Читать книгу Insieme Per Trinity - Bella Settarra - Страница 12
ОглавлениеCapitolo Quattro
“Pensavo di pranzare al ristorante di Almondine, cosa ne dici?” Jarrod entrò nelle stalle con un enorme sorriso stampato in faccia. Il sole rendeva incredibilmente lucidi i suoi capelli e i denti perfetti sembravano brillare sul viso abbronzato.
Cordell appese la sella che aveva tolto a uno dei cavalli e si voltò per fissare incredulo il suo amico. “Vuoi smettere di lavorare e fare tutta quella strada solo per mangiare?” domandò con un ghigno.
Jarrod sorrise. “Oppure possiamo andare alla tavola calda. È una bella giornata. Ho pensato che potessimo cambiare un po' aria. Non ho molto da fare per le prossime due ore e so che anche tu puoi permetterti una pausa. Che ne dici?”
“Dico che non stai prendendo in giro nessuno,” mormorò Cordell, dando una pacca affettuosa sul fianco del cavallo e uscendo dalla porta laterale. “Speri di vedere Trinity Ellis laggiù, ecco cosa.”
Jarrod ridacchiò. “Io? Come puoi pensare una cosa del genere?” Gli lanciò uno sguardo fintamente shoccato e scoppiò a ridere. “Okay, forse c'è una piccola possibilità che Sylvia decida di fare un salto nel suo bar preferito con la sua bellissima nipote. Credi che saremo così fortunati da incontrarle?”
Cordell alzò gli occhi al cielo, poi chiamò uno dei manovali.
“Sam, puoi dare una bella spazzolata a Caspar? E controlla che abbia abbastanza acqua. Ha fatto una bella corsa e fa caldo in montagna.” Indicò le colline dalle quali era appena tornato. Sam annuì e si mise subito al lavoro.
“Ora possiamo andare, Capitan Ovvio. Andiamo a vedere chi c'è ad Almondine, va bene?” Si diresse verso uno dei pick-up ed entrambi saltarono sui sedili.
“Non ti sei dimenticato che quella ragazza è off limits, vero?” Cordell gli lanciò un'occhiata mentre guidava.
“No, certo che no,” rispose Jarrod con fermezza. “Ma questo non significa che dobbiamo ignorarla del tutto.”
Cordell sospirò. “Ne ha passate così tante. Non è trascorso molto tempo da quando ha perso sua madre. E ora ha perso sia il suo ragazzo che la sua casa… non riesco a immaginare come si debba sentire.”
“Ho un'idea di come si sente,” rispose Jarrod con calma.
Cordell colpì il volante, arrabbiato con se stesso. “Amico, mi dispiace così tanto. Non volevo dire…”
“Ehi, va tutto bene,” lo rassicurò Jarrod, alzando una mano per fermare le sue scuse. “Sto solo dicendo che so cosa vuol dire perdere qualcuno. Tutti che si muovono in punta di piedi intorno a te, che hanno paura di dire la cosa sbagliata. Il problema è che finiscono per non dire nulla. Ti evitano. Allora senti che è tutta colpa tua per averli fatti sentire a disagio. Non c'è una via d'uscita.”
“Mi dispiace,” ripeté Cordell, scuotendo lentamente la testa. “Non ho pensato prima di parlare.”
“Ecco. È proprio questo il punto. Non voglio che tu debba fermarti a pensare ogni volta che apri bocca. Cristo, se passassi tutto il tempo a chiederti se quello che stai per dire potrebbe offendermi, smetteresti del tutto di parlare. Mamma e papà sono morti. È brutto e lo odio, ma è successo. Devo affrontarlo e andare avanti con la mia vita. Non posso continuare a guardare avanti se tutti intorno a me guardano indietro, no?” Jarrod sorrise.
“Sei davvero una brava persona, sai?” Cordell non poteva fare a meno di ammirarlo.
Jarrod era stato così male, quando i suoi genitori erano morti in un incidente d'auto, che Cordell aveva seriamente pensato che non lo avrebbe mai più visto sorridere. Sapeva che Jarrod si incolpava di non essere stato lì. In qualche modo, era arrivato a credere che fosse colpa sua perché non era andato a trovarli abbastanza spesso. Il senso di colpa gli era pesato talmente tanto sulle spalle che era come sprofondato in una spirale di disperazione.
“Ecco perché siamo ottimi amici,” rispose Jarrod, facendogli l'occhiolino.
Cordell ridacchiò. Era così bello che Jarrod fosse tornato al suo vecchio io sfacciato e frivolo. Si erano conosciuti al liceo, quando avevano legato per una reciproca antipatia per il loro insegnante di matematica, e da allora erano diventati migliori amici. Jarrod aveva sempre avuto un atteggiamento rilassato, ed era stato terribile vederlo sprofondare nella tristezza, ma era sicuramente migliorato una volta che si erano trasferiti a Cavern County. Non c'erano ricordi lì, né persone che continuassero a ripetere a Jarrod quanto fossero dispiaciuti. Niente che gli ricordasse quello che era successo. Era passato un anno da quando si erano trasferiti in quella cittadina ed entrambi sapevano che era la cosa migliore che avessero mai fatto.
“Ti piace davvero, dico bene?” chiese Cordell, fermando l'auto fuori dalla tavola calda.
“Vuoi dirmi che a te non piace?” Jarrod sembrava incredulo, probabilmente a causa della conversazione che avevano avuto la notte precedente, subito dopo averla salutata. Jarrod aveva sempre desiderato fare una cosa a tre con una ragazza, ma Cordell era stato un po' titubante. Si sentivano più fratelli che migliori amici. Ma poi avevano incontrato Trinity Ellis, che aveva avuto un effetto sconvolgente su entrambi, e Cordell aveva ammesso di aver cambiato idea.
“Non fare il saputello.”
“Ti sento.” Jarrod rise mentre scendevano dal pick-up e si dirigevano all'interno.
Riuscirono a trovare un tavolo vicino alla finestra.
“Non c'è,” mormorò Cordell, guardandosi intorno furtivamente. “Anche se non riesco a vedere nulla attraverso quella specie di muraglia umana.” Fece un cenno verso la cassiera, che si stava occupando della folla di persone in attesa di pagare. “E sono sicuro che non sono neppure alla tavola calda, visto che ho controllato bene quando siamo passati lì davanti.”
“Probabilmente stanno ancora facendo shopping,” disse Jarrod con un sorriso. “Sai come sono le donne, quando iniziano chi le ferma più?”
“Non farti sentire da loro,” Cordell ridacchiò.
“Sentire cosa?” Rhona, la cameriera, apparve improvvisamente in piedi accanto al loro tavolo, con un taccuino in mano e un grande sorriso sul viso.
“Oh, niente,” rispose Cordell. “Io prendo un hamburger con una porzione di patatine fritte, per favore, e una birra alla spina.”
“Lo stesso per me.” Jarrod sorrise.
“Arrivano subito.”
Cordell si sporse in avanti quando furono di nuovo soli. “Frank è molto preoccupato per sua nipote,” mormorò. “Ha detto che non gli sembra più la stessa.”
“Cosa si aspettava?” Jarrod si accigliò. “Ha appena perso tutto quello che aveva, a giudicare da ciò che ha detto. Sarebbe difficile che fosse tutta sorrisi e arcobaleni, non credi?”
“Abbassa la tua dannata voce,” sibilò Cordell, notando che alcune persone si voltavano verso di loro. “Non è come sembra.”
Jarrod sbuffò. “E com'è, allora?”
“Frank ha detto che Trinity è…” Il suo sguardo vagò verso il bancone mentre parlava. “Trinity è qui,” disse rapidamente.
“Che diavolo dovrebbe significare… Oh.” Jarrod seguì la direzione del suo sguardo.
Cordell notò le due donne che sorseggiavano il caffè comodamente sedute a un tavolino dall'altra parte della stanza. Ora che la folla si era un po' diradata era facile vederle.
“Vado a chiamarle,” disse Jarrod, alzandosi.
“No.” Cordell lo fermò.
Jarrod si accigliò. “C'è qualcosa che non va, amico?”
“Non ne sono sicuro.” Cordell si leccò pensieroso il labbro inferiore, mentre Jarrod si sedeva di nuovo. “Non credo che Trinity voglia vederci, in questo momento,” sussurrò.
La ragazza tremava mentre si asciugava il viso con il fazzoletto.
“È sconvolta,” commentò Jarrod.
Dopo un paio di minuti Rhona portò le loro ordinazioni e i due si tuffarono sul cibo, anche se l'umore allegro di poco prima era ormai sparito.
“Sembra proprio che abbiano fatto un po' di shopping,” osservò Jarrod.
Anche Cordell aveva notato le borse di fianco al loro tavolino. “Se tutto ciò che le è rimasto era davvero in quella borsa la scorsa notte, direi che ne aveva bisogno.”
“È difficile immaginare di perdere tutto ciò che possiedi in quel modo,” disse Jarrod. “Voglio dire, tutte le tue cose personali: fotografie, ricordi della tua infanzia…”
“Anche i ricordi dei suoi genitori, immagino,” aggiunse Cordell, pensieroso.
“E il lavoro? Frank non ha detto che lavora da casa?”
Cordell non ci aveva pensato. “È una specie di artista… una illustratrice o qualcosa del genere. Cazzo, potrebbe aver perso qualcosa di importante.”
“Credo che la maggior parte l'abbia fatta in digitale,” commentò Jarrod, infilandosi in bocca l'ultima patatina. “Spero che abbia copiato tutto su qualche memoria esterna.”
Cordell annuì. Non riusciva a finire l'hamburger. Il suo stomaco era sottosopra. Trinity appariva fin troppo carina con i capelli rosa da Barbie e la borsa giallo canarino. La sua immagine era sicuramente in contrasto con l'atteggiamento malinconico, e, pur non conoscendola, sapeva che di solito era molto più vivace di quanto apparisse. Frank gli aveva detto che era la gioia fatta persona, la vita e l'anima della festa. Beh, prima che accadesse tutto quanto. Non era giusto che un simile disastro fosse accaduto a una ragazza come lei. Sperava che quelle buste contenessero dei vestiti dai colori vivaci e allegri. La semplice t-shirt e i jeans che indossava quel giorno non sembravano affatto rispecchiare il suo stile.
“Tutto bene, amico?” Jarrod si accigliò davanti all'hamburger mezzo mangiato di Cordell.
“Sì, ma non ho molta fame.”
“Sei sicuro che non abbia qualcosa a che fare con una certa ragazza dai capelli rosa seduta laggiù?”
Cordell sospirò. “Forse. Comunque, non so te, ma io ho un sacco di lavoro da sbrigare questo pomeriggio, quindi immagino sia ora di darsi una mossa.”
“Va bene, oggi offro io.” Jarrod prese lo scontrino dal tavolo e si avvicinò al bancone per pagare.
Cordell si mosse per seguirlo e fu sorpreso di sentirsi chiamare.
“Cordell, qui!” Sylvia lo stava salutando dal suo tavolo.
Cordell aveva volutamente evitato di guardare in quella direzione, ma ora si voltò verso le due donne. “Sylvia, Trinity, ciao.” Sorrise, camminando lentamente verso di loro. “Com'è andato lo shopping?” Guardò le loro borse.
“È stato divertente, vero?” rispose Sylvia, annuendo in direzione di Trinity. “Penso che ci siamo stancate, però.”
“Volete tornare a casa? Abbiamo il pick-up e…”
“Oh, no, va bene, grazie. Ho pensato di mostrare Almondine a Trinity e poi di prendere un taxi per tornare a Pelican's Heath, dove incontreremo Frank. È appena andato a trovare Matt Shearer al loro ranch. Non c'è fretta.”
“Siete sicure?”
“Sì, caro. Grazie comunque.”
Notò che anche Trinity annuiva, ma non parlava. Era bellissima, nonostante avesse il viso arrossato e gli occhi gonfi. Cordell dovette combattere l'impulso di abbracciarla.
“Incontreremo Frank a Pelican's Heath,” continuò Sylvia. “Voleva sapere se voi ragazzi potete passare più tardi. Non è urgente se siete occupati, ovviamente.”
“No, per niente,” la rassicurò Cordell.
“Grazie. Ha inscatolato alcuni vecchi libri che vorrebbe conservare. Sta facendo spazio nello studio per Trinity, quindi ha bisogno di togliere un po' di cose. Sono troppo pesanti da sollevare per noi vecchietti.”
Cordell inarcò le sopracciglia. “Vi daremo una mano noi.”
“Sembra che mi abbiano offerto volontario per qualcosa, qui,” disse la voce di Jarrod alle sue spalle.
“Ciao, Jarrod. Stavo giusto chiedendo se a voi ragazzi dispiacerebbe spostare dei vecchi libri più tardi. Frank sta mettendo un po' in ordine.” Sylvia sorrise.
“Sul serio?” Jarrod rimase a bocca aperta. “Si sente bene?”
Sylvia fece una smorfia scherzosa. “Lui sta bene. Vuole solo liberare la scrivania dello studio in modo che Trinity possa lavorare lì.”
Jarrod sorrise a Trinity. “Lavorare, eh? Significa che hai intenzione di restare qui per un po', bellezza?”
La voce di Trinity era un po' gracchiante. “Non ho ancora deciso cosa fare,” rispose lentamente, cercando chiaramente di non incrociare il suo sguardo.
“Vuole aspettare ancora un po' prima di decidere. Non possiamo lasciare che si annoi mentre è con noi, non è vero?” disse Sylvia.
“E io che mi stavo già montando la testa sperando che volessi restare qui per noi,” disse Jarrod con una risata, portandosi una mano al petto.
“Verremo dopo cena,” disse Cordell in fretta, notando l'espressione tesa che era apparsa sul viso di Trinity. “Dai, amico, sarà meglio andare.”
Lo trascinò fuori dal locale e poi fino al pick-up.
“Che ti prende?” chiese Jarrod, ovviamente seccato per essere stato spinto via.
“L'hai vista. Quella povera ragazza sembrava sconvolta,” rispose Cordell mentre salivano sul pick-up.
“Non per colpa nostra. In realtà stavo cercando di tirarla un po' su di morale,” protestò Jarrod.
“So benissimo cosa stavi cercando di fare,” disse Cordell, scuotendo la testa. “Tendi a dimenticare quanto bene ti conosco.”
* * * *
Trinity si sentiva un po' meglio mentre aiutava zia Sylvia a portare via i piatti della cena. Aver fatto un bel pianto liberatorio e aver raccontato a qualcuno quello che era successo con Kev sembrava averle fatto bene, anche se lì per lì non ci aveva pensato. Era stata imbarazzata nel vedere Cordell e Jarrod nella caffetteria ed era contenta che non le avessero chiesto come stava. Sapeva che era palese che avesse pianto ed era rimasta sorpresa quando avevano fatto finta di niente. Erano davvero molto gentili ed educati, oltre che belli.
Sentì un piccolo tremito nello stomaco al pensiero che li avrebbe rivisti a breve, e fu contenta di essersi lavata la faccia e di essersi truccata. Non poteva fare a meno di pensare a quanto fossero stupendi e a quanto le piacesse il pensiero di passare altro tempo con loro.
“Perché non ci sediamo un po' in veranda?” Suggerì zia Sylvia quando ebbero finito di ripulire. “È rimasto un po' di quel vino ai fiori di sambuco, vero Frank?”
“Ottima idea. Dovremmo averne ancora un paio di bottiglie.”
Il sole stava cominciando a tramontare e una leggera foschia era scesa sul giardino. Le sedie in ferro battuto circondavano un grande tavolo e i tre si sedettero per godersi la tranquillità di quella serata di fine estate.
“Ricordo l'ultima volta che sono stata qui,” osservò Trinity. “Era altrettanto bello, allora. Spesso immagino di sedermi qui a guardare le rose e i lillà.” Sorrise.
“Tua madre adorava i lillà,” disse zia Sylvia, accennando al grande albero. “Quando eri piccola prendevamo una grande coperta e ci sedevamo all'ombra, passando interi pomeriggi a fare corone di fiori.”
“Me lo ricordo.” Trinity sorrise, desiderando tornare a quei giorni spensierati. “Ti sei presa cura molto bene del giardino, zia. È esattamente come lo ricordo quando penso a questo posto.”
“È molto esigente riguardo al suo giardino,” ridacchiò zio Frank mentre il rumore di un pick-up risuonava dalla parte anteriore della casa. “E adesso lo saranno anche i tuoi giardinieri, immagino.” Senza alzarsi, disse ad alta voce: “Siamo sul retro, ragazzi.”
Trinity si accigliò. “Vuoi dire che non ti occupi del giardino da sola, zia Sylvia?” Aveva sempre immaginato sua zia che si aggirava per il giardino con un cesto appeso al braccio e un paio di forbici in mano.
“Vorrei poterlo fare, cara,” disse la donna con una leggera smorfia.
“Fare cosa?” La voce di Jarrod risuonò nell'aria mentre entrambi gli uomini svoltavano l'angolo. Girò senza sforzo una delle pesanti sedie e vi si sedette a cavalcioni, di fronte a Trinity.
“Ciao, ragazzi.” Zia Sylvia versò altro vino per tutti con un sorriso. “Stavamo solo discutendo del giardino.”
Jarrod fece roteare la spalla, massaggiandola con forza. “Sì, ci vogliono forza e impegno, ma ne vale la pena, no?” Sorrise.
“Jarrod ha avuto un piccolo incidente l'ultima volta che ha tagliato quel lillà,” spiegò Cordell, prendendo la sedia accanto a Trinity.
“Avresti dovuto tenere ferma quella dannata scala.” Jarrod fece un broncio infantile.
“L'ho tenuta finché il mio cellulare non ha iniziato a squillare. Era urgente, quindi ho dovuto rispondere,” protestò Cordell, anche se aveva l'aria un po' imbarazzata. “Pensavo che fossi in equilibrio, lassù.”
“Ero lì a tagliare quel ramo,” continuò Jarrod, indicando l'albero, “quando ho allungato la mano per staccare alcuni fiori morti e… puff, sono caduto a terra. Subito dopo mi sono reso conto che la mia spalla si era quasi rotta in due e che stavo andando in ospedale.” La sua espressione incredula avrebbe fatto ridere Trinity, se solo non fosse stata così infastidita dal fatto che si fossero occupati dell'albero preferito di sua madre.
“Pensavo che di solito ti occupassi tu di quell'albero, zia Sylvia,” disse con un filo di voce, giocherellando con il piccolo anello a forma di cuore che indossava sempre.
La zia sospirò. “L'ho fatto fino a quando non è diventato troppo difficile per me, tesoro,” le spiegò. “Quell'albero è cresciuto davvero tanto. Non posso salire e scendere dalla scala per tenerlo in ordine, al giorno d'oggi. Meno male che questi due ragazzi vengono spesso a dare una mano.”
“Il prato non è così complicato da gestire,” aggiunse lo zio Frank, sorridendo a Trinity. “Quando non avevo questo maledetto gesso riuscivo a tenerlo a bada.” Trinity sapeva che stava cercando di farla sentire un po' meglio.
“Solo perché hai uno di quei trattori tosaerba all'avanguardia,” disse Jarrod. “Noi ci occupiamo solo dei cespugli.” Ridacchiò, chiaramente ignaro di quanto Trinity fosse infelice per la situazione.
La ragazza bevve un sorso di vino dolce. Era così abituata a vedere sua zia e suo zio che si occupavano del giardino da soli che non le era venuto in mente che non potessero più farcela. Sapeva che avrebbe dovuto essere grata che quegli uomini fossero così disponibili e capaci di dare una mano, ma le bruciava perché si sentiva in qualche modo esclusa. Qualsiasi pensiero gentile avesse avuto su di loro diminuì mentre l'irritazione cresceva.
Con la scusa del tubo dell'acqua rotto al pianterreno, del giardinaggio e ora del braccio di zio Frank fuori uso, Trinity non riusciva a fare a meno di chiedersi se i due uomini in realtà non si stessero approfittando dei suoi zii.