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CAPITOLO VII

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Il commissario Tofi, fattasi inutile ogni insistenza presso lo svenuto Nariccia, passò in altra camera e si diede ad interrogare coloro fra i casigliani che aveva fatto trattenere, nella lusinga potessero fornire qualche testimonianza utile al suo còmpito. Apprese egli di questo modo il fatto della crudele cacciata sul lastrico della strada della famiglia del povero Andrea, e quindi il furore e i propositi di vendetta di quest'esso. Nel passato del misero operaio non c'era nulla che potesse farlo stimar capace d'un delitto, e sopratutto d'una ruberia; ma la passione di vendicarsi e la miseria in cui si sapeva caduto il disgraziato sono così cattive consigliatrici! Gli stravizi a cui s'era dato in preda, le triste compagnie cui da tempo frequentava erano argomenti da far credere in Andrea offese e smussate quella moralità e quell'onoratezza onde poteva un tempo vantarsi; per poter penetrare in quel modo nel quartiere dell'avaro, senza effrazione, gli assassini dovevano avere in loro mano delle chiavi ben fatte all'uopo; ora sapevasi che Andrea era un abilissimo fabbro ferraio. Quella mattina era stato visto in quella strada medesima ed aveva mostrato assai turbamento. Tutto ciò parve al signor Tofi altro che bastevole per legittimare i sospetti sul conto di Andrea e la sua cattura: diede ordine senz'altro che il marito di Paolina venisse arrestato.

Ma dove trovarlo questo vagabondo che non aveva più domicilio? Tofi, che conosceva i suoi polli, mandò gli sgherri prima all'osteria, e poi, se Andrea non fosse colà, all'ospedale dove giaceva inferma la moglie dell'operaio.

Povera Paolina! Pareva ch'ella fosse già precipitata al colmo delle disgrazie, eppure una nuova le incombeva sul capo ed un nuovo massimo dolore stava per colpirla. Rimasta fuor de' sensi quasi ventiquattr'ore (ah! perchè non aveva Iddio concessole di continuare in questo stato, nel quale almeno le era tolta la coscienza della sua sventura?) era finalmente tornata in sè per conoscersi in un lettuccio sotto la trista vôlta d'un camerone d'ospedale. La prima idea che le era venuta era stata quella dei suoi cari.

– I miei figli! mio marito! esclamò essa.

Le rispose la voce dolce d'una pietosa suora di carità che per ventura le stava presso in quel punto.

– I vostri figliuoli sono ricoverati nell'Ospizio di *** e non mancano di nulla; vostro marito è già venuto due volte a vedervi, e credo che tornerà di quest'oggi medesimo.

La inferma volse uno sguardo tra attonito e riconoscente alla mite fisionomia di quella monaca, e stette un poco a guardarla, come se non avesse parole fatte da risponderle; poi ad un tratto un'idea spaventosa l'assalse, ed ella ruppe in un singhiozzo.

– Mio marito, disse, può venire a vedermi; ma i miei figli?.. Oh! non verranno essi pure?.. Io non potrò uscir più di qua per vederli loro… Dovrò io dunque morire senza più abbracciarli?

La suora tentò calmare lo spasimo della poveretta con buone parole, e infonderle il coraggio di qualche speranza; ma tutto fu inutile.

– No, no: diceva ella scotendo sul guanciale la testa con mossa desolata: lo sento bene; io morrò qui… qui, separata dai miei!..

Povera donna! Ella doveva aver pur troppo ragione!

Poco dopo Andrea si trovava presso il letto di sua moglie.

Non ebbero cuore a parlarsi i due infelici. Essa lo fissava cogli occhi velati da lagrime; egli non osava quasi arrestare il suo sguardo sul viso di lei, aimè! quanto cambiato, che già pareva il viso di una morta. Nell'aspetto di lui c'era una confusione, una vergogna, un rimorso: tutto esprimeva il pentimento ed il dolore; il suo contegno era un'accusa di se stesso ed un implorare perdono: in lei non un'ombra di rampogna, non la menoma amarezza; una rassegnata mestizia, una virtuosa mitezza nella irrimediabile desolazione. Andrea balbettò alcune voci che non avevano senso; si curvò sulla giacente; ne prese il capo fra le sue nere, callose mani che tremavano, e baciandole la fronte, ruppe in un pianto angoscioso, con singhiozzi che parevano squarciargli il petto. Piangeva eziandio Paolina, ma piangeva chetamente e lasciava colar giù del volto immagrito e color della cera le lagrime cocenti senza asciugarle.

Stettero così un poco; e la dolorosa amaritudine di quelle anime in tale istante, chi la potrebbe dire? Fu la Paolina che, con quel filo di voce che le rimaneva, cominciò a parlare.

– Calmati, Andrea, e fa coraggio, te ne prego.

Era essa, la santa donna, che riconfortava il marito; essa che andava persuasa di morire, di dover abbandonare nel mondo, in quelle sì triste condizioni in cui erano, i figli suoi; essa che da ciò aveva all'anima il più grande dolore che anima di madre abbia provato mai!

– Non pianger più… Tu sei un uomo… Conviene che tu abbia forza… Senti, Andrea: ti voglio domandare un piacere, un gran piacere, sai, che mi farà bene, ma tanto, tanto bene.

– Oh parla: esclamò vivamente il marito: e qualunque cosa sia, ti giuro che io lo farò.

– Ho bisogno di vedere i nostri figliuoli… Conducimili qui… Non dev'essere proibito di condurre de' figliuoli a vedere la madre ammalata… Se fosse proibito anche questo, per noi povera gente, va a domandare la grazia da chi occorre, anche dal Re se fa bisogno… te ne supplico, ma conducimi qui i miei bambini… Tutti, sai! Anche l'ultimo… Povero piccino!.. Ah! poveri tutti!..

Si tacque chè la commozione le faceva groppo alla gola, e si voltò in là perchè il pianto le riempiva di nuovo gli occhi.

– Sta tranquilla, rispose Andrea, dovessi mettere sottosopra il mondo, ti contenterò…

– Quando? quando? chiese con ansia e sollecitudine l'inferma.

– Per oggi mi è impossibile, che già è troppo tardi, e prima che io sia andato e venuto, è di là di trascorsa l'ora in cui qui ci si lascia entrare; ma domattina, sta sicura che verrò qui coi nostri figliuoli per mano.

– Grazie! disse Paolina con tanta tenerezza di accento che impossibile farsene un'idea: ah! rivedrò i figli miei!..

Successe una pausa; poi la inferma, non senza qualche imbarazzo, si fece a domandare:

– E tu, Andrea, ora, che fai? che conti di fare? come vivi? Hai cercato, cerchi lavoro? ne hai trovato?

Andrea rispose con impaccio maggiore di quello con cui sua moglie lo interrogava:

– No, di lavoro fin adesso non ne ho trovato… è così scarso!.. ma ne cerco.

– E intanto come vivi?

– Ho qualche amico che mi aiuta…

– Ah! i tuoi amici

– Ho reso servizio ad un cotale che può qualche cosa e che ci torrà tutti dalle pene… Quando tu sarai guarita, e sarà guarito ancor egli… perchè si trova malato di molto anche lui, tutto si aggiusterà…

Paolina guardò fiso in volto suo marito.

– Non c'è nulla in codesto, di cui un uomo onesto come sei tu debba arrossir mai?

Andrea chinò gli occhi innanzi a quelli della maglie: ricordò la false chiavi fatte la sera innanzi, ed una profonda vergogna de' fatti suoi lo prese.

– No, no, rispose tuttavia con sufficiente franchezza; anzi ho fatto per quel cotale una che si può dire opera buona. Ti conterò poi tutto un'altra volta.

Il domani, come aveva promesso alla moglie di fare, Andrea uscì dal segreto riparo in cui si nascondeva così bene, che da quella sera in cui era stato condotto in Cafarnao nè Marcaccio ned altri non lo avevano visto più, e s'avviò verso l'ospizio ov'erano ricoverati i suoi figli. Per giungere a questo ospizio, la strada più corta era quella in cui si trovava la casa di messer Nariccia, ed Andrea ci passò, e come tutti quelli che in quella mattina la percorrevano, fu arrestato dal capannello di curiosi che impediva il passo all'altezza appunto della casa dell'usuraio. Il marito di Paolina dalle vive ciarle che udì intorno a sè, apprese tosto quel che era avvenuto al suo già padrone di casa, e fu grave e profondo l'effetto ch'egli ne provò. Pensò di botto a quelle chiavi da lui fabbricate, e non ebbe dubbio nessuno che esse avessero servito a commettere quell'orribile delitto; egli dunque ne aveva pure la sua parte di colpa, a lui si doveva il compimento di quella strage, su di lui la giustizia divina e l'umana avrebbero potuto e dovuto far ricadere quel sangue. Il povero Andrea seppe così poco nascondere il suo turbamento che i presenti lo notarono tutti, e parlandone poscia al Commissario, rafforzarono in lui i sospetti che complice dell'assassinio fosse Andrea, e che, mandato appunto da quelli che avevano fatto il colpo, fosse venuto lì quella mattina ad esplorare come si mettessero le cose.

Intanto il marito di Paolina, allontanatosi da quel luogo di buon passo, desideroso di fuggire quella strada e quelle voci, arrivava ancora tutto sossopra dell'animo all'ospizio in cui erano ricoverati i suoi figliuoli. Colà domandava gli fosse concesso prender seco i bambini e condurli al letto della madre poco meno che moribonda; e la passione dell'animo ond'era afflitto, diede alle sue preghiere tanta efficacia, che le monache sotto la cui direzione era quel pio istituto, acconsentirono senza difficoltà nessuna a lasciar andare col misero padre i bambini; i quali, di vero, appena vistolo, s'erano gettati addosso a lui e pregavano piangendo li togliesse con sè, li conducesse dalla mamma, tornassero tutti nella loro soffitta a vivere come prima.

Andrea li abbracciò e baciò con tanta tenerezza, quanta forse non aveva provata mai; ringraziò le monache alle quali promise avrebbe fra due ore al più tardi ricondotti i piccini, cui loro raccomandava colla più commovente effusione, e toltosi in braccio il più piccolo, mandandosi innanzi gli altri, si diresse verso l'ospedale in cui giaceva la moglie.

Quest'infelice aspettava con ansioso desiderio che le faceva parere lentissimo il tempo. Ad ogni minuto domandava alla monaca, che aveva più specialmente cura di lei, qual ora fosse, e udendo sempre che trammezzavano ancora parecchi minuti al punto in cui avrebbero cominciato ad essere ammessi i visitatori, sospirava dolorosamente.

Ma quel momento giunse pure alla fine: vide Andrea comparire in fondo al camerone col piccino in braccio che girava attorno attoniti i suoi occhioni tondi come se volesse cercare la mamma che il babbo gli aveva detto eran venuti a vedere; scorse gli altri suoi figliuoli che camminavano tenendosi per mano colle mostre dello stupore ancor essi sulle loro faccine a quei nuovi oggetti che si trovavan dintorno; Paolina provò una tale emozione che ne attinse la forza di drizzarsi alquanto della persona sul letto, di levar fuori dalle coltri le braccia e tenderle a quei suoi cari che s'avanzavano verso di lei, mentre le sue bianche labbra tremanti esclamavano:

– Figli… oh figli miei!

In un momento, fra quelle braccia mosse da tanta tenerezza si trovò stretto con amoroso trasporto l'ultimo de' bimbi che il padre ci aveva messo. La povera madre lo baciava piangendo, dicendogli mille incoerenti, inintelligibili parole; il bambino guardava sempre con que' suoi medesimi occhi attoniti, pareva non riconoscer più sua madre: quelle due lunghe file di letti, con entrovi tanti volti quasi cadaverici e tanti occhi riarsi dal fuoco della febbre, parevano spaventarlo, faceva greppo e se non avesse avuto soggezione, molto facilmente sarebbe prorotto in pianto. Il padre lo riprese, recandoselo al petto, ed egli si serrò colle piccole braccia al collo di lui, guardando la madre quasi sgomento: la infelice donna rispondeva a quello sguardo con un mesto sorriso tutto bontà e con una dolorosa rassegnazione entro gli occhi. Gli altri figliuoli furono dalla giacente abbracciati del pari; poscia il marito sedutosi vicino al capezzale, i bambini sulle ginocchia di lui, e l'ultimo nato, accoccolato sulla sponda del letto, passarono un po' di tempo dicendo parole pochissime, ma guardandosi, ma pensando di molto i due miseri genitori al loro passato, alle miserie presenti, alle paurose minaccie dell'oscuro avvenire. Il più piccino dei bimbi, superata oramai quella prima impressione di timoroso disagio, riconosciuta compiutamente la mamma, s'era accostato vicino vicino al capo materno ch'essa aveva dovuto abbandonare di nuovo sul guanciale, e colla manina ne accarezzava le pallide gote.

Così rimasero forse un'ora, non felici di certo, ma con una dolce e preziosa tregua nel loro reciproco soffrire. Ed ecco che il momento doloroso di separarsi era giunto. La monaca pietosa colle più umane forme e col più mite accento venne ad avvertirneli. Andrea si levò a malincuore, con un evidente sforzo, quasi avesse da sollevare con sè un grave peso che lo tenesse piantato a quel posto; Paolina fissò il volto de' suoi figli con un'espressione di spasimo, di rimpianto, quasi di terrore. Oh com'era passato presto quel tempo! Come! già separarsi da que' suoi dilettissimi! Rimaner di nuovo sola, ripiombare così presto nella privazione della vista di quei visini, nella lontananza da ogni suo affetto! E li avrebbe essa potuto rivedere ancora? Era quello forse l'ultimo addio che loro dava!.. Le sue labbra fatte tenaci, parevano non potere staccarsi dalla fronte dei figli in quel bacio d'addio. Non potè dir molte parole; balbettò confuse frasi soltanto; non potè piangere nemmeno; due lagrime sole ma cocenti le colarono giù dal volto; e la espressione dello sguardo con cui seguitò marito e figli che partivano, finchè non furono usciti dal camerone; quell'espressione disperatamente dolorosa, chi la potrebbe dire?

Quando e' furono fuori della soglia la misera nascose il capo sotto le coltri, e fu udita allora dolorosamente singhiozzare.

Andrea veniva fuori dell'ospedale, quando due uomini gli si slanciarono contro e prima ancora d'aver pronunziata una parola lo afferrarono alle braccia e lo disgiunsero da' suoi bambini che furono in là respinti.

– Venite con noi: gli dissero col tono poco gentile che è usuale a tutti gli sgherri del mondo.

Andrea diede una strappata affine di sciogliersi da quelle manaccie; ma i birri travestiti, coll'abilità e prestezza che hanno acquistate coll'uso in codesta bisogna, gli ebbero messo di subito i cantini ai polsi e dando una giratina colle mani glie li fecero entrare nelle carni, con un dolore che obbligò l'infelice a mandare un grido. La tremenda verità balenò innanzi al povero Andrea, a cui come uno spavento si presentò l'idea della carcere.

– Dove volete condurmi? domandò egli con un'ombra ancora di speranza che quello fosse un errore oppure d'altra cosa si trattasse. Chi siete?

– Siamo agenti della forza pubblica: risposero: ed abbiamo da condurvi dritto dritto al correzionale.

Molta gente usciva in quel punto dall'ospedale: presso alla porta stavano venditori e venditrici di arancie, cui sogliono comprare i visitatori per recare agl'infermi; tutti costoro e chi per caso passava in quel momento per la strada, si raccolsero in un gruppo curioso, abbastanza fitto, che si serrò intorno ai birri ed all'arrestato. I fanciulli che non capirono che cosa avvenisse, ma videro che si voleva separarli dal padre loro, colle manine intirizzite dal freddo, e gonfie dai geloni, afferrarono i panni del babbo e si diedero a strillare. Andrea volse tutt'intorno, su quelle faccie curiose che lo guardavano, un occhio smarrito, e gli parve che quelle faccie avessero centinaia e centinaia di pupille larghe, brillanti, che lo saettavano di schernitrici occhiate: il sangue gli salì prima alla testa, poi gli si aggruppò al cuore, sentì possedersi da un'immensa vergogna, si fece rosso come una fiamma, poi pallido come un morto e balbettando disse:

– È impossibile… Si sbagliano… Io non ho fatto nulla.

– Non ci sbagliamo: risposero col solito accento e coi soliti improperii gli sgherri. E se non avete fatto nulla, lo direte a chi conviene, a suo tempo.

E diedero una nuova strappata ai polsi per farlo camminare con loro. Andrea sentì trarsi i panni dai bambini che vi si tenevano afferrati.

– I miei figli: disse egli, piantandosi a resistere alla tirata; io non posso abbandonare i miei figli… Mi lascino almanco ricondurre all'ospizio i figliuoli miei.

– Eh! le sono storie: risposero i birri; che sì che noi abbiamo tempo da passeggiare per la città a lasciarvi fare le vostre commissioni; o che credereste che noi vi lasciassimo andare a fare voi da solo una piccola corsa, colla fiducia che voi veniate di poi a consegnarvi nelle nostre mani?

– Io sì, lo farò, lo giuro: esclamò Andrea.

– Niente affatto; non c'è da farvi di queste lusinghe; già troppe parole abbiamo scambiate; suvvia in marcia, e non fatevi tirare.

– Babbo, babbo, seguitavano a gridare i bambini: non lasciarci… Ci conducano anche noi col babbo.

I popolani presenti incominciavano a intenerirsi: i birri la vollero far finita, e senza tante cerimonie trascinarono il meschinello facendogli entrare nelle braccia le cordicelle delle manette. I bimbi correvan dietro a quel gruppo strillando; il povero padre volgevasi verso di loro, avvicendando le preghiere alle minaccie ed agli improperii e tutto col medesimo effetto sui poliziotti che lo traevan prigione: era uno spettacolo dolorosissimo a vedersi.

Ad un punto Andrea si buttò in terra disperatamente.

– No, urlò egli in un accesso di rabbia avvoltolandosi sul fango ghiacciato della via; no, non faccio un passo di più, non mi movo… mi battano, mi uccidano se vogliono, ma io non abbandonerò i miei figli.

Gli sgherri si diedero in fatto a percotere il pover'uomo accompagnando le busse d'ogni fatta villanie; ma l'infelice padre seguitava a gridare:

– Oh che giustizia è questa? Che ho da lasciare sul lastrico i miei bimbi crepar di freddo e di fame? La loro madre è allo spedale… Me mi gettano in carcere che sono innocente… Vogliono dunque farci morir di miseria noi poveri e i nostri figliuoli… Me li lascino guidare all'ospizio, non domando altro.

Un signore vestito da buon borghese, d'età inoltrata, d'aspetto pieno di bontà, che passava per caso colà, si fece innanzi e disse ai birri con un accento tra di autorità, tra di preghiera:

– Via, non maltrattate così questo pover'uomo.

Gli sgherri gli si volsero inveleniti:

– Chi è Lei?.. Che cosa viene a ficcare il suo naso qui in mezzo, Lei?

– Io posso darvi di me il ricapito che vi piace. Sono Defasi, libraio di S. A. R. il Principe di Carignano.

Queste parole fecero effetto sui birri, come non poteva mancare di avvenire in quei tempi, quando in presenza d'un agente qualunque del Governo si invocasse il nome di qualcheduno appartenente alla Corte.

– Signore, risposero con meno burbanza, noi abbiamo ordine preciso di condurre quest'uomo in prigione, e capisce anche Lei che bisogna pure facciamo il dover nostro.

– Sta bene; ma non entra nel vostro dovere il regolarvi in tal barbaro modo. Lasciate ch'io dica due parole a quest'uomo… Oh non dubitate che le udrete anche voi, e credo che dopo di esse egli camminerà senza contrasto.

I poliziotti annuirono tacitamente con una stretta di spalle.

– E' bisogna rassegnarvi: disse ad Andrea il signor Defasi, il resistere non vi serve di nulla, ed anzi non può riuscire che a far peggiori le vostre condizioni… Quanto ai vostri figli, s'io ho udito bene, voi li vorreste accompagnati a qualche ospizio, dove hanno ricovero; ebbene dite a me quale sia quest'ospizio, e in parola di galantuomo vi prometto che ve li accompagnerò io stesso.

Andrea fissò in volto il Defasi cogli occhi suoi ancora smarriti. Erano nel suo sguardo prima una diffidenza ed un sospetto che non la letizia di aver trovato un aiuto; ma la figura aperta e leale del libraio non tardò ad inspirare al misero padre tutta quella confidenza che la si meritava.

– Ebben sì, esclamò Andrea con voce subitamente commossa a tenerezza. La è padre di certo anco Lei?

Defasi fece sorridendo un cenno affermativo.

– Affido dunque a Lei i miei figli. Faccia la carità di accompagnarli all'ospizio ***; il mio nome è questo (e glielo disse), e soggiunga ch'e' son que' piccini che ieri ci vennero ricoverati dietro le istanze e le raccomandazioni del dottor Quercia.

– Siate tranquillo che farò appuntino: rispose il libraio con quella sua voce da galantuomo: e troverò modo, se altri non ne avete, di farvi sapere alcuna volta notizie di loro, ed eziandio di vostra moglie che ho udito essere a quest'ospedale.

Gli occhi di Andrea s'inumidirono.

– Oh grazie! esclamò egli. Iddio le renderà un tanto bene ch'Ella fa e farà ad una povera famiglia… Ah se mia moglie potesse ignorare quel che mi accade!.. Per carità, signore, Lei che è sì buono e generoso, se volesse almanco adoprarsi a prevenirla quella povera donna, ad apprenderle la mia sventura con qualche riguardo, ad assicurarla che gli è soltanto un errore, ch'io sono innocente, che presto sarò di nuovo libero per andarla a vedere. Oh sì lo spero, ne sono certo… Oh disgraziata mia Paolina! Che colpo avrà da esser questo per lei!

Il signor Defasi promise anche questo: che, accompagnati i bimbi all'ospizio, sarebbe venuto al letto della madre loro ammalata, e con quei modi che avrebbe potuto migliori, sarebbe venuto informandola a grado a grado del disavventuroso avvenimento. Ma, pur troppo, la buona volontà e i caritatevoli uffici del signor Defasi dovevano essere inutili a questo riguardo, perchè mentre Andrea staccavasi a gran fatica dai suoi figliuoli baciandoli ed abbracciandoli con trasporto, cui gli sgherri posero fine ruvidamente, e camminava tutto pieno di vergogna verso la prigione; mentre il libraio recavasi coi bimbi all'ospizio e ve li faceva accogliere, la brutta nuova dell'accaduto penetrava nell'ospedale, e nel modo più crudo giungeva sino al letto della povera inferma.

La sorella d'un'ammalata, il cui letto era il più vicino a quello di Paolina, giungeva all'ospedale ritardata per alcune sue faccende, quando stava per finire l'ora di ammissione alle visite, quando appunto già ne usciva coi fanciulli Andrea, e rimaneva testimone di quanto avveniva a quest'ultimo. Di poi, benchè già fosse proibita l'entrata, questa donna che era conosciuta di molto da tutti gli attendenti alle cure dell'ospedale, e la quale aveva realmente bisogno di parlare colla sorella inferma, otteneva dalla monaca direttrice la grazia di potere ciò nulla meno entrare nel camerone e stare alcuni pochi minuti coll'ammalata ch'era venuta a visitare. Fra le prime cose che questa donna disse fu la narrazione di quanto aveva veduto testè nella strada: ed una narrazione fatta coi colori accesi che presta una fantasia vivamente eccitata da fresca e profonda impressione. Descrisse con colori esagerati (e il fatto per essere pietoso non ne aveva punto bisogno) il dolore e la resistenza del padre, i pianti dei bambini, le sevizie degli sgherri; e Paolina udì tutto. Non poteva esserci sbaglio: un uomo che usciva in quel punto dall'ospedale, con bimbi così e così, vestiti a quel modo – ed ella con uno sforzo sollevatasi alquanto sul letto, interrogò ansiosamente la donna intorno a tutto codesto – non poteva essere altri che il su' uomo. Paolina mandò un grido che pareva quello d'una persona ferita a morte e si drizzò di scatto a sedere sul letto: prese a due pugna le coperte e le rigettò, fece la mossa di slanciarsi giù dal letto, e fu a stento trattenuta dalla suora di carità che fu lesta ad accorrere.

– Mio marito!.. I miei figli! Ella gridava, e non poteva, e non sapeva gridar altro; e gli occhi le giravano orribilmente smarriti, e i denti le battevano in una contrazione spaventosa. Ma le forze di resistere alle braccia della monaca e d'un'altra infermiera venuta in soccorso, le mancarono ben presto: ricadde supina, facendo moti incomposti colle mani, pronunziando parole senza senso, e quando un quarto d'ora più tardi, venne sollecito, secondo la fatta promessa, il sig. Defasi, la trovò in un pieno parosismo di febbre e di delirio.

E di Andrea intanto che cosa era avvenuto?

La lurida stanzaccia di prigione in cui fu cacciato il marito di Paolina, era piena zeppa di gente, essendo in essa stati posti molti degli arrestati la notte scorsa nella riotta all'officina Benda, e fra questi una nostra antica conoscenza, quel tristo arnese di Marcaccio. Mancava il Tanasio, perchè la spaccatura della testa ch'egli doveva al braccio robusto di Bastiano, lo aveva fatto trasportare nella infermeria. Era la prima volta, per Andrea, ch'ei si trovava in quello fisicamente e moralmente sconcio ambiente che è la prigione; e codesto non avviene di certo senza un grande sconvolgimento di tutto l'essere; aggiungetevi le condizioni in cui si trovava egli personalmente, in cui era l'animo suo per le sofferte vicende, e facilmente potrete immaginare come l'infelice non avesse quasi in quel punto la coscienza di sè e di ciò che gli accadeva dintorno.

Di quanti erano colà dentro egli non riconobbe nessuno; non vide altro che una turba di uomini, la quale gli parve assai più numerosa di quel che fosse in realtà; e rimase poco meno che spaventato nel vedere tutta questa turba serrarglisi dintorno con una curiosità che a lui parve quasi una ressa minacciosa. Dell'udirsi interpellare da varie parti, da varie voci, chiamandolo per nome, dandogli in isconci termini uno sconcio benvenuto. Erano la più parte operai suoi antichi compagni all'opificio e suoi più recenti alla bettola, i quali tutti mostravano od ostentavano per la loro condizione presente e per le minaccie della sorte che li aspettava una spensierata noncuranza od una riagente allegria, alcuni perchè già avvezzi alla cosa avevano smussato l'animo così ad ogni rispetto di sè come ad ogni vergogna, alcuni per bravata, non volendo mostrarsi da meno d'altrui nello sciagurato merito di quell'infame cinismo.

Marcaccio in quel primo istante non si fece innanzi; e invece si sottrasse agli sguardi ed all'attenzione di Andrea, che da parte sua era troppo stordito nella testa per discernere alcun che. Il marito di Paolina essendo troppo afflitto e desolato per rispondere a quell'accoglimento sciaguratamente festoso che gli fecero i suoi compagni di carcere, esso ebbe fine ben presto: Andrea fu lasciato stare non senza qualche epiteto oltraggioso; e il misero, ritrattosi in un angolo, buttatosi a sedere sopra un saccone, puntando alle ginocchia i gomiti e stringendosi colle mani la testa, rimase assorto nel caos turbinoso dei suoi vari pensieri, dolorosi e paurosi tutti.

Perchè lo avevano arrestato? Era uno dei primi e de' più precisi che gli si aggirassero nella mente confusa. Una voce segreta gli diceva in fondo del cuore: «per cagione di quelle false chiavi che tu hai fabbricate.» Se fosse così, e quando ne lo avrebbero interrogato, che cosa avrebb'egli dovuto rispondere? Negar tutto: chi poteva provare quella sua colpa? Non c'era che quell'omiciattolo presente, e poi più tardi era sopravvenuto Stracciaferro; ma e l'uno e l'altro non avrebbero parlato mai. Sì, ma se nelle sue risposte s'imbrogliasse, egli che non aveva tanto ingegno da saper mentire? Confessare la verità? Codesto avrebbe anzi disposto a favor suo l'animo dei giudici. Ma così la colpa era chiarita assolutamente e certa la punizione. Egli non sapeva di leggi e non conosceva qual pena gli avesse da toccare, ma forse per mesi ed anco per anni l'avrebbero tenuto in carcere. A questa idea sentiva batter tumultuoso il sangue nei polsi della testa. Anni? mesi? Ma egli non poteva star lì nemmanco una settimana. Aveva sua moglie da andare a vedere; voleva e doveva non lasciarla morire. Quella sua colpa non l'aveva egli bastantemente espiata con tutto quello che aveva sofferto? Gli pareva di sì; ma poi quella medesima voce interna accresceva di forza per gridargli che a lui si doveva l'assassinio di Nariccia. Ebbene? e con ciò? diceva nel suo intimo la parte di lui che la faceva da avvocato difensore: non era egli che avesse preso parte a quel delitto. Ben gli stava a quell'avaraccio disumano e crudele. Chi lo rimpiangeva? A cui recava danno la sua morte? Era questa anzi a molti un vantaggio. Egli se l'era voluta: era di certo una giustizia di Dio; ma poi di colpo, tutto cambiavasi nell'animo d'Andrea. Sentiva più grave pesar su di lui la responsabilità di quell'omicidio, parevagli scorgere sulle sue mani medesime, le macchie di quel sangue che s'era versato.

Si ricordò in quel punto di Marcaccio. Era stato egli il suo demone tentatore; egli a cui cagione Andrea aveva fallito: oh come giustamente la pensava Paolina mettendo in guardia suo marito contro le seduzioni di quel tristo amico, volendolo da quello allontanare! Probabilmente, anzi sicuramente, a credere d'Andrea, Marcaccio era stato uno degli assassini: egli, egli onest'uomo fino allora, era dunque amico d'un ladro e d'un omicida: sentì un tale orrore di sè che tutto si riscosse, come assalito dal ribrezzo, e mandò tra le palme onde si copriva la faccia un'esclamazione soffocata che pareva un singhiozzo.

In quella una mano gli si posò leggermente sulla spalla ed una voce ben nota lo chiamò sommessamente per nome. Andrea levò la testa con un sussulto e mandò un'esclamazione di terrore. Quel Marcaccio, di cui stava pensando, gli era davanti accoccolato sul pavimento, la faccia pochi centimetri lontana dalla sua. Pareva succeduta come una evocazione. Andrea aveva pensato al suo cattivo genio, e questo eccolo presentarglisi di botto. Si trasse in là con uno sgomento che non isfuggì al suo tristo compagno, e s'affrettò soprattutto a levare la sua spalla dal contatto di quella mano che egli immaginava rea dell'omicidio.

– Tu! tu qui! esclamò egli con istupore e paura. Che mi vuoi?.. Vuoi tu ancora trascinarmi a peggiori malanni?

Marcaccio per prima cosa ruppe in un'alta risata, che coprì le ultime parole di Andrea, poi gli disse:

– Ve' che bell'accoglimento da amico e che faccia che tu mi fai!.. Poverino! Tu sei tanto sbalordito che non sai proprio più quello che ti peschi… Sì, c'è da far le meraviglie di trovarci in questo luogo, noi galantuomini che siamo innocenti come l'acqua; ma e' capita sempre così, i birboni vanno a spasso e fumano il sigaro sotto i portici, e i poveri diavoli d'onesti vengono qui ad ammuffire su questi miserabili sacconi.

Poi si fe' ancora più presso all'orecchio d'Andrea e gli disse sotto voce frettolosamente:

– Qui bisogna badar bene alle nostre parole, sai! Abbiamo da parlarci, ma conviene farlo così piano che nessuno oda pure un soffio, e forte non ci scappi un solo detto che dia appiglio a qualche supposizione. Qui dentro sono almeno tre o quattro le spie.

Andrea lo guardò colla faccia d'uomo che non capisce; Marcaccio ripigliava a più alta voce:

– Se' tu stato pescato eziandio per la gazzarra di ieri sera? Non ti ci ho visto alla fabbrica. Vedi giustizia! Io mi sono contentato di andarci a gridare che è tempo di dare un po' meglio di pane al povero popolo, togliendone ai ricchi che ne han di troppo, e sono ingabbiato come un merlo, mentre taluni che fecero il diavolo e peggio, se la sgabellarono tranquillamente. Ah! non ci ho fortuna!

Andrea volse uno sguardo invelenito contro il suo compagno e rispose che non sapeva il motivo per cui era stato arrestato, ma che supponeva esserlo per quel fatto a cui lo aveva determinato Marcaccio medesimo due sere prima. Egli parlava sommesso, non aveva pur nominato di che cosa si trattasse, e nessuno pareva fare la menoma attenzione ai loro discorsi, ma pure ciò non bastò a rassicurare il complice d'Andrea.

– Zitto! diss'egli. Queste sono quelle cose di cui t'ho detto non bisogna discorrere che con infinite precauzioni. Dà retta. Io occupo il saccone vicino al tuo: stanotte, quando tutti dormiranno, ci faremo vicini vicini e ci insinueremo pian piano nel tubo dell'orecchio quello che abbiamo da dirci a vicenda. Per ora basta, e non parliamoci più.

Il marito di Paolina ricadde nelle sue tristi meditazioni. La notte! Egli era dunque il vero che avrebbe dovuto passare la notte in quell'orribil luogo? Oh! non sarebbe stato possibile che prima del cader del giorno qualche cosa avvenisse per cui egli fosse liberato? Dei momenti ciò sperava, gli pareva quasi una cosa sicura; si diceva che chi comanda non doveva volere che un uomo, il quale non era mai stato incarcerato, sul conto del quale non s'era mai trovato nulla da ridire, stesse pure un minuto di più del bisognevole frammezzo a quelle muraglie, in quella scellerata compagnia; si lusingava che della sua colpa nessuno potesse avere, non che prova, un indizio, che lo si sarebbe quindi ritenuto tosto per affatto innocente, e mandato a liberare, di quel giorno medesimo, fra poche ore, forse a momenti. Ma l'illusione era troppo vanamente fondata per poter reggere a lungo. S'accorgeva di accarezzare una chimera; gli nasceva il sospetto, il presentimento di quello che era la verità: che cioè quando un povero diavolo viene incarcerato, lo si dimentica, fino a che il giuoco dell'ordigno sociale della giustizia non lo riporti a galla, che di lui quindi nessuno per allora più non si occupava, come se non esistesse al mondo.

– Sì, dovrò passar qui la notte: diceva egli allora a se stesso, con cupa rassegnazione. E quante notti!.. E se fossi poi condannato?.. Oh a che cosa mai potrebbero condannarmi? Bisognerà ch'io consulti un avvocato… E Paolina intanto?

Venne la notte. Quando tutti giacevano immersi nel più alto sonno e suonavano per lo stanzone i fragorosi russamenti de' suoi compagni, Andrea che non poteva chiuder occhio, vide Marcaccio porre la testa presso presso alla sua, ed udì come un soffio nell'orecchio che gli diceva:

– Ora parliamo. Qual è il motivo del tuo arresto?

– Io non ho che un atto solo nella mia vita che mi possa meritare questa sciagura: quello che mi hai fatto eseguir tu.

– Vuoi dire le chiavi false della casa di Nariccia?

– Sì.

– Oh che credi tu che siavi alcun sospetto di qualche cosa?

– Dopo il colpo di cui fu vittima stanotte messer Nariccia.

– Colpo! Vittima! esclamò con infinito interesse Marcaccio. Oh che, è successo qualche cosa?

Andrea lo guardò con istupore.

– Non lo sai, o fingi di non saperlo?

– Non so niente.

– Io ho creduto che tu ci avessi parte.

– Niente affatto. Non mi si disse manco che la cosa doveva farsi la notte scorsa: quel sornione di Graffigna fa sempre così. Ed io fui arrestato alla fabbrica Benda.

– Tanto meglio: disse Andrea, cui tornò una specie di sollievo sapere che quell'uomo con cui discorreva non s'era macchiato dell'atroce delitto, e sentì alquanto scemarsi la ripulsione che aveva a parlargli.

Raccontò a Marcaccio tutto quello che aveva appreso intorno alla sorte di Nariccia: e ciò che sul mariuolo fece maggior effetto fu l'idea del vistosissimo bottino che gli assassini dovevano aver fatto.

– Alla croce di Dio! de' bei sacchetti e' li avranno portati via di colà… Mi par mill'anni di esser fuori di qui per averne la mia parte… chè una buona porzione ce ne viene a noi due… anche a te che li hai messi dentro quella casa… Senza di noi non ci sarebbero riusciti.

Andrea tornò a provare tutto il ribrezzo ed il rimorso di poc'anzi.

– E tu dunque, riprese a dire Marcaccio, poichè il suo compagno si taceva; tu temi che per tal cagione t'abbiano arrestato. Or dunque dimmi un po': all'interrogatorio che cosa conti tu di rispondere?

– Ah non so davvero. Ho paura che leggano subito nel mio turbamento tutta la verità.

– Bubbole! Ci vuole franchezza e coraggio. Dà retta a me e ringrazia il tuo santo protettore che ti ha fatto incontrar qui con un amico par mio: altrimenti tu mi avresti fatta una solenne frittata, rovinato te e compromesso altrui. Bisogna negare fermo, forte e tutto. Non c'è alcuno che possa tradirti, perchè nè io nè altri con cui tu avesti da fare puoi esser certo che aprirà bocca. Non si è tanto gonzi. Tu non hai visto nulla, tu non sai di nulla, tu non hai sentito di nulla. Non si esce di lì. Ti terranno un par di settimane a mangiar gratis il pan dello Stato e la minestra della Misericordia e poi ti daranno il largo…

– Un par di settimane! esclamò spaventato Andrea: oh che io avrei da rimaner qui cotanto?

L'emozione gli fece dimenticare la prudenza inculcatagli da Marcaccio, e queste parole furono pronunziate con voce quasi alta.

– Zitto, per amor di Dio! disse il suo compagno serrandogli forte un braccio. T'ho detto che bisognava parlar tanto piano che neppure le mosche, se ci fossero, non ci avessero da sentire… Ora s'è discorso abbastanza: mettiam berta in sacco e dormiamo.

Marcaccio non tardò in fatti a prendere una parte distinta nel concerto di russamenti che eseguivano con una specie di foga accanita i carcerati; ma pel marito di Paolina non ci fu possibilità di chiuder occhio. Troppo nuove e troppo dolorose erano le impressioni che egli aveva ricevute, perchè si potesse tanto presto acquetar l'anima sua. La notte gli parve eterna; ed egli salutò quasi come un amico il primo fioco barlume di luce che s'insinuò in quel lurido camerone traverso le inferriate e i ragnateli polverosi dell'alto finestrino.

Comparve poi finalmente Andrea innanzi al giudice istruttore. Gl'indizi a carico dell'accusato si erano fatalmente accresciuti e fatti gravi. S'era raccolto da testimonianze che Andrea aveva espresse assai fiere minaccie prima contro il suo antico principale, il signor Giacomo Benda, perchè non aveva più voluto accettarlo nella sua officina, e siccome l'assalto, il saccheggio e l'incendio di quell'opificio conoscevasi essere il risultamento d'un complotto, era naturalissimo il credere che questo operaio, amico e compagno indivisibile d'altronde d'uno dei caporioni della riotta, arrestati in flagranti, avesse preso parte principale ancor esso al complotto medesimo, ed anzi, alla esecuzione di esso; quanto all'assassinio di Nariccia, Andrea aveva contro di lui la sua abilità conosciuta di fabbro, e le minaccie ancora più terribili che nell'osteria di Pelone egli s'era lasciato scappare a più riprese contro il padrone di casa che gli aveva gettata la famiglia sul lastrico della strada.

Andrea alle pressanti, accorte, pericolose interrogazioni del giudice non rispose altrimenti, seguendo il consiglio di Marcaccio, che con decise negative; ma egli spinse questo metodo ad un eccesso che lo compromise maggiormente. Timoroso delle conseguenze che da principio aveva veduto trarre dalle circostanze le più lievi coll'arte induttiva dell'interrogatore, non essendo abbastanza accorto, nè abbastanza libero di mente per indovinare o presentire soltanto a qual meta mirassero le fattegli domande anche le più semplici, egli credette miglior partito negar sempre e negar tutto. Ma queste sue negazioni non sapevano essere tanto risolute che non lasciassero scorgere lo sforzo della menzogna; ma elleno, poco accortamente, volevano escludere anche delle cose e circostanze che erano provate evidentemente, così che l'impressione del giudice fu quella affatto di avere innanzi a sè un reo ancora novizio, ma reo assolutamente dei due gravi delitti che gli si imputavano.

Andrea s'accorse dell'impressione che produceva sul suo interrogatore, e perdette ancora più la bussola, tanto che, non sapendo oramai più che farsi, nè che dire, quasi avesse speranza di intenerire quell'uomo e da lui dipendesse la sua salute, proruppe in confuse supplicazioni quasi con voce di pianto. Giurò ch'egli ned era andato ad assalire la fabbrica Benda, nè aveva saputo dell'assassinio di messer Nariccia fuorchè al mattino; sì, era pur vero, disse, che inconsiderate parole gli erano sfuggite contro il fabbricante ed il padrone di casa, ma in quel momento, coll'animo vivamente esagitato, egli aveva detto cose a cui non pensava, che non aveva per nulla l'intenzione di eseguire; lo lasciassero andare ch'egli ne aveva gran bisogno: parlò della moglie moribonda all'ospedale, dei figliuoli all'ospizio, che non per lui, ma per quei poveretti gli usassero pietà.

Il giudice lo lasciò dire con molta pazienza, ascoltandolo freddamente; poscia tornando egli a parlare:

– Sentite, gli disse, non vi nascondo che le apparenze sono molto contro di voi, e che le vostre risposte furono ben lontane dal scemare i sospetti a vostro riguardo: ma pure ci avete un modo tuttavia da escludere ogni vostra colpabilità, da far dileguare ogni dubbio, e sarebbe quello di provar l'alibi.

Andrea guardò il giudice con tanto d'occhi.

– L'alibi? ripetè egli con tono che significava non saper egli che animale si fosse codesto.

– Sì, riprese l'uomo della legge coll'impazienza di chi, avendo famigliare un'espressione, non può persuadersi che altri non la capisca: sì l'alibi, vuol dire che proviate come durante il tempo in cui si commisero quei reati, voi foste altrove, alibi, e quindi sia impossibile che voi prendeste parte ai reati medesimi.

La faccia di Andrea si rasserenò tutta.

– Sì? esclamò egli con accento di somma gioia: ma in tal caso io sono salvo. Ho passato fin dalla prima sera, tutta la notte in un luogo, oso dire, a fare un'opera buona.

Il fiscale crollò con mossa alquanto incredula il capo. Per lui uno de' rei era già trovato: era lieto del suo successo, e gli rincresceva aver da rinunziare alla sua convinzione ed alla soddisfazione di amor proprio d'aver già appurata la colpevolezza di uno di quei terribili assassini.

– Uhm! diss'egli con un certo risolino; codesto non basta il dirlo. Converrebbe, come vi ho già espresso, provarlo.

– E lo posso provare.

– Ci avete dei testimoni?

– Sì.

– Ammessibili?

– Affatto… L'uomo stesso al cui letto io ho vegliato.

– Ebbene chi è costui? E dove lo si trova?

Andrea aprì le labbra per rispondere, ma poi un nuovo sentimento sopravvenne a trattenerlo.

– Ah no, non posso: esclamò egli con dolore e rabbia; ho promesso solennemente di tacerlo.

Sulla faccia del giudice tornò quel certo risolino di poc'anzi: ed egli s'alzò come per dinotare che l'interrogatorio era finito.

– È molto spiacevole per voi che non possiate parlare. Codesto vi avrebbe tratto assai facilmente d'imbarazzo: ma poichè una tal promessa vi chiude la bocca, è inutile insistere, non abbiamo più nulla da dirci, e potete tornare nella vostra carcere.

Chiamò i secondini perchè Andrea fosse ricondotto al suo stanzone, ed egli medesimo, ripiegate le sue carte, s'accinse ad uscire col segretario: ma il prigioniero, quando fu alla soglia, si fermò ed esclamò con forza:

– Un momento!.. Ah! per salvarsi, un padre di famiglia può anche violare una tal promessa. Sono disposto a dir tutto. Ecco l'indirizzo del luogo ov'io passai tuttedue le notti di sabato e di domenica; vadano colà e troveranno l'uomo che forse deve a me se ancora trovasi in vita.

Il giudice fece scrivere dal segretario l'indirizzo che Andrea gli disse; domandò che nome avesse quell'uomo di cui l'inquisito parlava, ed Andrea rispose che l'ignorava.

– Si prenderanno informazioni: disse asciuttamente e di mala voglia il fiscale; e ricordatevi bene che le frottole non vi serviranno di nulla.

Il marito di Paolina fu ricondotto in carcere.

Quel giorno medesimo il signor Tofi ebbe una viva soddisfazione. Egli in questo succedersi di gravi avvenimenti sentiva di molto la mancanza di Barnaba, cui non aveva più visto dopo quel colloquio avvenuto fra di loro, nel quale egli all'agente caduto in disgrazia aveva manifestato i voleri e gli ordini dei superiori; e per riaverlo al suo fianco avrebbe dato non so che cosa. Aveva fatto cercare di lui, ma Barnaba, oltre il palese, aveva un domicilio nascosto, sconosciuto anche dal suo capo, e non era stato possibile averne notizia. Quel dì dopo l'interrogatorio di Andrea, l'ufficio di polizia ricevette da quello fiscale una comunicazione, in cui dicevasi uno degli imputati aver cercato di stabilire l'alibi allegando d'essere rimasto tutta notte in via tale, casa tale, al tal piano, senza voler dire il nome della persona che in quel quartiere abitava; si prendessero informazioni di che luogo fosse quello e chi vi abitasse, ma con molta cautela per non dare la sveglia, se per caso vi fosse colà dei complici.

Era una missione delicata; e poi una specie di ispirazione d'istinto lo mosse: il Commissario decise di andare in quel luogo esploratore egli medesimo. Assunse l'aspetto d'un buon borghese ed andò a picchiare (che non c'era campanello) alla porta dell'indicatogli quartiere. Venne ad aprirgli la faccia melensa di Meo, che rimase ancor più melensa nel vedersi innanzi una persona che non conosceva.

– Oh! disse lo stupido. Credevo che fosse il medico!

– Son ben il medico per l'appunto: rispose il Commissario cacciandosi innanzi.

– Ma!.. E quell'altro?

– Quell'altro non ha potuto venire, ed ha mandato me in sua vece.

Traversò senz'altro con tutta sicurezza quella prima cameretta che serviva d'entrata, e s'intromise nella seconda stanza, nella quale vide un letto su cui giaceva un uomo. Mandò un'esclamazione e in un salto fu presso il giacente. In costui aveva riconosciuto Barnaba.

La plebe, parte IV

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