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CAPITOLO VI. Che serve d'intermezzo esplicativo.
ОглавлениеMonsignor Rutilante, nel breve tempo che trascorse fra l'arresto di Gargiuvîn e la ricerca de' suoi complici, pose in opera tutta la sua attività per evitare lo scandalo.
Egli spinse la polizia su le orme degli anarchici, giacchè sapeva che, per dirigere la pubblica opinione in certi casi, basta muovere abilmente la prima pedina. Se da uno stormo, una pispola si getta nella pania, tutte la seguono di un grido.
Così avvenne alla popolazione ciarliera la quale si impigliò nelle reti de l'uccellatore mattiniero.
Ebbe il pasto per la sua fantasia, e, in buona fede, aiutò chi non era nelle sue grazie.
Monsignor Rutilante non avea proseliti fra gli uomini rossi; la sua cura era quasi esclusivamente di anime femminili, de l'alta aristocrazia e del popolo. Le donne accorrevano in massa alla parola del sacerdote fascinatore, dalla figura maschia e maestosa, dagli occhi neri e penetranti per assidua forza interiore, dalle folte sopracciglia, dalla sottile bocca piegata sempre in sorriso ambiguo, fra lo scherno e la benevolenza, e, di questo suo dominio, il benigno padre era soddisfatto.
A volte aveva destato una vera frenesia fra le sue ammiratrici, perchè rappresentava il Signore! La sua voce calda, dalle cadenze lente, avvinceva le donne che han seguito l'amore; poi era bello! Bello come una palma ieratica!
Il sacerdote solenne ebbe così in suo potere, nella piccola società in cui il suo dominio si esplicava, la donna, la quale, anche fra gli uomini rudi e battaglieri, rappresenta la brezza soave e Borea che scompiglia, scendendo con sibili dalle nubi tumultuose.
Alle sue parole di incitamento, le regine del fuoco rosseggiante fra gli alari, si votarono alla giustizia, con l'entusiasmo degli sfaccendati, per i quali la benchè minima causa è ragione di gran fiamma.
Inoltre la giustizia è donna: si trovò in famiglia così e sussurrò con le gravi-osannanti sorelle i proprii sospetti e le formidabili realtà.
Monsignor Rutilante circuì i liberi pensatori, nelle invisibili trame del suo esercito innumerevole che combatte a guerriglie e non ha temibili nemici.
D'altra parte Gian Battifiore aveva chinato il capo al destino e si era rassegnato a pagare il riscatto che gli anarchici avrebbero chiesto, forse, per rendergli la bella creatura scomparsa.
Europa era la sua intelligenza viva; era il ramo più forte della sua prolifica pianta, colei che si era adorna di ogni più squisita bellezza del sapere e poteva sostenerlo nelle sue difficili vie, ed essergli di consiglio e di aiuto.
Gli doleva ch'ella fosse stata vittima di occulte vendette; ma intimamente pensava alla grande dignità di dolore e alla nuova forza di potere che gli avean dato gli anarchici, vendicandosi in tal guisa della superiorità sua e del suo partito.
Dunque avevano necessità di colpirlo negli affetti, non riuscendo loro possibile altra via di vendetta?
Forte come uomo, più forte come capo di una falange ardita e battagliera, i dinamitardi non potevano aver l'ardire di prenderlo di fronte, e gridargli:
— Ora si veda fra noi, Gian Battifiore, chi vale più!
Ma oscuramente, eludendo la vigilanza, lo colpivano nel suo nido; nella persona più cara ch'egli avesse su la terra.
Tristi e dolorose necessità queste, nella vita; il destino, per esaltare una creatura, vuole sempre le sue vittime.
Così l'uomo calvo, che aveva nel sangue una terribile capacità vulcanica; il violento oratore dei comizi, assumeva di fronte agli estranei che si dolevano per la sua disgrazia, un contegno enigmatico, tanto che alcuni andavan sussurrando:
— Ma Gian Battifiore impazzisce!
Mentre in cuor suo, il libero pensatore, sentiva che la gloria lo trascinava su cime luminose; lo poneva nel suo nido di falco, fra le asprezze adamantine delle rupi; gli donava un trono, alto su la folla plaudente alla vittima delle segrete mene politiche, dei terribili odii di parte, delle oscure vendette settarie.
Europa, la gaia Europa, l'ultima nata fra le cinque parti del mondo, era stata sempre la sua dolcezza. Sbocciata di maggio, portava con sè la fortuna che rinnova, povera santa anima sua!
Prima, amore e dolce luce della triste casa; ora, vittima della grandezza di suo padre!
Bortolo Sangiovese, Bartolomeo Campana e Ardito Popolini non avevano abbandonato un istante il loro capo, dal giorno della disgrazia. Alla mattina erano ad attenderlo e lo riaccompagnavano la sera, camminando in silenzio, le mani dietro le reni e il capo chino.
Sui tre seguaci, si rifletteva un po' la gloria del doloroso.
E, al loro passare, tutti si facevan su le porte e sussurravano:
— Guardali, guardali!
Gian Battifiore era al centro, la corte si distribuiva ai lati. Solo Bortolo Sangiovese, ch'era piccolo e rotondo ed aveva le gambe cortissime, rimaneva un poco addietro e seguiva agitando le braccia, tutto acceso nel volto, ma felice di quel suo affrettarsi.
— Com'è pallido! — dicevano i curiosi segnando Gian Battifiore. — Pare abbia vissuto mill'anni!
E ancora:
— È una tempra d'acciaio. La sventura non lo vince!
Una domenica, giorno in cui gli uomini si guardano le vesti nuove e si aggreggiano abitualmente per le vie, in nome del Signore che si riposò, Gian Battifiore e i tre devoti al suo cammino, avendo occasione di traversar un quartiere popolare, si ebbero dimostrazioni di simpatia, prima da un gruppo di pochi operai, poi da una vera folla.
Fu allora che Gian Battifiore pronunziò il suo primo discorso dopo la triste sventura. Tanto commosse i fieri-urlanti ascoltatori suoi, che, quand'ebbe finito, Albena, una bella del luogo, si inoltrò recando un boccale azzurro, decorato di rossi festoni, e offrì al sindaco riluttante, col suo più bel sorriso, un bicchiere ricolmo del sanguigno vino che Bertinoro dalle vigne opime, profonde agli uomini che scalerebbero il cielo.
Gian Battifiore bevve al bicchiere di Albena e il popolo, a l'atto di fiera democrazia, plaudì frenetico; poi accompagnò, inneggiando alla rivoluzione ed alla scomparsa di tutte le monarchie, il sindaco fino alla sua abitazione e rimase sotto le finestre ad urlar canzoni ed evviva, finchè la notte non fu nei cieli.
Allora Coriolano, il donzello del Municipio, disse a Gian Battifiore:
— Tutto il male non vien per nuocere!
E Bortolo Sangiovese, rispose:
— È vero!
Un'altra volta, quattro ciechi che andavan cantando per le terre di Romagna, su fisarmoniche e vecchi violini sonori, le rapsodie di ignoti eroi, si fermarono sotto la casa di Gian Battifiore. Avevano improvvisato la nenia de l'odio e del ratto, ed ora venivano a farne omaggio al loro signore.
Così per molteplici esplicazioni, Gian Battifiore si vide accresciuto ne l'affetto e nella considerazione de' suoi simili e amministrati.
Egli non pensò di iniziar ricerche per rintracciare la figlia perduta. Di questo si occupava la polizia, sempre solerte e, per quanto i tentativi non avessero dato alcun risultato soddisfacente, nutriva fede nella buona riuscita delle cose.
Più lo preoccupava la sua fama. Al bene pubblico, un uomo superiore, deve talvolta sacrificare e i suoi particolari interessi e gli affetti famigliari ed ogni suo bene; in tale sacrificio sta la sua superiorità, il coefficiente primo che lo distanzia e lo diversifica dalla massa dei mediocri e degli intelligenti.
E Gargiuvîn, frattanto, nelle lunghe notti di sua prigionia, contava dalle strette inferriate, le stelle, chiedendosi serenamente se egli fosse per davvero l'uomo più folle fra la folle brigata rivoluzionaria.