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CAPITOLO V

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Quella medesima sera, in cui successero i tristi fatti che abbiamo narrati alla fabbrica dei Benda, Maurilio, ignaro di quelle funeste vicende, avendo sfuggito ogni compagnia, perchè desideroso di rimaner solo col tumulto de' suoi pensieri, col cumulo de' suoi affetti e delle sue passioni, se ne tornava verso il palazzo Baldissero, ora sua dimora, a lento passo, dopo un lungo giro fatto nella parte più solitaria della città, insensibile all'aria frizzante della sera, quando alla cantonata proprio del palazzo medesimo, vide un piccolo essere spiccarsi dalla parete, e ponendoglisi dinanzi dirgli colla voce rauca d'un bambino assiderato dal freddo:

– Giusto Lei che aspettavo; ho una commissione da farle.

Maurilio riconobbe la vocina, la faccia patita ma intelligente, l'occhio vivo e la testa arruffata di Gognino il nipote della Gattona.

– Tu qui? diss'egli assalito di subito da una specie di rincrescimento d'aver perfettamente obliato il suo piccolo protetto. E m'aspettavi?

– Gnor sì. È la nonna che mi ci ha mandato e guai se me ne andavo prima di averla vista e parlatole.

– E come sapevi tu che io sarei venuto qui in questa strada?

– Lo si seppe andando a cercare di Lei al suo antico quartiere, là, dove l'altro dì la mi disse di tante belle cose, quando poi son venuti ad arrestarla.

Maurilio sentì una specie di tenerezza a queste parole del fanciullo.

– Tu non le hai dimenticate le cose ch'io ti dissi? domandò ponendogli con atto affettuoso la mano sul capo.

– Oh no… non ancora: rispose ingenuamente Gognino.

– È dunque la tua nonna che ti manda in cerca di me a quest'ora?

– Non è mica lei che la vuole: gli è Padre Bonaventura.

– Padre Bonaventura! esclamò Maurilio stupito: che può aver meco da spartire costui?

Il frate era conosciuto in tutta Torino come uno dei più influenti, operosi ed intriganti fra i gesuiti che allora tenevano nella cosa pubblica un'autorità incontestata, a cui nessuno osava pure opporsi: il nostro giovane amico poi conosceva ancora più particolarmente i meriti e le gesta di quel cotale, perchè di lui gli aveva discorso a dovere Giovanni Selva, il quale all'influsso di quel tristo doveva la sua esclusione dalla casa di suo padre.

Alla domanda di Maurilio, Gognino non sapeva far alcuna risposta, e non ne fece, contentandosi a stringersi nelle spalle.

– E dunque, riprese Maurilio, che hai tu da dirmi a nome di codesto Padre Bonaventura?

– Che le ha da parlare di cose d'importanza e di premura che la riguardano.

– Me?

– Gnor sì. E che perciò la aspetta questa sera medesima colaggiù al convento; ed io ci ho ordine dalla nonna di accompagnarla fino dal fra' laico portinaio e non lasciarla finchè non abbia acconsentito a venire.

Il primo impulso di Maurilio fu una viva curiosità di conoscere la ragione di questo appello, cui, per quanto immaginasse non sapeva indovinare: e già era per avviarsi, quando una quasi istintiva diffidenza lo trattenne.

– E s'io non ci volessi andare a trovare quel gesuita? diss'egli al fanciullo, che stava osservandolo con un'aspettazione che pareva quasi ansietà.

– Ah! disse vivamente Gognino con una fiduciosa ingenuità da ragazzo: ci venga per far piacere a me soltanto. Se io non la conduco almanco fino alla portieria del Carmine, dove la mi sta aspettando, la nonna crederà che invece di fare secondo il suo comando, io sono andato a baloccarmi, e me ne dà una famosa strigliatina.

Maurilio sorrise mestamente, e non disse altro più che questa parola:

– Andiamo.

Gognino si mosse camminando zoppo e rattratto pel dolor dei geloni e per l'intirizzimento delle sue piccole membra, e Maurilio gli tenne dietro.

Erano aspettati. La Gattona nel vedersi dinanzi quel giovane, sentì entro il suo inaridito cuore di vecchia ipocrita un certo non so che da potersi quasi dire una emozione; qualche cosa di più che una curiosità la punse di vedere, di esaminare ben bene quell'individuo, e piantandosegli in faccia lo squadrò ben bene coi suoi piccoli occhietti infossati nel suo vecchio ceffo da uccello di rapina coperto di pergamena, mentre con voce lentamente trascinata e più aspra e fessa del solito gli veniva dicendo:

– Sia lodato Dio e la Madonna ch'Ella sia venuta. Avevo paura che la non volesse dar retta alle parole di Gognino. E sarei pure andata io ad aspettarla per la strada; ma una povera vecchia mia pari a questa fredda brezza di notte star ferma impiantata c'è da lasciar subito le sue quattro miserabili ossa. Ho pregato tanto il mio santo protettore e la santissima Vergine che…

A Maurilio lo sguardo fisso, scrutatore della vecchia dava un inesplicabile fastidio, quasi un'irritazione; le parole di lei gli producevano un'impazienza uggiosa; sentiva una più spiccata ripugnanza per quell'essere degradato.

– Eccomi qua: interrupp'egli bruscamente. Se son venuto gli è, perchè non credeste che Luchino avesse mancato di ubbidirvi, chè altrimenti non avrei visto ragione alcuna di rendermi all'invito di Padre Bonaventura, che non mi conosce, ch'io non conosco, e col quale non ho attinenza di sorta.

– Ah! esclamò la vecchia con un'espressione di zelo e d'interesse che ognuno avrebbe detta esagerata: la non si penta d'esser venuta, sa!.. Ella volle farmi del bene, a me ed al mio nipotino, e mai non fu carità nessuna così presto e così largamente ricompensata dal Cielo… Ringrazio la bontà divina che mi volle così presto esaudita nelle mie preghiere… Questa povera e umile vecchia, questa abbietta creatura volle Iddio fosse stromento de' suoi decreti; e per cagion mia Ella potesse finalmente…

Maurilio ricordò le parole che gli avevan detto Don Venanzio e Giovanni Selva del colloquio avuto da costoro colla vecchia, nel quale essa aveva preso l'impegno di fare fra due giorni importanti rivelazioni sulla nascita di lui; non dubitò punto che gli ambigui detti della Gattona non avessero rapporto a codesto, e impallidito per subita forte emozione si accostò a lei d'un passo e disse con voce tremante:

– Parlerete voi dunque? Potete voi dunque squarciare il mistero, e volete farlo?

– Si calmi: rispose la Gattona indietrandosi: io, come da un pezzo la direzione della mia coscienza, ho posto questo delicato affare nelle mani di quel sant'uomo, di quel perfetto religioso che è Padre Bonaventura. Questi ha desiderato appunto parlarle in proposito, e saprà dirle quello che conviene…

– E dov'è questo Padre Bonaventura? proruppe con impazienza Maurilio. Conducetemi adunque da lui.

Il frate laico si fece innanzi.

– Abbia la bontà di seguirmi, disse, ch'io ho l'ordine di condurla alla cella di lui.

Maurilio non rispose che con un gesto impaziente e vibrato che significava: – Andate, vi seguo.

Il portinaio prese in mano un lanternino acceso e s'avviò seguito dal giovane; la Gattona tenne dietro collo sguardo a quest'ultimo, finchè l'uscio richiudendosi glie ne tolse la vista.

– Non lo avrei mai più immaginato di quella fatta, diss'ella fra sè; chi lo direbbe mai, a vederlo, figliuolo d'una marchesina, com'era quella creatura là che pareva un angioletto, e di un sì bel giovane, chè gli era proprio bellissimo daddovero. Non ci ha punto di rassomiglianza nè coll'uno nè coll'altra, eccetto gli occhi… Ah sì, quegli occhi son quelli della povera marchesina Aurora, i medesimi che ha eziandio madamigella Virginia. Ora ch'e' mi guardava fiso, ci fu un momento che mi parve proprio di vedere gli occhi di quella buon'anima là quando mi raccomandava appunto il suo bambino…

Diede uno scossone come se assalita da un subito brivido.

– E se restituisco il suo figliuolo alla condizione che gli conviene, la non avrà più da volermene quella benedett'anima là… E questo figliuolo dovrebbe pure essermi riconoscente della bella maniera… Ah se avessi potuto menare da me tutto questo affare senza intromissione di Padre Bonaventura, sarebbe pure stato meglio pel mio interesse; ma come farla? Il marchese non mi avrebbe manco dato retta; se avessi minacciato uno scandalo mi avrebbe fors'anco mandato a finire in una casa di custodia questi quattro dì che mi restano, e questo diavolo d'un frate ha in mano tutti i fili della matassa. Lasciamo dunque far da lui; e son certa che qualche cosa in mio vantaggio lo vorrà pur fare… Andiamo a casa.

Prese Gognino per un braccio e tirandolo seco di mala grazia uscì del portone, che richiuse cautamente dietro di sè.

Intanto Maurilio seguendo i passi della sua guida attraversava un lungo andito appena se illuminato dalla fioca luce d'una lanterna, saliva quattro branche d'una vasta e comoda scala, ed arrivava quasi a capo d'un corridoio all'uscio d'una cella nel quale il frate laico picchiava discretamente colla nocca delle dita.

– Avanti: diceva dall'interno una voce tanto piena di benevolenza che l'avreste detta un'ostentazione.

Il portinaio aprì a mezzo il battente e cacciò dentro la testa.

– Gli è quel giovane ch'Ella aspetta, Reverendo: disse.

– Dio sia lodato! rispose quella voce ancora più compunta. Ch'egli venga.

Il laico si trasse in disparte, con una mano aprì di meglio l'uscio, coll'altra fece invito al giovane di passare e lo confermò colle parole:

– Entri: quello è Padre Bonaventura.

Maurilio entrò, e dietro di lui la porta fu richiusa dal frate portinaio che se ne andò ai fatti suoi. La cella era abbastanza vasta: le pareti, scialbate a calce, bianchissime, senz'altro ornamento; un lettuccio basso in un angolo, sopra di esso appiccati al muro un quadro rappresentante San Luigi Gonzaga, un acquasantino di cristallo, una palma; in faccia al letto un sofà semplicemente impagliato, seggiole compagne intorno, appoggiate alle pareti; presso la finestra, che faceva quasi riscontro alla porta, una tavola coperta d'un tappeto verde, la quale serviva di scrivania; sopra di essa delle carte, un calamaio, una croce piuttosto alta di legno nero inverniciato che si drizzava sopra la base di due scalini, dietro questa croce uno specchietto accortamente posto così che vi si riflettesse la figura di chiunque entrasse nella cella da poterla vedere ed esaminare chi si trovasse seduto alla tavola; presso a questo una piccola scancìa piena di libri.

Padre Bonaventura stava appunto seduto a codesta sua tavola su cui era posta una lampada con una ventola che ne rifletteva giù la luce; così che Maurilio entrando non vide che le spalle larghe del frate e la grossa persona avvolte d'una vestaccia di lana nera. Ma il gesuita diede colla mano un piccol colpo alla ventola della lampada e rialzandola fece correre i raggi della luce, da una parte sulla faccia di chi entrava, dall'altra sullo specchietto appostato dietro la croce. Il nostro giovane che s'avanzava guardando non senza molta curiosità verso il famoso gesuita ancora immobile al suo posto, potè vedere riflesso nello specchietto lo sguardo acuto, investigatore, penetrante che fra' Bonaventura fissava sui lineamenti di lui che gli si dipingevano innanzi. Maurilio fece un sorriso; la ventola s'abbassò di nuovo sulla fiamma della lampada, e il volto del giovane rimase all'oscuro; il frate s'alzò e volse verso il nuovo venuto una faccia piena di benevolenza, di cordialità, di interesse e di bonaria semplicità, espressione di sembianze che era evidentemente preparata e sincera come il complimento di un adulatore.

Tese a Maurilio tuttedue le sue mani bianche, grassotte, morbide e carezzevoli, e disse con quel suo accento di sdolcinata gentilezza:

– Sia Ella il benvenuto nella umil cella del povero frate. Avrei dovuto io stesso recarmi da Lei; ma non sapendo come e dove trovarla per un colloquio segretissimo, quale dev'essere il nostro… E poi un monaco non può uscire a gironzare la sera. (Mostrò le sue due file di denti a dispetto dell'età ancora bianchissimi e tutti presenti in un sorriso tutto ameno, e soggiunse:) E d'altra parte la cosa premeva e bisognava proprio che di stassera avessi l'onore di avere con esso Lei una conferenza.

Siccome colle sue aveva afferrato le mani grosse e ruvide del giovane, lo trasse per queste sino al sofà e ve lo fece sedere.

– Benchè noi non ci conosciamo affatto, riprese egli a dire, sedendogli presso, noi dobbiamo parlare come due amici, due vecchi amici. La mi permetta di usare con Lei d'una famigliarità che la mia età, il mio carattere, ed anche, come vedrà, le circostanze possono permettermi, e m'ascolti con pazienza ed attenzione.

L'idea di questo colloquio con Maurilio in Padre Bonaventura, ecco di che modo era nata.

Abbiamo visto, come Gognino, tornato presso la nonna dopo l'arresto di Maurilio che aveva interrotto la prima di quelle lezioni che il giovane s'era assunto di dare al povero orfanello, avesse narrato alla vecchia che lo interrogava tutto quello che era successo: le parole dettegli, e che nel bambino erano state meravigliosamente impresse, la seguita invasione degli agenti polizieschi, la perquisizione e l'arresto, coll'episodio del bottone uguale a quello che possedeva la vecchia; ed abbiamo visto che la Gattona aveva creduto di dover tosto affrettarsi a riferir tutto ciò a Padre Bonaventura, dal quale quella mattina medesima, nelle prime ore del giorno, erasi già recata a raccontare l'avventura della sera precedente, l'incontro cioè fatto da Gognino d'un cotale che voleva pagar lei perchè lo lasciasse far da maestro al bambino.

Padre Bonaventura era già stato punto da curiosità molta di sapere chi e che cosa fosse quell'originale di cui s'era fatto lasciare la polizza, da lui stesso data alla Gattona, con sopravi scritto il suo nome e l'indirizzo della sua abitazione. Quando la vecchia venne più tardi a narrargli le cose sopravvenute, il gesuita che non aveva ancora avuto tempo ad occuparsi di quello sconosciuto, vide anzi tutto che egli non aveva giudicato male mettendo quell'individuo in ischiera coi fautori ed apostoli delle novità politiche e sociali, dei liberali amatori e credenti del progresso, amici e patrocinatori dei cosidetti diritti dei popoli e va dicendo: i discorsi tenuti a Gognino e il successivo arresto, col sequestro delle carte, di certo per motivi politici, ne lo chiarivano abbastanza, e il buon Padre Bonaventura si riprometteva di raccomandare egli stesso quel dabbene a cui si dovesse, così bene da farlo torre per un po' di tempo alla propaganda attiva de' suoi detestabili principii avversi (è la formola solita) al trono ed all'altare. Ma quello che soggiunse di poi la Gattona lo interessò ben altrimenti, e senza ch'egli concepisse di botto un definitivo progetto da attuare, intravide però senza indugio, che se fondati fossero i sospetti dalla vecchia manifestatigli alcuna cosa poteva da lui combinarsi che riuscir potesse in vantaggio suo proprio dapprima (cosa che non era da obliarsi nè trascurarsi), in vantaggio della buona causa, quella dell'assolutismo e della Compagnia di Gesù.

I sospetti della Gattona si presentavano con una non disprezzabile apparenza di fondamento. Il nome stesso che quel giovane portava, cui la Luponi medesima aveva scritto su quel suo biglietto, perchè chiunque nelle cui mani capitasse il bambino glie lo lasciasse, nome tutt'altro che comune in queste provincie; il cognome di Nulla, che lasciava supporre in chi io portava, e che probabilmente se l'era dato, la condizione di fanciullo senza famiglia, e l'aver egli un oggetto simile ad uno di quei pochi che erano stati posti come segni di riconoscimento al bambino della marchesina Aurora, erano indizi da tenerne conto; e Padre Bonaventura che aveva avuta tanta parte in quegli avvenimenti della famiglia Baldissero, decise di volere il più sollecitamente possibile appurare la cosa.

Congedata la vecchia colla raccomandazione di attendere, di non fare nulla da sè e di venirgli a riferire poi tosto ogni menoma cosa che in proposito capitasse, o cui ella venisse ulteriormente a scoprire, il gesuita, per prima cosa, pensò recarsi da messer Nariccia, il quale in codesto poteva dare gli elementi più sicuri per formarsi un esatto giudizio, come quello che solo sapeva dove e come fosse stato abbandonato il bambino della infelice vedova di Valpetrosa.

L'usuraio fu assai cauto nelle sue risposte, nè, quantunque molto rimanesse meravigliato alle parole del frate, e fosse colto proprio alla sprovveduta, ci fu verso che si lasciasse sfuggire parola alcuna da cui l'accorto suo interlocutore potesse argomentare o indovinare alcun che di quanto era succeduto dopo che Nariccia col bimbo erasi partito dalla casa in cui la puerpera dolorava in lotta colla morte. Nariccia, senza però dirne ragione veruna, si rimase a dire che egli non credeva punto punto che il giovane di cui si trattava fosse il figliuolo di Valpetrosa, che tuttavia la cosa meritava attenzione, e prima di pigliare un partito e di agire in qualunque senso si fosse, conveniva ben bene appurarla. Il frate, incerto come prima, anzi più di prima, perocchè si fosse ora persuaso che quel tristo di Nariccia aveva in suo potere una parte di segreto che a lui era affatto sconosciuta, uscì di là e risolvette informarsi tosto di quanto riguardava quell'individuo misterioso che si faceva chiamare Maurilio Nulla. A lui siffatta cosa era facilissima per le relazioni che aveva nelle alte sfere governative e per l'ascendente cui su tutti i più cospicui e potenti pubblici funzionari avevano la Compagnia a cui il frate apparteneva e personalmente egli medesimo uno dei maggiorenti di quella temuta e intromettentesi società. Non istette perciò guari ad apprendere gran parte dei fatti, dell'indole e delle tendenze di chi lo interessava. Seppe che Maurilio era appunto un trovatello, come egli aveva supposto, che era stato arrestato come nemico del Governo, che presso di lui s'era sequestrato uno scritto incendiario pieno delle massime più sovversive, ma che rivelavano un gran talento, così che dal Commissario di Polizia al generale dei Carabinieri, da questo al Governatore, dal Governatore al marchese di Baldissero, e dalle mani del marchese era pervenuto niente meno che in quelle stesse del Re.

I Gesuiti furono sempre abbastanza accorti per riconoscere la potenza dell'ingegno, e prima di perseguitarlo nemico a loro ed alla loro causa, hanno sempre cercato di acquistarselo, di arruolarlo nelle proprie schiere, a difesa del loro principii, mercè blandizie, in cui sono maestri, e vantaggi personali con cui sanno comprare, o quanto meno avvolgere le coscienze meno salde ed inconcusse. Di questa guisa essi ottengono due guadagni: tolgono ai nemici una forza e ne accrescono la propria parte. Padre Bonaventura era dei più accorti in codesta caccia al paretaio delle giovani coscienze, e maestro insuperabile di blandizie e di sofismi rincalzati dalle promesse; più intelligenze, nella sua lunga carriera di intrigante politico e domestico, era già riuscito ad inretire. Ei non credeva a profondità di convinzioni che le renda incrollabili. Nei giovani considerava che agisse più la fantasia che il ragionamento, e che le idee liberali seducessero le ardenti intelligenze parte per quello sbarbaglio di generosità onde lucicchiano, parte per sentimento fors'anco inconscio d'ambizione in chi non è nulla e vuol pervenire, d'invidia in chi non ha mezzi di potenza verso chi li ha, il qual sentimento trova uno sfogo nei patrocinio delle idee democratiche e spera un appagamento nel trionfo delle medesime. Credeva che per tutti la corazza della coscienza avesse un giunto per cui penetrare nel lato debole e vincerla; la difficoltà era nello scoprire quel giunto, ed egli, senza troppa superbia, che i fatti glie l'avevano provato più e più volte, poteva dirsi abilissimo a codesto.

Non era forse il caso ora di usare di questa abilità verso quel cotal personaggio che andava in cerca per le vie de' figliuoli del popolo, affine di insinuar loro il catechismo sovversivo delle idee liberali? Se si fosse potuto farne un affigliato, un diffonditore de' buoni principii, che trionfo! E se mai stato egli fosse in vero figliuolo della sorella del marchese, val quanto dire appartenente ad una delle prime, più ricche e più potenti famiglie dello Stato, qual vantaggio maggiore! Però, siccome fra le cose apprese del passato di Maurilio aveva saputo eziandio che egli era rimasto alcun tempo presso il libraio Defasi, col quale egli era in relazione, e cui conosceva il primo onest'uomo del mondo, fra' Bonaventura decise di andare a chiederne a costui, per farsi di quel giovane e del suo valore un più esatto concetto.

Il signor Defasi, se vi ricorda, nel giovane derelitto, cui la Provvidenza gli aveva un giorno menato innanzi privo d'ogni mezzo di sussistenza, aveva posto dapprima la maggiore delle affezioni, e, conosciutone lo straordinario ingegno, una speciale stima eziandio, che di tanto aveva rafforzata la sua benevolenza per lui, da fargli concepire il disegno di dare a quell'orfano senza nome la mano di sua figlia; e Maurilio fino ad un certo tempo aveva corrisposto alla generosità ed all'affetto del suo benefattore con tutto lo zelo e la riconoscenza ond'era capace. Ma di poi, per sua disavventura, era piombato addosso al povero giovane quel suo matto amore per la nobile fanciulla Virginia di Castelletto, e il dominio di questa infelice passione lo aveva mandato ad una stranezza di condotta che il suo buon principale aveva cominciato per compiangere soltanto e per tentare di voler guarire, credendola effetto d'infermità. La sorte che perseguitava il povero trovatello aveva voluto che Nariccia, sapendo Maurilio allogato presso del libraio, si credesse in obbligo di avvertire costui come quel giovane fosse stato per mesi e mesi in carcere sotto l'accusa di un orrendo misfatto, come egli stesso, che aveva avuta la dabbenaggine di prenderlo poi al suo servizio, l'avesse dovuto scacciare di casa sua, perchè aveva avute le prove che quello sciagurato sfacciatamente lo derubava.

Il signor Defasi provò a queste rivelazioni tutta la amarezza d'un disinganno, e non potè fare che il sospetto e la diffidenza non entrassero in lui verso quel giovane che gli era stato ed ancora gli era sì caro, e del quale gli strani contegni da qualche tempo assunti davano ampia ragione ad una poco benevola interpretazione e ad una prudente sorveglianza de' fatti suoi. Avvenne, come udimmo narrato da Maurilio medesimo, che un giorno il libraio trovasse sparito un rotolo di monete d'oro del valore di cinquecento lire ch'egli aveva riposto nel cassetto del suo banco. Interrogatine tutti della famiglia, e niuno sapendone dar ragguaglio di sorta, era inevitabile lo accusare di questa scomparsa colui che tanto era venuto in sospetto, e il quale, per una strana coincidenza, di tutto il giorno, obliando il dover suo, non s'era lasciato vedere a bottega. Maurilio quindi era stato scacciato da quella casa e da quell'impiego, come udimmo narrare da lui medesimo a Giovanni Selva. Ma qual fu la sorpresa, la pena e il rimorso del buon Defasi, quando parecchi mesi di poi, avendo non so per qual guasto da far aggiustare il suo banco, il rotolino delle monete d'oro si trovò in uno stretto spazio fra la rivestitura esteriore e il cassettino che non correva sino al fondo, sdrucciolato colà chi sa per che caso! L'onesto libraio avrebbe dato qualunque cosa per riparare l'avvenuto errore, più ancora per non averlo fatto. Cercò istantemente del giovane; ma egli ne aveva perdute affatto le traccie, e Maurilio, pieno di vergogna, si guardava bene dal farsi vivo per quella famiglia e studiosamente evitava perfino di passare per la strada in cui erano l'abitazione e il fondaco dei Defasi. Il suo antico principale dovette rimanersi ad un inutile rimorso, ma nell'anima di lui generosa, avvenne una tal riazione in favore dell'innocente calunniato ch'egli cessò di prestar fede a tutto quanto riguardo a lui avevagli detto di male messer Nariccia (l'accusa ch'egli stesso gli aveva mossa era effetto d'un deplorabile errore; perchè non sarebbe stato la stessa cosa delle accuse precedenti?); e rinacquero più forti e più vivi l'affetto per quell'infelice, la stima e l'ammirazione per quell'intelligenza superiore di molto a quante intorno a sè Defasi avesse mai conosciute.

Da ciò avvenne che quando Padre Bonaventura fu da lui a chiedere di Maurilio, il libraio ne intessè tale un elogio della mente, del cuore, della volontà, della dottrina, che il gesuita si confermò ancora di meglio nel suo proposito di guadagnare alla buona causa quella valente individualità. Non fosse anche quegli che si sospettava, sarebbe sempre stato per la Compagnia un buon acquisto. La riuscita del tentativo di seduzione il gesuita la vedeva facile, tanto più trattandosi d'un povero abbandonato, senza famiglia, senza sostanze, senza punto avvenire. Chi sa che non lo si potesse indurre a vestire l'abito nero della Compagnia! Egli, conosciuto quel giovane e tastatolo, avrebbe giudicate se conveniva spingere innanzi le indagini intorno alla sua origine, o pur lasciarle nel buio, e si riserbava d'agire a seconda, anche riguardo alle possibilità del contegno che avrebbe assunto il marchese; ma gli avvenimenti camminavano più rapidi e decisi che al gesuita non piacesse, e la Gallona veniva ad informarlo di quanto era occorso fra lei e Don Venanzio e Giovanni Selva, e del meraviglioso fatto che quel giovane già trovavasi in qualità di segretario, introdotto ed albergato nel palazzo medesimo dei Baldissero.

Conveniva prendere sollecita risoluzione. L'intromettersi del virtuoso parroco vivamente rincresceva al frate intrigante. Quegli avrebbe spinto la sua azione sino al compiuto conseguimento della verità; era utile affrettarsi a farsene egli stesso merito ed entrando innanzi a quegli altri agire presso il marchese per cercare di volgere le cose secondo il proprio interesse. Incaricava quindi la Gattona di menargli ad ogni costo innanzi quella sera stessa il giovane, ed egli domandava pel domani udienza al marchese il quale di quel giorno aveva chiusa a tutti la porta del suo studio. Secondo il risultamento del suo colloquio con Maurilio, fra' Bonaventura avrebbe determinato il modo di regolarsi col marchese, i consigli da dargli e la direzione per cui avviare i propositi del medesimo.

Maurilio e il gesuita si trovavano dunque seduti l'uno accosto dell'altro, sul piano impagliato del sofà, nella modesta cella del frate, al dubbio chiarore d'una lampada, i cui raggi erano impediti di espandersi all'intorno da un coprilume. Si osservavano attentamente, quasi cercando cogliersi l'un dell'altro nel volto il segreto pensiero e le intenzioni: di fra' Bonaventura la conoscenza del mondo e degli uomini, l'abilità accresciuta dall'uso continuo, facevano un osservatore acutissimo, il cui sguardo penetrava molto agevolmente entro l'anima di chi gli stava innanzi; Maurilio, dalla diffidenza cui la specialità delle sue condizioni aveva fatta in lui naturale, dal sospetto che gli nasceva spontaneo per la nota volpina falsità del gesuita, dall'altezza medesima del suo ingegno, il quale, quando veramente esista, prova in ogni cosa a cui si applichi, aveva tutti i mezzi onde passare fuor fuori i raggiri e gli inganni del suo interlocutore. Era dunque una lotta fra due capaci e degni campioni; ma sul principio il vantaggio stette da parte del monaco, perchè il pensiero che in quel colloquio egli avrebbe appreso alcuna cosa del suo destino diede al giovane un'emozione, che congiunta a quella cui soleva sempre da principio destargli la sua timidezza in ogni nuovo contatto con altre personalità, arrivò quasi alle proporzioni d'un turbamento.

A Padre Bonaventura la vista di Maurilio fece la medesima impressione che aveva fatta alla vecchia Modestina Luponi.

– Che? disse fra sè. Questi sarebbe il figliuolo della bella marchesina Aurora? Fidatevi ai contrassegni della schiatta! Ecco il discendente di due leggiadre creature dalle più fini forme aristocratiche, al quale una misera vita in mezzo all'ambiente plebeo ha dato tutte le sembianze d'un figliuolo della plebe.

La sua attenzione fu però chiamata dall'intelligente ampiezza della fronte e dalla misteriosa potenza di quegli occhi color del mare e come il mare profondi.

– Oh oh! costà in quel cranio non c'è davvero un cervello di pan bollito e in codesta non bella scatola ossea sta un'anima che non è volgare… Ed a Volontà come stiamo?

Osservò le protuberanze ben disegnate e spiccanti dell'alto della fronte, la quale si drizzava sul viso perpendicolare come il frontone d'un tempio.

– Uhm! soggiunse, non sarà facile fargli cambiar di convinzioni… Ma avrà egli vere convinzioni?.. Speriamo di no.

E mentre lo conduceva, come ho detto, a sedersi presso di lui sul sofà, con aspetto, alti e voce benevolissimi e carezzevoli, il gesuita veniva pensando:

– Egli ha sofferto di molto; se ne vedono le traccie sul volto travagliato e nel corpo che ci ha patito. Deve avere una rabbia maledetta contro il destino che gli è toccato, e una più maledetta smania di ricattarsi coi godimenti… Se noi gli apriamo il passo alle gioie ed alle soddisfazioni mondane, e gli diciamo: son tue se ci vieni con noi; egli ci si precipiterà senza punto curarsi più qual sia la bandiera che gli faremo sventolare sul capo… Se non ne faremo un gesuita, potremo farne un gesuitante… Forse!

Maurilio aveva il respiro impacciato, come preso da un lieve affanno, e più impacciato il labbro che non sapeva trovare parola; il gesuita gli prese di nuovo una mano fra le sue e dissegli più amorevolmente che mai:

– Mio caro amico, caro figliuolo… La mi permette ch'io la chiami così?.. S'immagina Ella qualche poco il motivo che mi ha fatto mandarla a pregare di venire qui?

Maurilio esitò un momento a rispondere: trasse un grosso respiro, come chiamando in suo soccorso il fiato che l'emozione gli impediva di venir liberamente alla gola, tolse dalle mani del gesuita la sua destra fredda come un pezzo di ghiaccio e incrociando le dita delle mani che premeva forte sulle sue ginocchia, rispose poscia con quella sua voce ordinariamente sorda e contenuta, che non aveva vibrazione ed armonia se non quando la potenza di un'idea o di un affetto scuoteva l'intimo esser suo:

– Le parole della nonna di Luchino me ne diedero un sospetto… Ella vuole parlarmi della famiglia che fu mia e che mi ha rigettato.

– Adagio, disse il gesuita con quel suo accento dolcereccio che gli era abituale, accompagnato da un pari sorriso. Secondo il benedetto uso di tutta la gioventù, Ella galoppa colla fantasia, e le sue supposizioni vanno al di là del vero.

Maurilio diede in un leggero trasalto e volse al frate la sua faccia più turbata e più impallidita di prima.

– Che? interrogò egli: non ha da esser questo l'argomento del nostro colloquio? Non sono io dunque ancora al punto fatale in cui metterò finalmente la mano sul motto dell'enimma che è la mia vita?

– La mi fa due interrogazioni a cui non posso fare la medesima risposta. Alla prima posso dare un'affermativa: sì, noi siamo qui appunto per discorrere amichevolmente di alcune cose, di qualche circostanza che possono influire sulle ulteriori determinazioni da prendersi per parte di certuni cui tale argomento interessa massimamente. Quanto alla seconda interrogazione, se cioè ora Ella possa scoprir tutto ciò che la riguarda, debbo, con mio gran rincrescimento, rispondere che io non ho nè qualità, nè mandato per rivelarle dei segreti che posso conoscere, ma che non m'appartengono…

Maurilio s'alzò di scatto da sedere e girò tutt'intorno alla stanza uno sguardo fra sospettoso e investigatore.

– Che cosa sono dunque venuto a fare qui? Che cose, che circostanze son quelle intorno a cui mi si vuole discorrere, e forse scrutare? Se Ella non può aprirmi il vero, perchè sciupare tuttedue il tempo in inutili parole, che nulla hanno da conchiudere?

Padre Bonaventura tornò a prendere per la mano il giovane, sorridendo più benignamente che mai, lo trasse con dolce violenza a sedere di nuovo presso di lui, e con accento di amorevolezza paterna passando dal Lei a dargli del più domestico Voi, gli disse:

– Oh impazienza giovenile! Le nostre parole hanno tutt'altro che da essere inutili e non conchiudere nulla. E se da loro al contrario avesse da dipendere più questa, o più quella vicenda della vostra sorte?

Maurilio fissò il suo occhio, che in questo momento era oscuro come un cielo abbuiato, e in cui dal fondo delle occhiaie balenavano lampi annunziatori di un'interna tempesta.

Il frate gesuita riprese:

– Voi sapete di già, per le parole sfuggite alla Gattona, che la famiglia a cui forse voi potreste avere alcun diritto di appartenere è una illustre e nobile famiglia.

Il giovane non potè frenare una mossa di soddisfazione, di superbia.

– Ah ah! egli è ambizioso: disse a se stesso Padre Bonaventura, che non cessava di tener il suo sguardo felino fisso sul lineamenti del suo interlocutore. Buono! è questa una presa da poterlo afferrare.

– Or bene, continuava il frate, questa famiglia, troverete ragionevole anche voi, che voglia conoscere qual sia e che cosa pensi quell'individuo il quale si presenta ora fatto e cresciuto per appartenerle.

Maurilio, che era oramai tornato in tutta la calma del suo spirito, chiese con una velata ironia:

– È questo dunque un esame che mi si è chiamato a subire?

– È una conversazione amichevole, come vi ho già detto, in cui, spero che andremo d'accordo.

– E di ciò ha Ella ricevuto incarico da codesta mia famiglia?

– Non vi dico che sia così: rispose gesuiticamente fra' Bonaventura; ma fate come se così fosse.

Il giovane incrociò le braccia al petto in una mossa di superba aspettazione.

– Parli dunque Lei primo, Padre reverendo. Esponga il credo che io dovrei avere, perchè i miei congiunti si risolvessero a fare il loro dovere: quello di riparare ad un infame delitto onde mi fecero vittima. Io le dirò di poi se potrò giurare in quelle verba magistri.

– Ahi! pensò il gesuita: egli è orgoglioso al par di Satana.

Assunse il contegno più umile e più benigno che e' potesse, congiunse le mani, levò gli occhi al soffitto, come per cercare ispirazione dal Cielo e cominciò:

– Quantunque sia la prima volta che noi ci troviamo fronte a fronte, io è già da qualche tempo che ho imparato a conoscervi ed apprezzarvi.

Era una piccola bugia; ma secondo la morale gesuitica l'onestà del fine giustificava agli occhi del frate la lieve colpa del mezzo.

– Che! esclamò Maurilio stupito. Ella mi conosceva?

Padre Bonaventura confermò con un cenno e con un sorriso il suo detto, e continuò:

– Vi conosco, e noi, che c'interessiamo per tutti quelli che hanno un vero valore, che li amiamo più degli altri fratelli nostri in Gesù Cristo, vi seguitiamo con isguardo pieno di cura e di sollecitudine, deplorando le vostre tendenze e pregando Iddio perchè vi guidi sopra sentiero migliore. Voi siete generoso e volete il bene, lo so; ma alla vostra età, colla vita che avete vissuto, non si può scerner ancora con fondamento, quale sia il bene reale del genere umano; non si conoscono tuttavia gli uomini, non si è abbracciato con vista complessiva tutto l'organismo degli ordini sociali, per giudicare che cosa al governo di questi uomini convenga; si va più facilmente dietro a smaglianti chimere che alla meno splendida, ma soda realtà, solo efficace. Anzi per provvidenziale decreto di Dio che vuole l'intelligenza umana riconosca la sua debolezza, quando abbandonata a sè, l'audacia, la temerità giovanile fa scorgere il bene ed il vero nelle strade che nuove sembrano aprirsi allo spirito umano. Si crede un generoso impulso il disconoscere ciò che è insegnato dall'esperienza del passato, dall'autorità della tradizione, ciò che posa sulla base inconcussa della divina rivelazione. Ma voi, da quanto io ho potuto apprendere, avete troppo talento per ostinarvi a chiudere gli occhi alla luce, quando questa vi sia fatta splendere dinanzi…

Maurilio schiuse la bocca ad un suo sorriso pieno di sì fina ironia, che il frate s'interruppe, e mettendo con mossa affettuosa una mano sulle ginocchia del giovane, soggiunse con paterna bonarietà:

– Vedo sulle vostre labbra la punta d'un'obbiezione. Parlate, parlate pure liberamente, chè qui siamo per leggerci a vicenda l'uno dell'altro nell'anima.

– Vuole sapere la ragione del mio sorriso? Eccola. Ella vuole farmi brillare dinanzi la luce: ma che luce è dessa quella che il suo partito e la sua scuola sono disposti a concedere ai miseri mortali? Poichè Ella stessa m'invita alla franchezza, dirò che credo loro intendimento e loro compito la luce del vero misurarla con tanta parsimonia all'uomo che egli trovisi nelle tenebre, costretto a seguire ciecamente per guida i loro consigli e voleri…

– Se questi voleri e consigli lo hanno da guidare al bene ed alla maggior possibile felicità, interruppe con qualche calore il gesuita, non vi pare opera buona e doverosa il fare che primeggino ed ottengano? Io non contesto quanto voi avete detto, e non vi accuso di attribuirci concetti che non sono i nostri. Vi ho detto che fra di noi doveva esserci un'assoluta franchezza. Sì, noi vogliamo misurare la luce: ma quando una pupilla non è capace di sostenere che una data quantità di chiarore, è prudenza, è carità, è dovere il non dargliene appunto che a quel grado…

– E chi li fa giudici di questa misura?

– Il nostro santo ministero medesimo.

– No: l'interesse d'una casta, che da quello scuriccio ottiene l'opportunità e la sicurezza di dominare.

– Sia; ma dominando spinge al vero bene l'umanità.

– La coscienza umana ha acquistato un altro concetto del suo bene, vuole un altro mezzo di arrivarlo: la libertà.

– Parola ingannatrice! È lo scisma, è l'eresia. In essa appiattasi la facoltà di fare il male… Nel mondo, facciasi checchè si voglia, vi saranno sempre due classi d'uomini: quelli che sanno, che pensano, che hanno il talento e i mezzi d'istruirsi e di conoscere, e quelli che sono condannati a vivere nell'ignoranza: i primi sono i pochi, i secondi sono i molti. Chi può negare che a quelli non appartenga il diritto, anzi il dovere di guidare gli altri, precisamente come ai genitori quello di dirigere i loro figliuoli bambini?

Maurilio scosse il capo ed accennò parlare.

– Dite, dite pure: s'affrettò a sclamare il frate interrompendosi.

– Sì è vero, così parlò Maurilio, l'umanità fu divisa, è divisa ancora in due parti: dei pochi che sanno e che possedono, dei molti che non hanno ed ignorano. Ai primi tutte le distinzioni, tutti i gaudii sociali; ai secondi nulla. Ah! loro non suppongono neppure quali sieno le sofferenze di questa immensa turba di diseredati nella civiltà, quanta sia e dolorosa la cancrena della miseria e dell'ignoranza nella plebe. Io lo so che ho vissuto in mezzo ad essa; io lo so che quelle sofferenze ho provate. E se là in mezzo cadde un'anima più sensitiva, una intelligenza più sveglia, me lo creda, Padre, i tormenti morali saranno peggiori e più crudeli ancora dei materiali.

– Voi mi cercate delle eccezioni; disse il gesuita colla medesima benignità di sorriso e di voce, ma tuttavia con un accento in cui faceva capolino una lieve impazienza della contraddizione. Sui cento mila ve ne sarà uno capace di sentire quei tormenti morali che voi dite. E poi non è vero che ad una eletta intelligenza, caduta per azzardo nelle basse sfere sociali, sia assolutamente chiuso il cammino. La società è abbastanza bene organata perchè sappia e possa giovarsi di tutte le potenti individualità che Iddio mandi al genere umano, in qualunque classe piaccia al suo alto senno farla nascere. La monarchia, dalla quale abbiamo la fortuna e l'onore d'esser retti, non sa ella cercare e scegliere i suoi zelanti servitori anche tra le più infime famiglie per innalzarli ai primi gradi e favorirli di titoli, di ricchezze e di onori? E la Chiesa? Non è dessa una madre amorosa che, senza riguardo ai privilegi di nascita, innalza tutti coloro che se lo meritano, ai più eminenti seggi della sua gerarchia? Quanti dalle più umili condizioni non salirono essi fino al più allo fastigio, ad una grandezza «ch'era follia sperar?» Voi sapete troppo le storie perchè io perda il tempo a citarvene degli esempi.

– Queste si ch'Ella mi cita: interruppe Maurilio con vivacità; queste sono eccezioni. Ma la cosa non va riguardata dal lato dell'individualità, sibbene dal lato delle masse. Poco importa che di quando in quando, uno della plebe rompa il cerchio fatale che costringe nella miseria e nell'ignoranza tutti i suoi compagni, e si spinga anco fino alle splendide aure del potere. Gli è tutta quella classe infelice che dev'essere redenta dalla fame, dalla superstizione, dall'errore. Il progresso umano sta tutto in ciò, che anche ai molti s'acquisti una sempre maggior quantità di beni intellettuali ed economici…

Fu con decisa impazienza, questa volta, che Padre Bonaventura esclamò:

– Il progresso! il progresso!.. Davvero che me l'aspettavo questa parola… La è sempre in bocca dei moderni novatori… È un'assurda teoria che prende l'uomo alla rovescia. Voi vedete nell'avvenire quello stato di perfezione che fu nel passato prima della caduta dell'uomo; e sperate superbamente arrivarlo, colle vostre misere e spesso empie pseudo-conquiste della scienza. Tutto il progresso umano è contenuto nella rivelazione. Fuori di li sono illusioni superbe e tenebre.

– Scusi. Il progresso è la legge che comanda a tutte le cose dell'universo. Tutto progredisce, perchè tutto si muove, e muovendosi si muta, e mutandosi sarebbe fare un oltraggio alla sapienza di Dio il dire che non migliori. Guardi la storia medesima della terra, le successive creazioni delle successive epoche cui ha percorso la vita del nostro globo, e vedrà un continuo sforzo evidente della natura a raggiungere ed estrinsecare sempre più perfette e più nobili forme e più intelligenti creature, finchè arriva all'uomo.

Il gesuita, con quel suo atto di affettuosa domestichezza, pose di nuovo la mano sul ginocchio del giovane.

– Non perdiamoci in così vasto ambito di considerazioni: diss'egli col suo solito sorriso; e restringiamoci al nostro caso particolare. Comprendo che voi, caro figliuolo, appartenendo finora di fatto a quella classe che voi chiamate dei diseredati, voleste e vi proponeste di tentare – usando sempre le vostre espressioni – la redenzione della medesima, per ottenere con quella la vostra esaltazione…

Maurilio scosse il capo, come per protestare che quello non era stato mai suo proposito; ma fra' Bonaventura, o non vide, o fe' mostra di non vedere, e continuò:

– Avevate torto, perchè, sentendo ed apprezzando il valor vostro, dovevate dirvi che eravate della razza degli uccelli dall'alto volo e non di quella destinata a chiocciare nel fangoso suolo del pollaio; e quindi, senza cercare di levare ad un volo impossibile i vostri compagni senz'ali, dovevate pensare ad imbrancarvi voi alla schiera de' pennuti e slanciarvi nelle serene aure del cielo…

– Oh come poterlo? Non seppe tanto frenarsi Maurilio che non interrompesse. Ma tutto intorno abbiamo una fitta grata che ce lo contende.

– Per chi non sa scegliere l'acconcio modo d'uscita: ribattè lesto il frate. Se voi aveste saputo cercare validi protettori: se foste venuto, per esempio, a picchiare alle porte di questo convento. L'umile tonaca che mi vedete addosso avrebbe potuto aprirvi meglio d'ogni vostra audacia di pensiero e d'azioni, il cammino. La predicazione, l'insegnamento, la composizione di buoni libri, la paterna protezione della nostra Compagnia vi avrebbero scorto anche ad una cattedra vescovile. Ma, come dicevo, comprendo che per l'addietro queste idee non sieno nate in voi; ora però, se voi uscite da quella sfera in cui foste relegato finora, se voi arrivate in più felice lido e ponete il piede in più splendida regione, spero che troverete anche voi opportuno, che sentirete anzi il bisogno di cambiare opinioni e parere, che vedrete con diverso aspetto le cose del mondo, appunto perchè le esaminerete da un altro punto di mira, che riconoscerete in voi l'obbligo di difendere quegli ordini religiosi, politici e sociali che volevate, ed avevate anzi già cominciato assalire; che vi giudicherete della parte dei pochi illuminati a cui è affidata la guida del gregge umano, e invece di osteggiare e rendere difficile l'opera loro, vorrete aiutarla.

Padre Bonaventura tacque un momento, come per lasciar agio al giovane di manifestare il suo pensiero; ma il nostro eroe, immobile, colle braccia incrociate sul petto, non aprì bocca e stette aspettando la conclusione con uno sguardo che sfavillava vivissimo nel fondo delle occhiaie, dalle sue pupille color del mare.

Il gesuita s'ingannò sulla significazione di quello sguardo: credette scorgervi la cupidigia dell'ambizione, e riprese a dire con più calore:

– A quali destini possiate arrivare, lo lascio pensare a voi. Colla protezione d'una famiglia potente, col favore dell'aristocrazia, coll'appoggio di noi, lo strenuo, eloquente, ispirato difensore dei buoni principii otterrà quello che vuole.

Gli strinse come prima, ma più forte, il ginocchio, e tendendogli l'altra mano dinanzi, come per mostrargli nella penombra della stanza le cose che stava per evocare all'immaginazione del giovane, soggiunse col tono di perorazione d'un buon predicatore:

– Nella vita secolare le prime cariche dello Stato, tutte le distinzioni, tutti gli onori, tutto il potere; e nel clericato, se mai Dio vi fosse così benigno da ispirarvi a vestire l'abito del nostro ordine, i primi gradi, le infule vescovili e forse forse…

Abbassò la voce:

– Anche la tiara!.. Sisto V era meno di te, figliuol mio!

Maurilio aveva sulle labbra un sogghigno pieno di tanta ironia, che fra' Bonaventura, vedendolo, agghiacciò di subito. Levò vivamente la sua mano dal ginocchio del giovane, spense il suo rettorico entusiasmo, e si tirò indietro sul sofà, quasi con moto di sgomento improvviso.

Il giovane sorse in piedi con tutta freddezza, e disse lentamente:

– Io non sono punto ambizioso. Nelle mie sofferenze ho sentito le sofferenze di tutta una classe: non aspiro al mio solo vantaggio: voglio lavorare per quello di tutti gl'infelici, per quello in conseguenza di tutto l'umano consorzio, della civiltà. O che ha ella creduto la famiglia – ch'io non so se giungerò mai a chiamare mia – ha creduto potermi imporre una condizione per compir essa il dovere che le incombe di riconoscermi? Ed una scellerata condizione, qual è quella di rinnegare le mie opinioni, di mutare dall'oggi al domani convinzioni e credenze, cui non il particolare interesse, glie lo giuro, ma l'apprezzamento del vero, ma la matura riflessione del mio intelletto mi ha ispirate? La s'è ingannata; la s'inganna ancor Ella, Padre, nel credermi capace di ciò. Fosse anche una madre che mi tendesse le braccia a questi patti, io sarei disposto a farle la nobile risposta di D'Alembert.

Il gesuita s'alzò egli pure. La sua faccia smise ad un tratto ogni espressione di benignità per assumerne una di riserbata freddezza: aveva capito che ogni ulteriore insistenza sarebbe stata inutile, che quella volontà non si smoveva nè per blandizie, nè per offerte; pensò un momento ricorrere alle minaccie e ne fece un lieve tentativo.

– Ella dunque, disse tornando a più cerimoniose forme di discorso, è un nemico sfidato della Chiesa e del Trono, e vorrebbe combattere queste due istituzioni sacrosante in qualunque condizione si trovasse?

– No: rispose con forza Maurilio protestando. Non penso che la Chiesa e il Trono sieno ostacoli assoluti al progresso che vagheggio; spero quindi che anche con essi possa il vantaggio delle plebi ottenersi. Sono forme anche quelle istituzioni, e col moto del tempo ancor esse debbono modificarsi. Credo che le si salveranno appunto modificandosi, secondo il progresso sociale.

– Niente affatto. Chi le vuol toccare, vuol farle perire. Le sono come la nostra benemerita Compagnia: e il motto che si disse di noi, deve applicarsi anche a quelle istituzioni che noi colle nostre deboli forze difendiamo: sint ut sunt aut non sint… E saranno! Portae inferi non praevalebunt. Crede Ella che le si lasceranno assalire dalle temerità dei novatori moderni, senza difendersi e senza riagire? Hanno dalla parte loro il comando, l'autorità, la forza sociale, la parola di Dio, val quanto dire la verità e la potenza. Le temerarie idee e i loro più temerarii profeti rimarranno schiacciati.

Maurilio sollevò la sua vasta fronte intelligente.

– I profeti, sia; può essere: esclamò egli, e questa volta la sua voce vibrava coll'emozione ond'è dominato l'uomo il quale bandisce una coraggiosa verità contrastata: ma le idee no. Soffocate per qualche tempo soltanto, esse non muoiono, per dolori e tormenti di coloro che le patrocinano non rinunziano, nel sangue anche dei loro proclamatori non si spengono. Aspettano: si nascondono forse, ripostamente serpeggiano fuor dell'arrivo delle polizie e delle predicazioni e della propaganda del clero; e un bel dì sorgono in uno scoppio che è un trionfo, padrone del campo, dominatrici del mondo. Guardi nella storia del passato, e vedrà sempre essere avvenuto così, cominciando dalla più grande delle idee, dall'idea cristiana…

– Ah! Ella bestemmia! Oserebbe paragonare le temerità delle malvagie passioni demagogiche alle sacrosante cose della divina nostra religione?

– Anche le idee del Cristo erano temerità demagogiche pei gaudenti del mondo pagano… Io sono un nulla nel mondo; ma tutte le mie poche forze ho consecrato al servizio di certi principii a cui ho dato irrevocabilmente l'acquiescenza dell'animo mio e il consentimento del mio pensiero; e quali che sieno le seduzioni onde mi si voglia allettare, qualunque le minaccie che mi si facciano trasparire, non muterò, se Dio mi assiste, per tutta la vita. Ho pensato sempre a quel momento che mi pareva pure impossibile, in cui la mia famiglia potrebbe riaprirsi per me, che ne fui, non so per qual cagione, spietatamente reietto, ed ho sperato parecchie volte eziandio, glie lo confesso, che questa famiglia potrebbe non essere nè spregevole, nè disonorata, avrei dato qualunque cosa per giungere a questo risultamento; mi dicevo che non la menoma recriminazione, non il menomo lamento avrei mosso contro quella barbarie che mi ha condannato al supplizio di tanti anni di miserabil vita, di disprezzata condizione; ma non avrei creduto mai che questa famiglia volesse ancora impormi un sacrifizio cui non posso e non debbo sopportare: quello della coscienza, quello di ciò che l'uomo ha di più sacro, le proprie convinzioni. Se codesto pretende da me, le dica, signore, che preferisco rimanermi nell'oscurità del mio nulla.

S'avviò per andarsene; il gesuita non lo trattenne; prese anzi la lampada e gli fece lume fino al cominciar delle scale, dove, appena chiamato, venne il frate laico per guidar fuor del convento il visitatore.

– Addio: gli disse Padre Bonaventura. Non dispero che veniale a migliori pensamenti. Se mai crederete d'aver qualche cosa da dirmi poi, se vi sentirete in migliori disposizioni, venite a trovarmi…

Maurilio fece risolutamente un segno negativo, come per dire che non sarebbe venuto mai. Il gesuita mandò un sospiro.

– Dio vi guidi ed illumini! Colla vostra famiglia, se pur sono veri i sospetti che se ne hanno, se la Provvidenza vuole porvi in presenza di lei, tratterete voi medesimo senza intermezzo; io ho fatto quello che ho creduto bene per tutti, e mio dovere.

Rientrò nella sua cella, e intanto pensava:

– Se non ci fosse immischiato quello stupido di un onest'uomo che è Don Venanzio, il meglio sarebbe lasciar tutto ignorare al marchese e trovar modo di fare sparire ogni traccia… Ciò non potendo più oramai, è meglio svelare io stesso la verità al marchese e disporlo in guisa che stimi dover suo non riconoscere il figliuolo di sua sorella.

La plebe, parte IV

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