Читать книгу La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio - Страница 1

CAPITOLO I

Оглавление

Secondo era inteso fra il marchese di Baldissero, Don Venanzio e Maurilio, quest'ultimo, la mattina dopo il colloquio che aveva avuto luogo fra i tre ora nominati personaggi, erasi recato al palazzo del marchese per fissarvi senz'altro la sua dimora in qualità di segretario.

Dal marchese erano stati dati gli ordini opportuni. Appena si presentò, Maurilio fu condotto dal mastro di casa che lo ricevette come individuo specialmente raccomandato dal padrone.

– Signore, dissegli, tutto è pronto ad accoglierla, e nella sua camera troverà un assortimento d'abiti fra cui potrà scegliere quelli che meglio le piacciano e meglio le si attaglino.

Maurilio arrossì fino alle orecchie e nascose la sua confusione in un inchino, balbettando inintelligibili parole di ringraziamento.

La camera destinatagli era pulita, allegra, appetto a tutte le altre abitazioni ch'egli aveva avute sino allora, elegante. Il sarto e gli abiti, come aveva detto il mastro di casa, lo stavano aspettando. Scelse panni scuri, senza esagerazione di forme alla moda; e quando vestito di nuovo da capo a piedi, e' si guardò nello specchio che stava sopra il canterale, quasi non riconobbe se stesso: fece al suo pallido volto riflesso dalla lastra un sorriso in cui c'era più vergogna che compiacenza, e disse mentalmente a se stesso:

– Tu se' un altro Maurilio… I panni ti faranno oramai giudicare dal mondo un uomo ammodo… Ma sei vestito di roba altrui!..

Il sarto, secondo le abitudini del più di questi mercatanti, cianciò egli la parte sua e quella del giovane a cui la confusione dell'animo e della mente non lasciava aver parole fatte; rifornitolo per allora d'ogni parte d'abbigliamento, gli prese misura per altri abiti da farglisi di ricambio, che tali erano gli ordini di S. E., e partissi accompagnato dal domestico che era stato testimonio a codesta vestizione, e la cui presenza non aveva conferito poco a vergognare ed imbarazzare il timido Maurilio.

Questi rimase solo in mezzo alla modesta suntuosità di quella stanza che gli era destinata. E' guardò allora tutt'intorno a sè, come per conoscer bene quegli oggetti che lo circondavano, cui non aveva ancora osato esaminare e prenderne, come dire, possesso: un lettino in ferro, una tavola da lavabo, un cassettone con sopravi lo specchio incorniciato di legno su cui una vernice di color naturale, un caminetto alla Franklin, un seggiolone appiè del letto, una mezza dozzina di seggiole impagliate, di quelle leggerissime di Chiavari, un armadio in un angolo, un tavolino da scriverci, un acquasantino d'alabastro a capoletto, quattro incisioni che rappresentavano le imprese di Cortez al Messico, in cornici di legno appese alla parete tappezzata di carta colore di foglia secca, bianchissime cortine alla finestra, tendoline ai cristalli della medesima, sullo spazzo di quadrelli immasticati, una lista di tappeto innanzi al letto, per mettervi su i piedi scendendone, ed ecco tutto. Ma tutto respirava la pulizia, il buon gusto e l'agiatezza. Maurilio si piantò innanzi allo specchio e vi si mirò con una specie di fissità inquisitoriale, mezzo dispettosa, quasi maligna.

– Che fai tu qui? s'interpellò egli con quel suo sogghigno: sei tu fatto per questi ambienti? è egli tuo posto questo? Povero buttero di campagna, misero figliolo del fangoso rigagnolo della strada, sangue di plebe, come osi tu mettere il piede su questo terreno? E che ci vieni a far tu? a viverci da parassita?

I suoi lineamenti si contrassero con una dolorosa espressione.

– Parassita io?

Scosse il suo grosso capo arruffato e gettò uno sguardo che pareva di sfida e di minaccia alla sua immagine rimandatagli dallo specchio.

– No, no, e poi no… Sarà il mio lavoro che mi guadagnerà questo pane, che mi guadagnerà questi abiti, che pagherà questa dimora. Non ho io vissuto press'a poco in tal guisa quand'ero agli stipendi del signor Defasi?.. E perchè questo non avrebbe ad essere mio posto?

Ricordò le parole della vecchia Gattona, che Selva e Don Venanzio gli avevano riferite, e le quali potevano far argomentare d'una sua non plebea origine, sentì risollevarsi più vive in cuore le speranze, vissute in lui sempre, ora rinfocolate cotanto, di giungere a penetrare il mistero della sua nascita e trovare in fondo di esso un onorevole, forse illustre destino.

– Ah! esclamò egli ad un tratto passandosi la mano sulla vasta, pallida fronte: sento che da questo dì comincia per me una sorte novella. Più trista delle varie che ho subite non può essere; sarà dunque più lieta?..

Sentì, cominciando dal cervelletto giù giù pel midollo spinale scorrere e diramarsi per tutti i nervi, passare in tutte le vene quel certo fluido, dargli una lieve scossa quel brivido cui produce una intima emozione, e che a lui pareva un vincolo d'unione, il mezzo di rapporto fra sè ed il sognato suo spirito protettore. Levò gli occhi verso il cielo, impallidì ancora nelle guancie incavate, e giungendo le mani come si fa per pregare esclamò:

– Oh angiolo mio benigno! oh madre mia! Sei tu che qui mi hai tratto? Sei tu che mi vuoi ospite in questa casa?..

Un novello pensiero a tali parole s'impadronì di ogni facoltà del suo animo: un pensiero che era immanente in lui, ma che ora altre momentanee sensazioni parevano avere assopito: il pensiero di lei!

– Questa casa è la sua! Soggiunse egli, interrompendo il suo primo discorso, e cambiando di tono: essa abita qui, a poca distanza da me, sotto il medesimo tetto; e la potrò vedere, e la vedrò tutti i giorni.

Schiuse le labbra ad un sorriso di beatitudine e corse alla finestra. Lì sotto era la strada cui egli aveva passeggiato tante volte, là in faccia era la cantonata, a cui tante volte s'era fermo a contemplare quel palazzo, dov'egli ora si trovava. La stanza assegnatagli era al secondo piano e Maurilio riconobbe con una strana sensazione che poteva dirsi di gioia, come la fosse quasi al di sopra di quella in cui aveva indovinato dormire Virginia.

Questo nome ripetè egli come se la invocasse.

– Virginia! Virginia!

All'udire la sua voce far suonare quella parola fra quelle pareti, si riscosse, tremò, si soffuse di rossore, si volse rattamente a guardar indietro e dintorno, come pauroso alcuno l'avesse potuto udire. Si rassicurò vedendosi compiutamente solo; non ci aveva altra compagnia, non s'udiva colà altro rumore che quello del foco che schioppettiva nel caminetto.

– La vedrò ogni giorno: ripetè quasi avesse bisogno di dirselo più volte, affine di credere egli medesimo; la vedrò oggi stesso, fra poco!..

Un legger colpo battuto all'uscio della sua stanza lo fece sussultare.

– Avanti: diss'egli volgendosi alla porta, curioso e quasi inquieto di vedere chi fosse.

S'apri un battente e comparve la faccia bonaria di Don Venanzio, più lieta, più sorridente, più benigna del solito.

– Cospetto! esclamò il buon vecchio, come sei bene alloggiato, e come vestito! Mi sembri un medico o un avvocato.

Si fregò le mani con espressione di viva contentezza:

– Dio sia lodato che mi ha voluto far la grazia di soddisfarmi uno dei maggiori desiderii che avesse ancora la mia vecchiaia: quello di vedere il tuo destino assicurato, Maurilio, mio buon figliuolo.

Il giovane, preso da un vivo intenerimento, sentì inumidirsi le ciglia e non seppe fare altra risposta che gettarsi al collo del sacerdote ed abbracciarlo. E Don Venanzio, tenendolo così stretto al suo seno in un affettuosissimo amplesso, continuava:

– Sì il tuo destino assicurato, perchè qualunque cosa venga o non venga a scoprirsi intorno alla tua nascita, la protezione di questo generosissimo uomo, che è il marchese, non ti può mancar più, e tu non sei tale da rendertene indegno mai…

Maurilio nascose la fronte sulla spalla di quel vecchio che aveva saputo amarlo d'un amore paterno.

– Ma le triste vicende del mio passato… balbettò egli.

– Il marchese sa tutto, e d'or innanzi non correrai più il pericolo che la rivelazione di quelle tue sciagure possa farti perdere l'impiego… Nega ora, se il puoi, col tuo orgoglio di razionalista, l'azione e la bontà della Provvidenza che mi ha tratto qui dal mio villaggio, giusto appuntino per poterti allogare come si conviene, e forse forse per trovarti eziandio la tua famiglia: e quest'ultima cosa dopo dimani spero che la sapremo.

– Ah! se mai fosse! esclamò cogli sguardi sfavillanti Maurilio, il quale sentiva nel capo suscitarsi e tumultuare la follia di mille assurde speranze.

– Sì, sì, sarà… sarà anche questo. Io confido nel Signore; e non è per nulla di certo che la sua bontà ci ha messo sulla traccia ora soltanto, dopo tanto tempo… Ma questo non è momento di parlare di ciò… nè di ciò nè di altro, perchè la è l'ora dell'asciolvere, e siamo attesi tuttedue.

Maurilio guardò Don Venanzio con aria esterrefatta. Questo asciolvere, voleva egli domandare, si farà con tutta la famiglia? Era dunque giunto il momento desiderato e temuto, felice e pur penoso, di comparire innanzi egli all'amata fanciulla?

Il buon vecchio prete che nello sguardo e nella mossa del giovine vide soltanto una maraviglia, credette rispondere a quest'essa spiegando come andasse la cosa.

– Sì, continuò egli, ci siamo attesi tuttedue. Il marchese ha voluto ad ogni patto che fin tanto che io rimango a Torino, venga a farti compagnia… Se ti dico che con tutta la sua dignitosa fierezza è il migliore dei bravi uomini! Ha capito che ciò farebbe un immenso piacere a me e nel medesimo tempo gioverebbe a levar te di suggezione, ti sarebbe d'aiuto nell'affarti all'ambiente della casa… Dunque poc'anzi sono venuto, come egli me ne aveva detto, e discorso un poco insieme del più e del meno, vennero ad annunziare che se S. E. voleva si sarebbe servito in tavola per l'asciolvere. Il marchese mi disse: «Ella non ha ancora visto la camera del sig. Nulla?» – «No, signor marchese:» io gli risposi. «Ebbene se vuole andare a chiamarlo Ella medesima per l'asciolvere, avrà tempo a dargli un buon giorno ed un abbraccio: e così potrà interrogarlo se gli manca e se desideri alcuna cosa cui forse non oserebbe domandare al mastro di casa.» Ve' che bontà!.. Io accettai l'incarico ed eccomi… Già son persuaso che non ti manca nulla.

– No certo.

– Dunque non c'è altro che discendere nella sala da pranzo.

– Andiamo: disse Maurilio il quale si sforzò a dominar la emozione che nacque subitamente e vivissima in lui.

Ma al punto di varcare la soglia di quella stanza dovette fermarsi e reggersi allo stipite, tanto il cuore gli batteva e glie ne tremavan le gambe.

– Coraggio! gli disse Don Venanzio che credette questa soltanto emozione di timidità; e' son tutti in fine uomini come siam noi, per quanti titoli abbiano al proprio nome.

Maurilio si fece forza e discese in compagnia del parroco. Quando entrarono nella sala da pranzo non c'erano ancora che due domestici in piccola livrea, immobili come statue presso un'alta credenza di legno d'ebano scolpita, nella quale brillavano nitidissimi cristalli, porcellane ed argenti, e il servo di confidenza del marchese, in abito nero e cravatta bianca, dritto dietro l'alta spalliera della seggiola su cui soleva sedere il capocasa.

Non tardarono a sopraggiungere il marchese che dava il braccio alla marchesa, e dietro essi Virginia. Maurilio sentì la presenza di lei, ma non osò alzare il capo nè gli occhi a guardarla: se ciò avesse fatto, avrebbe trovato così pallido il viso della fanciulla, così chiare in esso le traccie della insonnia e d'una pena morale che ne sarebbe stato più di commosso.

Don Venanzio fu amichevolmente salutato da tutti, anche dalla superba marchesa; la sua qualità di sacerdote gli valeva siffatta distinzione dalla fierezza aristocratica di quella donna, più per principio politico che non per devota osservanza al sacro di lui carattere. Virginia con un sorriso di tutta amorevolezza andò a porger la mano al vecchio prete dicendogli parole piene di grazia e di dolcezza.

– Il signor Nulla, il nuovo segretario di cui vi ho parlato: disse il marchese facendo un cenno colla mano per presentare Maurilio, che s'inchinò, alla marchesa ed a Virginia. – Mia moglie e mia nipote: soggiunse poi additandole a loro volta al giovane.

La marchesa aveva fatto un legger cenno colla testa pieno di superbia, e certo avrebbe prestato più attenzione e regalato uno sguardo più cortese ad un cagnolino che le fosse condotto dinanzi; Virginia aveva fatto un piccol saluto sbadato nella evidente preoccupazione onde aveva presa l'anima, e stava per voltar via la testa, senz'altro, quando i suoi occhi cadendo sopra il volto dell'uomo che le veniva presentato, un sovvenire ed un'idea sorsero di subito nella sua mente. Il suo sguardo si fermò su quelle fattezze che le parve avesse già viste altre volte; e da quegli occhi color del mare balenò una fiamma viva cui Maurilio, benchè timido e vergognoso tenesse volti a terra gli sguardi impacciati e la faccia arrossita, sentì arrivarlo, circondarlo, penetrarne entro il cervello il calore. Sollevò allora le pupille ancor egli; lo sguardo della fanciulla era come un'investigazione. «Dove vi ho io visto? pareva domandare: chi siete? che cosa venite a far qui?» Negli occhi di lui c'era tanta ammirazione, tanta devozione, tanta ardenza di affetto che impossibile una donna nulla ne scorgesse; Virginia non vide, non sognò nemmanco che ci fosse, che ci potesse essere dell'amore; scorse, avvertì, sentì che in quel giovane timido e modesto avrebbe potuto avere in un caso un aiuto; glie ne diede un tacito ringraziamento, e prese quasi atto come d'una muta promessa con una mossa gentile e andò a sedersi al solito suo luogo fra lo zio e la zia.

– E mio figlio? domandò il marchese nell'atto di spiegare il suo tovagliolo.

– È uscito or ora, appena levato: rispose uno dei domestici: ed ha lasciato detto che pel déjeuner non sarebbe venuto.

Il marchesino, che contro il divieto del padre voleva battersi quel giorno medesimo con Benda (e già sappiamo come il duello avesse luogo alle tre di quel pomeriggio) aveva pensato miglior consiglio fuggire la presenza del genitore.

Il padre e la madre di Ettore scambiarono un ratto sguardo in cui c'erano un medesimo timore ed un medesimo sospetto; una nube passò sulla fronte del marchese, il quale non fece altre osservazioni nè domande, e di suo figlio non parlò più. Anche sul volto di Virginia apparve, ma dominata e repressa tosto, una espressione di ansietà.

Durante la colazione si fu piuttosto silenziosi. Il marchese parlò talvolta con Don Venanzio ed anche con Maurilio; ma poi, vedendo che quest'ultimo aveva dal suo impiccio la maggior pena del mondo a rispondere, lo lasciò tranquillo; la marchesa rivolse alcune fiate il discorso al prete intorno ad argomenti indifferentissimi e ne ascoltò le risposte come si ascoltano le cose di che non c'importa niente affatto; Maurilio fu per lei come se non esistesse.

Al nostro giovane amico il tempo di quell'asciolvere parve lungo, eterno, e insieme fuggito come un istante. Egli si trovava quasi di fronte a Virginia. Avrebbe voluto guardarla sempre, bearsi nella desiata contemplazione di quel volto leggiadro; e il timore d'incontrare lo sguardo di lei, gli faceva tenere gli occhi fissi inchiodati sul tondo che aveva dinanzi. Ma pure due o tre volte ardì sollevarli, e di nuovo essi incontrarono quello sguardo scrutatore di lei; anzi ad un punto parve al confuso giovane che un'espressione di lieta sorpresa, d'una inesplicabile speranza fosse nell'occhieggiare dell'adorata fanciulla. Ei si disse che ciò era impossibile, che questo era un inganno, che egli non aveva da essere altro per lei fuori d'un estraneo indifferente, ch'ella non poteva in lui ravvisare una conosciuta persona, a meno che riconoscesse il miseruzzo di giovane di libraio che le recò un giorno dei libri, e cui ella non aveva pur degnato d'uno sguardo, o il vagabondo che s'era introdotto un dì nel parco della villeggiatura in cui ella si trovava, e ch'essa medesima aveva visto punire e scacciare come ladruncolo di frutta; ma questo riconoscimento egli aveva sperato e tutto gli faceva credere non potrebbe avvenire, e non sarebbe per esso che gli sguardi di lei avrebbero preso quella che gli pareva ombra d'interesse e di favore. Era dunque una compiuta illusione la sua.

E invece la era una realtà. Virginia non aveva riconosciuto in Maurilio il giovane di libraio, nè il creduto ladroncello del parco, sibbene quell'individuo che poche sere prima, nell'occasione del ballo dell'Accademia filarmonica, ella, nel vestibolo del palazzo dove aveva luogo la festa, aveva veduto in compagnia di Francesco Benda. La nostra memoria ha di queste stranezze: ella, senza che ce ne accorgiamo, riceve delle impressioni e le alloga, per così dire, in qualche suo riposto cantuccio, indipendentemente dal concorso della nostra volontà; ad un dato momento, quando appunto ci diventa più utile il poterci servire di quell'impressione, il trarre in campo il ricordo di quel fatto, di quella circostanza, ella ce lo trae fuori per mettercelo dinanzi fresco, preciso ed efficace.

Virginia, dopo la nuova provocazione avvenuta al ballo la sera prima fra suo cugino Ettore e l'avvocato Benda, non s'illudeva punto sulle conseguenze di quel fatto. Nell'insonnia onde aveva avute turbate le ore di riposo che trammezzarono tra la partenza dal ballo e l'asciolvere, ella posseduta da una indescrivibile ansietà, s'era con sommo dolore convinta, che nulla poteva fare affine d'impedire uno scontro, ed aveva dovuto limitarsi ad ardenti preghiere e ad invocare che almeno le fosse concesso di sapere tosto e tutta la verità. Inviare a domandarne a casa dei Benda per un domestico, e non osava, e temeva non le sarebbe concesso per la sorveglianza della zia; altro modo di ottenere il suo intento non sapeva immaginare. Al primo vedere il nuovo segretario dello zio, un confuso sovvenire d'averlo già visto e una più confusa idea che quell'uomo la potrebbe servire le nacquero in una. Quando il suo ricordo chiaro e spiccato le ebbe posto innanzi la vicenda e il modo ne' quali quel giovane era stato da lei incontrato, ella non dubitò più che un pietoso riguardo della sorte glie l'avesse mandato pur farla soddisfatta nel suo ansioso desiderio: la lo guardò coll'occhio benigno con cui si guarda l'opportuno stromento della nostra salvezza: il povero Maurilio dovette a codesto la infida gioia – invano voluta da lui medesimo cacciare e soffocare – d'un momento di ventura ch'egli stesso dichiarava impossibile: la ventura d'uno sguardo affettuoso!

Nel recarsi dalla stanza da pranzo al vicino salotto da prendervi il caffè, Virginia seppe far così bene che rimase indietro da venire a costa di Maurilio, il quale nel vedersela vicino, tremava verga a verga.

– Signore, diss'ella con quel coraggio che le dava l'amor suo e con quella franchezza che le permetteva la superiorità della sua condizione sociale sopra quella del giovane; mi pare che la non sia questa la prima volta che noi c'incontriamo.

Il povero Maurilio impallidì ed arrossì in una. Ella aveva dunque notata la presenza di lui? Ma dove, e come, e quando? Si accrebbe il tremore de' suoi nervi e il palpito del suo cuore: siccome non poteva spiccicar parola dalle labbra, e' si contentò d'inchinarsi in segno di rispettosa affermazione.

La nobile fanciulla continuava:

– La ho veduta, se non erro, l'altra sera insieme coll'avvocato Benda.

Pronunziò essa quel nome senza la menoma esitazione, senza deviar lo sguardo, senza punto arrossire, ma abbassando la voce così che il suono di tal parola non potesse giungere a svegliare in alcun modo l'attenzione dello zio e della zia che precedevano.

Ma a questi detti parve al misero Maurilio che una mano di gelo venisse a serrargli il cuore che si dilatava ad accogliere sempre meglio quella ineffabil gioia di assurda speranza. La nebbia rosata ond'era avvolto il suo spirito si ruppe, e traverso la fatale illusione che cominciava a dileguarsi, travide il principio d'una realtà dolorosa.

– Sì, sì signora, balbettò egli, osando pur finalmente guardarla nel volto. Ero insieme a Benda, mentr'ella passava su per la scala dell'Accademia Filarmonica.

La ragazza chinò gli occhi innanzi a lui.

– Ella è molto amico di quel signore?

– Signora sì.

Virginia non fu padrona di contenere la vivacità dell'interesse con cui affrettatamente soggiunse la domanda:

– Ne sa Ella qualche notizia di lui da questa mattina?

– No: rispose Maurilio con tanto appena di voce da farsi sentire.

E la ragazza più frettolosamente e più infervorata di prima:

– Deve essersi battuto… con mio cugino. Sono ansiosissima di saper novelle dello scontro prima di mia zia… Sarei molto riconoscente a chi me ne recasse il più presto possibile.

S'era giunti al salotto. Virginia s'allontanò dal giovane senz'altro, e non vide per fortuna la nuova espressione che avevano presa i lineamenti di lui.

A Maurilio s'era svelata tutta la verità. Quella sera in cui primamente gli era avvenuto di vedere insieme Francesco e Virginia aveva indovinato che Benda amava ancor egli l'oggetto dell'amor suo; ora e' si faceva per lui chiaro come la luce del giorno che ancor essa, Virginia, riamava Francesco. Quell'odio che già aveva sentito per quest'ultimo e cui aveva confidato a Giovanni Selva, assalì con nuova vampa e con nuovo impeto l'anima di Maurilio: desiderò ogni danno al suo fortunato rivale, non inorridì, a tutta prima, allo scellerato pensiero, il quale si faceva per lui una infame speranza: che cioè quel duello di cui le aveva fatto cenno Virginia medesima, potesse, forse in quel momento medesimo, togliere di mezzo quel fortunato per cui s'era aperto il cuore della donna ch'esso era condannato ad amare inutilmente. Ma non tardò ad aver vergogna e rabbia e disprezzo di se medesimo: aspettò poterlo fare senza violare nessuna convenienza, e come il marchese gli ebbe detto che per allora non abbisognava dell'opera sua, Maurilio corse a rinchiudersi nella sua stanza, rifiutando anche la compagnia di Don Venanzio, bisognoso come era d'esser solo e di affondarsi nel turbatissimo caos de' suoi pensieri. Si gettò boccone sul letto e cacciandosi le mani contratte entro le chiome arruffate, stette colà immobile a sentire, quasi come si fa per una voluttà, l'interno spasimo che lo travagliava. Che cosa era venuto a far egli in quella casa? tornava a domandare a se stesso: non era meglio morir anzi mille volte di fame che venire a farsi corrodere il cuore da simili angoscie? Qual delirio lo aveva preso, qual odio di se medesimo quando aveva consentito a entrare in quella famiglia? Come era mutato ora l'aspetto d'ogni cosa! Poc'anzi gli pareva che fosse quello il fine delle triste venture, adesso invece sentiva essere il cominciamento di nuovi e forse ancor più aspri dolori.

Le poche parole dettegli da Virginia seguitavano a suonargli nella mente, come se un'eco incessante fosse lì a ripetergliele. Ella evidentemente sperava in lui, ci aveva contato su per sapere tosto quelle nuove di cui aveva schiettamente confessato essere ansiosa: e perchè mancherebbe egli alla fiducia che in lui aveva ella riposta? Se alcuno gli avesse detto un tempo: – «Tu puoi risparmiare un minuto di dolore a quella che ami:» non avrebb'egli lietamente offerto se stesso ad ogni tormento per quest'effetto: ed ora?..

Si levò di sopra il letto con nuova risoluzione; uscì della sua stanza, scese precipitoso le scale del palazzo e prese correndo la strada per alla dimora di Francesco Benda.

Mentre Maurilio recavasi a casa dei Benda, nel palazzo del marchese di Baldissero avveniva una scena che non è inutile conoscere per la prosecuzione del nostro racconto.

Presentavasi nell'anticamera una sordida vecchia che, invocando il nome di Dio, della Madonna e di tutti i santi, protestava avere gravissime cose da comunicare a S. E. il marchese, proprio a lui in persona, ed insisteva perchè andassero a dirglielo affine di esserne ricevuta. I lacchè, ai quali questa donna era già ben conosciuta, la ricevettero con tutto il superbo disprezzo di cui questi valorosi sono capaci verso la povera gente, e per quanto ella non iscoraggiata ed audace instasse, non acconsentirono a darle retta.

– Oh sentite, Gattona, finirono per dirle, smettetela chè omai ci avete fradici, e sono tutte inutili le vostre parole. Il marchese ha ordinato, espressamente ordinato, capite, di mandarvi ai cento mila diavoli ogni quel volta vi presentiate, ch'egli, per cantarvela in musica, non vuol più avervi tra' piedi in nessun modo. Se gli è per ispillargli qualche soccorso, venite nei giorni e nelle ore solite, quando fa distribuire elemosine dal suo segretario, che al vostro turno alcuna cosa vi potrete buscare, altrimenti, a star qui ed insistere, voi seccate inutilmente noi, e ci perdete il vostro tempo.

La Gattona pensò che, parlando al segretario, un'autorità superiore nella schiera dei dipendenti dal marchese, avrebbe forse avuta maggior probabilità di fare arrivare sino all'orecchio di S. E. l'ambasciata che voleva, e per cui ella era persuasa di essere dal marchese ricevuta. Domandò adunque di potere almanco vedere questo sor segretario; e n'ebbe in risposta che egli era uscito, e che non sapevasi dirle l'ora nella quale avrebbe potuto vederlo di quella giornata, perchè era nuovo affatto in ufficio, entratovi soltanto quella mattina medesima, e non aveva ancora assunto regolare servizio.

La Gattona si partì finalmente, e borbottando fra sè come persona che ha gravi preoccupazioni pel capo ed è più incerta che mai del partito cui prendere, s'avviò verso la sporca viuzza dove ci aveva la dimora. Sotto le volte che dalla strada di Dora Grossa mettono nella piazza del Palazzo municipale trovò essa Gognino, il quale, abbandonata in un angolo la sua cassetta dai fiammiferi, faceva chiasso con altri sbarazzini della sua risma, tirando addosso a sè ed anco alla gente che passava pallottole di neve. Gognino vide bensì ad un punto la nonna che veniva, e corse alla sua cassetta; ma era troppo tardi, l'occhio grifagno della vecchia lo aveva colto in flagranti; e di più, come se ciò non bastasse ad irritare la già indispettita, maligna femmina, ecco una di quelle palle di neve tirata dalla mano d'uno fra i compagni del nipote, venirla a colpire nella cuffia, mandargliela per traverso e scomporle tutto il poco elegante edifizio della sua capigliatura grigia ed arruffata.

La Gattona piombò sopra il nipote, proprio come uno di quegli animali che avevano avuto l'onore di darle il nomignolo sopra un povero topo, lo ghermì e fece le vendette della sua autorità sconosciuta, dei suoi comandi disubbiditi, della sua cuffia oltraggiata, della sua dignità offesa dalle sghignazzate dei biricchini sulle orecchie di Gognino, cui tirò senza misericordia, non ostante gli strilli del povero ragazzo.

Ma l'incontro di Gognino le fece pure venire in mente una buona idea. Quell'uomo cui la sorte le aveva condotto innanzi così inaspettatamente poche sere prima, ed al quale ora ella credeva essere in grado di rendere un nome ed una famiglia, e studiava appunto di far ciò nel modo che più le fruttasse; quell'uomo avevale promesso dieci soldi al giorno a patto gli conducesse il nipote ad imparare da lui lettura e scrittura. Ora di quel giorno ella aveva trascurato di menargli il bambino e di esigerne le promesse monete; e non ci vedeva nessuna buona ragione di perdere quel tanto. Amministrata adunque la severa correzione alle orecchie di Gognino, la vecchia lo prese ad un braccio, se con buona grazia ve lo lascio pensare, e fattogli deporre la cassetta di fiammiferi sotto il banco d'una rivendugliola sua comare, lo trasse con sè verso la casa dove dimorava il pittore Vanardi coi suoi amici.

Salita su fino all'alto quarto piano ed entrata in quel quartiere che ben conosciamo, la Gattona ci trovò sola sora Rosina la moglie del pittore, la miglior donna del mondo, come sappiamo, ma non delle meno ciarliere. In breve la vecchia che cercava di Maurilio, ebbe appreso tutte le novità che lo riguardavano; e la venuta del vecchio prete di campagna, e l'intromettersi di quest'esso per trovare a Maurilio un impiego, e l'avergli trovato il posto di segretario presso il marchese di Baldissero, e l'essere già Maurilio fin da quella mattina allogato in tal qualità da quella famiglia.

All'udire siffatta novella, la Gattona parve cadesse dal quarto cielo, tanto rimase sbalordita dalla meraviglia. Maurilio in casa dei Baldissero! Se lo fece ripetere parecchie volte, come se la fosse cosa a cui non potesse prestar fede così di piano; ed alla fine, levando le scarne mani verso il cielo, esclamò con un'espressione che faceva pensare a chi sa qual mistero la volesse adombrare:

– Oh Provvidenza! oh Provvidenza!

Sora Rosina non mancò al suo dovere di curiosa stuzzicando con varie domande la vecchia popolana a parlare; ma la Gattona, cosa d'ogni altra più meravigliosa, si rinchiuse nella discrezione d'un assoluto silenzio, da cui fu impossibile farla uscire; anzi troncò senz'altro il colloquio e se ne andò frettolosa dicendo che avrebbe cercato del signor Nulla nel palazzo del marchese: ma non fu colà ch'ella diresse i suoi passi, bensì al convento dei Gesuiti presso la chiesa del Carmine, dove domandò di padre Bonaventura, e dove, non essendoci egli, si fermò fino a tanto che rientrasse, cosa che non avvenne fino al cader del giorno.

Fra il frate gesuita e la pitocca venditrice d'abitini ebbe luogo un altro segreto colloquio lungo ed animato, che si conchiuse colla risoluzione, il frate medesimo avrebbe parlato al marchese ed avrebbe da lui ottenuta udienza a Modestina Luponi chiamata la Gattona.

Ma di quel giorno fu impossibile a chicchessia vedere il marchese di Baldissero, perchè gli avvenimenti capitati presero al vecchio gentiluomo tutto il tempo, e quando, compito quello che credette il debito suo, si ridusse in casa, non volle che nessuno più di estranei, qualunque si fosse, venisse introdotto presso di lui.

Ecco intanto quel che era capitato.

Verso le quattro Ettore di Baldissero rientrava nel palazzo paterno. Virginia, che stava ansiosamente attendendo ed a cui niuna nuova da nessuna parte era ancora pervenuta, appena udì rientrato il cugino, senza badare a verun'altra considerazione più, ma mossa soltanto dall'impulso della sua ansietà, fece pregare Ettore di passare tosto da lei. Il marchesino era troppo galante per tardare ad obbedire a un simil cenno della sua bella cugina.

La ragazza gli venne incontro fin verso la soglia, che Ettore aveva appena varcata; e guardandolo fiso in mezzo agli occhi come chi vuol leggere altrui nell'animo, gli disse con tono di asseveranza come se già sapesse tutto:

– Tu ti sei battuto quest'oggi coll'avvocato Benda.

Fra le tante cose meno degne d'un gentiluomo che Ettore di Baldissero aveva imparate pur troppo, non c'era almanco quella di saper mentire. Chinò il capo in segno affermativo.

Virginia continuava con aspetto pieno di coraggio, benchè fosse pallida ed avesse alquanto affannoso il rifiato:

– Un duello quale deve aver avuto luogo fra voi non si conchiude senza morte o ferita di alcuna delle parti. Tu sei compiutamente illeso…

– Ti rincresce? interruppe con un sogghigno pieno di malignità il marchesino.

La giovane parve non badar neppure alla interruzione.

– È dunque l'avvocato Benda che rimase colpito.

– Tu la ragioni meravigliosamente giusto: rispose Ettore colla medesima ironia.

Virginia impallidì ancora di più e le sue palpebre tremarono un pochino; fu il solo segno di debolezza che apparisse in lei.

– Morto? domandò ella con voce più sommessa.

– No.

– Ah! – Ella fece una breve pausa e mandò più grosso il respiro. – La ferita è grave?

– Non è delle più leggiere: rispose con serietà il marchesino, che a questo punto non ebbe il coraggio più di essere ironico nè impertinente: ma la spero neppure delle più gravi.

Virginia tornò ad affondare i suoi occhi più brillanti che mai negli occhi del cugino, e domandò con una franchezza che svelava in una la forza e la nobiltà del suo amore:

– Vivrà?

– Spero di sì: rispose il marchesino.

Il colloquio fra i due cugini non aveva più ragione di continuare: stettero un istante l'uno in faccia dell'altra, senza saper più che cosa dirsi, finchè egli, tornando a far sentire nel suo accento quel tanto d'ironia, ruppe il silenzio:

– Mi pare che tu non abbia più nulla da dirmi, Virginia?

Ella scosse la segno negativo la testa. Ettore si inchinò leggermente ed uscì con aria disinvolta e quasi ilare, ma con un vivissimo dispetto in cuore. Non gli rimaneva più dubbio alcuno sull'amore di sua cugina per quel borghesuccio, ed egli, colla ferita che a quest'ultimo aveva procacciata, non aveva fatto altro che renderlo più interessante.

Appena sola, Virginia chiamò a sè la sua cameriera.

– Fa di sapere, dissele, se il segretario di mio zio è rientrato; e se sì, digli che venga a parlarmi.

La cameriera guardò stupita la padroncina.

– Va e fa come ti dico.

Aveva un aspetto di tal risoluzione e di comando, mai più visto in lei, che la fante si mosse ad obbedire senza fare pure una di quelle osservazioni che le erano venute in folla sulla punta della lingua.

Ettore, rientrato nelle sue stanze, trovò il domestico che gli trasmise l'ordine del marchese di presentarsi subito innanzi a lui.

– Andiamo da mio padre: disse il giovane fra i denti con un soffocato sospiro che manifestava la malavoglia e il disagio ispiratigli da questo abboccamento.

E ci fu sollecito. Alle interrogazioni del padre egli rispose con franchezza tutta la verità.

– Voi avete disobbedito in una al vostro genitore ed al vostro re; gli disse con severissimo accento il marchese. Nè l'uno nè l'altro non vi possono così agevolmente perdonare: mi recherò da S. M. ad intendere quale punizione voglia infliggere alla vostra pervicacia. Voi aspetterete in casa il mio ritorno.

Il figliuolo s'inchinò in atto di rassegnazione, e il marchese si recò senza indugio a Corte per riferirne al re. Mezz'ora dopo egli rientrava coll'ordine reale: Ettore di Baldissero si recasse incontanente agli arresti in cittadella.

Ma entrando nella vasta sala dell'anticamera, il marchese s'incontrava colla nipote che, apparecchiata per uscire, s'avviava in compagnia della cameriera verso lo scalone. Era già scuro per le strade della città.

– Dove vai, Virginia, a quest'ora? le domandò.

Ella si confuse, arrossì, balbettò, ed insistendo lo zio nella richiesta, rispose:

– Vado a consolare una mia amica e compagna di collegio a cui è capitata una grande sventura.

– Chi?

Virginia si confuse e arrossì vieppiù.

– Chi? ripetè il marchese osservando attentamente la ragazza.

– Maria Benda.

– La sorella dell'avvocato?

– Sì.

– Ah! – Stette un istante guardando la nipote con fissità osservatrice, ma non ostile, nè severa; – questa grande amicizia è nata da ben poco tempo, che prima d'ora mai non vi fu fra voi attinenza di sorta.

Virginia chinò il capo e non disse parola. Lo zio la prese per mano con un'autorevolezza piena di affettuoso interessamento.

– Vieni, vieni meco, Virginia, soggiunse. Conviene che ci parliamo noi due. – Andate ai fatti vostri, voi: disse alla fante, e trasse con sè la nipote in quel suo studiolo in cui siamo già penetrati parecchie volte.

Maurilio, più veniva accostandosi alla casa di Francesco e più sentiva in cuor suo diminuire quel tristo sentimento d'odio che gli era sorto verso l'amico. Anzi la riazione che avveniva nella sua natura fondatamente buona, lo faceva a poco a poco ancora più sollecito, ansioso e dolente del pensiero che a Benda avesse potuto accadere disgrazia. Ciò lo mosse ad affrettare il passo così che giunse al portone della casa, quasi correndo. Entrò egli nel casotto del portinaio e interrogò Bastiano che stava seduto con un gran braciere in mezzo alle gambe, fumando la sua pipa.

Apprese che Francesco non era ancora rientrato, e che in famiglia non si aveva sospetto nessuno del pericolo del giovane. Si fermò alquanto nel camerino del portinaio ad aspettare, poi non potendo più stare alle mosse, uscì ed andò a scalpitare con impazienza la neve dei viali. Avrebbe voluto camminare incontro alla novella per apprenderla più presto, ma non sapeva da qual parte Francesco e i suoi compagni fossero per giungere; pensava all'ansietà che, maggiore certo della sua, provava a quel medesimo tempo Virginia, e in parte se ne arrabbiava con invida gelosia, in parte se ne accorava come quegli che a lei avrebbe voluto risparmiare ogni affanno.

E intanto il giorno se ne andava e in quell'annuvolato aere scendeva assai presto il primo scuriccio della sera. Maurilio, intirizzito ornai dalla brezza invernale che spirava gagliarda, vide finalmente una carrozza che veniva a quella volta al trotto serrato d'un cavallo di prezzo. Questa carrozza si fermò innanzi al portone, un giovane signore ne discese frettoloso con aria visibilmente preoccupata ed entrò nella casa. Maurilio indovinò che con quel signore era giunta la novella, e dal volto del messaggiero capì che la non era lieta. Era diffatti il conte San-Luca che veniva a preparare la famiglia alla luttuosa vista del figliuolo ferito. Il sangue diede un rimescolo al nostro giovane; avrebbe voluto entrare colà e domandarne, e non osò; vide il conte venir fuori della casa, la faccia ancora più conturbata di prima, salir nel legnetto e questo ripartire, senza ch'egli avesse la risoluzione di spiccarsi dal luogo, di fare checchessiasi.

E di qual misura era la disgrazia che ormai non dubitava più fosse capitata a Francesco? Stette lì ad aspettare ancora senza sapere al giusto che cosa. Mezz'ora dopo giungeva a lento passo la carrozza che portava il ferito. Nelle tenebre della sera, Maurilio si cacciò innanzi di guisa da scorgere il meglio possibile, s'appiattò dietro il tronco di un albero là dove la carrozza doveva voltare per entrar nel portone, e mentre questa gli passava a un metro appena di distanza, gettò in essa avidamente lo sguardo. Travide la faccia pallida di Francesco appoggiata alla spalla di Giovanni Selva; negli occhi sbarrati del ferito che fissavano la casa paterna, scorse l'ansia ed il dolore fisico e morale. Maurilio non fu visto da nessuno; e' si ritrasse indietro quasi con ispavento e con orrore di sè medesimo. L'empio desiderio che nell'accesso del suo geloso furore aveva poco prima formolato, gli tornò in memoria come un rimorso, e gli parve poco meno che d'esser egli eziandio colpevole di quel sangue.

Dal suo nascondiglio vide sotto il portone, di cui Bastiano aveva spalancato le imposte, le dolorose accoglienze cui padre, madre e sorella facevano al povero ferito, che con riguardosa cura fu tratto fuor di carrozza e condotto al piano superiore; vide traverso i vetri delle finestre dell'abitazione il correre di qua e di là di lumi per l'affaccendarsi a provvedere le cose occorrenti al misero giovane; voleva entrare e domandarne e non osò: sperava che uno di quelli che accompagnavano Francesco uscisse ed egli potesse da lui informarsi e nessuno veniva. Finalmente il pensiero di Virginia, la quale stava sempre attendendo, che in lui s'era affidata, ed alla cui fiducia non voleva fallire, lo decise; entrò, chiese di Selva, lo ebbe a sè, apprese come stessero le cose, e addoloratissimo prese correndo la via del ritorno al palazzo Baldissero.

Virginia aveva giustamente mandato in cerca di lui. Maurilio le comparve innanzi ancora tutto affannato della sua corsa.

– So che il suo amico è stato ferito, le diss'ella con una specie di brusca vivacità che era irrequietezza dell'animo commosso e sgomento; ma se e quanto sia pericoloso il suo stato, lo ignoro. Può Ella apprendermi il vero?

Maurilio mestamente le ripetè quanto a lui medesimo aveva detto poc'anzi Giovanni.

La ragazza lo ascoltò fredda, immota, si sarebbe detto quasi indifferente. Quand'egli ebbe finito, essa fece un moto della testa che significava insieme ringraziamento e congedo, e disse semplicemente, ma la sua voce tremava un pochino:

– La ringrazio.

Il giovane uscì, e Virginia abbigliatasi e comandato alla fante si abbigliasse per accompagnarla, voleva accorrere presso di Francesco a vederlo, confortarlo, apprendere co' suoi occhi medesimi la fatal verità.

– S'egli morisse, pensava, ed io non potessi manco più dargli un addio!

Era per uscire, come vedemmo, quando s'incontrò collo zio che ne la impedì, conducendola seco nello studiolo.

– Aspettami qui un istante, le disse: devo dare pochi ordini e poi sono da te.

Ebbe a sè il figliuolo, e comunicatogli la sovrana decisione, comandò che immediatamente si recasse nella cittadella, dove già erano trasmessi gli ordini opportuni per riceverlo. Ettore non rispose una parola: s'inchinò e fu sollecito a recarsi in fortezza. Eravi diffatti già aspettato, ed a lui – vedete gioco del caso! – toccò appunto quella camera nella quale due giorni prima era stato rinchiuso come prigioniero politico il suo rivale ed avversario Francesco Benda.

– Virginia: cominciò così a parlare alla nipote il marchese di Baldissero, poichè fu rientrato nello studiolo, dove la ragazza stava attendendolo. Hai tu confidenza in me? Ti pare che io la meriti intiera e compiuta la tua fiducia?

La giovane stava dritta presso il camino e guardava fisamente la fiamma che volteggiava sulle legna nel focolare. Anche sulle sue guancie, precisamente come una fiamma, andava e veniva a volta a volta una vampa di rossore, un'onda di sangue che coloriva la sua pallidezza un istante, e spariva. Ella era levatasi dalle spalle il mantello e gettatolo comecchessiasi sopra una seggiola, s'era tolto del paro il cappellino e lanciatolo a quel modo. Le sue chiome abbondanti color d'oro, coi ricci cascanti sul niveo collo chinato, splendevano alla luce della lampada che era stata accesa sulla caminiera. Al di sopra della lampada pareva chinarsi sopra di lei il grande crocifisso d'avorio dalle braccia tese, e il riflesso rosato del lume dava a quel volto mite e sofferente scolpito dall'artista un'espressione che sembrava pietà.

Alle parole dello zio, Virginia alzò il capo reclinato, e guardando con franchezza e intenerimento insieme la bella figura del vecchio gentiluomo, rispose con voce vibrante d'emozione:

– Oh zio! Ella è l'unica persona al mondo in cui io possa aver fiducia e debba. E non vi ha alcuno che più la meriti di Lei.

Il marchese le pigliò una mano.

– Io ho fatto sinora tutto il mio possibile, perchè meno aspra e funesta ti fosse la tremenda sciagura a cui ti volle condannare il Signore: quella di non aver più nè padre, nè madre.

Virginia alzò gli occhi al soffitto, come se volesse lanciare uno sguardo fino al cielo a cercarvi cari perduti.

– Mia madre! esclamò essa coll'affetto di chi invoca in supremo bisogno un aiuto. Baldissero lasciò andare la mano della nipote, si passò la propria destra sulla fronte, e continuò con accento più sordo:

– Tua madre io l'ho amata cotanto!.. Eppure!..

S'interruppe come chi ha pronunziata parola che non doveva, e s'affrettò a riprendere:

– Ella aveva ogni fiducia in me… fin ch'io rimasi al suo fianco… Ah! s'io non mi fossi allontanato, i miei consigli, il mio amore le avrebbero risparmiato indicibili affanni. Or bene, Virginia, in nome di tua madre medesima io ti prego a non voler mai tener celato a me quello di cui ti sentiresti obbligo di rendere istrutta tua madre.

Virginia tornò a chinare la testa in aria più perplessa che confusa.

– Ed ora, continuava lo zio, mettendo nelle sue parole maggiore caldezza d'affetto: ora se tua madre fosse qui, non avresti tu nulla da confidarle?

La ragazza parve il sul punto di parlare; poi si rattenne; mandò un'esclamazione e volse in là il viso arrossito.

– Tu hai dunque un segreto? seguitava il marchese coll'accento il più paterno: e questo segreto la tua determinazione di poc'anzi abbastanza lo rivela. Che cosa c'è di comune fra te e quel signore?

Virginia sollevò di nuovo la faccia con un'espressione piena di coraggio: guardò fermamente lo zio e disse colla franchezza d'una purissima coscienza e d'un nobile sentimento:

– Ci amiamo! Egli me lo svelò, io non glie lo nascosi.

– Sventurata! esclamò il marchese con accento in cui non c'era collera ma piuttosto dolore. E che speri tu?

– Nulla… Glie lo dissi… Egli, forse appunto per disperazione di ciò, volle morire… Non debbo io prima che scenda nella tomba consolarlo d'un addio?

Negli occhi le spuntarono due lagrime, ma la voce e l'aspetto non manifestarono la menoma debolezza.

– Sventurata! Sventurata! ripetè lo zio. È dunque destino che anche tu?..

S'interruppe di nuovo; parve recarsi sopra sè, e per un istante regnò in quel salotto il più assoluto silenzio. Virginia guardava lo zio con una specie di curiosa ansietà che le parole e i contegni di lui le suscitavano. Dopo un poco egli soggiunse:

– Tu sai che nella vita di tua madre fu un gran dolore, ma quale esso sia stato ignori tuttavia. Fu desiderio di quella povera donna che tu l'apprendessi un giorno, e me lasciò giudice del momento opportuno. Oh forse ho avuto torto a indugiare cotanto: e il racconto delle sciagure di lei avrebbe potuto servirti d'ammaestramento! Ma così mal volentieri, e ne intenderai il perchè, accosto quel discorso!.. Ora però non debbo più nulla tacerti. Siedi costì, Virginia, ed ascoltami. Udrai finalmente la storia di tua madre.

Virginia mandò un gridolino di desiderio, di soddisfazione insieme e di preghiera e di ringraziamento.

– Ah sì! esclamò giungendo le mani: ch'io l'oda finalmente!

Il marchese si raccolse, e cominciò poscia a narrare coll'accento di chi esponendo le più dolorose vicende della sua vita, sente riaprirsi le mal rimarginate piaghe del cuore.

Ma poichè non tutte le circostanze di quel funesto avvenimento poteva egli e doveva raccontare alla nipote, noi esporremo da parte nostra in termini più compiuti quel dramma, come già può essere narrato, senza pregiudicar l'interesse dei fatti avvenire, al punto in cui si trova lo svolgimento del nostro racconto.

La plebe, parte IV

Подняться наверх