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I.

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Scomparso quasi il nome della Persia, durante il periodo dei califfati (anno 652-1258), soggiogata e divisa quella regione dagli Arabi, dai Mongoli, dai Tartari e dai Turcomanni, cominciò soltanto nel secolo XV a risorgere pel valore di Uzunhasan, il quale potè far rivivere col nome persiano le gloriose tradizioni degli Acmenidi e dei Sassanidi.

Nelle lotte delle due fazioni turcomanne, dell'ariete nero (Karakojunlu) e dell'ariete bianco (Akkojunlu), Hasanbei, detto poi Uzunhasan (il lungo), capo di quest'ultima, rimanendo vincitore, occupò gli stati e le castella di alcuni potenti signori suoi vicini. E mossosi, di poco varcata la metà del secolo XV, contro Gihan shàh, sovrano dell'ariete nero, lo vinse nelle campagne di Erzengian; quindi, sconfitto Ebusaid signore dell'Azerbeigian, si impadronì di tutta la Persia, fra questi confini: a levante l'Indo e la Tartaria, a ponente la Georgia, Trebisonda, la Caramania, la Siria e l'Armenia minore, a mezzogiorno l'Arabia ed il mare dell'India, a tramontana il monte di Bakù[1].

Uzunhasan sposò la despina Teodora, figlia di Giovanni imperatore di Trebisonda, il quale gliela accordò per consorte colla condizione che ella continuasse a vivere nella religione greca [Documento I].

Quest'imperatore, seguendo l'esempio di altri deboli sovrani trapezuntini, che, disposando le proprie figlie a principi barbari, si assicuravano la loro protezione, credette con tale unione, e coll'alleanza conchiusa col nuovo signore della Persia, di difendere il proprio trono dalla potenza minacciosa di Mohammed, il quale, dopo la conquista di Costantinopoli, voleva impadronirsi di quegli ibridi imperi greci, che erano sorti dalle rovine di Bisanzio.

L'imperatore Giovanni diede in isposa l'altra sua figlia, sorella della despina di Persia, al duca dell'Arcipelago Nicolò Crespo, da cui nacquero quattro figliuole maritate con altrettanti gentiluomini veneziani, cioè:

Fiorenza con Marco Cornaro[2].

Lucrezia con un Priuli.

Valenza con Giovanni Loredano, e

Violante con Caterino Zeno[3].

Ecco relazioni di famiglia, che, oltre agli interessi politici internazionali, avvicinarono la signorìa di Venezia alla Persia. E questi ultimi erano della massima importanza.

Il grande signore di due mari e di due parti di mondo, titolo che Mohammed si diede dopo la presa di Costantinopoli, non sazio di nuove conquiste, mirava ad estendere i confini del suo impero a danno dei principi suoi vicini. Tra questi, i più potenti erano dalla parte dell'Europa: Venezia, che offeriva alla civiltà l'antemurale dei suoi possedimenti in levante; dalla parte dell'Asia, il nuovo monarca persiano. Venezia quindi e la Persia dovevano porsi d'accordo contro il comune naturale nemico, dacchè la Provvidenza destinava principalmente questi due stati a frenare l'ambizione di lui in occidente ed in oriente.

La conquista dell'impero di Trebisonda, fatta da Mohammed nell'anno 1461; la guerra mossa ai Veneziani nella primavera del 1463, che cominciò coll'improvviso assalto di Argo; e le spedizioni contro i principi di Caramania, protetti da Uzunhasan, porsero occasione al sire persiano ed alla repubblica di Venezia di apprestare d'accordo le armi contro il comune nemico.

A' 2 di dicembre 1463 il veneto senato ordinava ad Andrea Cornaro di offerire al principe di Caramania Pir Ahmed, e ad Uzunhasan proposta di lega, commettendogli di spedire a questo fine Lazaro Quirini nella Persia, qualora egli in persona non avesse potuto recarsi colà[4].

Contemporaneamente vincevasi in senato la parte di mandare ambasciatori, Nicolò Canal in Francia, Marco Donà al duca di Borgogna, altri ai re di Sicilia e di Portogallo; e di scrivere ai re d'Ungheria e di Boemia, per invitarli a concorrere nella lega contro il Turco[5], della quale il pontefice erasi dichiarato capo e banditore.

Andrea Cornaro conchiuse l'alleanza col principe Caramano [Documento III]; e mentre Lazaro Quirini s'incamminava per la Persia, arrivò in Venezia a' 13 di marzo 1464, per la via di Aleppo e di Rodi, Mamenatazab ambasciatore di Uzunhasan[6].

Espose quegli in senato: « che era spedito dal suo signore per bene intendersi contro i Turchi; che egli prometteva di mettere in campo nella prossima primavera un esercito di 60,000 cavalli; che l'albero grosso sta pur forte contro i venti, tamen se un piccolo verme entra a rodere il tronco da basso, lo riduce così, che il vento facilmente lo atterra; e Uzunhasan sarà quel verme che roderà questo grand'albero, e mai conchiuderà pace colla Turchia senza partecipazione della veneta repubblica, purchè anch'essa dal proprio canto ciò prometta; avendo essa intenzione di muovere sulle rive dello stretto verso Gallipoli, affinchè la veneta armata potesse inoltrarsi fino a Costantinopoli ».

Questo oratore persiano fu assai bene accolto dal senato, che ordinava, ai 26 di settembre 1464, gli fosse data pel suo re una lettera ducale, colla quale accettando la proposta lega, lo si rendesse avvertito della cooperazione certa del pontefice, del duca di Borgogna e del re di Sicilia, e della guerra sussistente fra i Turchi ed il re d'Ungheria; e animandolo a muovere gagliardamente contro l'Ottomano lo si assicurasse che ogni acquisto nella terra ferma la repubblica lo riterrebbe interamente di lui [Documento IV].

Convenivasi poi a voce con Mamenatazab, che ove col concorso della veneta armata si acquistassero coste o porti di mare, questi resterebbero della repubblica[7]: la quale più che lontani possessi mirava ad ottenere punti strategici od interessanti al commercio; e secondo la frase del Dandolo volle i popoli piuttosto amici che sudditi, e scali al suo traffico, anzichè ampii dominii, ma sempre libero il mare.

L'oratore persiano partì da Venezia colle galere di Beiruth, assai soddisfatto e regalato, portando seco oltre alla predetta lettera ducale, braccia venti di panno d'oro da offerirsi in nome della veneta signorìa a Uzunhasan. Ed arrivato a Rodi, il capitano generale da mar, Mocenigo, gli fece vedere in ordinanza la veneta armata, assicurandolo che l'avrebbe impiegata in servizio, e per secondare i disegni e le imprese magnanime del suo re[8].

Nell'anno seguente arrivò a Venezia un altro messo persiano chiamato Kasam-Hasan, con lettere di Uzunhasan, le quali attestavano la sua pronta disposizione a far la guerra ed eccitavano la repubblica, e per di lei mezzo i principi cristiani, a muovere di comune accordo le armi.

Il senato rispose ai 27 febbraio 1466 [Documento V] confermando la deliberata volontà sua di continuare gagliardamente la lotta, e partecipando le conchiuse leghe e le speranze che tenevansi: quantunque per la morte di Pio II, e per le gelosie dei principi cristiani verso la repubblica veneta, che trovavasi all'apogèo della sua potenza pei nuovi acquisti, fosse di assai minorata la energìa colla quale davasi dapprima opera a tal lega contro la prepotenza ottomana.

Scriveva in fatti il senato ai proprii oratori a Roma....... « Et propterea omni studio et efficatia querite, ut ad conclusionem deveniatur, et Sanctitas Sua si quid in effectum collatura est, non amplius promittat sed conferat, hoc idem faciant caeteri et omnes recidite conventus, omnes collationes non solum dedecorosas, sed etiam detrimentosas, quum dum hujusmodi collationibus et consultationibus, tempus territur, Hannibal Saguntum oppugnat[9] ».

Dopo la presa di Negroponte[10], dubitando Mohammed, che per questa nuova ed importante sua conquista, i principi europei si decidessero, nel pericolo comune, ad accorrere efficacemente in soccorso della repubblica, mandò a Venezia proposizioni di pace, per mezzo della propria matrigna sorella del despota Zorzi di Servia; laonde il senato, che da qualche tempo mancava di ogni notizia delle mosse e dei progressi di Uzunhasan, commise a Nicolò Cocco ed a Francesco Cappello di proporre destramente all'imperatore la restituzione di Negroponte, verso il pagamento di una somma che avevano facoltà di portare fino a ducati d'oro 250,000 da soddisfarsi per rate in 5 anni, rimanendo però alla repubblica tutte le isole che allora teneva[11]; ma tali furono le pretensioni di Mohammed, che ogni trattativa fu dai Veneziani disdegnosamente respinta.

Mentre duravano queste pratiche di accomodamento, arrivò dalla Persia in Venezia nel febbraio 1471 Lazaro Quirini, insieme ad un oratore persiano chiamato Mirath[12], il quale era latore di una lettera del suo re[13], che annunciava le vittorie da esso riportate sopra varii principi suoi confinanti, e la sua intenzione di muovere contro la Turchia col concorso della veneta armata.

Il serenissimo principe rispose nel giorno 7 di marzo all'oratore persiano: che si sentivano con gioia le notizie del suo re, e si teneva assai cara la sua amicizia dalla repubblica, sempre disposta ad assisterlo. E « per confermare in perpetuo quell'amicizia e stringerla maggiormente » il senato deliberava nello stesso giorno: di mandare un solenne ambasciatore in Persia, eletto fra i nobili, con stipendio di ducati mille, incaricandolo di portarsi colà, insieme all'oratore persiano Mirath, un notaio ducale e cinque famigliari. La parte fu presa in Pregadi con 148 voti affermativi contro 2 negativi; e furono eletti dapprima ser Francesco Michele, poi ser Giacomo Medin che rifiutarono, finalmente Caterino Zeno il quale accettò[14].

Frattanto arrivava pure in Venezia un altro legato di Uzunhasan, il quale, passato il mar Nero da Trebisonda a Moncastro[15] e venuto per la via di Polonia insieme ad un ambasciatore di quel re, dirigevasi al sommo pontefice per sollecitare col suo mezzo il concorso dei principi cristiani. Il senato gli rispose opportunamente « conforti per conforti et offerte per offerte » e lo accompagnò con lettera di raccomandazione all'oratore veneto in Roma, dove fu vestito ed accarezzato dal pontefice, e rimandato in Persia con un legato papale, frate di S. Francesco[16].

Caterino, figliuolo di Dracone Zeno[17], essendo stato molti anni col padre in Damasco, e qual nipote della despina moglie di Uzunhasan, si giudicò potesse servir bene e con profitto la patria in questa ambasceria al sovrano della Persia.

Ai 18 di maggio 1471 fu allo Zeno rilasciata dal senato la commissione [Documento VI]; ma dietro proposta del savio agli ordini Pietro Donato, fu differita la di lui spedizione, fino all'arrivo da Costantinopoli di precise notizie sulle incamminate trattative di pace.

Le quali, poichè furono di manifesta e decisa rottura, il senato dava allo Zeno una seconda commissione a' 10 settembre 1471 [Documento VII].

Con queste due commissioni veniva incaricato lo Zeno di andare in Persia, per la via di Cipro e di Caramania, insieme al legato Mirath, e di mostrare a quel re il contento della repubblica per la sua potenza, e la perfetta sua disposizione di concorrere coll'armata navale in pieno accordo e lega con lui. Doveva pure lo Zeno giustificare le incamminate trattative di pace, accolte dietro domanda del Turco e in mancanza di ogni notizia dalla Persia, ma con lieto animo opportunamente a tempo reiette. Gli fu ordinato di portar seco un dono di panni d'oro da presentarsi ad Uzunhasan, e di visitare la regina, nonchè il signore di Caramania ed il re di Georgia. Finalmente egli ebbe incarico di rilevare e descrivere tutte quelle minute informazioni che potesse avere: della potenza del re di Persia, della sua età, valore, stato, confini, vicinanze, redditi, esercito; nonchè della sua disposizione e volontà nella guerra contro la Porta, e di tutte le altre cose che egli riputasse degne di essere conosciute.

Con questi ordini pertanto Caterino Zeno partitosi da Venezia, passò a Rodi pochi mesi, e di là, entrato nel paese del Caramano, pervenne dopo molto travaglio in Persia. Ed annunciato il suo arrivo, fu egli da quel re ricevuto con grandi dimostrazioni di onore, quale ambasciatore di una repubblica potente e confederata; e avendo poi chiesto di presentarsi alla regina, ne ebbe per grazia speciale il permesso, cosa insolita a concedersi a qualsiasi persona, dacchè non era costume in Persia che le donne, e particolarmente le regine, si lasciassero vedere.

Laonde condotto lo Zeno innanzi alla despina Teodora, e datale notizia di sè, fu accolto e ricevuto come caro nipote, fu alloggiato nel reale palazzo, e presentato ogni giorno (cosa riputata di molto onore) delle stesse vivande della real mensa. Ed udita più particolarmente la cagione della sua venuta, la regina gli promise ogni aiuto e favore, riputandosi parente della signorìa di Venezia; e di fatto ella contribuì efficacemente ad indurre Uzunhasan a muovere le armi contro Mohammed[18].

Scriveva quindi lo Zeno il 30 di maggio 1472[19] al capitano generale Pietro Mocenigo, essere egli arrivato in Tauris al 30 aprile, aver trovata la più liberale accoglienza dal re e dalla regina, e la migliore disposizione di muovere nella Caramania e verso le coste contro gli Ottomani. E pregava il capitano generale di accordare passaggio ad un nuovo legato persiano, che Uzunhasan spediva a Venezia.

Giunse in fatti, alla fine di agosto, in Venezia l'oratore agì Mohammed, per chiedere alla repubblica soccorso di artiglierie, delle quali mancava il campo persiano.

Questo oratore recava alla signorìa un preziosissimo dono, che tuttora si conserva fra gli stupendi cimeli del tesoro di S. Marco. Esso consiste in un catino ricavato in una sola turchese di smisurata grandezza, avente il diametro delle celebri colonnette della cattedrale di Siviglia (m. 0,228). Sulla superficie esteriore stanno intagliate cinque lepri, e nel fondo le parole bar allah, interpretate dal Montfaucon opifex Deus, avvegnachè opera sì straordinaria e preziosa debba riputarsi divina. Il catino è contornato da una doppia legatura, entro e fuori, d'oro finamente cesellato e guernito di cinquanta gemme. Il Montfaucon dichiara che nessun altro cimelio gli ha destato maggior meraviglia, così pure il Cicognara; ma lo Zanotto ed il Durand dubitano, e forse a ragione, che il catino sia invece di pasta vitrea, la cui arte era perfettissima in Persia, d'onde si diffuse per la civile Europa[20].

La Repubblica di Venezia e la Persia

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