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IV.

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Quelli furono i migliori tempi della vita dell'operaio. Sotto l'influsso del suo tanto nobile e purissimo amore, egli sentiva a poco a poco svanire, proprio come la nebbia al sole, i suoi invidiosi pensieri, il suo maligno talento, la sua rabbia di proletario. Non gli pareva più d'essere condannato ad invidiar tutto agli altri; non trovava più che questo mondaccio fosse così male ordinato che impossibile lo starci un po' bene a chi non possedesse ricchezze: la sera, quando seduto sull'aia, alla porta della bianca casetta, vedeva la bella fanciulla correr di qua e di là, immaginava una vita bellissima, che gli sembrava proprio a gittata di mano, insieme con una compagna e con dei figliuoli; capiva allora il diritto di proprietà e la famiglia; sognava economie e risparmi, e si riconciliava mentalmente col capitale. Aveva disertato l'osteria, metteva più attenzione alle cose sue, al suo vestiario, ai suoi diportamenti, al suo parlare: era più umano e servizievole, più allegro e garbato con tutti: poteva proprio dirsi un altr'uomo.

A Lucietta, nè ai genitori di lei, non aveva ancora parlato nemmeno alla lontana de' suoi disegni. L'eloquenza non era il suo forte, e nell'audacia della parola ei ci valeva poco. Ma pure non dubitava punto che la cosa avrebbe da riuscire a seconda de' suoi desiderii. Aveva tanta coscienza di quel ch'egli valeva, da credersi non indegno di Lucietta; le condizioni sociali ed economiche dall'una parte e dall'altra si pareggiavano; capiva d'essere ben visto, anzi aggraditissimo al padre e alla madre di lei; non vedeva intorno alla ragazza pur l'ombra d'un rivale; poteva senza soverchia illusione scambiare per indizio di più tenero affetto la cordialità dell'accoglimento e il sorriso di fraterna amicizia che aveva per lui la Lucietta. Quindi, tutto ben considerato, aveva risoluto che alla prima buona occasione che gli si presentasse, avrebbe, come si dice, saltato il fosso e parlato chiaro.

Ma questa benedetta occasione tardava a venire, od almeno pareva sempre a lui che non fosse abbastanza buona; e frattanto chi venne fu Pietro, il quale, finiti i suoi studi alla città, se ne tornò alla casa paterna a prendere la direzione delle officine.

Atanasio a questo ritorno provò strane e contradittorie sensazioni. L'assenza gli aveva pure fatto conoscere, che in realtà egli lo amava qual suo compagno d'infanzia, il quale era pur sempre stato così buono ed amichevole per lui; e sapendo ch'egli ritornava, il giovane operaio, fatto dalla sua passione più inchinevole alla tenerezza, ebbe un vero rallegramento. Ma quando il giovane principale fu giunto, più bello di quel che fosse quando era partito, avendo preso dal soggiorno della città non so qual grazia nel portamento, vestito con eleganza di gusto, fornito insomma di tutti quei vantaggi che danno la ricchezza e il praticare colla società eletta, una specie di presentimento assalse Atanasio, che quella venuta e quel giovane così caro e leggiadro gli sarebbero fatali.

Primo danno che glie ne toccò fu intanto che dovette rinunciare a vedere così di frequente e per sì lunghe ore la Lucietta. Il signor Pietro era venuto con una quantità di ordinazioni di lavoro e di grandiosi progetti da dare nuovo slancio all'industria. Agli operai fu aumentato il salario, ma fu diminuito il tempo libero: l'ebbe diminuito più di tutti Atanasio, al quale Pietro fece il meritato onore di nominarlo capo d'officina.

Parecchi giorni passarono per ciò, senza che l'operaio potesse correre alla bianca casetta: di che il suo umore tornò a intristirsi non poco; finalmente, quando a forza di industriarsi, potè strappare alle ore di lavoro e dei suoi pasti un briciolo di tempo per correre lassù, erano sì brevi momenti quelli, che pel gran desiderio da lui provato erano come un sorso d'acqua a chi muore di sete.

La Lucietta veniva essa ancora in casa dei padroni, e con che frequenza? Atanasio non lo sapeva e gli premeva di saperlo, e moverne domanda se ne vergognava. Già di spiare le venute della fanciulla non era più il caso, e meno ancora quello di correre in traccia di lei col pretesto di cercar del principale. Il padre di Pietro aveva smesso del tutto ogni ingerenza nell'opificio; la direzione l'aveva il figliuolo, il quale era sempre lì e non s'allontanava d'un passo e non permetteva che nessuno s'indugiasse pure un momento nel suo ufficio, e quanto era buono e generoso verso gli zelanti operai, altrettanto era severo e implacabile verso i negligenti.

Atanasio s'arrabbiava maledettamente. Fu peggio quando, in quelle corte scappate che poteva fare ad intervalli alla casa di Taddeo, gli parve accorgersi che Lucietta erasi d'assai mutata nel suo contegno. La non rideva quasi più; il giovane non sentiva più, arrivando, di mezzo agli alberi del bosco, l'allegra di lei canzone che gli annunciava la vicinanza della casa; parlava poco, ascoltava distratta, dava ad Atanasio la mano più freddamente di prima, trovava frequenti pretesti per ritirarsi nella sua cameretta e non lasciarsi veder più.

“Voi non istate bene?” le chiese un giorno l'operaio.

“Benissimo,” rispose ella: “perchè mi fate questa domanda?”

Atanasio le disse del cambiamento che aveva notato in lei: Lucietta arrossì fino sulla fronte, non rispose parola e s'allontanò.

Il nostro operaio ci pensò ben bene un giorno e una notte, e ancora un altro giorno; e la sera dipoi, in cui s'era procacciata un'ora di libertà, s'avviò verso la dimora di Taddeo con una gran risoluzione.

Però non prese la scorciatoja, non allungò il passo delle sue lunghe gambe, e, quantunque fosse già tardi, andò su lentamente per la stradicciuola comune, fermandosi tratto tratto a meditare. Egli s'era deciso a svelar finalmente il suo segreto e chiedere Lucietta in isposa. Per quanto adagio camminasse, e' ci arrivò pure a quella benedetta casina bianca. Vi regnava un silenzio che gli parve di malaugurio; nessuno era di fuori, la porta socchiusa; una riga di luce rossigna, che filtrava dall'uscio in sull'aia già quasi ottenebrata dalla sera, indicava che nella stanza terrena eravi il fuoco od un lume acceso. Atanasio si accostò piano col cuore che gli palpitava, e per la fessura guardò dentro. Taddeo, seduto sopra il suo vecchio seggiolone di cuoio a bracciuoli, sonnecchiava innanzi al fuoco; sua moglie, accoccolata presso al camino, guardava per entro ad una pentola; Lucietta non c'era. Fra le gambe del Guardaboschi dormiva accovacciata la cagnetta di razza inqualificabile.

Atanasio quasi rallegrossi di non vedere colà in quel momento la ragazza; avrebbe osato parlare più franco, non essendoci lei presente. Sospinse pian piano l'uscio ed entrò. La cagna fu sola ad accorgersi della venuta di qualcheduno; la si drizzò a sedere puntando le piote anteriori per terra, e cominciò ad abbaiare; ma visto subito che egli era l'amico di casa, si levò di tratto e gli mosse incontro scodinzolando.

Taddeo si svegliò, la moglie si riscosse dalla sua contemplazione della pentola e si volse verso il nuovo venuto.

“Ah, siete voi Atanasio?” diss'ella. “Da bravo! venite, sedete qui; mangiate un boccon di cena con noi.”

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