Читать книгу L’alibi Perfetto - Блейк Пирс - Страница 11
CAPITOLO OTTO
ОглавлениеMorgan Remar era sfinita.
Il suo volo di ritorno dalla conferenza per i Servizi Sociali ad Austin era partito in ritardo. Era così stanca che si era appisolata mentre suo marito Ari la riportava a casa in auto dall’aeroporto. Quando arrivarono a casa loro nel distretto di West Adams, vicino al centro di Los Angeles, erano le undici passate.
Avrebbe dovuto incontrare Jessie Hunt, la profiler amica di Kat, domani mattina, e voleva farsi una bella nottata di sonno. Ovviamente le era stato quasi impossibile ultimamente.
Fin da quando era scappata, ormai due settimane fa, si svegliava almeno tre volte a notte, a volte gridando e sempre madida di sudore. Non riusciva a smettere di sentire l’odore di pino del guardaroba nel quale era stata tenuta prigioniera per cinque giorni. Saltava per aria ogni volta che una porta sbatteva o il clacson di un’auto suonava. Temeva che rivivere l’esperienza raccontandola all’amica di Kat avrebbe solo accentuato il tutto.
Arrivarono a casa e Ari imboccò il vialetto. Nessuno dei due smontò dall’auto fino a che il cancello di sicurezza non si fu chiuso alle loro spalle. C’era già quando avevano comprato la casa due anni fa, ma come la villa stessa, che stava invecchiando e che loro stavano lentamente ristrutturando, anche il cancello era piuttosto malconcio. Il giorno che Megan era scappata, mentre si trovava convalescente in ospedale, aveva implorato Ari di farlo riparare. Quando era tornata a casa, l’aveva trovato perfettamente funzionante.
La cosa non avrebbe dovuto sorprenderla. Ari era la persona più gentile e generosa che lei avesse mai conosciuto, il totale opposto del suo primo marito, che aveva lasciato senza provare il minimo senso di colpa. Ancor prima che tutto questo succedesse, la pazienza di Ari nei confronti del suo carattere burrascoso – di cui lei era ben consapevole – era impressionante. Dal rapimento, era diventato un vero e proprio angelo: la accompagnava alle terapie, le faceva dei massaggi, cucinava pranzo e cena e la abbracciava il più possibile.
“Sei sveglia?” le chiese gentilmente, vedendola stiracchiarsi sul sedile del passeggero.
“Sì,” disse lei sbadigliando, “e ho una fame da lupi. I biscotti zuccherosi che hanno offerto sull’aereo non mi sono bastati.”
“Vuoi che ti prepari qualcosa?” le propose.
“No. So che sei esausto. E io sono una ragazza grande. Posso prepararmi un panino da sola.”
“Ne sei davvero capace?” le chiese prendendola scherzosamente in giro.
Lei si accigliò per finta mentre smontava dall’auto e raggiungeva poi la porta laterale della casa, zoppicando un poco e cercando di mantenere l’equilibrio con la gamba sinistra ingessata. Faceva finta di non pensarci, perché altrimenti avrebbe anche dovuto ricordare il motivo per cui si trovava in quella condizione. E non voleva ricordare il modo in cui aveva distrutto la porta di legno del guardaroba in cui il suo aguzzino l’aveva rinchiusa senza prestare troppa attenzione. Non voleva riportare alla mente il ricordo della sua caviglia sinistra che schioccava sonoramente, piegandosi in modo innaturale con l’ultimo colpo, quello che aveva finalmente aperto la porta del guardaroba. Morgan si levò il pensiero dalla testa.
Mentre Ari portava la valigia in casa, lei sorrise debolmente, forse per la prima volta nell’intera giornata. Era bello essere a casa, insieme all’uomo di cui si fidava. Era bello sapere che domani avrebbe incontrato la persona che secondo Kat avrebbe dato una smossa alle indagini.
Morgan conosceva bene il nome di Jessie Hunt ancor prima che Kat gliela nominasse. La donna aveva avuto la meglio su due serial killer prima ancora di compiere trent’anni. Era sfuggita agli intrighi delittuosi del suo stesso marito, che sembrava essere almeno cento volte peggio dell’ex di Morgan. E, almeno nelle interviste, sembrava non scomporsi per nessuno di questi incidenti. Ad essere onesti, Morgan si sentiva un po’ in soggezione.
Ma Kat le aveva assicurato che Jessie era una persona amichevole e che nessuno era più appassionato di lei nella sua ricerca della giustizia per le vittime che incontrava. Quindi sarebbe andata a parlare con lei, anche se significava che a breve sarebbero ricominciati gli incubi.
Ma quello era domani. Stasera aveva bisogno di un bello spuntino. Mentre saltellava verso la cucina, Ari andò a farsi una doccia. Era un mediatore di materie prime e aveva una riunione alle sei di mattina l’indomani con il team della East Coast, quindi aveva programmato di alzarsi, vestirsi e andare in ufficio molto presto.
Sentì l’acqua che si apriva nel bagno principale in fondo al corridoio mentre lei frugava nel frigorifero alla ricerca di qualcosa di appetitoso, ma non troppo pesante. C’era del tacchino affettato che decise di arrotolare in una tortilla, con una spalmata di mostarda piccante. Questo avrebbe dovuto placare la sua fame fino alla mattina dopo.
Il pensiero di andare al lavoro domani dopo il suo incontro con Jessie la riempiva di un complicato miscuglio di entusiasmo e timore. La conferenza era andata bene e lei era entusiasta all’idea di implementare alcuni dei nuovi programmi che aveva appreso.
Il ricovero per senzatetto dove lavorava a Venice era un pilastro portante nella comunità. Ma era anche una struttura lenta ad abbracciare nuove tecniche per andare in aiuto delle popolazioni a rischio. Per una parte della città così eccentrica e all’avanguardia, il programma di assistenza che utilizzavano era sorprendentemente tradizionale.
Si sentiva al contempo elettrizzata dalla prospettiva di poter offrire qualcosa di nuovo, ma anche colma di apprensione al pensiero di dover tornare nel posto dove era stata rapita. Domani sarebbe stato il primo giorno al lavoro dopo il recupero a casa nelle ultime settimane.
Il ricovero aveva assunto un ulteriore agente addetto alla sicurezza per accompagnare il personale dal parcheggio all’ufficio. Ma Morgan non era stata presa da quella parte. Lei era stata rapita mentre tornava dalla pausa pranzo sulla Venice Boardwalk, a pochi passi dalla famosa e notoriamente affollata Muscle Beach.
Anche con tutta quella gente attorno, a quanto pareva nessuno si era particolarmente insospettito vedendo l’uomo che le era arrivato alle spalle, le aveva messo sulla bocca un panno imbevuto di qualche sostanza chimica e aveva spinto il suo corpo privo di conoscenza nel sedile posteriore di un’auto parcheggiata solo pochi metri più in là.
Se non fosse stato per il bambino che aveva assistito all’accaduto mentre la madre pagava una maglietta a una delle bancarelle sulla Boardwalk, neanche quei dettagli sarebbero stati noti. Purtroppo il bambino – di soli cinque anni – era talmente scioccato da non poter offrire molto in materia di descrizione, oltre al fatto che l’uomo era bianco e l’auto era blu.
Come con il ricordo del guardaroba, Morgan tentò di cacciare anche quell’immagine dalla testa. Aveva ripetuto più volte il piano con il direttore del ricovero. Da ora in poi si sarebbe portata il suo pranzo e avrebbe mangiato in ufficio. Avrebbe chiamato la sicurezza al suo arrivo nel parcheggio e l’agente le sarebbe andato incontro e l’avrebbe scortata fino alla porta d’ingresso del ricovero. Avrebbe fatto la stessa cosa all’inverso alla fine della giornata. Avrebbe tenuto sempre attiva la funzione di localizzazione del suo telefono e avrebbe chiamato Ari sia quando arrivava al lavoro che quando partiva per tornare a casa.
La speranza era che con l’aiuto di Kat e di Jessie Hunt, la polizia prendesse quell’uomo, in modo che lei potesse tornare a una vita il più vicina possibile alla normalità. Sapeva che altre tre donne avevano vissuto il suo stesso incubo, tra cui una che era appena fuggita ieri notte. Non voleva che nessun altro dovesse soffrire a quel modo. L’incontro di domani era il passo successivo per mettere fine a questa storia.
Mentre metteva gli ingredienti del suo spuntino sul ripiano della cucina, udì un forte rumore metallico provenire dall’esterno. Tutto il corpo le si pietrificò per la paura. Prese un coltello da macellaio dal ceppo sul ripiano, spense la luce della cucina, andò di soppiatto vicino alla porta laterale e accese la luce del portico.
Ciò che vide le fece tirare un sospiro di sollievo. Un procione stava cercando con forza di entrare in uno dei loro bidoni dell’immondizia ben chiusi. Era riuscito a infilare una zampa nel piccolo spazio che c’era tra il bidone e il coperchio, ma non riusciva a passarci attraverso. Quando la luce si accese, l’animale sollevò la testa di scatto e a Morgan parve quasi di vedere del senso di colpa nei suoi occhi, prima che saltasse giù e scomparisse nel buio.
Rise silenziosamente tra sé e sé. Se un procione ladruncolo poteva farle venire le palpitazioni, allora le ci sarebbe voluto un po’ per tornare a qualcosa che assomigliasse alla vita normale. Riaccese la luce e tornò al banco della cucina per preparare il suo snack.
Ma messo giù il coltello, mentre si apprestava a prendere il tacchino, notò che la tortilla era sparita.
Avrei giurato di averla tirata fuori.
Si rigirò verso il frigo. Fu lì che notò l’impronta sporca di quello che sembrava uno stivale. Né lei né Ari indossavano scarpe in casa. La fredda sensazione di paura che si era appena placata tornò all’improvviso, come se un’enorme mano di ghiaccio le si fosse improvvisamente chiusa attorno al corpo. Morgan riprese il coltello da macellaio. Lanciando un’occhiata al banco della cucina, notò anche un’altra cosa: anche il piccolo coltello da cucina era sparito dal ceppo.
Stava per chiamare Ari quando un’ombra sfrecciò fuori dalla dispensa alle sue spalle, mettendole una mano sulla bocca un secondo prima che lei potesse pronunciare il nome del marito. Morgan tentò di lottare per liberarsi, ma lui le aveva già piantato il coltello da cucina contro la base della schiena per ben quattro volte. Anche lei tentò di far roteare verso il suo assalitore il coltello ben più grosso che teneva in mano.
Morgan annaspò sotto alla mano che le copriva la bocca. Non aveva idea se l’avesse colpito o meno, dato che il dolore e lo shock erano troppo grandi per poter capire null’altro. A un tratto perse il conto di quante volte il piccolo coltello le si era piantato nella pelle morbida sopra alle anche, ma a un certo punto Morgan crollò a terra.
Atterrò con forza sul pavimento della cucina e sentì la testa rimbalzare contro le piastrelle dure. Era prona a terra, ma aveva gli occhi aperti e poté vedere l’uomo che rimetteva delicatamente il coltello sul ripiano della cucina con mani guantate. Poi si chinò su di lei e pulì la lama del coltello che lei teneva in mano. Morgan non riuscì a vedere il suo volto.
“Pentiti,” le sussurrò l’uomo in un orecchio.
Anche se stava rapidamente perdendo conoscenza, Morgan provò un brivido di orrore riconoscendo la stessa voce del suo rapitore. L’uomo si rialzò in piedi e la guardò con medio interesse prima di voltarsi verso la porta.
Un attimo prima che uscisse e se la chiudesse alle spalle, Morgan lo vide portarsi la tortilla alla bocca e prenderne un grosso morso. Poi chiuse la porta e sparì. Tre minuti dopo, era andata anche lei.