Читать книгу La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке - Данте Алигьери, John Hurt - Страница 19

Inferno
Canto XVII

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«Ecco la fiera con la coda aguzza,

che passa i monti e rompe i muri e l’armi!

Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!».

4 Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;

e accennolle che venisse a proda,

vicino al fin d’i passeggiati marmi.

7 E quella sozza imagine di froda

sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,

ma ’n su la riva non trasse la coda.

10 La faccia sua era faccia d’uom giusto,

tanto benigna avea di fuor la pelle,

e d’un serpente tutto l’altro fusto;

13 due branche avea pilose insin l’ascelle;

lo dosso e ’l petto e ambedue le coste

dipinti avea di nodi e di rotelle.

16 Con più color, sommesse e sovraposte

non fer mai drappi Tartari né Turchi,

né fuor tai tele per Aragne imposte.

19 Come talvolta stanno a riva i burchi,

che parte sono in acqua e parte in terra,

e come là tra li Tedeschi lurchi

22 lo bivero s’assetta a far sua guerra,

così la fiera pessima si stava

su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.

25 Nel vano tutta sua coda guizzava,

torcendo in sù la velenosa forca

ch’a guisa di scorpion la punta armava.

28 Lo duca disse: «Or convien che si torca

la nostra via un poco insino a quella

bestia malvagia che colà si corca».

31 Però scendemmo a la destra mammella,

e diece passi femmo in su lo stremo,

per ben cessar la rena e la fiammella.

34 E quando noi a lei venuti semo,

poco più oltre veggio in su la rena

gente seder propinqua al loco scemo.

37 Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena

esperienza d’esto giron porti»,

mi disse, «va, e vedi la lor mena.

40 Li tuoi ragionamenti sian là corti;

mentre che torni, parlerò con questa,

che ne conceda i suoi omeri forti».

43 Così ancor su per la strema testa

di quel settimo cerchio tutto solo

andai, dove sedea la gente mesta.

46 Per li occhi fora scoppiava lor duolo;

di qua, di là soccorrien con le mani

quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:

49 non altrimenti fan di state i cani

or col ceffo or col piè, quando son morsi

o da pulci o da mosche o da tafani.

52 Poi che nel viso a certi li occhi porsi,

ne’ quali ’l doloroso foco casca,

non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi

55 che dal collo a ciascun pendea una tasca

ch’avea certo colore e certo segno,

e quindi par che ’l loro occhio si pasca.

58 E com’ io riguardando tra lor vegno,

in una borsa gialla vidi azzurro

che d’un leone avea faccia e contegno.

61 Poi, procedendo di mio sguardo il curro,

vidine un’altra come sangue rossa,

mostrando un’oca bianca più che burro.

64 E un che d’una scrofa azzurra e grossa

segnato avea lo suo sacchetto bianco,

mi disse: «Che fai tu in questa fossa?

67 Or te ne va; e perché se’ vivo anco,

sappi che ’l mio vicin Vitaliano

sederà qui dal mio sinistro fianco.

70 Con questi Fiorentin son pado ano:

spesse fiate mi ’ntronan li orecchi

gridando: «Vegna ’l cavalier sovrano,

73 che recherà la tasca con tre becchi!»».

Qui distorse la bocca e di fuor trasse

la lingua, come bue che ’l naso lecchi.

76 E io, temendo no ’l più star crucciasse

lui che di poco star m’avea ’mmonito,

torna’mi in dietro da l’anime lasse.

79 Trova’ il duca mio ch’era salito

già su la groppa del fiero animale,

e disse a me: «Or sie forte e ardito.

82 Omai si scende per sì fatte scale;

monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,

sì che la coda non possa far male».

85 Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo

de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,

e triema tutto pur guardando ’l rezzo,

88 tal divenn’ io a le parole porte;

ma vergogna mi fé le sue minacce,

che innanzi a buon segnor fa servo forte.

91 I’ m’assettai in su quelle spallacce;

sì volli dir, ma la voce non venne

com’ io credetti: ’Fa che tu m’abbracce’.

94 Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne

ad altro forse, tosto ch’i’ montai

con le braccia m’avvinse e mi sostenne;

97 e disse: «Gerion, moviti omai:

le rote larghe, e lo scender sia poco;

pensa la nova soma che tu hai».

100 Come la navicella esce di loco

in dietro in dietro, sì quindi si tolse;

e poi ch’al tutto si sentì a gioco,

103 là ’v’ era ’l petto, la coda rivolse,

e quella tesa, come anguilla, mosse,

e con le branche l’aere a sé raccolse.

106 Maggior paura non credo che fosse

quando Fetonte abbandonò li freni,

per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;

109 né quando Icaro misero le reni

sentì spennar per la scaldata cera,

gridando il padre a lui «Mala via tieni!»,

112 che fu la mia, quando vidi ch’i’ era

ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta

ogne veduta fuor che de la fera.

115 Ella sen va notando lenta lenta;

rota e discende, ma non me n’accorgo

se non che al viso e di sotto mi venta.

118 Io sentia già da la man destra il gorgo

far sotto noi un orribile scroscio,

per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.

121 Allor fu’ io più timido a lo scoscio,

però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;

ond’ io tremando tutto mi raccoscio.

124 E vidi poi, ché nol vedea davanti,

lo scendere e ’l girar per li gran mali

che s’appressavan da diversi canti.

127 Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali,

che sanza veder logoro o uccello

fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,

130 discende lasso onde si move isnello,

per cento rote, e da lunge si pone

dal suo maestro, disdegnoso e fello;

133 così ne puose al fondo Gerione

al piè al piè de la stagliata rocca,

e, discarcate le nostre persone,

136 si dileguò come da corda cocca.


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