Читать книгу L’alibi Perfetto - Блейк Пирс - Страница 10

CAPITOLO SETTE

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Jessie ignorò l’improvvisa fitta di tensione allo stomaco e si guardò attorno, alla ricerca di qualsiasi elemento sospetto.

Era stato un atto sorprendentemente sfrontato: in pieno giorno, nella tranquilla via di un quartiere bene. Chiunque avesse agito, chiaramente non aveva poi tanta paura di essere beccato.

Non le balzò all’occhio niente di strano. Circa mezzo isolato più in là lungo la strada, c’era un piccolo furgone bianco rivolto verso di lei. Ma un secondo dopo, due uomini emersero da dietro il veicolo, occupati a trasportare un grosso divano verso una delle case vicine.

Qualche momento dopo Jessie vide un poliziotto in motocicletta sbucare da una strada laterale e dirigersi dalla parte opposta rispetto a lei. Sembrava stesse facendo un normalissimo giro di controllo. Era stata solo una sfortuna che non fosse passato quando le avevano tagliato i copertoni? O c’era dell’altro?

Odiava dover trarre la seconda conclusione, ma non poté fare a meno di considerarla. Era passato solo un mese da quando si era trovata personalmente coinvolta in un caso che aveva svelato un enorme scandalo legato alla corruzione nel mondo della polizia. Il suo contributo aveva portato all’arresto di più di una dozzina di agenti, incluso il capo del Gruppo Investigativo del Dipartimento di Polizia di Los Angeles e del sergente Hank Costabile della centrale di Van Nuys dell’ufficio della Valley.

Durante le indagini, Costabile aveva minacciato – prima sottilmente e poi apertamente – sia lei che sua sorella Hannah. Era forse l’atto di uno dei suoi scagnozzi che cercava vendetta per il suo amico ora incarcerato? Se così fosse, perché aspettare un mese e fare una cosa così casuale e sciocca?

O era forse possibile che il fatto fosse in qualche modo collegato ai rapimenti? Il rapitore stava forse in agguato fuori dalla casa dei Ferguson? Questo era un suo modo di mettere Jessie in guardia? Le sembrava improbabile, dato che dubitava che l’uomo bazzicasse nei paraggi. Anche se fosse stato il caso, non aveva modo di sapere che Jessie, vestita com’era con abiti civili, stava indagando sul caso.

Chiunque fosse stato e qualsiasi fosse il motivo del gesto, non cambiava il fatto che ora Jessie aveva bisogno di un carro attrezzi. Mentre aspettava, chiamò Ryan per aggiornarlo sia sull’interrogatorio che sull’incidente ai copertoni. Gli fornì tutti i dettagli, sperando che gli venisse in mente qualcosa che a lei stava sfuggendo.

“Potrebbero essere stati semplicemente degli odiosi ragazzini,” le propose lui, riguardo ai copertoni tagliati.

“Forse,” gli concesse Jessie. “Ma siamo nel mezzo di una giornata di scuola. Anche se alcuni ragazzi avessero marinato, pensi che se ne andrebbero in giro per il quartiere a tagliare tutti e quattro i copertoni di una singola auto? A me sembra una cosa più mirata.”

“Probabilmente hai ragione,” ammise Ryan. “Hai avuto più fortuna con la vittima del rapimento?”

“Un po’,” gli rispose. “Purtroppo quello che mi ha raccontato ci sarà più utile quando avremo per mano un sospettato. Fino ad allora, non è molto. Tu hai sentito niente?”

“A essere onesto, sono stato concentrato sulla testimonianza di oggi pomeriggio. Se non fosse per quello, verrei a prenderti.”

“Molto dolce da parte tua, ma non è necessario. Ti ci vorrebbe un’ora per arrivare qui, e non ho fretta. Appena mi cambiano i copertoni e torno alla centrale, devo solo rivedere le cartelle del caso Olin.”

Ci fu silenzio dall’altra parte della linea. Jessie si chiese cosa avesse potuto dire di sbagliato.

“Cosa c’è?” gli chiese ansiosa.

“Niente,” disse Ryan. “Stavo solo pensando che per quando riavrai indietro la tua macchina, non ha tanto senso che tu venga qui. Decker è andato al quartier generale per aggiornare i pezzi grossi sul raid della squadra del buon costume. Gli ci vorranno ore prima che torni. E tu hai per le mani una rara giornata tranquilla. Magari dovresti prenderti il pomeriggio libero e stare un po’ con Hannah senza me come terzo incomodo.”

“Non sei un terzo incomodo,” protestò Jessie.

“Sai quello che intendo. Sono sempre stato nei paraggi ultimamente. Questo potrebbe darvi la possibilità di passare un po’ di tempo tra donne. E se Hannah decide di usarlo per condividere qualcosa di personale, non sarebbe poi una brutta cosa.”

Jessie fu sorpresa del suo suggerimento.

“Ti è sembrata incline a fare una cosa del genere?” gli chiese, domandandosi se le fosse sfuggito qualcosa.

“Le ragazze di diciassette anni non hanno sempre qualcosa di personale che vogliono tenere per sé, anche se non hanno passato quello che è capitato a lei?”

“Sì,” disse Jessie. “Mi sto solo assicurando che tu non stia cripticamente alludendo a qualcosa di specifico.”

“No. So solo che Hannah sta andando dalla terapeuta, la dottoressa Banana.”

“Dottoressa Lemmon,” lo corresse Jessie, tentando di non ridere.

“Giusto, giusto. Sapevo che era della cerchia della frutta. E hai anche incaricato Garland Moses di analizzarle il cervello.”

“Sai che mi chiamava per quello ieri sera?”

“Sono un bravo detective. E poi gli hai assegnato una suoneria specifica e hai detto ‘Ciao Garland’ quando hai risposto. C’è da considerare anche questo.”

“Quindi non serviva che tu fossi un veggente, insomma,” lo canzonò.

“Comunque,” proseguì Ryan, senza lasciarsi distrarre. “Ho pensato che magari ad Hannah farebbe bene una chiacchierata con qualcuno che non le parlasse sempre in qualità di professionista di qualcosa. Sai, come una sorella maggiore per esempio.”

Jessie si rese conto che aveva ragione. Lei e Hannah stavano andando sorprendentemente d’accordo ultimamente. Ma per la maggior parte del tempo che passavano insieme, c’era sempre Ryan con loro. Era un’ottima compagnia, ma poteva anche darsi che stesse inavvertitamente trattenendo Hannah dall’addentrarsi in discorsi più pesanti. Magari un po’ di tempo insieme da sorelle l’avrebbe indotta ad aprirsi di più, sempre ammesso che ne sentisse il bisogno.

“Ryan Hernandez,” disse Jessie, sentendosi improvvisamente e inaspettatamente allegra, considerate le condizioni della sua auto, “non sei né la più stupida né la meno sensibile persona che abbia mai incontrato.”

“Grazie?”

“Hai anche un culo adorabile.”

Lo sentì tossire per qualcosa che gli era andato di traverso. Soddisfatta del proprio lavoro, Jessie riagganciò.

*

Hannah fu chiaramente piacevolmente sorpresa quando Jessie si presentò a prenderla direttamente a scuola. Poi divenne estremamente entusiasta quando seppe che si sarebbero fermate a prendere un gelato prima di andare a casa.

“Perché non lavori?” le chiese alla fine, con riluttanza, quando ebbero ordinato i loro coni nella gelateria dietro l’angolo, vicino al loro appartamento.

“Non sono particolarmente occupata adesso,” disse Jessie. “E volevo passare del tempo con te. Sai, senza quello sdolcinato ragazzo attorno.”

“Sdolcinato non è la prima parola che mi viene in mente quando penso al tuo ragazzo,” disse Hannah.

“Attenta,” disse Jessie in tono di finto rimprovero. “Non dobbiamo condividere ogni sensazione nel momento in cui la proviamo.”

Hannah sorrise, ovviamente divertita per essere riuscita a generare un certo imbarazzo.

“Non sapevo che le figlie dei serial killer avessero il permesso di poter condividere sensazioni e sentimenti,” disse ironica.

Jessie cercò di non lanciarsi famelica addosso all’opportunità che la sorella le stava offrendo.

“Tecnicamente, non ci è permesso,” rispose beffardamente. “Secondo il manuale ufficiale, dovremmo essere freddi automi privi di emozioni, che si impegnano in sbrigativi tentativi di copiare il normale comportamento umano. Come te la cavi con queste regole?”

“Piuttosto bene, devo dire,” rispose Hannah, stando al gioco. “Mi sembra che mi riesca piuttosto naturale. Se ci fosse una qualche possibilità di sbocco professionale, penso che sarei una valida candidata.”

“Anche io,” confermò Jessie, dando una leccata al suo cono alla menta e cioccolato. “Probabilmente tu saresti la numero uno nel torneo. E non per vantarmi, ma penso che io sarei una validissima seconda.”

“Stai scherzando?” chiese Hannah mentre mandava giù un bel boccone di sano Rocky Road. “Tu al massimo saresti un jolly.”

“Perché?” chiese Jessie.

“Tu esprimi affetto per gli altri. Hai delle vere amicizie. Hai una vera relazione con una persona a cui sembri voler bene. È quasi come se fossi un essere umano normale.”

“Quasi?”

“Beh, siamo onesti, Jessie,” disse Hannah. “Sei sempre lì che vedi ogni interazione come una possibilità di fare il profilo della persona. Ti butti nel tuo lavoro per evitare le comunicazioni dolorose nella tua vita personale. Ti muovi come un cerbiatto, con la paura che tutti quelli che incontri siano il cacciatore pronto a sparare. Quindi, non completamente normale.”

“Wow,” disse Jessie, sia impressionata che un po’ turbata dalla capacità percettiva della sorella. “Magari dovresti essere tu la profiler. Non perdi un colpo.”

“Oh sì,” aggiunse Hannah. “E cerchi anche di minimizzare le verità scomode con delle battute sarcastiche.”

Jessie sorrise.

“Touché,” disse. “Tutta questa consapevolezza del nostro comune involuto sviluppo emotivo significa forse che le sedute con la dottoressa Lemmon stanno funzionando?”

Hannah ruotò gli occhi al cielo, lasciando intendere che a suo parere quel tentativo di reindirizzare la conversazione era particolarmente mal riuscito.

“Significa che conosco i miei problemi, non che sia necessariamente capace di fare qualcosa per risolverli. Cioè, tu da quanto la vedi?”

“Vediamo. Adesso ho trent’anni, quindi direi più o meno una decina d’anni,” disse Jessie.

“E sei ancora un casino,” sottolineò Hannah. “Questo non mi rende particolarmente ottimista.”

Jessie non poté fare a meno di ridere.

“Avresti dovuto vedermi allora,” le disse. “Confronto alla versione di me a vent’anni, ora sono l’immagine perfetta della salute mentale.”

Hannah parve pensarci su mentre prendeva un morso dal suo cono.

“Quindi mi stai dicendo che fra dieci anni potrei avere un ragazzo che non è per forza come me?” le chiese.

“Ora chi è che sta usando battute ironiche per evitare verità emotive?” domandò Jessie.

Hannah le fece una linguaccia.

Jessie rise ancora e poi diede un’altra leccata al suo gelato. Decise di non spingere oltre. Hannah si era aperta più di quanto avrebbe sperato. Non voleva che la conversazione si trasformasse in un convenzionale scambio figlio-genitore.

E poi, considerava la disponibilità di Hannah ad ammettere la propria sensazione di alienazione come un buon segno. Forse le preoccupazioni di Garland e della dottoressa Lemmon erano esagerate. Forse la sua costante paura che la sorellastra potesse essere una potenziale serial killer era insensata. Forse la ragazza era una normale adolescente che aveva vissuto un inferno e stava cercando pian piano di tirarsene fuori.

Mentre guardava Hannah che si puliva il mento da una goccia di cioccolato, decise che avrebbe creduto a questo.

Almeno per ora.

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