Читать книгу Al rombo del cannone - Federico De Roberto - Страница 6

I.

Оглавление

Indice

Nelle grandi linee, la campagna d'Italia del 1813-14, combattuta per la difesa del nostro paese sugli stessi campi dove si è iniziata per la sua integrazione quella del 1915, procedette sciaguratamente al contrario dell'odierna. Oggi il nostro Comando ha preso l'offensiva nell'impresa di liberazione delle Alpi Giulie; allora Eugenio di Beauharnais, possedendole dopo che Campoformio era stato corretto a Presburgo ed a Schönbrunn, doveva soltanto difenderle contro la rinnovata cupidigia austriaca; noi miriamo alle rive della Sava e della Drava, entrambe allora tenute — e perdute — dal Vicerè. L'occhio d'aquila di Napoleone aveva, fin da parecchi anni innanzi, antiveduto in quale situazione il figliastro si sarebbe trovato venendo alle prese con l'Austria e quale via avrebbe dovuto tenere per ridurla alla ragione. «Voi concentrerete il vostro esercito nel Friuli» gli aveva scritto da Parigi il 12 aprile 1809 «e disporrete una divisione alla sbocco di Pontebba per minacciare continuamente di marciare su Tarvis.... Secondo il mio calcolo, le principali forze del nemico si troveranno a Tarvis; così essendo, esso non si porterà su Gorizia, ma si accentrerà a Lubiana. Lasciate dunque sull'Isonzo una parte della cavalleria e una dozzina di migliaia di fanti ed avanzate con tutto l'esercito su Tarvis, nulla concedendo al caso. Tenete bene unite le vostre forze.» Invece Eugenio, subordinando le proprie mosse alla manovra austriaca, della quale ebbe troppo tardi notizia, abbandonava a sè stessa la sua ala sinistra per portarsi con tutte le truppe disponibili su Adelsberg e Lubiana, perdendo il vantaggio dell'iniziativa e contromandando poi la marcia, con deplorevole effetto, per procedere da Gorizia, Canale e Caporetto verso la Carinzia. Il buon successo di Feistritz parve per un momento avergli ridato il vantaggio dell'offensiva; ma poi l'inferiorità numerica, l'incapacità dei luogotenenti, la deficienza dello stato maggiore — era composto di soli sei ufficiali! — la diserzione degli Illirici e dei Dalmati, lo mettevano nella penosa necessità di retrocedere sull'Isonzo.

Nulla ancora era perduto. La linea dell'Isonzo era naturalmente designata per una strenua difesa: nove anni innanzi Napoleone aveva suggerito al figliastro: «Percorrete a cavallo le rive dell'Isonzo; sono quelle le vostre frontiere. Un giorno sarete chiamato a difenderle. Bisogna che il più piccolo sentiero e l'infima posizione siano da voi conosciute. Coteste ricognizioni sono importantissime e vi riusciranno preziose. Credo che abbiate visto quei luoghi quando eravate molto giovane, ma che non li abbiate esaminati tanto minutamente quanto occorre....» Nè la perdita dell'Isonzo sarebbe riuscita fatale. In una lettera del maggio 1808, da Baiona, all'inizio dell'avventura spagnuola, e in previsione di nuove ostilità dell'Austria, il grande stratega aveva riscritto ad Eugenio: «Quand'anche il nemico occupasse tutto il paese tra Isonzo e Piave, non terrebbe ancora nulla: insino al Piave il paese nulla offre di molto importante». Il corso di questo fiume era, a suo giudizio, più vantaggioso che non quello del Tagliamento; ma l'estrema linea della difesa, quella che la «spregevole fanteria austriaca» non avrebbe dovuto nè potuto oltrepassare, consisteva sull'Adige, «di cui Verona è il centro e il punto principale».

Per mala sorte, mentre il Vicerè era costretto a retrocedere dal confine orientale, anche quell'altra parte del suo esercito cui aveva affidato la difesa del redento Tirolo era costretta a ripiegare fino a Trento ed a Rovereto: l'insurrezione fomentata dal nemico tra quegli alpigiani e la defezione della Baviera favorivano il còmpito assegnato al feldzeugmeister Hiller. Molto probabilmente il piano dell'offensiva del Trentino, della cosiddetta «spedizione punitiva», concepito la scorsa primavera dallo stato maggiore austriaco, fu ispirato da quello che un secolo addietro il barone Hiller effettuò: allora come oggi i nostri nemici pensarono di compiere una gran mossa avvolgente dall'Alto Adige per la Valsugana, con lo scopo di sboccare nella pianura veneta e di cogliere alle spalle le truppe operanti sull'Isonzo; tranne che, mentre oggi le ondate dell'assalto si sono infrante contro i petti dei nostri soldati, allora i Franco-Italiani furono costretti a una serie di continue ritirate, da Primolano, da Cismone, da Folgaria, da Montebaldo, da Ala, dinanzi alle colonne avversarie discendenti da Borgo di Valsugana e da Feltre e collegate da corpi volanti per i Sette Comuni, la Vallarsa e la Valfredda. A Bassano Eugenio compiva uno sforzo e conseguiva un'effimera vittoria, costringendo i fanti dell'Eckardt a retrocedere su Cismone e quelli del Brettscheider su Gallio, Asiago e Levico; ma poi il Vicerè doveva a sua volta abbandonare la linea del Piave e della Brenta ed avviarsi a Vicenza ed a Verona, talchè Bassano era rioccupata dal nemico, che procedeva da Castelgomberto verso Vicenza, dove le divisioni scese dal Trentino dovevano congiungersi con quelle avanzanti dall'Isonzo e concorrere così all'investimento di Venezia. Ancora una volta il Vicerè tentava un ritorno offensivo per la Valle Lagarina verso Rovereto e Trento; ma, espugnata Caldiero, non poteva mantenervisi per insufficienza di forze e tornava a ridursi a Verona.

Al rombo del cannone

Подняться наверх