commuovono; essa si attiene alla fede tradizionale, s'invanisce e s'inebria di racconti fantastici e storici, burlevoli e pastorali. Non per la Spagna faticheranno i grammatici e i commentatori dell'Umanesimo; essa possiede una lingua bella e sonante, e delle sue romanze si appaga. Prima che lo spirito della Rinascenza conquisti e soggioghi la sua letteratura, all'ideale irrealizzabile del passato presterà ancora le armi, le ricchezze, l'energia che le è propria. Resistente e nemica d'ogni innovazione politica e religiosa, raddoppierà la guardia della sua Inquisizione, diverrà più servile, più devota, a misura che le altre nazioni si emanciperanno; resterà finalmente la nazione superstite del Medio-Evo. Ma tanta forza di resistenza e di reazione gelosa di fronte ai grandi rivolgimenti politici e intellettuali dell'Europa civile, non mosse dalla volontà e dalle profonde convinzioni di un principe. Lo spirito spagnuolo, di cui Ferdinando il Cattolico era stato un esatto interprete, informò il carattere, l'intelletto, la volontà di Carlo di Gand; non impose già egli i proprii ideali a quel popolo. Il conquistatore fortunato di tante stirpi fu alla sua volta soggiogato e vinto, e prima ancora che la sua stella brillasse di sanguigna luce sui campi di Pavia e di Mühlberg, la nazione che lo avea acclamato re, diffidando di lui e della sua schiatta, gli inspirava i suoi proprii entusiasmi, lo rendeva schiavo dei suoi pregiudizii, ravvivava in lui l'ideale di Carlo Magno.
Fatidica da vero l'impresa, che nel celebre torneo di Valladolid del febbraio 1517 assumeva appena diciassettenne il giovane Carlo! Sulla gualdrappa del suo cavallo leggevano i Castigliani, ammirando tanta ricchezza d'oro e di gemme, un motto significato in una sola parola: nondum. Con essa egli forse intese manifestare la sicura coscienza della grandezza avvenire; e due anni appresso, quando appena avea fatta esperienza delle arti dispotiche lasciategli in retaggio dall'avo materno, venne a morte Massimiliano imperatore (12 gennaio 1519).