Читать книгу La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке - Данте Алигьери, John Hurt - Страница 3

Inferno
Canto I

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Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita.

4 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura!

7 Tant’ è amara che poco è più morte;

ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

10 Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai,

tant’ era pien di sonno a quel punto

che la verace via abbandonai.

13 Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,

là dove terminava quella valle

che m’avea di paura il cor compunto,

16 guardai in alto e vidi le sue spalle

vestite già de’ raggi del pianeta

che mena dritto altrui per ogni calle.

19 Allor fu la paura un poco queta,

che nel lago del cor m’era durata

la notte ch’i’ passai con tanta pièta.

22 E come quei che con lena affannata,

uscito fuor del pelago alla riva,

si volge all’acqua perigliosa e guata,

25 così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,

si volse a retro a rimirar lo passo

che non lasciò già mai persona viva.

28 Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,

ripresi via per la piaggia diserta,

sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.

31 Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,

una lonza leggiera e presta molto,

che di pel macolato era coverta;

34 e non mi si partia dinanzi al volto,

anzi ’mpediva tanto il mio cammino,

ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.

37 Temp’ era dal principio del mattino,

e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle

ch’eran con lui quando l’amor divino

40 mosse di prima quelle cose belle;

sì ch’a bene sperar m’era cagione

di quella fiera a la gaetta pelle

43 l’ora del tempo e la dolce stagione;

ma non sì che paura non mi desse

la vista che m’apparve d’un leone.

46 Questi parea che contra me venisse

con la test’ alta e con rabbiosa fame,

sì che parea che l’aere ne tremesse.

49 E d’una lupa, che di tutte brame

sembiava carca nella sua magrezza,

e molte genti fé già viver grame,

52 questa mi porse tanto di gravezza

con la paura ch’uscia di sua vista,

ch’io perdei la speranza de l’altezza.

55 E qual è quei che volontieri acquista,

e giugne ’l tempo che perder lo face,

che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;

58 tal mi fece la bestia sanza pace,

che, venendomi ’ncontro, a poco a poco

mi ripigneva là dove ’l sol tace.

61 Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,

dinanzi a li occhi mi si fu offerto

chi per lungo silenzio parea fioco.

64 Quando vidi costui nel gran diserto,

«Miserere di me», gridai a lui,

«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

67 Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,

e li parenti miei furon lombardi,

mantoani per patria ambedui.

70 Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,

e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto

nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.

73 Poeta fui, e cantai di quel giusto

figliuol d’Anchise che venne di Troia,

poi che ’l superbo Ilión fu combusto.

76 Ma tu perché ritorni a tanta noia?

perché non sali il dilettoso monte

ch’è principio e cagion di tutta gioia?».

79 «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte

che spandi di parlar sì largo fiume?»,

rispuos’ io lui con vergognosa fronte.

82 «O de li altri poeti onore e lume,

vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore

che m’ha fatto cercar lo tuo volume.

85 Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,

tu se’ solo colui da cu’ io tolsi

lo bello stilo che m’ha fatto onore.

88 Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;

aiutami da lei, famoso saggio,

ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».

91 «A te convien tenere altro viaggio»,

rispuose, poi che lagrimar mi vide,

«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;

94 ché questa bestia, per la qual tu gride,

non lascia altrui passar per la sua via,

ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;

97 e ha natura sì malvagia e ria,

che mai non empie la bramosa voglia,

e dopo ’l pasto ha più fame che pria.

100 Molti son li animali a cui s’ammoglia,

e più saranno ancora, infin che ’l veltro

verrà, che la farà morir con doglia.

103 Questi non ciberà terra né peltro,

ma sapienza, amore e virtute,

e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

106 Di quella umile Italia fia salute

per cui morì la vergine Cammilla,

Eurialo e Turno e Niso di ferute.

109 Questi la caccerà per ogne villa,

fin che l’avrà rimessa nello ’nferno,

là onde ’nvidia prima dipartilla.

112 Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno

che tu mi segui, e io sarò tua guida,

e trarrotti di qui per loco etterno;

115 ove udirai le disperate strida,

vedrai li antichi spiriti dolenti,

ch’a la seconda morte ciascun grida;

118 e vederai color che son contenti

nel foco, perché speran di venire

quando che sia a le beate genti.

121 A le quai poi se tu vorrai salire,

anima fia a ciò più di me degna:

con lei ti lascerò nel mio partire;

124 ché quello imperador che là sù regna,

perch’ i’ fu’ ribellante a la sua legge,

non vuol che ’n sua città per me si vegna.

127 In tutte parti impera e quivi regge;

quivi è la sua città e l’alto seggio:

oh felice colui cu’ ivi elegge!».

130 E io a lui: «Poeta, io ti richeggio

per quello Dio che tu non conoscesti,

a ciò ch’io fugga questo male e peggio,

133 che tu mi meni là dov’ or dicesti,

sì ch’io veggia la porta di san Pietro

e color cui tu fai cotanto mesti».

136 Allor si mosse, e io li tenni dietro.


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