Читать книгу Una visita preoccupante - Fiona Grace, Фиона Грейс - Страница 4

CAPITOLO UNO

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“Come sta andando lassù?” chiese Lacey frettolosamente, sbirciando oltre i piedi di Gina, lungo i pioli della scala di metallo.

Le due donne erano nel negozio di antiquariato di Lacey e stavano disponendo un mucchio di orribili marionette che Gina aveva trovato in magazzino e che aveva insistito che sarebbero andate ‘vendute come dolci’. E nonostante fosse una ventina d’anni più vecchia di Lacey, Gina si era anche presa la briga di arrampicarsi sulla scala per andarle ad appendere tra le travi del soffitto.

“Ho addosso sessantacinque anni di giovinezza, signorinella,” disse a Lacey, che era rimasta di sotto, impossibilitata a fare qualsiasi cosa se non tenerle la scala ferma. “Non sono ancora una fragile vecchietta.”

Improvvisamente, un’inquietante marionetta di legno dondolò verso il basso, facendo sobbalzare Lacey. Aveva le sembianze di un uomo grottesco con il naso adunco e un cappello da giullare, e ora penzolava sopra alla sua testa con il suo sorriso malvagio. Lacey rabbrividì, mettendo mentalmente in questione la capacità di giudizio di Gina. Chi mai sulla faccia della terra avrebbe voluto comprare una cosa di così sgradevole aspetto?

“Allora?” chiese la voce emozionata di Gina dall’alto della scala. “Non hai ancora scoperto dove ti porterà Tom per la vostra fuga romantica?”

Le guance di Lacey si imporporarono quando sentì nominare il suo innamorato. Tom aveva recentemente annunciato che l’avrebbe portata a fare una vacanza romantica, e le stava mandando degli indizi fotografici ogni giorno per aiutarla a indovinare dove. L’ultima foto era stata quella di una scoscesa scogliera bianca con alle spalle un meraviglioso cielo blu.

“Da qualche parte vicino al mare,” rispose Lacey sognante.

Ovunque fosse, sembrava assolutamente idilliaco. Ma per quanto le importava, poteva anche essere il posto più desolato sulla faccia della terra: lei avrebbe comunque accettato con gioia quella pausa. Dire che si meritava un po’ di tempo libero era un eufemismo. Da quando aveva aperto il suo negozio di antiquariato nella cittadina balneare di Wilfordshire, in Inghilterra, le uniche volte in cui aveva avuto una cosa come due giorni consecutivi senza lavoro erano state per indagare su orrendi omicidi. Quello non contava effettivamente come vacanza, poco ma sicuro!

Proprio allora, un’altra marionetta scese verso il basso, sospesa al suo filo, sopra alla testa di Lacey, risvegliandola così dal suo sogno a occhi aperti. Questa aveva le sembianze di una corpulenta cameriera con fiocco e grembiule. Aveva la stessa faccia grottesca della prima. Lacey arricciò il naso per il disgusto.

“Mi puoi ripetere chi ha avuto l’idea di attaccare questi affari orribili al soffitto?” chiese. “Non so quanto apprezzerò il fatto che mi stiano a guardare tutto il giorno dall’alto.”

Da sopra, Gina ridacchiò. “Ti prometto che le venderemo velocemente. Punch e Judy sono un’istituzione qui in Inghilterra. Non posso credere che tu le abbia tenute nascoste in una scatola tanto a lungo! Almeno le abbiamo tirate fuori giusto in tempo per la calca estiva.”

Lacey non poteva capacitarsi di come quelle brutte marionette potessero considerarsi un’attrattiva, ma su questo si fidava di Gina. In quanto nata e cresciuta a New York, spesso Lacey non capiva le stranezze della cultura inglese.

“Allora, quali erano gli altri indizi?” chiese Gina dall’alto. “Voglio andare a fondo in questo mistero!”

Tenendo la scala con una mano, Lacey usò l’altra per recuperare il suo cellulare dalla tasca dei jeans. Fece scorrere le immagini con il pollice.

“Un castello,” disse. “Un uccello… forse un uccello azzurro, simile a un tordo? Un panino! Una foto in bianco e nero di una signora con in mano uno di quei microfoni anni Quaranta. E un imperatore romano.”

“Un imperatore romano?” ripeté Gina sorpresa. “Magari ti porta in Italia!”

“In Italia? Non è che sia esattamente famosa per i suoi panini, no?” disse Lacey con sarcasmo prima che un’altra marionetta calasse al suo posto, finendo con il suo ghigno proprio davanti alla sua faccia. Questo era un inquietante pagliaccio con vivaci riccioli arancioni. La vernice un po’ scrostata lo faceva apparire ancora più spaventoso. Lacey rabbrividì.

“Attenta con quel sarcasmo, signorina,” le disse Gina. “Vedo che il nostro umorismo inglese si sta impadronendo di te.”

“E comunque sarà una vacanza qui nei paraggi,” continuò Lacey. “Quindi sarà di certo da qualche parte in Ingh… ah!”

Gina aveva lasciato andare un’altra delle sue marionette, solo che questa aveva colpito Lacey dritto in testa. La spostò con una manata e si trovò a guardare in faccia un agente di polizia che sorrideva minacciosamente e teneva un manganello nella sua stupida mano da marionetta. Lacey pensò immediatamente al sovrintendente Turner del Dipartimento di Polizia di Wilfordshire, un uomo con il quale sperava sinceramente di non dover più avere a che fare nel prossimo futuro.

“Quante ne hai ancora là sopra di queste cose orribili?” gridò Lacey, massaggiandosi la testa dolorante.

“Questa era l’ultima,” rispose Gina allegramente, ignara di ciò che era successo di sotto. La scala scricchiolò sotto al suo peso mentre lei scendeva. Quando raggiunse il fondo sana e salva, guardò Lacey in faccia. “Purtroppo non hai la marionetta del cane, e il filo delle salsicce si è staccato.”

Sollevò le finte salsicce. Lacey non voleva neanche sapere che roba fosse.

“Fammi vedere queste fotine allora,” disse Gina, allungando la testa per sbirciare l’immagine sullo schermo del cellulare di Lacey.

Lacey le mostrò le immagini scorrendole con il pollice.

“Oh!” esclamò all’improvviso Gina. “Perché non mi hai detto che erano scogliere bianche? Tesoro, andrai a Dover!”

E detto questo, si lanciò un una canzone. La sua voce acuta e squillante riecheggiò in tutto il negozio, raggiungendo le travi del soffitto. Lacey contorse il viso in una smorfia.

There’ll be bluebirds over – ironia vuole, ovviamente, che gli uccelli azzurri non siano originari dell’Inghilterra”, aggiunse frettolosamente, prima di lanciarsi nel verso successivo della canzone, “– the white cliffs of Dover.” Riprese poi il discorso: “La devi conoscere questa canzone! È un vecchio classico dei tempi della guerra.”

“Conosco la canzone,” disse Lacey. Poi schioccò le dita. “La foto in bianco e nero della cantante con il vecchio microfono!” Fece scorrere le immagini sul telefono e la mostrò a Gina.

“Oh sì! Questa è Vera Lynn, giusto,” confermò la donna annuendo.

Gli uccelli azzurri. Le scogliere. L’imperatore romano.

“Tom mi porterà a Dover,” disse Lacey con grande meraviglia.

“Che affascinante,” commentò Gina, dandole una giocosa gomitata nelle costole.

Lacey si sentiva tutto il corpo pervaso da un brivido di emozione. Era già stata di per sé contenta di quella romantica fuga segreta. Poi Tom aveva iniziano a imboccarla con dei piccoli indizi sulla loro meta e il suo entusiasmo era man mano cresciuto. Ora che aveva scoperto dove sarebbero effettivamente andati, era davvero deliziata.

Gli mandò rapidamente un messaggio: “Ho capito!” e guardò attraverso la vetrina del negozio, verso la sua pasticceria dall’altra parte della strada, vedendolo prendere il telefono e iniziare a ridere.

Ma proprio mentre Lacey stava guardando il suo innamorato attraverso la finestra, una figura si portò improvvisamente davanti a lei, rovinandole la visuale. Quando si rese conto di chi la stava fissando, l’eccitazione che aveva provato solo pochi istanti prima la abbandonò in un colpo solo, come una candela improvvisamente spenta da una folata d’aria. L’emozione fu sostituita invece da un inquietante sensazione di timore. Taryn.

La proprietaria della boutique della porta accanto era sempre pronta a impicciarsi nella vita di Lacey, nel tentativo di farla andare via dalla città. Perché avesse un tale senso di astio nei suoi confronti, Lacey non l’aveva mai capito del tutto, a parte l’ovvio fatto che la donna era uscita con Tom per un breve periodo diversi mesi prima. Era molto probabile però che fosse gelosa del suo successo, o che nutrisse dei forti pregiudizi nei confronti di un’americana che secondo lei andava a rovinare la loro via principale, altrimenti perfettamente britannica. Probabilmente erano un po’ tutte quelle motivazioni messe insieme.

Il campanello del negozio suonò con forza mentre Taryn entrava in fretta e furia e attraversava il pavimento di legno con i suoi tacchi a spillo neri e il suo solito tubino addosso. Le sue spalle spigolose e ossute erano scoperte.

“Oh, guarda, ci sono i Grim Reaper,” mormorò Gina sottovoce, mentre tutte e due guardavano Taryn che si teneva a debita distanza dalla loro collezione di brutte marionette, facendo una faccia disgustata e quasi calpestando Chester, il cane. Il pastore inglese mugolò contrariato per essere stato improvvisamente ridestato dal suo torpore. Poi riabbassò il muso a terra e se lo coprì con le zampe anteriori, cosa che avrebbe fatto molto volentieri anche Lacey, se le convenzioni sociali lo permettessero.

La donna, totalmente accigliata, si fermò bruscamente di fronte a Lacey e Gina.

“Come posso aiutarti, Taryn?” chiese Lacey con voce sommessa e in nervosa attesa.

“Sei consapevole del fatto,” iniziò Taryn con arroganza, “che un PICCIONE ha fatto il NIDO sopra alla tua porta? Il suo costante cinguettio mi sta facendo impazzire! Devi chiamare la disinfestazione. SUBITO.”

“Prima cosa, non è un piccione,” ribatté Lacey.

“Si chiama Martina,” aggiunse Gina con tono di scherno.

Lo sguardo di pietra di Taryn si spostò da una donna all’altra. Incrociò le braccia. “Avete dato un nome a un piccione?”

“Te l’ho detto,” disse Lacey. “Non è un piccione. È un balestruccio.”

“E Martina è un nome perfetto per un balestruccio,” disse Gina, offrendo il suo pieno supporto a Lacey.

“Ha fatto tutto il tragitto in volo dall’Africa per venire a crescere i suoi piccolo sopra la porta del mio negozio,” aggiunse Lacey.

“E siamo entrambe onorate di averla qui,” concluse Gina, terminando così la loro performance a due.

Lacey faceva fatica a trattenere le risate.

Taryn sembrava furiosa. Le sue narici erano dilatate. “Se non ve ne sbarazzate, la disinfestazione la chiamo io,” minacciò a denti stretti.

Gina ridacchiò. “Non penso che troverai niente di utile al riguardo, mia cara. Nessuno sarà disposto a rimuovere un nido durante il periodo della cova!”

Sembrava che a Taryn stessero per esplodere le vene in corpo. “E quando finisce questo periodo della cova?” chiese a denti stretti.

“Novembre, suppergiù,” disse Gina.

Taryn serro la mandibola con furia. “Tipico!” tuonò, prima di ruotare sui tacchi e partire, andando a sbattere contro le marionette. Lanciò un urlo e se le sbatté via dalla faccia. Con un’ultima occhiataccia verso Lacey e Gina, uscì di gran carriera da dove era venuta.

Nel momento in cui se ne fu andata, Lacey e Gina scoppiarono a ridere. Lacey rise così forte che le lacrime le scorrevano lungo le guance.

“Non c’è mai un momento di tregua,” disse, asciugandosi gli occhi. Ma poi esitò. “Aspetta un minuto. Chester non ha ringhiato a Taryn.”

Normalmente, il suo pastore inglese emetteva un sommesso brontolio per tutto il tempo che Taryn era in sua presenza. Dato che le era arrivato insieme al negozio, a dire il vero conosceva Taryn da molto prima di lei, e tra i due c’era ancora più astio che tra lei e la donna! Chester trattava Taryn come se fosse la sua versione di Crudelia de Mon.

“Forse adesso non gli dà più fastidio?” suggerì Gina, passandosi la manica sotto agli occhiali rossi fiammeggianti per asciugarsi a sua volta le lacrime.

Lacey non era convinta. “Ne dubito fortemente. Cioè, lo ha praticamente quasi pestato! No, c’è dell’altro.”

Si avvicinò velocemente a Chester e gli spostò delicatamente le zampe da sopra la testa. Lui parve notarlo appena, quindi Lacey gli sollevò il muso, tenendogli una mano sotto al mento. Era pesante, come se il cane fosse troppo debole per tenersi su da sé. Quando lo guardò negli occhi, Lacey vide che li aveva umidi e arrossati. Il cane mugolò sommessamente.

“Oh, tesoro,” gli disse, il cuore che le si fermava quasi nel petto. “Sei malato?”

Chester gemette come a voler confermare i suoi sospetti e lo stomaco di Lacey si strinse per la preoccupazione.

“Gina, sarà meglio che lo porti dal veterinario,” disse frettolosamente, voltandosi a guardare l’amica. “Te la cavi da sola con il negozio?”

“Certo,” disse Gina facendo un gesto di noncuranza con la mano. “Nessun problema, come sempre.”

Lacey mise il guinzaglio a Chester e lo accompagnò fuori dal negozio, la mente colma di preoccupazione per il suo povero amico peloso ora malato.

Una visita preoccupante

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