Читать книгу La Repubblica di Venezia e la Persia - Berchet Guglielmo - Страница 5
ОглавлениеPochi giorni prima di agì Mohammed arrivava per la via di Caffa un altro messo persiano [Documento VIII], « spagnuolo di nascita e di fede ebreo » il quale confermava che il suo signore era in viaggio con un potentissimo esercito, e risoluto di non ritirarsi dall'Asia minore senza aver prima debellato il Turco. Questo messo fu consigliato di presentarsi al re Ferdinando di Napoli ed al pontefice. Dai quali ottenne buone parole e scarse promesse. A Roma fu con due famigliari battezzato da papa Sisto, che gli pose il suo nome, e lo regalò di molti doni.
In seguito alla domanda di agì Mohammed, deliberavasi in senato la lettera ducale 25 settembre 1472 al re della Persia[21] per assicurarlo, che gli sarebbero spedite le chieste artiglierie, e che ordinavasi al capitano generale da mar di porsi intieramente colla veneta armata a di lui disposizione.
In questo senso scriveasi pure il 27 settembre allo Zeno, che ai 5 del successivo gennaio 1473[22] si rendeva avvertito del licenziamento di un nuovo oratore turco, venuto per ricercare la pace, mentre il senato non voleva conchiuderla se non d'accordo col re persiano, incaricandolo di annunziare ad Uzunhasan il prossimo arrivo delle chieste artiglierie, condotte da uno speciale ambasciatore.
Nel medesimo giorno in fatti il senato eleggeva oratore in Persia, collo stipendio di 1800 ducati all'anno, e coll'accompagnamento di dieci persone, Giosafat Barbaro, il quale per essere stato console veneto alla Tana e governatore in Scutari, conosceva perfettamente le lingue orientali[23].
E deliberava nella successiva tornata delli 11 gennaio[24] che si mandassero al re di Persia sei bombarde grosse, dieci di mezza grandezza e trentasei minori. Erano le bombarde una specie di mortaio in forma di tromba, nella cui bocca poneasi in luogo di palla una gran pietra. Inoltre 500 spingarde, specie di grande balestre, schioppetti e polveri quanti più se ne potessero raccogliere, pali di ferro 300, zappe 3000, badili 4000, e finalmente un regalo di panni pel valore di diecimila ducati.
Nella relazione del suo viaggio in Persia, pubblicata dal Ramusio, il Barbaro narra che partì da Venezia insieme ad agì Mohammed con due galere sottili, seguite da due grosse, cariche di bombarde, spingarde, schioppetti, polveri, carri e ferramenta pel valore di 4000 ducati, e con 200 schioppettieri e balestieri, comandati da quattro contestabili e da un governatore che era Tommaso da Imola; e che li doni per Uzunhasan consistettero in lavori e vasi d'argento del valore di ducati 3000, in panni d'oro e di seta del valore di ducali 2500, e in panni di lana di color scarlatto ed altri fini del valore di ducati 3000.
E successivamente colle parti 5 novembre, 21 dicembre 1473 e 22 gennaio 1474, il senato ordinava di assoldare Antonio di Brabante bombardiere, e di mandarlo ad Uzunhasan insieme ad altri 500 schioppetti e 100 spingarde. Marino Contarini fu incaricato di fare questi nuovi acquisti; ed il capitano generale da mar, di farli giungere nella Persia[25].
Le commissioni a Giosafat Barbaro furono due: una palese, data il 28 gennaio 1473 [Documento IX], l'altra segreta l'11 febbraio seguente [Documento X].
Colla prima ordinavasi al Barbaro di andare oratore solenne per la repubblica in Persia, insieme al legato persiano agì Mohammed ed agli ambasciatori del sommo pontefice e del re di Sicilia, allo scopo di confermare ed animare vieppiù Uzunhasan nell'impresa contro i Turchi, e di recargli le chieste armi e le genti.
Cammin facendo egli doveva eccitare il capitano generale Mocenigo a fatti importanti nella nuova stagione, visitare il re e la regina di Cipro, procurando di indurli ad unire la loro flotta, e finalmente maneggiarsi per lo stesso fine coi cavalieri di Rodi.
Il veneto oratore dovea presentarsi al re di Persia insieme a Caterino Zeno, « per rendere più cospicua e solenne la ambasceria; ed esporgli, che la repubblica da dieci anni era in guerra col Turco deliberata di sostenerla e proseguirla d'accordo colla Persia sino all'ultimo eccidio del comune nemico; che aveva rifiutata ogni proposizione di pace; che l'armata veneta e la collegata aveano già infestate le marine dell'Anatolia, ed erano pronte a nuove e più importanti imprese nella prossima primavera; e finalmente che egli portava seco le chieste artiglierie e gli uomini capaci d'instruire in quell'arma il suo esercito ».
Le cose espresse nella detta commissione, ebbe il Barbaro autorizzazione di comunicare agli ambasciatori del papa e del re Ferdinando che lo accompagnavano, ma non quelle contenute nella commissione segreta che gli fu data l'11 febbraio 1473.
Questa portava le istruzioni particolari, nel caso che ad onta degli sforzi del veneto oratore, per animarlo alla guerra, il re persiano inclinato avesse alla pace:
« Essere intenzione della repubblica di non venire mai a pace col Turco, se non qualora quegli acconsenta di rinunciare in favore della Persia tutta l'Anatolia che è viscere della sua potenza, e le terre al di là dello stretto, con tutta la ripa opposta alla Grecia, ed il castello dei Dardanelli, ed inoltre si obblighi a mai più fabbricare alcun altro castello lungo quella spiaggia, onde possano i Veneziani aver libero il mar Nero e ristorarvi gli antichi traffici e commerci ».
Se poi la conclusione della pace avvenisse da parte di Uzunhasan, doveva il Barbaro impegnarlo ad includervi la repubblica, procurando di farle restituire la Morea, Metelino, Negroponte, od almeno Negroponte ed Argo.
Con queste commissioni pertanto Giosafat Barbaro partì da Venezia a' 18 di febbraio 1473, e per Zara, Lesina, Corfù, Modone e Rodi giunse a Famagosta il 29 di marzo[26]. Ma quantunque alla repubblica assai importasse il sollecito suo viaggio in Persia, egli dovette fermarsi circa un anno nell'isola di Cipro, essendo tutte le coste occupate dagli Ottomani.
Quivi egli diede prove di carattere saldo e di valentìa negli affari di stato, mantenendo in fede il Lusignano, che per ambizione di regno era più tenero degli infedeli che dei cristiani, e provvedendo col generale Mocenigo in aiuto del principe di Caramania.
Il quale, alleatosi alla repubblica fin dal 1464, avendo chiesto a Giosafat Barbaro, che trovavasi in Cipro, soccorso per ricuperare i castelli di Sighin, Kurku e Selefke, intorno ai quali stava il suo campo, ebbe dal Barbaro e dal Mocenigo la chiesta assistenza; perocchè, portatisi colla veneta armata alle marine, essi presero a viva forza Sighin ed ottennero a patti gli altri due castelli, che il Mocenigo[27] consegnò a Kasim beg fratello del Caramano, il quale ringraziatolo del possente aiuto, lo regalò di un leopardo e di un superbo destriero tutto addobbato con fornimenti d'argento[28].
Intanto Caterino Zeno non si stancava di eccitare la regina di Persia perchè persuadesse il marito a muovere la guerra a Mohammed, acerrimo nemico in particolare di lei, a cui avea fatta perire tutta la famiglia; per le quali persuasioni Uzunhasan, che era di già infiammato ad abbassare la potenza ottomana e ad innalzare la propria, scrisse al signore dei Georgiani che rompesse da quel lato la guerra[29], e mandò un oratore a Costantinopoli per chiedere Trebisonda ed i luoghi usurpati.
Questo oratore presentò al sultano, secondo il costume orientale, una mazza ed un sacco di miglio, per dimostrargli che il re della Persia avrebbe armato esercito potente e numerosissimo; ma il padishàh lo licenziava facendogli vedere a mangiare da poche galline quel miglio, e dicendogli: « Così i miei giannizzeri faranno cogli uomini del tuo signore, che sono soliti a guardar capre e non a guerreggiare[30] ».
Allora Uzunhasan rivolse ogni sua cura a raccogliere genti ed armi, e mandò notizia a Venezia della sua mossa, animando la repubblica a fare altrettanto dalla sua parte; con lettera recata da Sebastiano dei Crosecchieri cappellano di Caterino Zeno, nell'ottobre 1472[31].
Ai 15 di dicembre[32] lo Zeno partecipava le prime vittorie di Uzunhasan, che uditi i fatti della veneta armata sulle coste della Caramania, ancorchè non gli fossero ancora pervenuti i domandati sussidii, avea dato ordine di guerra, per nulla temendo i rigori della stagione e la mancanza di artiglierie.
Il veneto oratore seguì l'esercito persiano, e lo passò in rassegna prima che entrasse in campagna. Narra lo Zeno nella sua lettera del 9 ottobre 1472[33] che quello era composto di 100 mila cavalli, armati in parte alla maniera che usavasi in Italia, e in parte coperti da fortissimi cuoi atti a resistere ai grandi colpi. Gli uomini erano vestiti parte con corazzine dorate e maglie, e parte in seta. Aveano rotelle in luogo di scudi, e scimitarre.
Mentre l'esercito persiano dopo le prime vittorie attese nel verno a ristorarsi, Uzunhasan spedì un nuovo oratore a Venezia, il quale vi giunse per la via di Cipro nel mese di febbraio 1473, e recò la notizia della presa di Malatiah all'ovest dell'Eufrate, e dell'assedio di Bir[34].
Il serenissimo principe accolse il legato persiano con amorevolezza; si congratulò seco delle vittorie ottenute, esprimendo fiducia che il Barbaro si sarebbe recato quanto prima nella Persia colle bombarde, le spingarde, e coi maestri di artiglieria, spediti da quasi un anno. Ed egualmente scriveva ad Uzunhasan il 15 di febbraio[35], annunziandogli la venuta del Barbaro con efficaci sussidii, e l'ordine dato alla veneta armata di attaccare le coste, tostochè il di lui esercito si fosse a quelle avvicinato. Il Barbaro poi lo avvertiva da Colchos l'8 di giugno[36] di essere con potentissima armata e cogli ambasciatori del papa e del re Ferdinando ed agì Mohammed a di lui disposizione, e pronto ad attaccare la stessa Costantinopoli.
Queste lettere empierono di allegrezza e di speranze Uzunhasan, il quale ne fece bandire la nuova per tutto l'esercito, e salutare a suon di trombette e zambalare il nome veneziano [Documento XI].
I Turchi, fatto anch'essi il maggior sforzo, si avvicinarono all'Eufrate poco lungi da Malatiah, dove sull'altra riva erano schierati i Persiani in ordinanza. Quivi si incontrarono i due eserciti, ed azzuffatisi vigorosamente, prevalse il persiano. Il sopraggiungere della notte però impedì, che la vittoria di Uzunhasan riescisse decisiva e finale.
Rotti pertanto gli Ottomani, scriveva a Venezia Luca da Molino, sopracomito del porto di S. Teodoro[37]: che era vicino il re di Persia, che il Mocenigo aveva incominciate le operazioni marittime, e che già tutta la costa erasi assoggettata e restituita al Caramano.
Laonde, elevati gli animi alle più belle speranze, si vinceva in senato, dietro proposizione di Girolamo da Mula, il partito, di scrivere al Mocenigo che penetrasse con tutta l'armata nello stretto, e si portasse a battere immediatamente la stessa Costantinopoli, qualora però fossero stati di tale avviso il legato papale e il capitano di Napoli[38].
Ma poco stettero le cose a cangiare d'aspetto. Battuti i Turchi, fu Uzunhasan spinto dai suoi ad inseguirli al di là dell'Eufrate, e potè raggiungerli presso Terdshan nelle vicinanze di Erzengian, alla fine di luglio del 1473. Mentre il suo esercito era in marcia, mandò l'11 di luglio a chiamare lo Zeno e gli comandò di scrivere all'imperatore ed al re d'Ungheria di « metter a foco et fiamma il paese de l'Othoman in Europa, perchè essendo esso, con l'aiuto di Dio, per aver certissima vittoria contro l'Othoman, el vol ch'el sia sfrachassado da ogni parte, che più nol se possa refar, et che totalmente sia estinto el nome suo[39] ».
Confidando pertanto nella favorevole sua fortuna, e credendo per la recente vittoria di poter ancora facilmente superare l'esercito ottomano, Uzunhasan apprestò a battaglia le sue truppe, appena che lo ebbe raggiunto[40].
Ma, attaccato invece vigorosamente e disperatamente dai Turchi, egli rimase sconfitto per modo che dovette fuggire nelle montagne dell'Armenia, abbandonando il campo e le salmerìe, mentre invano suo figlio Seinel perdeva la vita, cercando di tener testa coi pochi rimasti [Documento XII].
Per quella stessa opinione che Uzunhasan teneva di essere invincibile, si avvilì maggiormente di questa sconfitta; laonde non vedendo altra speranza che nel soccorso dei principi cristiani, ai quali le sue disgrazie non toccavano meno che a lui, spedì Caterino Zeno come proprio ambasciatore presso ai principi d'Europa: con incarico di domandar loro quell'aiuto che richiedeva il pericolo comune, e particolarmente dacchè, in contemplazione della repubblica di Venezia e degli interessi della cristianità, avea preso le armi. Prometteva poi di mettere in campo per la ventura stagione un formidabile esercito, onde continuare nella impresa.
Partitosi lo Zeno dalla corte persiana, si diresse alle rive del mar Nero, dove, noleggiata una nave genovese di Luigi Dal Pozzo, corse pericolo di essere tradito e consegnato agli Ottomani, se Andrea Scaramelli di notte tempo accostandosi secretamente con una barca alla nave, da quella non lo avesse levato, e condotto incognito a Caffa, insieme ad un di lui servo chiamato Martino.
Quivi trovandosi lo Zeno spoglio di denari e di ogni cosa, e non potendo essere assistito dal povero suo liberatore, potè una seconda volta salvarsi da mal partito e così porsi in grado di adempire ai suoi incarichi, per la fedeltà del suo servo Martino, che tanto lo pregò fino a che egli accondiscese di venderlo siccome schiavo per provvedersi di denari pel viaggio. La generosità del Martino fu poi riconosciuta dal veneto senato, che lo riscattò e lo provvide di buona pensione[41].
Da Caffa lo Zeno scriveva alla signorìa, narrando il successo della guerra passata, le nuove speranze che ancora si avevano, e lo incarico a lui affidato da Uzunhasan, del quale spediva una lettera al doge Nicolò Tron relucentissimo sultan de la fede cristiana, cui prometteva di esser pronto a tentare di nuovo con tutte le forze della Persia la fortuna delle armi [Documento XIII].
Queste lettere furono assai gradite dal senato, che intendendo non essere ancora Giosafat Barbaro passato nella Persia, non gli parve convenisse alla dignità sua di lasciare un re affezionato e fedele senza un ambasciatore, dacchè lo Zeno erasi da lui dipartito.
Laonde il consiglio dei Dieci deliberava di spedirvi Paolo Ognibene[42] albanese, con commissione di confermare ad Uzunhasan che la repubblica intendeva di persistere nella lega, la quale non avrebbe mancato di fruttargli il possesso di tutta l'Asia turca; e di ponderare allo stesso quanto importava all'impresa che egli coll'esercito passasse l'Eufrate.
All'Ognibene non venne fissato alcun stipendio; ma gli fu promesso che la repubblica non mancherebbe d'usare verso la sua persona e famiglia la magnificenza solita verso chi ben la serviva.
Oltre a questa spedizione dell'Ognibene, il senato deliberava nel giorno 30 di ottobre dello stesso anno 1473[43] di eleggere un altro oratore solenne ad Uzunhasan; ma nominato Francesco Michele, egli rifiutò, e quanti altri venivano eletti declinavano tale onore per cagione del viaggio pericolosissimo; laonde furono prese le parti 22 e 30 novembre che stabilirono pene a chi si rifiutasse, e che autorizzarono il Consiglio a scegliere l'ambasciatore da qualunque luogo od ufficio.
Il 10 di dicembre 1473 fu eletto Ambrogio Contarini, quondam Bernardo, che accettò, ed il 20 scrivevasi al Barbaro, che sollecitasse intanto la sua partenza da Cipro e per qualunque via procurasse giungere al più presto possibile nella Persia.
Le commissioni date dal senato ad Ambrogio Contarini furono due, una palese, e l'altra segreta.
La prima [Documento XIV] ordinava al veneto legato di abboccarsi coll'ambasciatore di Napoli, di cercar notizie di Caterino Zeno che credevasi a Caffa, e di Giosafat Barbaro, e con questi e col segretario Paolo Ognibene concertarsi per la miglior riuscita della sua missione.
La commissione segreta [Documenti XV e XVI] ricordava, come l'anno precedente, ritenendosi che il re persiano penetrasse nell'Anatolia, la repubblica avea ordinato al capitano generale Mocenigo di spingersi vigorosamente coll'armata nello stretto fino a Costantinopoli, mettendo a ferro e fuoco tutta la ripa, onde il nemico vedendo in pericolo la propria capitale fosse costretto a ritirare gran parte delle sue genti, così agevolando la vittoria al re di Persia; che inoltre la repubblica aveva mandate le chieste artiglierie e gli uomini esperti a maneggiarle; per le quali cose doveva Uzunhasan convincersi della buona volontà dei Veneziani, e degli sforzi che sarebbero sempre pronti a fare in suo favore: sia ch'egli, seguendo il parere del senato, spingesse la guerra per terra, mentre la veneta armata penetrerebbe nello stretto; sia ch'egli preferisse la campagna della Sorìa: purchè per l'una o per l'altra di queste imprese egli muovesse sollecitamente, il tutto consistendo nella celerità delle operazioni.
Se poi il veneto oratore avesse trovato il re disposto a tregua o pace, gli si ingiungeva di far di tutto per istornarvelo; e, non riuscendo, di ottenere che alla repubblica fossero restituiti Negroponte ed Argo, od almeno ch'ella fosse inclusa nella pace.
Questa commissione segreta ebbe ordine il Contarini di imparare a memoria prima di partire d'Italia, e di ritenerla col mezzo di contrassegni e cifre a lui solo note, con obbligo assoluto di abbruciare il foglio in modo che non potesse mai essere letto da alcuno.
Intanto che l'Ognibene[44] ed il Contarini si dirigevano verso la Persia, e che il Barbaro altresì trovava mezzo d'incamminarvisi, Caterino Zeno proseguiva il suo viaggio di ritorno a Venezia, eseguendo le commissioni avute, quale ambasciatore del re persiano.
Trovò egli in Polonia il re Casimiro in guerra cogli Ungheri, ed esponendogli lo incarico avuto da Uzunhasan, lo esortò ed indusse a conchiudere la pace, per lasciare almeno agli Ungheri agio di unirsi nella lega contro i Turchi.
Dalla Polonia lo Zeno passò in Ungheria, dove ebbe grandi promesse, e l'onore del cavalierato il 20 aprile 1474. Finalmente egli arrivò in Venezia, e riferita in senato la commissione avuta dal re di Persia, fu per ciò inviato con altri quattro ambasciatori al papa ed al re di Napoli[45].
Queste legazioni non produssero il desiderato effetto e tornarono vane. I principi della cristianità si erano, secondo la robusta espressione di Giovanni Sagredo[46], raffreddati, anzi intirizziti. Ritornato in patria lo Zeno, fu egli nominato del Consiglio dei Dieci, a grande maggioranza di voti.
Frattanto il Barbaro col solo agì Mohammed ed il cancelliere, travestiti da pellegrini, senza roba e senz'altra famiglia, abbandonati anche dal legato papale e da quello di Napoli, poterono incamminarsi per la Persia l'11 febbraio 1474[47].
La relazione del viaggio di Giosafat Barbaro fu pure pubblicata dal Ramusio, e, tradotta in latino dal Geudero, fu inserita nell'Historia rerum persicarum del Bizarro.
Narra il Barbaro che partitosi finalmente da Cipro sbarcò al Kurku, e per Selefke, Tarsus, Merdin, Assankief e Sairt arrivò al monte Tauro, dove nel giorno 4 di aprile, assalito dai Kurdi e spogliato di ogni cosa, egli potè a stento salvarsi fuggendo, per aver sotto un buon cavallo. Ma egual sorte non toccava ad agì Mohammed ed al cancelliere, che rimasero da quegli assassini trucidati. Le disgraziate vicende del viaggio del Barbaro non si limitarono a questa, che, giunto a Vastan presso Tauris, e richiesto del suo nome e della sua missione da quei Turcomanni che si trovavano alla porta della città, avendo egli detto di tener lettere per il loro re, ma che non credeva cosa onesta il mostrarle, fu assai maltrattato, e colpito dal loro capo con un pugno così vigoroso nella mascella, che per quattro mesi gliene durò il dolore.
Arrivato finalmente il veneto legato in Tauris ed acconciatosi in un caravanserai, fece sapere ad Uzunhasan che desiderava di presentarglisi. Il re mandò per lui immediatamente la mattina appresso; laonde fu condotto alla sua presenza così male in arnese, che « quanto avea in dosso non potea valere due ducati ». Fu accolto assai cortesemente dal persiano, che gli promise soddisfazione, e compenso del danno patito[48].
Il luogo del ricevimento fu un padiglione del magnifico palazzo detto Aptisti, che tenevasi per una delle meraviglie della Persia. Il padiglione giaceva nel mezzo di un giardino a trifoglio, con una rigogliosa fontana d'innanzi[49]. La loggia era decorata a grossi mosaici di varii colori; a mano sinistra sedeva il signore della Persia sopra un cuscino di broccato d'oro, con un altro simile dietro alle spalle, ed al suo lato stava un brocchiero alla moresca colla sua scimitarra. Uzunhasan ricevette il veneto ambasciatore, circondato dai grandi del suo regno, e mentre varii cantori facevano sentire dolci concenti, al suono di arpe, liuti, cembali e pive. Il giorno dopo mandò al Barbaro due vesti, uno sciallo di seta, una pezza di bambagio da mettere in capo, e ducati 20.
La relazione del viaggio di Giosafat Barbaro continua narrando i costumi, le ricchezze, il commercio, i prodotti della Persia confrontati con quelli d'Italia, e descrive l'esercito e la potenza di quel re. Dati questi importantissimi, ma che è inutile di ripetere, dacchè stanno pubblicati nelle sopracitate collezioni, insieme ad un'altra non meno interessante descrizione della Persia fatta da un mercante veneziano, che ivi dimorò intorno a quel tempo.
Circa l'esito della sua missione, il Barbaro dice: che quando arrivò in Tauris, correva voce che Uzunhasan fosse deciso a continuare nella lotta contro i Turchi, ma che le conseguenze della infelice giornata di Terdshan, la ribellione di Oghurlu Mohammed, e la tiepidezza delle corti cristiane resero impossibile la riscossa. Egli portò invece le armi contro il re di Gorgora, e fatta con esso la pace, si ritirò nei propri stati, ove morì il giorno dell'Epifanìa dell'anno 1478.
Dopo la morte di Uzunhasan avvennero nella Persia i più gravi sconvolgimenti, che portarono finalmente la esclusione dal trono della sua dinastìa.
Laonde il Barbaro, presa licenza, si unì ad un armeno che recavasi in Erzengian, ove giunse ai 29 di aprile 1478. Quindi con una carovana andò in Aleppo ed in Beiruth, e con una nave di Candia si portò in Venezia, per recare al senato le notizie della sfortunata sua legazione.
Ed esito simile ebbero pur quelle di Paolo Ognibene e di Ambrogio Contarini.
Paolo Ognibene arrivava dalla Persia il 17 di febbraio 1475 e riferiva nel Consiglio dei Dieci: che entrato nel paese del Caramano si era unito con alcuni Turchi che andavano alla Mecca, dai quali poche miglia fuori di Aleppo si dipartì fingendo di avere perduta la borsa, e così avendo potuto ritornare in quella città, prese il cammino della Persia. Passato l'Eufrate, egli entrò nel paese di Uzunhasan, e presentatosi a quel re, fu accolto amorevolmente ed udito con attenzione.
Pochi giorni dopo l'arrivo in Persia dell'Ognibene vi giungeva Giosafat Barbaro, laonde Uzunhasan incaricava l'Ognibene di ritornare tosto a Venezia, e di esporre alla signorìa, ch'egli era re della propria parola, e che nella prossima primavera avrebbe allestito un poderoso esercito.
La relazione dell'Ognibene fu assai grata al Consiglio dei Dieci, che lo premiava colla nomina di massaro all'ufficio delle Rason vecchie, collo stipendio annuo di ducati 400[50].
Anche la relazione del viaggio e dell'ambasciata in Persia di Ambrogio Contarini fu pubblicata nelle citate collezioni. Partitosi quell'oratore da Venezia a' 23 di febbraio 1473, andò per la via di terra a Caffa, ove giunse ai 26 di aprile, passando per Norimberg, Potsdam e la Russia bassa. Imbarcatosi sul mar Nero, si recò alle foci del Fasi al 1º di luglio, e per la Mingrelia, la Georgia e parte dell'Armenia, giunse al 4 di agosto nella città di Tauris.
Ma siccome il re di Persia trovavasi in Ispahan, il Contarini si diresse a quella volta, ove incontrò Giosafat Barbaro che lo seguiva in qualità di legato della repubblica.
Nel giorno 4 di novembre 1474 il veneto oratore si presentò ad Uzunhasan ed offerì le sue credenziali. Esposta la commissione avuta dal senato, ebbe affettuosissima accoglienza, ma assai breve ed ambigua risposta. E ritornato poi colla corte in Tauris, gli fu commesso da quel re di partire per Venezia, e di recare la notizia che egli era pronto a far la guerra. Fu il Contarini regalato di due vesti, di un cavallo e di poche altre cose, e fu incaricato di portare alla signoria alcune spade e turbanti.
Nel 28 di giugno 1475, quantunque convinto che le promesse di Uzunhasan difficilmente sarebbero state mantenute, il Contarini si licenziò da quel re, e per la via del Caspio e della Tartaria si diresse a Venezia.
Il viaggio di ritorno riescì al veneto legato oltremodo faticoso, avendo dovuto per terre barbare ed infestate, viaggiare senza o con pochi danari. Egli portava indosso una casacca tutta squarciata, foderata di pelli d'agnello, una triste pelliccia, e un berretto pure di agnello. Passato il gran deserto dell'asiatica Sarmazia, arrivò in Moscovia, e presentatosi a quel duca, fu assai bene accolto e regalato; quindi per la Lituania, la Polonia e l'Allemagna giunse a Venezia il 9 di aprile 1477, e riferito in senato l'esito della sua missione, corse a ringraziare Iddio di averlo preservato da tanti pericoli e di avergli conceduta la grazia di rivedere la patria.
Colla morte di Uzunhasan terminava per Venezia l'ultima speranza di appoggio; laonde nel 1478 la repubblica fermò pace colla Turchia, e pose fine ad una lotta che durò sedici anni, e che avrebbe potuto vendicare il 1453, in cui compievasi la gran vergogna della cristianità, e liberare l'Europa da una causa incessante di perturbazioni e di guerre.