Читать книгу La Repubblica di Venezia e la Persia - Berchet Guglielmo - Страница 10

I.
Del commercio dei Veneziani colla Persia.

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Indice

Gli aromi delle Indie orientali, le spezie, le merci, le sete, i prodotti e le manifatture dell'Asia furono fino dai più antichi tempi primario scopo del commercio europeo, e le nazioni che poterono averle di prima mano arricchirono assai e si resero tributarie le altre. Nei più remoti secoli, ora i Fenici ricevendole dal golfo Persico e dal mar Rosso, le portavano per Tiro, Sidone ed Alessandria nel Mediterraneo, ora gli Assiri ed i Caldei per la via dell'Indo, dell'Oxo (Amon-daria) e del Caspio, quindi del Ciro e del Fasi, o del Volga e del Tanai (Don) le spingevano nel mar Nero.

In mezzo alle irruzioni dei barbari, perdutosi l'uso delle merci di levante, l'Europa sofferendone la mancanza abbisognò di abili navigatori che ne la provvedessero. Si presentarono gli Italiani, e dalle sponde del mar Nero o dalle coste orientali del Mediterraneo le navi di Amalfi, di Sicilia, di Pisa, di Genova e particolarmente di Venezia recarono a tutta l'Europa i preziosi prodotti dell'Asia.

Che il primato del commercio asiatico, benchè contrastato dai Genovesi, fosse fino dagli esordii della repubblica nelle mani dei Veneziani, che Venezia fosse, come la disse il Giogalli, la dogana principale delle ricchezze dell'Asia, lo prova la famosa lettera di Cassiodoro dell'anno 528, dalla quale consta che essa provvedesse i re Goti di quanto abbisognavano. Assicurano le cronache che nei secoli VII e VIII le navi della repubblica recavano in Europa i prodotti e le manifatture dell'Asia; la cronaca Dandolo che nell'anno 814 i Veneziani commerciassero in Siria; la Cavense che nel 987 caricassero nel porto di Salerno per le coste asiatiche, e finalmente dall'anno 971 incomincia la importantissima serie dei decreti, patti e privilegi dei Veneziani relativi al commercio d'Oriente che ne comprovano la ricchezza e la preminenza[108].

I prodotti dell'Asia mettevano capo dapprima ai porti della Siria e dell'Egitto; quindi nel mar Nero alla Tana sullo sbocco del Tanai, a Trebisonda, e ad Ajazzo, angolo il più orientale fra la Cilicia e la Siria, secondo le vicissitudini che sconvolsero le regioni d'oriente.

Giosafat Barbaro e Ambrogio Contarini narrano nei loro viaggi, che fino dai più remoti tempi le merci dell'Indie e quelle dell'interno dell'Asia navigavano pel fiume Indo fino all'antica Battriana, donde trasportate per terra con cammelli in sette giorni, nell'Icaro che sbocca nell'Oxo, si versavano nel mar Caspio, attraversando i ricchissimi mercati di Samarcanda e Buccara. Quindi dall'emporio di Astrakan rimontando il Volga fino all'incurvatura del Don scendeano poi per la palude Meotide nei porti del mar Nero, impiegando, siccome narra il Contarini, otto giornate da Astrakan alla Tana.

Affermano quegli scrittori che la Tana fosse il più antico emporeo delle merci asiatiche, ma il Foscarini[109] dimostrava che i porti della Siria e dell'Egitto mantennero il traffico delle Indie qualche secolo prima di quelli del mar Nero, dove le strepitose vittorie di Gengiskan e la distruzione dell'impero crociato condussero il commercio dell'Asia; e Marco Polo assicura che ai suoi tempi pervenivano principalmente ad Ajazzo le merci dell'oriente, e vi si cambiavano con quelle dell'occidente recate dalle navi veneziane e genovesi, e destinate al gran mercato di Tauris.

Le merci dell'Asia orientale venivano portate a Campion (Cantcheu), quindi a Balxian (Badkhchan), e attraversando il deserto pervenivano nella Persia a Casbin Sultania e Tauris. Quelle dell'Asia meridionale erano portate pel golfo Persico a Bassorah, dove concorrevano anche le mercanzie dell'Arabia e delle coste di Etiopia, ed operavasi il cambio con quelle della Cina e dell'Asia settentrionale, quindi seguitando il corso dell'Eufrate pervenivano ai fiorenti mercati di Damasco e di Aleppo; oppure lungo il Tigri attraversavano la Persia e giungevano esse pure al grande emporeo di Tauris[110]. Da questa piazza due grandi vie commerciali si partivano l'una per Erzerum diretta ad Ajazzo, scalo principale nel Mediterraneo, l'altra pure per Erzerum a Trebisonda nel mar Nero.

Il commercio di Tauris che concentrava quello della Persia e dove concorrevano principalmente le produzioni asiatiche fu assai vagheggiato dai Veneziani[111]. Tauris, l'antica reggia dei Medi, fu per lungo tempo residenza dei sovrani di Persia; collocata in sito salubre, comodo e facile al traffico, ed in relazione cogli emporei di Samarcanda, Bukara, Bolkar ed Otrar, e con quelli di Bassorah e di Ormus, non poteva essere in posizione più favorevole al commercio. Le vie dell'Armenia, di Trebisonda e della Siria la ponevano in comunicazione col mar Nero e col Mediterraneo, e da esse riceveva in cambio le merci d'Europa. Marino Sanudo affermava che le vie dell'Armenia e della Persia erano preferibili a quelle dell'Egitto, e proponeva nel secolo XIV di far passare attraverso quelle regioni una gran strada commerciale per l'India.

Trascurar non potevano i Veneziani emporeo così prezioso, e per favorire il commercio con quella piazza si hanno precise notizie fin dal secolo IX di trattati conchiusi dal doge Pietro Orseolo coi Saraceni, quindi co' re cristiani di Gerusalemme, i soldani d'Antiochia, di Tripoli, di Beruti, i re d'Armenia, gl'imperatori di Nicea e di Trebisonda, i soldani d'Aleppo, di Babilonia, di Rumili e gli imperatori dei Tartari[112]. Flotte veneziane in isquadre chiamate mude, e comandate dapprima da un nobile eletto dal maggior consiglio, quindi dal senato, con ispecial commissione veleggiavano per assicurare la libertà del commercio intorno alla Tauride e lungo le coste di Trebisonda, di Bitinia, di Paflagonia, di Cilicia e della Soria. Stabilimenti e Consolati Veneziani nel mar Nero si ricordano fin dal secolo XIII; viaggiatori veneziani nelle regioni interne dell'Asia, i Polo, fin dal 1250; ambasciatori in Tauris, Marco Cornaro, nel 1319[113], in Armenia Giorgio Dolfin[114], a Trebisonda Nicolò Quirini nel 1349[115].

I mercanti persiani e gli armeni che facevano il commercio veneto-persiano, eziandio durante le guerre colla Turchia, erano particolarmente accetti e favoriti dai Veneziani.

Senza tener conto delle tradizioni che si hanno, rispetto alla via di Venezia detta ruga Giuffa ed al campo dei Mori, siccome luoghi ove albergavano Armeni e Saraceni, tradizioni che non reggono ad una critica severa, si sa che fino dall'anno 1253 esisteva a san Giuliano in una casa conceduta da Marco Ziani, ricchissimo negoziante nipote del doge Sebastiano, un ospizio la cui istituzione era di ricoverare qualunque pellegrino armeno per tre giorni, donando però una sola cena[116]. Allorquando Uzunhasan si insignorì della Persia e dell'Armenia, e conchiuse alleanza colla repubblica negli anni 1470-73[117], crebbero i favori verso quelle nazioni. Nell'anno 1476 gli Armeni eressero presso il loro ospizio a S. Giuliano una chiesetta che fu nel 1691 riedificata a spese di Girocco Mirmano ivi sepolto. E rifugiatosi da Costantinopoli e da Modone in Venezia l'abate Pietro Mechitar ottenne nel 1718 di edificare nell'isola di S. Lazzaro un monastero ed un collegio, i quali, ampliandosi e fiorendo sempre più, si resero benemeriti per uomini distintissimi ed operosi a diffondere la scienza nei loro correligionarii dell'Asia, e ad unire le due letterature orientale ed occidentale. Gli Armeni furono interessati a scortare e favorire gli oratori ai sovrani della Persia e i mercanti veneti in quella regione. La sopraintendenza e giudicatura della loro nazione era specialmente raccomandata al magistrato dei cinque Savii della mercanzia[118]; appositi sensali con particolari discipline vegliavano affinchè non venissero defraudati in modo alcuno nei loro contratti[119], e finalmente Armeni e Persiani erano esenti del pagamento delle tasse di cottimi e di bailaggi[120].

Molte e ricche case commerciali armene erano stabilite a Venezia, ma di mano in mano che diminuiva la importanza del traffico colle regioni dell'Asia si ritirarono, ed abbiamo memoria che solo fra gli anni 1732 e 1758 lasciarono questa città ben dodici case armene[121]. I minori negozianti però fino al cadere della repubblica continuarono a vendere le loro mercanzie, sotto certi ombrelloni dispiegati accanto ai tre stendardi della piazza di S. Marco, e l'ultimo di quegli Armeni fu Tommaso Posa che continuava a vestir l'abito orientale.

Riguardo ai Persiani esistono vaghe tradizioni di un antichissimo fondaco, situato a S. Giovanni Grisostomo sul rivo che mette al canal grande, dirimpetto al fondaco dei Tedeschi, ma anche queste tradizioni non reggono ad una critica severa. Egli è certo che nel secolo XVII i Persiani albergavano nel fondaco dei Turchi a San Giovanni decollato, ma separati dai sudditi del gran signore. Mediante decreto 10 giugno 1662 dei cinque Savii alla mercanzia, furono con tale condizione obbligati i Persiani e le Persiane a passare nel fondaco dei Turchi; ed il successivo decreto 16 giugno dello stesso anno stabiliva pene di bando e di galera a quei Persiani che continuassero a soggiornare in case private e non andassero colle loro mercanzie nel fondaco.

Gli Armeni ed i Persiani, come tutti gli orientali, avevano in Venezia un luogo particolarmente destinato alla loro tumulazione, e quando erano cristiani nell'isola di S. Giorgio Maggiore, in un recinto intorno al campanile. Fino a questi ultimi tempi poteasi vedere qualche lapide con caratteri di quelle nazioni, ma pur troppo molte ne andarono seppellite nel rifare le fondamenta di quel campanile.

La famiglia Sceriman di Djulfa d'Ispahan era la più illustre e ricca delle persiane stabilite a Venezia; e nel secolo XVII la sua casa commerciale era una delle più considerevoli d'Europa. E la famiglia patrizia Boldù, illustre per fasti militari e per senno civile, è pure di origine persiana[122].

Merci che da Venezia si importavano nella Persia erano: panni tessuti d'oro, d'argento ed a varii colori, velluti, damaschi, stoffe di lana e di seta, fili d'oro, d'argento e galloni, cera lavorata, zucchero raffinato, mercurio, vitriolo, cinabro, arsenico, canfora, cremor di tartaro, teriaca, casse di noce, cordami, carte da giuoco, moneta buona e falsa (scadente?), armi, acciai, ferrareccie, aghi, carta, stampati, chincaglie, vetri, specchi e conterie[123].

I Veneziani pel continuo traffico e relazione coll'oriente avevano tolto il costume di vestire le donne con panni tessuti d'oro e d'argento, e fin dal secolo XIII si ha memoria di una magistratura detta dei panni d'oro, che sopraintendeva a quel lavoro rigorosamente invigilandone la manifattura ed il commercio. Quindi le genti dell'Asia mandavano ad acquistare in Venezia tali preziose drapperìe, per la sicurezza che aveano di non rimanere ingannati.

Qui si fabbricavano eziandio per il commercio asiatico gli ormesini, specie di drappo di seta, così nominato da Ormus, d'onde venne, e ci dà testimonianza della celebrità di quelle fabbriche il nome della calle degli Ormesini in cannareggio. Il commercio della carta e quello degli stampati tuttora fioriscono. Quello poi delle conterie e degli specchi si mantenne prospero fino al cadere della repubblica. L'arte vetraria, e particolarmente quella del coloramento alla pasta vitrea, si ritiene da molti, che i Veneziani apprendessero nella Persia; ma se anche ciò non fosse, è però vero ch'essi estesero in quella regione ed in tutta l'Asia questo commercio, per modo da ingenerarvi il costume di adoperare in luogo delle coroncine di cocco usate dagli orientali, coroncine di vetro colorato molto più vaghe; e da far entrare le margherite negli abiti, negli addobbi, e perfino adoperarle come segno di dignità. Ed il costume persiano che le donne portar dovessero in dote uno specchio almeno, di Venezia, dava a questi un grandissimo smercio.

Siccome saggio delle merci che ancora nel secolo XVII la Persia ritraeva da Venezia, ecco la traduzione fatta dal dragomanno Nores, il 18 marzo 1613, del:

Memoriale consegnato dallo shàh di Persia Abbas ai suoi agenti Alredin et Sassuar, delle cose che sono obbligati a comperare a Venetia d'ordine del re[124].

Zacchi, che siano di somma bontà e di maglia minuta et stretta.

Rasi boni et belli, parte negri et parte a colori.

Tabini boni.

Ormesini fatti in Venetia.

Panni venetiani, che siano boni e fini di diversi colori.

Argenterie di diversa sorte, così schiette come lavorate a figure.

Vetri lavorati, belli, ben fatti et indorati la maggior parte.

Lavori di cristallo di montagna senza alcune vene.

Specchi di cristallo grande, che siano netti et senza casse.

Specchi mezzani et piccoli, a punta di diamante.

Pietre d'anelli d'ogni sorta, con figure intagliate sopra.

Armi da guerra d'ogni sorta, che sieno a proposito nostro.

Occhiali di cristallo fatti a diamante.

Coltelli et forfe (forbici) di buona sorte et tempera.

Cremisì.

Instrumenti da lavorare e da far zacchi (giacchi).

Azzali che sieno buoni et fini.

Pugnali, colli sui ferri indorati, senza fodero.

Non porterete nè archibusi, nè orologi, nè cassette di cristallo, perchè non fanno di bisogno. Orecchini di cristallo di diverse sorte con figure.

Portar delle cipolle et sementi di fiori belli, con la nota del tempo e del modo come si piantano.

Menar tessitori che sappiano far velluti et rasi, se si può.

Instrumenti ovver ordigni da lustrare i panni di seta, con la nota del modo come si fa.

Maschere di diverse sorta da trasvestirsi; et altre cose straordinarie che non siano state qui portate o poste in uso, siano di che prezzo si voglia.

Et così eseguirete.

col sigillo reale.

Le monete veneziane erano accettate dai Persiani, come dai Mongoli, Tartari, Arabi ed Indiani. In Armenia poi i Veneziani, per privilegi ottenuti fino dal secolo XIII, lavoravano i dirrhem ed altre saracinesche monete di un gran pregio nella Persia. Essi associaronsi inoltre agli Armeni ed ai Persiani nella fabbricazione dei cammellotti, e finalmente goderono franchigia per le mercanzie che tratte da Tauris e dalla Persia, attraversavano l'Armenia.

Queste mercanzie consistevano principalmente: in panni di seta, di lana, di pelo di cammello e di capra, rasi con ricami tessuti d'oro, tappeti di Persia e di Caramania, riputati da M. Polo i migliori del mondo, cammellotti, mussuline, particolarmente da Mussul presso Mardin, abbondante di cotoni, cordovani rossi e gialli ed altre pelli in genere, pesce secco e salato, beluga del Caspio, argento ed oro in polvere tratti dai fiumi di Bukaria, rame delle miniere di Tokat, datteri di Bassorah, pepe, tabacco, indaco, allume, zuccaro, galla, zenzero, zafferano, rabarbaro, gomma, miele, sale di Bukaria, sale ammoniaco, bitumi, tra cui il nafta ed il celebre mum, droghe diverse, erbe medicinali, cera, perle di Ormuz, lapislazzuli, turchesi ed altre pietre preziose, lavori ed intarsiature alla agemina, così detti da agem, nome col quale gli Arabi indicano le terre ad essi straniere ed in particolare la Persia; e finalmente la seta greggia di cui incomparabilmente abbondavano le provincie persiane situate sul Caspio, Astrabad, Mazanderan, Schirvan e sopra tutte il Ghilan, la cui seta in natura ed in manifatture era ed è riputata la migliore di tutta la Persia.

Il commercio delle sete persiane fu specialmente regolato e favorito dal magistrato dei Cinque savii alla mercanzia, nei cui registri trovansi fra le altre le seguenti disposizioni:

Le sete persiane doveano passare per gli scali della Sorìa, assoggettarsi alla visita del console di Damasco e di Aleppo, e soddisfare una tassa di favore, fissata colla tariffa 5 marzo 1537; quindi venire accompagnate a Venezia da tratte particolari dei provveditori al cottimo[125]. E diminuendo quel traffico, per la concorrenza dei mercanti forestieri, nella grave proporzione di 1000 a 100, nel principio del secolo XVII, deliberava il senato ai 2 di maggio 1614 che tutte le sete persiane, che per gli scali della Sorìa venissero condotte a Venezia, fossero esenti per anni sei (tempo dappoi indeterminatamente prorogato) dal dazio del 6 per %, semprecchè li mercanti che le portavano per la via di Aleppo certificassero con prove irrefragabili al console di Sorìa la loro provenienza dalla Persia.

Il console in Aleppo, Girolamo Morosini, aveva nell'anno precedente sotto la propria responsabilità ridotto quella tassa dal 6 al 2 per %, onde favorire la venuta in Venezia dei mercanti persiani tanto desiderati dalla repubblica; e nella relazione che lesse in senato il 9 febbraio 1615 perorò la abolizione intera della tassa, che fu stabilita. E per favorirne la esportazione da Venezia, e far fronte alla concorrenza straniera, il senato ordinava ai 10 di luglio dello stesso anno, che per due anni, i quali furono varie volte prorogati, potessero le sete persiane escire dallo stato veneto per la via di Ponteba esenti da dazio. Finalmente nel 1626 al 14 di agosto deliberavasi in Pregadì che le sete persiane, che capitassero in Venezia con mercanti armeni e persiani, fossero esentate dall'1 per % che pagavasi per il cottimo e del 2 per il bailaggio di Sorìa, acciocchè con questo ragionevole vantaggio si incamminino a questa piazza[126].

Anche lo shàh della Persia, Abbas il Grande, fermò particolarmente la sua attenzione sul commercio serico. Fra le grandi innovazioni da esso adottate per ristorare le sorti economiche del suo impero, volle che gli Armeni trasmigrati in Djulfa d'Ispahan ricevessero dai proprietari le sete, e si esercitassero esclusivamente in quel traffico, nel quale divennero operosissimi.

Ma le condizioni politiche ed economiche della repubblica, e le vicissitudini del commercio e della navigazione delle potenze europee, andarono togliendo poco a poco ai Veneziani il primato nel traffico della seta e di tutte le merci persiane.

Dopo l'invasione dei Mongoli, che, sorpreso il floridissimo emporeo della Tana (1414), vi trucidarono i veneti mercanti e misero a ruba i loro fondachi, e dopo la conquista di Costantinopoli (1453) che chiuse il mar Nero alla navigazione degli Europei, i Veneziani, rinnovati gli antichi trattati coi soldani di Egitto, ai quali era soggetta la Palestina e la Siria, avevano ricondotto nel Mediterraneo il commercio della Persia e delle Indie, fino alla scoperta del giro del capo di Buona Speranza.

Questa importante rivoluzione commerciale, avvenuta dopo l'acquisto della terraferma veneziana, e seguìta dalla lega di Cambray, e dalle lotte contro la Turchia, che scossero profondamente la potenza della Repubblica in levante, diede il principal crollo al commercio dei Veneziani nell'Asia. Essi conobbero tosto, che la impresa di Vasco di Gama, deviandolo a mezzogiorno, paralizzava l'antico e ricchissimo traffico, del quale erano in possesso.

Le più serie informazioni intorno alla fortuna dei Portoghesi, il re dei quali tosto assumeva il titolo di Signore della navigazione e commercio dell'Etiopia, dell'Arabia, della Persia e delle Indie, pervennero al senato dai suoi oratori e messi secreti a Lisbona, e dagli ambasciatori presso la corte di Spagna; ma i deputati al commercio dissuadendo i Veneziani dall'abbandonare una navigazione antica, viva, certa, per seguirne una nuova, incerta, lontana e contrastata da molti[127], essi guardarono invece all'Egitto, e, mentre spingevano i soldani a contrastare nei mari dell'India i progressi ai Portoghesi[128], rinnovarono con loro gli antichi patti e ottennero le migliori franchigie.

Benedetto Sanudo, ed il console di Damasco Bartolomeo Contarini ottennero nell'anno 1502 dal sultano del Cairo che per le merci aquistate dai Veneziani nell'egizia Sorìa pagar si dovessero solo 90 ducati per ogni valore di mille, in luogo dei 100 che pagavano i mercanti delle altre nazioni, in considerazione che il commercio veneziano era da antichissimo tempo il fondamento di tutti gli altri[129]. E venuto a Venezia nell'anno 1507 Tagri-Berdi, oratore del sultano di Egitto, si stabilirono nuovi capitoli per favorire quel commercio[130], i quali poi furono ampiamente confermati nel 1508 da Domenico Trevisan ambasciatore della repubblica al Cairo, rispetto particolarmente al traffico delle spezie[131]. Ed allorquando Selino nell'anno 1517 sconfisse il soldano per la assistenza data ad Ismaìl sufì di Persia, e si rese padrone di Aleppo, di Damasco e dell'egizia Sorìa, la repubblica gli mandò cospicua legazione di Luigi Mocenigo e Bartolomeo Contarini, i quali ottennero dal conquistatore la rinnovazione dei privilegi accordati dai sovrani d'Egitto ai mercanti veneziani.

Senonchè la nuova via delle Indie, e la formazione delle grandi compagnie di navigazione, congiunte alle altre fatali e ben note circostanze politico-economiche della repubblica, fecero irresistibilmente decadere il commercio dei Veneziani colla Persia; la storia del quale può ricavarsi dalle preziose relazioni consolari, che si trovano tuttora per la maggior parte inedite negli archivi di Venezia.

Instituita per decreto del senato 15 febbraio 1507 la magistratura dei Cinque savi alla mercanzia, ed assoggettati ad essa i consolati e gli affari del traffico, « per dare migliore regola e svolgimento al commercio » fu da quella proposto al senato di trasferire in Aleppo il consolato generale veneto nell'Asia[132], dacchè in quella ricca e commerciale città, dopo la deviazione dell'Amur, le vittorie di Tamerlano, e la esclusione dei Veneziani dal mar Nero, convenivano le merci dell'Asia e particolarmente le persiane; in quanto non si volgevano a mezzogiorno attirate dalla nuova via insegnata da Vasco di Gama.

Molte carovane andavano e venivano regolarmente da Aleppo. Le tre principali erano quelle di Ormuz, della Persia e della Mecca[133]. Le più ricche, assicurava il console Morana, portavano valori per circa 8 milioni di piastre.

Quelle di Ormuz, partite da Aleppo e passato il deserto, si recavano a Bagdad e di là a Bassorah navigando sull'Eufrate, e da quella città pel golfo Persico si portavano in Ormuz. Il giro del capo di Buona Speranza colpì principalmente queste carovane.

Quelle della Persia, partite da Aleppo, e passato l'Eufrate andavano in Orfa, quindi a Carahemit, Tiflis e Tauris. Da Tauris si recavano a Derdevil, poi a Kasbin, quindi in Ispahan. Ma essendo obbligate a passare per molte città cadute in potere della Turchia, venivano da quei ministri così aggravate di gabelle, e ritardate nel loro cammino con tali angherie, che chi avea fatto quel viaggio una volta, difficilmente era allettato tentarlo una seconda[134].

Le carovane finalmente della Mecca, che avevano triplice scopo, religioso, politico ed economico, recavano i pellegrini alla città santa. Marino Sanudo[135] riporta una lettera da Damasco del 7 aprile 1514, la quale nota fino da quel tempo una sensibile diminuzione nella quantità delle spezierie portate dalla carovana della Mecca, che nel giorno 4 di quel mese era passata da Damasco con sole 300 some di spezie, la maggior parte zenzero, ed il resto cannella e garofani molto cari.

Le navi veneziane, che recavano nei porti della Siria le merci destinate all'emporeo di Aleppo e ne ritraevano quelle ivi comperate permutate dai mercanti nazionali, sbarcavano or in Tripoli di Sorìa ora in Alessandretta. Da principio lo scalo preferito era quello di Tripoli; ma le straordinarie concussioni commesse da que' ministri turcheschi, i quali al giungere delle navi veneziane si pigliavano quanto lor tornava di talento senza pagare, lasciavano per vario tempo le merci sballate esposte alle pioggie ed ai ladrocinii, le mescolavano con quelle di altre nazioni, e poi le partivano a loro capriccio, secondo le mancie che ricevevano, e senza riguardo alcuno al possessore, all'origine ed alla loro provenienza[136], persuasero il console Tommaso Contarini, che al suo arrivo in Siria nel 1590 trovò quel cottimo aggravato di 80 mille ducati, a chiedere alla Porta la concessione di far scalo invece ad Alessandretta, nell'antico golfo di Ajazzo. Colla spesa di mille zecchini egli ottenne in un mese il firmano[137]. Proibì alle navi venete di andare a Tripoli, e favorì assai la prima che sbarcò in Alessandretta, e fu la nave Grattarola che vi guadagnò di nolo 16 mille ducati.

La Repubblica di Venezia e la Persia

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