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Capitolo Sei

Trinity si appoggiò allo schienale della sedia girevole dello zio Frank e sospirò. Aveva abbozzato alcune idee per un libro sul quale stava lavorando e non vedeva l'ora di vedere come sarebbero apparse come immagini grafiche.

“Sono davvero belle, tesoro,” osservò zia Sylvia, allungandosi per mettere una tazza di caffè sulla scrivania.

Trinity sussultò. Sapeva che sua zia aveva buone intenzioni, ma non ci sarebbe voluto molto per rovinare l'intera settimana di lavoro con un semplice caffè rovesciato. Aveva cercato di fare delle pause regolari in modo da poter raggiungere la zia in cucina, lontana dai suoi preziosi disegni, ma nelle ultime ore era stata così presa dal suo lavoro che l'anziana signora aveva evidentemente pensato di portarle qualcosa da bere.

“Grazie.” Trinity prese rapidamente la tazza e la tenne al sicuro tra le mani.

Lo zio Frank sbirciò dall'altro lato della lunga scrivania, dove era stato impegnato con i conti di casa. “Hai finito?” chiese, lanciando un'occhiata al suo lavoro.

“Per adesso sì.” Trinity annuì con un sorriso. Era stato molto gentile da parte dello zio concederle spazio nel suo ufficio e farle usare addirittura la sedia girevole. Lui si era accomodato su una delle sedie con lo schienale alto della cucina, dicendole che stava solo "controllando la corrispondenza" e "non facendo nulla di importante, a differenza tua". Per fortuna si era fatto male al braccio sinistro, lasciando il destro libero di scrivere, anche se aveva sbuffato parecchie volte perché stava ovviamente impiegando molto più tempo del previsto.

“Sembra che il tuo ordine sia arrivato,” annunciò zia Sylvia mentre il rumore di un motore risuonava nel vialetto.

Trinity lasciò la tazza di caffè sul bancone della cucina poi seguì la zia e lo zio lungo il corridoio e fuori dalla porta d'ingresso. Il suo nuovo computer era finalmente arrivato e non vedeva l'ora di iniziare a usare il programma di grafica che aveva acquistato con esso.

“Con questo sarò in grado di rispettare tutte le scadenze,” disse, collegando rapidamente i dispositivi. Il sollievo la invase. Suo zio riprese a controllare i propri documenti mentre la zia Sylvia si soffermò nello studio, osservando la nipote con interesse.

Quando l'esplosione aveva distrutto il suo appartamento, Trinity aveva perso tutta la sua attrezzatura, e stava ancora aspettando di sapere se la piccola cassaforte ignifuga avesse salvato o meno le sue opere più preziose e gli hard disk esterni su cui aveva archiviato tutto. Dato che l'edificio era stato colpito così duramente, non era ancora sicuro per lei tornare tra le macerie per controllare. Nel frattempo, doveva consolarsi col pensiero che il più recente dei suoi progetti era stato salvato sulla chiavetta USB che aveva messo in borsa. Per fortuna quel giorno maledetto non aveva avuto il tempo di chiuderla nella cassaforte perché era stata impegnata a litigare con Kevin.

“Dannazione,” imprecò poco dopo, guardando la barra del download sullo schermo fermarsi improvvisamente. “Non riesco a caricare il programma di grafica.”

“C'è un negozio di computer ad Almondine. Possiamo andarci domani, cosa ne pensi?” disse zia Sylvia, guardando l'orologio. Erano quasi le cinque e i negozi sarebbero stati già chiusi quando fossero arrivati in città.

“Penso di non avere altra scelta,” rispose Trinity con un sospiro scoraggiato. “Non riesco a capire cosa c'è di sbagliato. Continua a provare a caricare e poi si interrompe. Non capisco perché.” Si accigliò. Era stata così felice quando il nuovo computer era finalmente arrivato, e ora sembrava che tutto fosse stato inutile.

“Beh, io per oggi ho finito. Penso che uscirò e mi godrò un po' di sole prima che tramonti,” annunciò lo zio Frank, alzandosi dalla scrivania.

Trinity fece una smorfia, chiedendosi se in realtà l'uomo non se ne stesse andando per lasciarla da sola, così che potesse occuparsi del problema in pace.

Zia Sylvia seguì il marito fuori dalla porta, mentre Trinity continuava a fissare lo schermo. La connessione a internet sembrava stabile, così decise di cercare una possibile soluzione su un motore di ricerca. Valeva la pena provare.

La nuova schermata di ricerca si aprì davanti ai suoi occhi, invitandola a indagare sul mondo intero. Trinity tamburellò con le dita sulla scrivania, pensierosa. Era strano usare il portatile nello studio di suo zio invece che sul minuscolo tavolo da pranzo in Nebraska. Chissà quando sarebbe tornata laggiù.

Mentre la sua mente vagava, un pensiero la colpì all'improvviso. Non aveva visto il necrologio di Kevin sul giornale locale prima di partire e aveva sentito che il funerale si era svolto senza di lei. Ciò non significava che Trinity si fosse dimenticata di lui. Tutt'altro: non avendo prove materiali della sua morte, non riusciva ancora a credere che fosse realmente accaduto. Sembrava surreale.

Premette alcuni tasti e lo schermo si aprì su un'altra finestra. La notizia della morte di Kevin, e del seguente funerale, era stata pubblicata, ma non sul giornale locale. Era stata inserita in uno dei grandi quotidiani cittadini, insieme a un biglietto in cui si chiedeva la presenza solo dei familiari.

Trinity ribolliva. La famiglia di Kevin non voleva i suoi amici lì. Lacrime calde e piene di rabbia iniziarono a offuscarle la vista mentre leggeva l'avviso. 'Amato figlio di Oliver e Patricia Pulver' recitava. 'Fratello di Bernice e Timothy'. Sbatté le palpebre per leggere la riga seguente. 'Fidanzato di Poppy Witherington'.

Cosa?!” gridò, incredula. La bile le risalì lungo la gola e Trinity iniziò a tremare. Lesse la riga più e più volte, senza riuscire a credere ai propri occhi. Non aveva senso… oppure sì?

* * * *

“Hai finito?”

Jarrod si voltò nel sentire la voce di Cordell. “Più o meno,” rispose con un sorriso, chiudendo il box di uno dei purosangue. “Perché me lo chiedi? Hai dei programmi per stasera?”

“Mi è venuta voglia di andare a bere qualcosa più tardi.” Cordell fece un passo indietro per permettere a Jarrod di aprire la porta della stalla.

“Oh, sembra un buon programma.” Jarrod ridacchiò mentre lo raggiungeva fuori. Si voltò per chiudere la porta e in quel momento squillò il cellulare di Cordell.

“È Sylvia.”

Jarrod si accigliò.

Il viso abbronzato di Cordell si oscurò mentre ascoltava quello che la donna aveva da dirgli. “Arriviamo subito. Chiama i paramedici.”

Jarrod prese le chiavi del pick-up dalla tasca e iniziò a correre verso di esso, seguito a ruota dall'amico. Erano già seduti e lui stava accendendo il motore quando Cordell gli spiegò cosa stava accadendo.

“Si tratta di Frank. Sembra che Trinity abbia scoperto qualcosa. Quando glielo ha detto, l'uomo ha avuto una specie di attacco. Sylvia sta chiamando il 911.”

“Cazzo! Come se quella famiglia avesse bisogno di altre preoccupazioni!.” Lo stomaco di Jarrod si strinse mentre percorrevano la strada.

Cordell guardò fuori dal finestrino, serrando la mascella. “Sylvia è davvero preoccupata, soprattutto dopo l'ultima volta.”

Jarrod si chinò e gli diede una pacca sulla spalla. La sua mente era in subbuglio, ma riusciva a vedere che Cordell era preoccupato per entrambi. “I paramedici sono arrivati in fretta.” Fermò il pick-up di fianco all'ambulanza.

La porta d'ingresso era aperta, quindi entrarono subito.

“Grazie al cielo siete qui.” Sylvia si precipitò verso di loro quando la raggiunsero nello studio. “I paramedici si stanno occupando di lui.”

Cordell le mise un braccio intorno alle spalle e la guidò verso la cucina. Trinity stava già versando i caffè.

“Cos'è successo?” Jarrod prese una delle tazze e la porse a Sylvia.

La donna si sedette pesantemente su una sedia mentre Cordell continuava a tenerla stretta a sé. Il suo viso era pallido come uno straccio e stava tremando. “Abbiamo sentito Trinity gridare qualcosa e ci siamo precipitati nello studio per vedere quale fosse il problema. Frank si è fermato di colpo. Ha detto che si trattava del suo braccio.”

“Il sinistro?” domandò Cordell.

Sylvia lo fissò e annuì.

“Pensi che si tratti di nuovo del suo cuore?” chiese Jarrod.

“Il suo cuore?” La voce di Trinity era brusca e preoccupata al tempo stesso mentre si voltava per guardarlo.

“Sì. Quando hai avuto un attacco di cuore, è abbastanza facile che succeda di…”

“Vediamo cosa dicono i paramedici,” lo interruppe Cordell.

Il cuore di Jarrod si strinse mentre si ricordava, troppo tardi, che a Trinity non era stato detto niente dei problemi di salute di suo zio. Dannazione!

Trinity impallidì e serrò la mascella.

“Era un po' a corto di fiato, ma ci siamo precipitati a vedere quale fosse il problema,” disse Sylvia, la voce e il viso intrisi di preoccupazione. “Avrei dovuto capirlo…” Scosse la testa.

“La colpa è mia. Non avrei dovuto gridare in quel modo. Vi ho fatti preoccupare,” borbottò Trinity.

“Scusami. Avrei dovuto pensare prima di aprire bocca.” Jarrod sospirò, scrutando il viso di Trinity. “Vado a vedere se ci sono novità.” Si alzò, ansioso di uscire da lì.

“No, penso che dovrei andare io,” rispose Trinity acidamente, alzandosi in piedi.

Jarrod si voltò verso di lei, sorpreso.

“Forse sarebbe meglio che andasse Jarrod, tesoro,” suggerì Sylvia. “Conosce tutti i dettagli.”

L'uomo osservò le spalle di Trinity irrigidirsi e capì che era arrabbiata per non essere stata informata delle condizioni di salute di suo zio. Fece una smorfia. Era stata una decisione di Frank e Sylvia, e lui aveva rispettato la loro scelta anche se fin da subito non era stato del tutto d'accordo.

Trinity si sedette di nuovo e Jarrod fece un cenno a Sylvia, prima di dirigersi verso lo studio. Frank era seduto sul pavimento e respirava pesantemente attraverso una maschera per l'ossigeno.

“Stavamo venendo a parlare con voi,” gli disse un medico dai capelli rossi con un sorriso. “Non c'è niente di cui preoccuparsi. Sta bene.”

Jarrod tirò un sospiro di sollievo. “Si tratta di nuovo del suo cuore?”

Il medico guardò Jarrod. “No. Il suo cuore sta bene. Gli abbiamo fatto un controllo approfondito e non c'è niente che non vada.”

Jarrod si accigliò. Frank aveva un aspetto migliore di quanto si aspettasse, e aveva anche un bel colorito, sicuramente migliore di quello che aveva sua moglie, in effetti.

“Sylvia ha detto che era senza fiato e che gli faceva male il braccio.

L'altro paramedico, che stava riponendo l'attrezzatura, si voltò nella sua direzione. “Era seduto in giardino e si è alzato in fretta per correre nello studio. Aveva paura che fosse successo qualcosa e ha avuto un lieve attacco di panico. Questa è l'unica ragione per cui gli abbiamo messo la maschera dell'ossigeno: per calmarlo un po'. Il braccio gli faceva male perché ha cercato di usarlo.” Puntò un dito accusatorio contro Frank, che lo guardava con aria colpevole. “È stato ingessato per un motivo.”

Jarrod voltò lo sguardo verso la scrivania e vide una pila di libri che non c'era l'ultima volta che lui e Cordell erano stati lì. Anche i documenti erano in ordine, quindi immaginò che l'uomo stesse controllando i conti di casa o qualcosa del genere. Si rilassò lentamente. “Gli altri possono vederlo?”

“Sì, certo.” Il ragazzo dai capelli rossi annuì.

“Penso che adesso possiamo togliere anche questa,” disse l'altro medico, rimuovendo con cura la maschera dell'ossigeno dal viso leggermente arrossato di Frank.

“Frank sta bene. Potete entrare.” Jarrod si appoggiò allo stipite della porta della cucina e sorrise alle facce speranzose che lo fissavano.

Zia Sylvia scoppiò in lacrime mentre Cordell l'aiutava ad alzarsi, e Jarrod vide Trinity deglutire e prendere un respiro profondo mentre li seguiva lungo il corridoio.

“Non devi preoccuparti,” le disse Jarrod. “Sta bene.”

Trinity si girò per affrontarlo, fissandolo con rabbia. “Sì, e tu lo sai, giusto? Sembra che tu sappia tutto della mia famiglia!” Gli sputò addosso quelle parole e Jarrod la fissò con le sopracciglia aggrottate.

Fortunatamente, Cordell aveva già portato Sylvia nello studio. Jarrod riusciva a sentirla parlare col marito. Sarebbe stato un bel problema se l'anziana signora avesse assistito a quello sfogo. Il sangue gli ruggiva nelle vene mentre afferrava il braccio di Trinity e la tirava a sé per fronteggiarla.

“Dov'è il problema?” chiese, sorpreso dal fuoco nei suoi occhi. “Avevi già un sacco di cose di cui occuparti, è per questo che non te l'hanno detto. Cordell ed io eravamo qui quando Frank si è sentito male circa un anno fa. Ci siamo semplicemente presi cura di lui e di tua zia. Da allora gli diamo una mano quando hanno bisogno di aiuto.”

“Sì, scommetto che lo fate,” rispose lei, masticando le parole.

Jarrod stava per lasciarla andare, ma la sua reazione gli fece stringere più forte la presa. Le sue unghie rosa brillante si avvicinarono pericolosamente al suo viso, e Jarrod si tirò indietro appena in tempo per evitare di essere graffiato.

“Sei proprio un gatto selvatico, vero?” Si chinò in avanti e mormorò quelle parole non appena fu sicuro che le sue mani fossero abbastanza lontane dalla sua pelle. Così vicino a lei riusciva a sentire il suo profumo inebriante.

“Sei sicuro di volerlo scoprire?”

Jarrod era sorpreso di quanto gli piacesse stare così vicino a quella ragazza, e il modo in cui i suoi occhi verdi lampeggiavano di rabbia era incredibilmente eccitante. Non aveva mai visto così tanta vita nel suo sguardo, prima di allora, ed era un cambiamento decisamente interessante. Lui e Cordell avevano sospettato che non fosse timida e riservata come appariva. I suoi capelli colorati e le unghie rosa avevano suggerito esattamente quello.

“Forse.” Mantenne il tono di voce volutamente basso e roco mentre sussurrava quell'unica parola nel suo orecchio, e sentì che il suo corpo esile e minuto improvvisamente smetteva di resistere.

Trinity si ammorbidì nella sua presa e, per un secondo, il suo viso sembrò brillare di interesse mentre i loro sguardi si intrecciavano l'uno all'altro.

“Venite nello studio. Frank è…” Cordell si fermò di colpo sulla soglia della stanza.

Jarrod sapeva che il suo amico aveva paura di aver appena interrotto qualcosa, ed era esattamente quello che era accaduto. “Cosa ne dici? Vuoi andare a vedere come sta tuo zio o preferisci stare qui a rimproverarmi perché mi preoccupo per lui?” Sperava quasi che lei facesse un sorriso sarcastico, rendendosi conto che la stava solo prendendo in giro, ma le sue labbra rimasero immobili.

Il viso di Trinity si tese di nuovo mentre socchiudeva gli occhi con rabbia. “Io voglio bene a mio zio,” sibilò.

Jarrod scosse la testa con un sospiro e le liberò le braccia. Trinity ne approfittò per voltarsi ed entrare subito nello studio.

“Tutto bene?” chiese Cordell non appena rimasero da soli. “Mi sono sicuramente perso qualcosa.”

Jarrod gli sorrise. “Va tutto bene, amico,” lo rassicurò.

Cordell lo guardò un po' sospettoso. “Non mi sembrava che per Trinity andasse tutto bene, poco fa.”

Jarrod ridacchiò, scuotendo la testa. “Quella ragazza ha senza dubbio alcuni problemi da risolvere,” gli disse.

“Possiamo aiutarla in qualche modo?”

“Probabilmente sì.” Jarrod rifletté per un momento. “Anche se avremo il nostro bel da fare per riuscire a convincerla ad accettare il nostro aiuto.”

Insieme Per Trinity

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