Читать книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi - Страница 17

CAPITOLO SESTO LUCREZIA MAZZANTI

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Indice

All'atto incomparabile e stupendo

Dal cielo il Creator gli occhi giù volse

E disse: Più di quella ti commendo

La cui morte a Tarquinio il regno tolse.

Ariosto, Orlando furioso, c. XXIX.


«Lupo! o Lupo! prendi il boccale — e bevi un sorso a rinfrancarti il cuore; — tu mi hai una cera da De profundis.»

Queste parole dirigeva certo soldato del dominio di Firenze, e con le parole offeriva un vaso pieno di vino a Lupo bombardiere, di cui vedemmo il bel colpo nella cittadella di Arezzo. E questa avventura succedeva a notte avanzata dentro un corpo di guardia accanto la porta di San Nicolò, unica tra le tante di Firenze che tuttavia si mantenga nella antica sua forma. Un solo lume sospeso alla vôlta rischiarava di splendore vermiglio piccola parte della vasta stanza: e tu vedevi dei soldati quivi raccolti alcuno disteso per le panche in atto di dormire, altri seduti novellare dei casi di guerra; tali altri, e questi erano i più, bevere spensierati, come uomini per cui il tempo scorso è nulla, il futuro anche meno, e si godono il presente fugace — e lieto, perchè vuoto di affanno.

Un fra loro, di volto leggiadro e, comechè giovanissimo, a tutti capo, se ne stava appoggiato con le spalle alla parete, la faccia china, immerso in pensieri i quali, a giudicarne dalle sembianze di lui, non dovevano essere buoni nè tristi: — questo era Ludovico Machiavelli. Lupo invece sedeva con le pugna strette, fortemente puntellate nelle guance sotto gli zigomi; gli occhi socchiusi: ad ora ad ora prorompe dall'intimo petto profondi sospiri. — Guizzando intanto la fiamma sanguigna sopra quei volti, — per tutta la scena, — presentava un quadro fantastico, stupenda materia ai dipinti di Gherardo delle Notti o del Rembrandt.

«Lupo!» riprese un altro soldato, «bevi: — il tuo buono umore è ito in fondo del boccale; ripescalo coi labbri e ridiventa gaio, perchè la tua tristezza ci uggisce, e troppo più della tristezza cotesti tuoi sospiri, che spingerebbero in mare il bucintoro. — Piagni forse i tuoi morti?»

«Pel Battista, lo hai detto! Io piango un morto... piango l'onore dell'Italia e di noi altri», e, siffatte parole proferendo, tal diè del pugno sopra la tavola che i distesi a dormire si svegliano di soprassalto levando la testa sospettosi di qualche sinistra avventura.

«L'onore della milizia italiana spento?» domandò ansioso il giovane Vico. «Qual cosa v'induce a giudizio sì iniquo sopra il vostro sangue?»

«Sta a voi domandarmelo, Vico? Non siete fuggito anche voi d'Arezzo? Così è — noi infelici reliquie delle Bande Nere, tanto famose nelle guerre passate, ne abbiamo or dianzi bruttata la gloria. Occhi miei tristi, che tante volte e tante vedeste dalle bande onoratissime del signor Giovannino i Tedeschi assaliti e dispersi, perchè mai vi ostinate a rimanere aperti per contemplare una fuga infame senza pure essere affrontati?... O morte! o morte!» E il prode uomo si batteva con le mani la fronte.

«Confortatevi, Lupo: col capitano Ferruccio non fuggiremo più...»

«Sentite, Vico, riponetevi bene nella mente le parole del veterano: — i peccati di viltà non hanno remissione; — la viltà sparsa una volta porta il suo frutto, — frutto di esempio pessimo e di danno alla patria, irrevocabile. — Io ho pianto due volte in questa vita: — la prima fu, quando una notte del mese di gennaio io mi scaldava al camino da una parte, e la mia povera madre filava dall'altra: mi aveva narrato le mille cose fatte e dette da mio padre e da mio nonno (che Dio gli abbia in pace), e le giostre avvenute ai suoi tempi e la congiura dei Pazzi, chè ella si trovò in chiesa alla strage e nel trambusto vi perdè il cappuccio di vaio e la collana d'argento. — La povera donna nel bel mezzo del discorso si arresta... e subito dopo, con voce mutata, mi dice: Lupo, accóstati, ch'io ti benedica... ti lascio solo... O gran Madre del Signore, ricevi l'anima mia! — Levai la faccia e vidi la povera madre con la destra in atto di benedire, — gli occhi aperti, e la bocca aperta anch'essa, ma storta da un lato. — Iddio l'aveva chiamata alla pace degli angioli. — Lupo è rimasto solo davvero sopra la terra. L'altra volta ch'io piansi fu... — Compagni miei, vi chieggo perdonanza se vi funesto con dolorosi racconti. Io mi taccio e rumino da me stesso la mia angoscia.»

«Di', di', Lupo; le parole del veterano riescono sempre gradite all'animo dei suoi compagni.»

«Ora dunque, figliuoli miei, — perchè io per età, vedete, potrei esservi padre, comechè non abbia tolto mai moglie e non mi sieno nati figliuoli; ma certa volta udii raccontare da messer Pietro Aretino[110], svisceratissimo del signor Giovanni, come un antico capitano a certo che lo riprese di non aver tolto donna, ed in questa maniera privato la patria di eredi delle virtù sue, rispondesse: Sappi che io lascio due figliuole e tali che se la patria ne imita l'esempio, diventerà non pure famosa, ma unica per la gloria delle armi nella Grecia: e ricordò due battaglie da lui virtuosamente combattute e vinte. — Fin qui Lupo non operava nulla che gli fruttasse onore; però non vi ha impresa, comunque arrisicata ella sia, per la quale non senta l'animo e le voglie disposte. Adesso mi trovo ad avere tanto detto fuori del seminato che non so più donde mi sia partito o dove io mi abbia a ritornare: — mi sembra dovessi narrarvi come piangessi le seconde lagrime in mia vita, ed ecco proprio il modo in che andò la cosa. — Il signor Giovannino... Nessuno di voi ha egli veduto il signor Giovanni dei Medici? — Ebbene, quando passate da Orsanmichele, sostatevi a guardare il San Giorgio di Donatello: immaginate voi che muova le braccia, che parli di forza, che lanci lo sguardo acuto quanto un verrettone, ed avrete la immagine vera del fortissimo capitano. — Il signor Giovannino con alquanti cavalli leggieri si pose alla caccia dei Tedeschi nel serraglio di Mantova. — I nemici, che lo chiamavano il gran diavolo, — tanto si mostrava nelle zuffe avventato e feroce, — si danno scorati alla fuga: — noi proseguiamo ardentissimi quella, più che battaglia, beccheria; — la strage della gente tedesca ci giungendo gradita, non come di nemici vinti, sibbene come di genia bestiale, oscena peste del mondo. Uno di questi scomunicati, mole gigantesca di mala carne, all'improvviso volta faccia a me che lo inseguiva, e tale mi scarica a traverso un colpo di mazza d'arme che mi avrebbe schiacciato il capo come un pinocchio. — Lupo era leggiero in cotesti tempi; mi abbandonai pertanto sul dorso del cavallo, spronai oltre e lo colsi così impetuoso della punta nel ventre che lo passai fuor fuora meglio di un palmo dal tergo. — Qui sento picchiarmi sulla corazza: — pensando vicino un nuovo nemico, mi volto con truce proponimento, e vedo il capitano Giovanni, il quale al cenno aggiungendo le parole: Prode Lupo, favellò, domani ti promoveremo a sergente delle nostre milizie... — Appena i suoi labbri tacevano che lo vidi, atterrato per forza prepotente, avvilupparsi nella polvere; — accorsi a rilevarlo, ed egli: Cristo! esclamò, la stessa gamba di Pavia: ormai è destinata a rimanere sul campo. — E così come disse fu: una palla di falconetto gli aveva rotto sopra il ginocchio la medesima gamba destra che al Barco di Pavia, scaramucciando, gli ferirono sconciamente verso la noce. Incalzando i Tedeschi, noi non temevamo delle artiglierie, sendo avvertiti che non ne avevano: ma nella notte il duca Alfonso di Ferrara, secondo che il diavolo lo persuase, nascosti dentro certe barche di vettovaglia mandava loro pel Po quattro falconetti; e in questo modo egli fu cagione prima della ferita, poi della morte del signor Giovanni. Imperocchè, trasferito a Mantova in casa Luigi Gonzaga, gli furono attorno i cerusici e deliberarono segargli la gamba. Quando io lo vidi accomodato sopra la sedia, mi tremarono i polsi, mi sentiva scoppiare il pianto, che pure trattenni per non isconfortare quel povero signore. — Egli poi guardava le seghe, i coltelli, le tanaglie e l'altro apparecchio infernale da cacciare i brividi addosso a chi non ci aveva a far nulla; e sorrideva. Intanto Abram giudeo, scamiciato fino ai gomiti, cominciò a tagliare, rasente la ferita, le carni. Il signor Giovanni siede e guarda; io, temendo non lo facesse trasalire lo spasimo, me gli accosto e lo recingo con le braccia alla cintura. Quasi gli avessi fatto ingiuria, mi si rivolge con mal piglio e grida: Ch'è questo che fate, Lupo? Andate via: io so molto bene reggermi da me senza li vostri ajuti. — A Dio non piacque salvarlo. — Dopo pochi giorni rimase spento con danno inestimabile della milizia italiana quel pro' guerriero, bellissimo di corpo, forte di braccio, ingegnoso, feroce, nella età verde di ventinove anni. Corse voce nei tempi, papa Chimenti corrompesse il cerusico giudeo, e questi gli segasse la gamba con ferri avvelenati. Intorno alla qual voce io non saprei consigliarvi a crederla e a discrederla nemmeno; di questo però vi assicuro, papa Chimenti volergli male di morte, e lui essere capace di questo o di altro; quanto al giudeo poi, io lo conobbi uomo dabbene. — In siffatti casi ho pianto, — due sole volte in mia vita... — Ma vedete, in quel modo che ieri udii predicare a fra' Benedetto, il capitano Moisè, traendo il suo popolo per lo deserto, e mancatagli l'acqua, percosse un sasso, e quinci uscì copiosissima fonte, in quel modo dico l'angoscia mi ha battuto sul cuore e ne fece scaturire lagrime e sangue. Ora poi a cagione dell'ultimo vituperio nostro il mio cuore si è del tutto spezzato; in breve spero mi sarà concesso di fuggire la vista del sole, che aborro, e sottrarmi così agli eventi futuri, che l'animo mi presagisce funesti: — se non sapemmo difendere la patria in Arezzo, come la difenderemo noi qui, no, io per me non so capire davvero: pari i muri, i petti pari...»

A cotesti discorsi i soldati tacevano siccome rimorsi dalla vergogna, o scorati da presentimento. Più di tutti il Machiavello. Uno fra loro, crollando ad un tratto la testa come per cacciarne i cupi pensieri, favellò:

«Lupo, le tue querele paionmi generose, non savie. Noi possiamo di quest'infamia lavarci le mani, e non mica come Pilato. L'onta ricade intera su l'Albizzi, il quale comandò la partita: ed ora, chiamato dai signori Otto a sindicato, dovrà renderne ragione col capo.»

E Lupo rispondeva:

«Il sangue macchia, non lava; la colpa del commessario si confonde con quella dei soldati; e nel mondo si leva un vituperio per tutti che tu non sai placare. Per Dio! così non istà bene. Se osservi il comando del capitano codardo, una condanna di obbrobrio insieme con lui ti contamina; se ti rifiuti agli ordinamenti della milizia, ti puniscono di morte: — il caso di Pandolfo Puccini informi...»

«Lupo, io ti assicuro», osservò Ludovico, «la passione aombrarti l'intelletto: al soldato, quando obbedisce il cenno del superiore, la fama è salva.»

«Poniamo via», riprende Lupo, «e che egli obbedendo allo iniquo comandamento non abbia infamia come soldato: ma fuggirà egli per avventura anche il danno come cittadino? Io per me lo ripeto, — così non istà bene. Immaginate, compagni, che, avendo noi giurato fedeltà al Palazzo di Fiorenza, domani la Signoria si avvisasse comandarci di abbattere Marzocco, gridare morte alla Repubblica, viva le palle: dovremmo, o no, obbedire? Se no, tristi soldati; se sì, pessimi cittadini. Io, non ho letto sui libri; — la disciplina in campo del signor Giovanni costringeva, fuori di misura, severa: e nondimanco ho sempre tenuto fisso in mente qui sotto giacere un qualche grave errore da doversi emendare.»

«Ogni male viene dalla testa», soggiunse Ludovico; «bisogna attendere prima di tutto a nominare buoni signori e buon capitano, poi rimetterci interamente ai comandi; — se togli ciò, nissun governo, nessuna disciplina possono reggere.»

«Sì bene: ma quando l'errore è commesso? Forse la pioggia non bagna le membra del soldato come quelle del cittadino, non le assidera il freddo, non le arde il fuoco? Il soldato che impegna le braccia ha forse venduto il cuore e la mente? Se il soldato vive nei campi, rinnega per questo la patria? Non conserva egli sempre desiderii ed affetti di cittadino? E se abbandona la cara famiglia pei rischi della guerra, ciò non fa egli appunto per tutelarla da oltraggio straniero? Ora dunque, quando conosce a chiara prova un comando imbecille o traditore, sarà obbligato ad eseguirlo e così con le sue mani procurare un fine contrario a quello pel quale mosse dal dolce luogo dove pure lo trattenevano pietà dei parenti, dolcezza di marito, amore dei figli? Ditemene quante volete e sapete, voi non arriverete a persuadermi che il soldato che mise a cimento la vita per la libertà della patria debba obbedire come bestia insensata e feroce allorquando gli ordinano di ammazzarla.»

«E per altra parte, se concedi facoltà al soldato», riprende il Machiavelli, «di ponderare, prima di obbedirlo, il comando (lasciamo da parte che molti ne farebbero pretesto di tradimento o d'ignavia), innanzi che l'uomo si fosse determinato a soddisfarlo, l'occasione andrebbe perduta; perocchè voi sappiate, Lupo, il destino delle battaglie pendere sovente da un minuto.»

«Voi siete dotto, voi, e da tale nascete che la sapeva lunga e la sapeva contare; sicchè poco sforzo ci vuole a far comparire scempie le mie parole. — Certo che in mezzo alla battaglia, quando il capitano ordina: Avanti! — il soldato si fermi e risponda: Lasciatemi pensare; — mi sembra cosa bestiale. — E se dall'altro canto considero che intendono ridurre il soldato in condizione di arnese composto di ossa e di carne, da spingerlo avanti, indietro, da parte, senza intelletto, senza cuore; e' mi par cosa anche più bestiale della prima. Tra le due estremità deve trovarsi una strada di mezzo. Io non ce la so vedere; ma il sangue mi bolle allorchè penso un soldato figliuolo del popolo possa riuscire, per disciplina, parricida e stromento di servitù nelle mani del tiranno o del traditore.»

«Veramente, dinanzi alla legge suprema di conservare la libertà, credo ancora io che la disciplina taccia; allora qualche cosa che sta sopra alla disciplina delle milizie approva la ribellione, anzi la persuade; voglio dire la patria e Dio. Però triste indagini paionmi queste. Di che temiamo noi? Noi abbiamo signori animosi, capitani provati.»

«E Malatesta?... — Ma via porgetemi il boccale, ch'io voglio bagnarmi la bocca. Ho parlato tanto! e forse, e senza forse, folli parole, — peccato della vecchiezza.» — Qui bevve e riponendo il boccale sulla tavola, continuò: «Vedete, l'uomo si assomiglia al boccale pieno di vino. Il tempo ogni anno vi beve un sorso lungo, sicchè in fondo ci rimane il peggio: colla età cascano i capelli e il giudizio. Viva la gioventù, forte, audace, fidente... Io stasera, invece di concitarvi con belle storie di guerra, vi attristava con torbide fantasie di vecchio gufo. — Ve ne domando nuovamente perdono: io me lo concedo tanto più di leggieri in quanto che penso il vostro cuore per parole non crescere nè diminuire. — Animo! su, compagni! non è la prima volta che gl'imperatori videro le nostre mura. — Le videro, non le espugnarono. Non dico vero, Ludovico? Messere vostro padre deve pure averlo scritto nelle sue storie.»

«Sì, certo, e udite come la racconta, che io me la sono serbata a mente: «L'imperatore (era Arrigo VII), deliberato di domare i Fiorentini, venne per la via di Perugia e di Arezzo a Firenze, e si pose con lo esercito suo al monastero di San Salvi propinquo alla città a un miglio, dove cinquanta giorni stette senz'alcun frutto: tanto che, disperato di potere disturbare lo stato di quella città, ne andò a Pisa. Correva l'anno del Signore 1312.»

«O perchè messere vostro padre, il quale pure sapientissimo uomo era, in così magnanimo fatto spese tanto poche parole?»

«Perchè dubitò la ignavia del secolo presente su le glorie passate si riposasse. Di vero, cavare sollievo nella presente miseria dalla memoria delle perdute facoltà senza sbracciarsi a mutare stato la è cosa da gente vile. Più lungo fu esponendo i falli e le colpe dei tempi, affinchè i cittadini ne sentissero vergogna e l'emendassero.»

Così consumando il tempo nel novellare di molti e varii argomenti, all'improvviso fu udito mosso di fuori uno schiamazzo di voci confuse, minaccevoli e supplicanti, umili, crucciose, e imprecazioni e bestemmie; — poco dopo un rumore come di carra rovesciate, di corpi caduti; e qui guaiti, urli furibondi, senza misura crescenti; quindi un celere scalpito di cavalli sopra il selciato della via.

Adesso, mentre i soldati del corpo di guardia staccavano le partigiane dalla parete per accorrere in aiuto, spalancato fragorosamente le porte, balza in mezzo della stanza una femmina, come palla briccolata dalla bombarda, la quale, corsi allo indietro tre o quattro passi, quasi compiendo l'urto di spinta impressa contro di lei, andò a percuotere supina il capo nella parete. Indifferenti a cotesta apparizione, i soldati uscirono dal corpo di guardia; rimasero Ludovico e Lupo per ragione di ufficio ed anche per vaghezza di soccorrere la misera donna. Le si accostarono pertanto e, rilevandola, la trovarono giovanissima, bella e di gentile aspetto: le sue vesti apparivano schiette, quali costumano le donzelle di contado, se non che fatte di panni più fini e con sottile lavorio ricamate di passamani e nastri di seta. Le si vedevano sul volto delicato i segni di patimenti sofferti, certo a lei più gravosi quanto più nuovi: pallida era ed aveva bianche le labbra, gli occhi chiusi siccome morta.

Ludovico, invece di porgere mano a Lupo onde sovvenire alla fanciulla, si rimase immemore a contemplarla. Ludovico toccava la età nella quale un'arcana malinconia si diffonde nel sangue: quanto una volta piaceva ora rincresce: — il ragno intreccia a festoni la sua tela intorno al tanto una volta diletto leuto; la spada anch'essa polverosa penderebbe dal chiodo, se amore di patria non gliela cingesse ai fianchi; il seno si gonfia a spessi sospiri: sovente tendeva l'orecchio, quasi aspettando una chiamata; si sentiva invogliato a piangere e non sapeva perchè; nella sua mente si avvolgevano forme indistinte e pur vaghe d'ineffabile bellezza, a guisa di volti di angioli specchiantisi sopra l'onda commossa di un lago; — ed ora quelle sembianze, contemplate a frammenti, par che gli stiano definite dinanzi; — la voce che aspettava gli si è fatta sentire, e l'eco della sua anima già vi ha risposto, la corda è vibrata, conosce il fine dei dubbiosi desiri.

Lupo, sdegnoso per la inerzia di Ludovico, così lo riprende:

«Vico, davvero io vi credeva più caritatevole verso il prossimo. — Datemi una mano perchè io non so quello che mi faccia: — fosse ella colubrina o smeriglio saprei il modo di aggiustarli io... una fanciulla così delicata... in questo stato... che cosa volete? non me ne intendo e intanto la poverina patisce... — Qua via, porgete il lume, vediamo mo' s'ella fosse rimasta ferita nel capo. — Tenete ferma la mano; — così non vedo nulla: — ma che diavolo avete nelle braccia che le vi tremano come se la quartana vi fosse venuta addosso?» — Così favellando Lupo spartiva dietro il capo il volume delle chiome alla donzella e, al moto delle dita aggiungendo il soffio, speculava se vi fosse lacero o contusione. — «Gran male io non ci veggo; ora abbisognerebbe un po' di aceto... cercate, Ludovico, se vi venisse fatto di trovare o penne di pollo o esca od anche carta, che gliela bruceremo sotto il naso e la faremo rinvenire: — io la scingerei, ma non mi attento; e' sono cose queste che non si aspettano a' maschi...»

Ludovico, come risensando, senza dar mente alle parole di Lupo, aveva già tratto un pannolino di tasca e, intintolo nell'acqua, dolcemente bagnava le tempie alla donzella. Nè stette guari che, in quella guisa che l'aere vermiglio all'orizzonte annunzia vicina la lampa del sole, il colore della giovanezza e della salute, diffondendosi sul volto alla fanciulla, presagì vicino il ritorno dell'anima agli usati offici. Alfine trasse un gran gemito, e lo splendore degli occhi si manifestò. Li volse esterrefatta d'intorno, e la prima parola che uscisse dalle sue labbra fu:

«O padre mio! Dov'è mio padre?» E chiuse gli occhi di nuovo. Di lì in breve riaprendoli, gli fissa nella faccia di Lupo, e prendendone terrore, a braccia aperte si ripara al seno di Vico esclamando: «Salvatemi, in nome di Maria santissima, da quel ceffo di fiera... difendetemi da quell'empio ladrone... uccidetelo, o uccidetemi...»

«Per la testa di San Giovambattista!» proruppe Lupo, «valeva il pregio davvero che io mi prendessi tanto impaccio di scioglierle la lingua a cotesta calandra! Che ci ho a fare io, se gli anni mi hanno mutato in bianco quello che un giorno ebbi nero, e il sole ha mutato in nero quello che dalla natura sortii bianco? Se le ferite mi hanno cincischiato il viso, ciò è avvenuto perchè, tranne una volta... una volta sola..., non voltai mai le spalle al nemico. Ed io vo' che sappiate, fanciulla mia, tornare a maggiore infamia pel soldato gli sfregi alle spalle che non si vedono che gli altri visibili sopra la faccia. — Nè sempre apparvi quale comparisco adesso; — e qualche occhio di donna pianse alle mie partenze, e qualche labbro sorrise ai miei ritorni. Ma ci corrono anni da questi a quei tempi! — Però non dubitava di avere ceffo da mettere paura, — da masnadiere, — da ladrone. Voi, fanciulla mia, avete scambiato il sorbo per noce. — Io sono Lupo bombardiere agli stipendi della Repubblica di Fiorenza... onesto e dabbene quanto può esserlo qualunque altro bombardiere in questo mondo e in quell'altro.»

Ludovico sosteneva quel caro peso; fremeva, godeva e taceva; un'arcana voluttà gl'investiva le membra. La donzella pur sempre a occhi chiusi, col capo dimesso; di repente si svelle dalle braccia di lui, palma percuote a palma, le mani si caccia tra i capelli, prorompe in dirottissimo pianto e, fuggendo verso la porta, empie l'aere notturno col grido:

«O padre mio! o padre mio!»

«Vico la seguitando veloce, la trattiene; e confortandola con dolci parole, le dice:

«Non temete; il padre vostro ritroveremo; vi ricondurremo alle vostre case... ai vostri parenti...»

Qui lo interrompe un alto riso della fanciulla: — egli allora, tra stupido e soddisfatto aggiunge:

«Sol che vi piaccia mantenere l'animo lieto e tranquillo.»

«Vuoi rendermi la casa! Oh! rendimela via, e con essa la mia cameretta linda, polita, col soffitto tinto d'azzurro, e il letticciolo con le coperte di rascia rossa e il bel capoletto di Sicilia: — rendimi la immagine della Madonna dell'Impruneta di Luca della Robbia e la lampada e il vaso dove ogni giorno mutava fiori freschi di mia mano côlti nel giardino... Ma come farai a rendermela, se quando ne uscii, il pavimento, le pareti, il soffitto tutta andava in fiamme?... Mi vuoi gettare tra il fuoco? In che peccai? Cotesta è la stanza dei dannati, ed io non ho fatto male a persona nel mondo. — Io sono innocente, io! — Tu mi hai parlato di madre: menami a vederla, e ti dirò fratello, perocchè io sappia ogni creatura nascere da una madre ed essere amata da lei sopra ogni cosa: ma io, sai? non ho conosciuta la mia... nessuno ha risposto allorchè domandai: siete mia madre voi? — ed io fin qui ho dubitato di essere venuta al mondo senza. Ben ho padre e amatissimo. — Almeno lo aveva un'ora fa; — ora poi non so più s'io lo abbia. — Deh! se lo sapete, insegnatemelo, siatemi pietosi, rendetemelo. Non conosco altro che lui nel mondo: — che cosa dovrei fare sola, orfana, abbandonata a me stessa? — Adesso poi che madonna Lucrezia è morta. — Oh! le sventure vengono sempre e troppo accompagnate. — Non credete forse che madonna Lucrezia sia morta?... Io stessa l'ho veduta, invocato il nome santo di Dio, precipitarsi a capo rivolto nell'Arno. Oh quanto era gran dolore non poterla soccorrere! e, potendo, non avrebbe mica voluto, perchè ella si uccideva per fuggire vergogna. — Io stesso per lungo tempo l'ho cercata lungo le sponde invano; e dopo trovai mio padre che sedeva sui tegoli inceneriti di casa... e corsi e corsi veloce, cosicchè le stelle del firmamento mi parevano un nastro lungo lungo di luce; — e ora l'ho perduto da capo... Signori, abbiate pietà dell'orfana; riconducetemi da mio padre... O padre mio...»

In questa le guardie della milizia fiorentina tornarono; e chi sorridendo, quale imprecando, depositano le armi: se non che, vista la desolazione della fanciulla, si acquetarono tutti, ed uno di loro soltanto raccontò: causa del trambusto una squadra di cavalleggeri uscita a foraggiare, che tornando carica di preda aveva trovato la porta ingombra di gente del contado, di carra, di somieri e di masserizie, con le quali fuggendo riparavano alla città; che, non essendo riuscita, ad ottenere per amore si slargassero per lasciarla passare, si era cacciata di forza tra quel cumulo di uomini, di bestie e di cose, sicchè sbarattandolo e rovesciandolo era passata di galoppo tra mezzo. Poco il guasto o nessuno; qualche mulo o cavallo aombrato correre alla ventura per la città, ma presto lo avrebbero ritrovato; la fanciulla di certo caduta per urto di cima a qualche carro dove si stava addormentata: trattenerla nel corpo di guardia pareva il consiglio migliore, perchè non istarebbe guari la sua gente a venire per lei.

La fanciulla porgeva attentissimo l'orecchio, fissava arguto il suo sguardo nel volto del parlante, sospettosa non la dileggiassero; e quando le parve sincero, alquanto si assicurò: allora con ambe le mani traendosi dietro il capo i molti capelli caduti sulla fronte, disse:

«Faccia Dio che presto ritorni! — Ma dove mi hanno condotta? Dove mi trovo adesso?» E vedendosi circondata da tanti uomini i quali curiosamente la guardavano, arrossì vereconda e declinò le palpebre.

«Figliuola mia», le rispose Lupo, «già non voglio dire che non potresti stare con miglior gente, perchè la sarebbe soverchia presunzione cotesta; pure così come ti trovi, sei sicura quanto nel monastero delle Murate. — Tu stai in Fiorenza presso la porta San Nicolò, tra giovani costumatissimi e ascritti alle bande della milizia cittadina. — Io poi mi chiamo Lupo e sono bombardiere preposto alla colubrina piantata in cima alla torre della porta.»

«Signor Lupo», soggiunse con umil voce la donzella, «io mi abbandono nelle vostre braccia; — fatemi da padre finchè non abbia ritrovato il mio vero. — Di ciò vi avremo obbligo infinito tanto mio padre che io; e pregherò per voi la madre mia ch'è nei cieli.»

«Sta' pure di buon animo, figliuola mia; tu sei in mezzo a' tuoi. Anzi, ora che penso, onde diminuire le ansietà di questa povera fanciulla, e' sarebbe bene alcuno di voi, con buona licenza di messere Vico, si movesse in traccia di suo padre per le prossime vie.»

«Dio ve ne renda merito», disse la fanciulla; — e poi volgendosi a Vico e per la prima volta consapevole riguardandolo, volle parlargli, e si confuse anch'ella; onde si rimase in silenzio.

«Come volete, Lupo, ci poniamo in traccia del padre suo», notarono alcuni, «se i nomi di lei e di quello ignoriamo?»

«Andate», disse la fanciulla, «e se per la notte incontrate voce alcuna di pianto che chiami Annalena, — quegli è mio padre. Se non udite la voce, il dolore lo ha ucciso.»

«Orsù dunque voi, Marco Guidi e voi Pierfilippo, aggiratevi qui d'intorno e vedete se per sorte vi ci abbatteste. — Tornate presto e non passate l'Arno.»

Due uomini obbedivano al comando di Ludovico.

«Figliuola mia», riprese a favellare Lupo, «se io non ti rinnuovo troppo disperata memoria, dimmi a che termine si trova il nostro infelice contado?»

«Ahi! trista me! — I tormenti che videro questi occhi vincono le parole. — Atti nefandi, abominazioni da demonii, immanità efferate, delitti quali non dovrebbe tollerare la pazienza di Dio. Chiunque adesso percorresse le terre già tanto fortunate del nostro contado, gli parrebbero un deserto; — le tempeste dei cieli, i fulmini, li terremoti insieme raccolti non potrebbero apportare danno uguale a quello che hanno cagionato questi empi ladroni. Le vigne svelte, gli alberi abbattuti, la terra sconvolta non serba traccia delle fatiche dei campi. Le case ardono, le chiese rovinano: e tutti questi danni ed altri maggiori non uguagliano i tormenti dei miseri abitatori. Le donne tratte in ischiavitù, ad uffici vilissimi costrette, battute, ferite... gli uomini appiccati ai pochi alberi rimasti alla campagna, miserabile spettacolo dalla lontana, più misero da vicino, perocchè allora si conosca espresso quanti abbiano patiti crudelissimi strazi prima di morire...»

«Occhi di Dio, dove dunque guardate?» Muggì piuttosto con voce di toro che non urlasse con grido umano Lupo. E la fanciulla spaventata balzò in piedi per fuggire.

«Ah!» proseguiva Lupo, «tutto questo avviene perchè fummo codardi; — se avessimo tenuto fermo in Arezzo, il nemico non iscorazzerebbe adesso il contado: bene sta, dacchè non adoperammo le braccia a difenderci, forza è che gli occhi consumiamo a piangere.»

«Oh! non versate ancora tutte le vostre lacrime, perchè tale vi narrerò una sventura a cui se il piangere non manca, vi si spezzerà il cuore per troppa compassione. Mio padre ha stanza... e devo dire, aveva, — ma l'animo non sa credere come in un giorno possano tanti infortunii accadere che appena mesi basterebbero a immaginarli, e non pertanto avvennero in un'ora sola, e noi sopraviviamo, — mio padre aveva stanza in Val di Greve presso San Giusto: in certo luogo fuori di mano, ombroso per copia di piante, era fabbricata la casa nostra, asilo d'innocenza, per me di pace non interrotta, per lui di riposo agli antichi travagli, dacchè mio padre, da me in fuori non ha parenti al mondo, e spesso piagne sopra altri e la moglie defunta, e più sovente egli versa lacrime d'ira che mi fanno paura. Ora correranno tre notti il padre, accompagnandomi alla mia cameretta, mi baciò in fronte, mi benedisse e mi salutò dicendomi: Addio, a domani. — Poi, quasi un qualche presentimento lo funestasse, rifece i passi per rammentarmi assicurassi bene per di dentro le imposte, essendo la casa bassa, la contrada piena di ribaldi, molto il pericolo dei ladroni, più che soldati, dell'esercito della lega, le difese poche o nessuna. Ond'io, maravigliando dell'insolito sospetto, domandai: Perchè tanto temete? — Ed egli a me: Perchè mi sei sola in terra. — Siccome mi aveva consigliato, chiusi diligentemente le imposte, — poi mi prostrai davanti alla immagine della Madonna e le porsi le consuete preghiere pel padre, per tutti ed anche per me; — mi giacqui pacata proponendo levarmi mattiniera avanti l'alba per cogliere fiori, destare il padre spruzzandogliene sul volto la rugiada e irriderlo dei notturni terrori. — Il sonno mi vinse: all'improvviso, comechè tenessi le palpebre chiuse, uno splendore mi offende la facoltà visiva: dubbiosa di avere oltrapassata l'ora proposta, balzo a sedere ed apro gli occhi. — Pensate voi qual cuore fosse il mio quando vidi piena di fumo la stanza, — la fiamma sguizzare spaventevole lungo il soffitto! — Preso consiglio dalla paura, fatto fastello dei panni, scinta, scalza, scarmigliata i capelli, proruppi fuori. — La Madonna aveva miracolosamente preservata la cameretta della sua devota; — la rimanente casa in fuoco; — parte della scala, la inferiore, vacillante travolta in fiamme, ma sempre in piedi; la superiore caduta; ogni indugio sicurissima morte. — L'anima mia raccomandata al Signore, mi slanciai; il divino ajuto soccorrendomi toccai uno degli scalini rimasti; — bruciavano; — volai; — dall'ultimo gradino movendo il primo passo, sentii sotto il piede un corpo morbido, e mi parve ancora intendere un sospiro; — declinai lo sguardo: — uno dei piedi mi vidi contaminato di sangue, e nel corpo mi apparve la spettacolo miserabile di un servo infranto, mezzo arso dalle fiamme — forse egli precipitava dalla parte più alta della casa, dove aveva stanza.

«Affrettai il passo, non sapendo nè curando pensare in qual parte fuggissi: — unica cura fuggire. Risensando, mi trovai dietro la siepe foltissima del giardino, e dall'opposto lato scôrsi mio padre, il quale in mezzo ad una banda di scherani con le ginocchia piegate supplicava così: — Alfine anche voi una donna ha partorito; avete sembianza umana: lasciatevi piegare; concedete ch'io vada a salvarla... la figliuola... solo, unico conforto alla mia vecchiaia; — lasciatemi: — quanto possedevo vi ho dato. — Faccio sacramento sopra tutti i santi del paradiso non essermi rimasto un picciolo per riscattarmi. A che volete ritenere un povero vecchio? A che sono buono io? — Ahimè! sentite! — è rovinato un trave... forse sul corpo della mia figliuola... scioglietemi... lasciatemi. — Ed altre aggiungeva tanto compassionevoli parole che faceva passione a sentirlo. Ma gli scherani non gli badavano, intenti a dividersi le nostre masserizie più care. Ben poteva tenermi nascosta, ma come può figliuola abbandonare il padre in balìa a tanto affanno? Disprezzato il pericolo, mi palesai e corsi ad abbracciarlo esclamando: Sono salva! — Egli non poteva abbracciarmi, che ambe le mani dietro al dorso gli avevano legate; — mi baciava... piangeva... mormorava parole per passione soverchiante confuse. Così i nostri mali obliavamo, quando uno dei masnadieri in sembianza superiore agli altri mi viene appresso, e di forza piegandomi verso lo incendio mi guarda allo splendore delle fiamme della mia casa con piglio tra ladro ed osceno, poi vôlto ad un suo cagnotto, comanda: — Menala assieme con le altre. — Stende il cagnotto le mani; — io mi riparo alle spalle del padre; e questi, siccome ira ed amore lo consigliano, privo d'ogni altra difesa, a morsi mi difende; — ed ora prega, ora impreca affannoso. — Il caporale, infastidito da coteste imprecazioni, esclama: Pieraccio, fa che il tristo corvo si accheti; — e per sempre. — Il cagnotto si trasse indietro, calò giù dalle spalle l'archibuso, tolse di mira il padre mio, ed accostando la corda accesa al focone, sparò contro di lui. — Egli cadde rotolando dentro la fossa che circondava il giardino, ed io ancora caddi, come se il colpo medesimo avesse ucciso due creature. Quanto tempo durassi in tale stato, non saprei: allorchè rinvenni, mi trovai dentro una capanna angusta, e intorno a me certe fanciulle del vicinato per lunga domestichezza mie familiari. S'ingegnavano con diversi argomenti richiamarmi alla vita. Posai pertanto di alcun poco la paura; e sopra tutto mi fu a bene cagione la vista di monna Lucrezia Mazzanti da Figline. Questa magnanima donna, di cui vi narrerò il pietosissimo caso, che aveva di qualche anno condotto a marito Iacopo Palmieri da Fiorenza, abitava in villa poco lontana dalla casa che fu nostra nel popolo di Dudda: — lei citavano esempio di domestica virtù; per santità di costumi venerata, dai poverelli per la sua beneficenza benedetta, a cagione della donnesca sua leggiadria a quanti la conoscevano gradita, discreta, ben parlante, amorevole. Io, da gran tempo priva di madre naturale, lei madre per elezione riveriva ed amava. Conveniva in sua casa mio padre; e talvolta, quando stava in villa a San Casciano, un messere di alto affare, a cui mi facevano baciare la mano per ossequio, dicendomi di lui infinite novelle e come avesse corso pericolo di vita per causa della libertà e lo avessero posto al martoro, come de' casi degli uomini fosse speculatore arguto, espositore eccellente, virtuoso, dabbene... lo salutavano col nome di messere Segretario... sovente ancora messere Nicolò...»

«Il padre mio!» esclama Ludovico.

«E sì che mi pareva osservare sul vostro volto sembianze a me già conte da tempi remoti...» E mentre così la vergine favellava, il capo declinando, arrossiva. — Poco dopo riprese: «Che fa egli? vive?»

«Dio lo ha chiamato alla sua pace.»

«Fortunato lui, che i suoi occhi non vedono le presenti miserie! — Siccome me lo dicevano della patria amantissimo, pietà divina certo lo tolse allo spettacolo di così profondo infortunio. — A lei dunque mi voltai interrogandola dove fosse mio padre: ed ella rispondevami starsi in luogo sicuro; non dubitassi; lo avrei riveduto un giorno, sotto cielo meno inclemente, circondato da creature più buone. Coteste parole non mi confortavano punto; ricordai lo scoppio dell'archibugio, il padre scomparso, e stemperandomi in pianto, più e più sempre invocava il mio povero padre. Le compagne, male sapendo come consolarmi, dolenti anch'esse per eguali sventure, piansero al mio pianto, ai miei gridi gridarono. Sola madonna Lucrezia, trattenute le lagrime, non facendo atto che apparisse vile, con soavi parole ci conforta, in mille modi diversi s'ingegna raumiliarci: — Il pianto, ci dice, ai colpi di fortuna non giova anzi gli aggrava; togliessimo animo pari ai casi con i quali il Signore intenderà provarci; rammentassimo le donne di coloro i quali con rischio della vita avevano pigliato in mano la difesa della patria non dovevano piangere; a nemico superbo opponessimo altero petto; un giorno anch'essi scontrerebbero amare queste esultanze nefande; a Dio volgessimo il cuore rassegnato e contrito; alla Madre Santissima ci raccomandassimo; serbassimo la vita finchè potevamo con onore; se no, scegliessimo la morte, e il cielo si aprirebbe a raccogliere la nostra anima cantando le glorie dei martiri. — Così accesa nel volto con occhi lucenti favellava la santissima donna, quando, schiusa la porta, apparve tra noi l'abborrito ordinatore della morte di mio padre. Le compagne mi si strinsero attorno, come colombe paurose del nibbio; io lo guardava fisso e sentiva ribollirmi nel cuore orribile sete di sangue, sicchè se mi fossi trovata in mano daga o archibugio e avessi saputo come si uccide un uomo, lo avrei trucidato di certo. — Costui, che seppi tenere grado di capitano, e chiamarsi Giovambattista da Recanati, si restrinse a colloquio con Madonna; procedevano da prima le sue parole dimesse, la persona piegava in atto di ossequio, — poi diventò a mano a mano, concitato nel dire, gli occhi gli avvamparono ardenti. Madonna rispondeva raro, come schermendosi da molesta domanda, e noi la vedevamo ora impallidire, ora arrossire a guisa di persona posta al tormento. All'improvviso quel tristo proruppe: — Fin qui pregai. Ora sappiate ch'io posso volere e voglio... — Lucrezia lo supplicava tacesse, il luogo considerasse e le persone; ma l'altro non udiva ed ambe le braccia distese per afferrarla. In quello estremo la donna gli strappa la daga dal fianco e, alquanto indietreggiando, gliel'appunta alla gola gridando: — Scostati, o sei morto. — Il capitano si trasse in disparte e, contraendo le guance, fece greppo e mostrò i denti come fiera che si apparecchia a divorare la preda. — Era il suo riso. Poco appresso rincorato, — Madonna, le disse, rendetemi la daga: voi ricambiate odio per amore; — questo fa torto alla vostra pietà. — Ed ella: — Sì, certo, io non voglio comparire davanti al mio Creatore coll'omicidio sull'anima. Non a voi, capitano, sibbene a me stessa, darò la morte, se vi accostate anche un passo. — Non ne farete niente, Lucrezia! — e si favellando si avvicina; allora ella volge la punta al proprio seno e si apre le carni, cosicchè ne spiccia larga vena di sangue. Noi alzammo un terribile grido. Il capitano urlò fieramente anch'egli e, fatto delle mani croce, supplicò si rimanesse, — sarebbe partito. E si partiva: mentre stava per oltrevarcare la porta, Madonna con voce carezzevole lo richiamò indietro, e a lui tutto lieto dell'animo che immaginava nella donna mutato, ella disse: — Pregarlo di farci respirare aere meno grave, ci cavasse per qualche ora dal carcere infame; lasciasseci vagare pei campi paterni. — Ed egli: — Purchè sia meco! — Lucrezia rispose di rimando: — Sia. — Uscito dalla stanza, corremmo alla donna, fasciammo la piaga leggiera, ed ella, come già rapita a sensi diversi, lasciava fare: — diventarono mute le sue labbra: — si nascose il volto nelle mani e così stette fino a sera, premendola un fiero proponimento. Il pianto fu a noi tutte in quel giorno cibo e bevanda. Declinando il giorno, comparve il capitano Recanati in compagnia di alquanti suoi scherani, e con esso loro noi tutti uscimmo. Lucrezia volse frettolosi i passi alle sponde dell'Arno. — Talora si ferma, il cielo considerando e la terra: e poichè il cielo appariva divinamente sereno e la terra lieta di verdi piante... — ah! gli uomini non possono contaminare la natura., — gemè dall'intimo petto. — La brezza vespertina mordeva acuta, e noi la vedemmo dilatare le narici ed aspirarla a lungo tratto, come se intendesse inebriarvisi. — Cotesta era carità di patria, pensiero di godere le voluttà di cui il natio luogo va pieno prima d'immergersi nella morte. — Ora le campane delle parrocchie annunziano la estrema ora del giorno. — Voi sapete come, in cotesta ora, in quel suono si comprenda un'arcana mestizia che vince il cuore dei più tristi e li dispone ai rimorsi della notte. Madonna si pose in ginocchio, — noi ne seguitammo l'esempio, ed ella a noi volgendosi ci disse: — L'ultima ora di un giorno e di una vita è compiuta; pregate per un'anima che sta per passare. — Il senso di quelle parole non ci era chiaro, — pure pregammo con ardentissimi voti. Cosa stupenda e a me medesima, dove non l'avessi con i propri miei occhi contemplata, incredibile. I masnadieri e il capitano, i quali ci vigilavano da vicino, commossi dallo spettacolo di amore e di fede, loro malgrado si prostrarono anch'essi, sforzandosi richiamare sui labbri l'orazione nei primi anni della vita imparata dalla pia genitrice. Noi donne stavamo sopra il ciglione dell'argine; — menava sotto vertiginose le acque l'Arno grosso per le pioggie cadute nei giorni precedenti. Madonna Lucrezia si leva: — aveva nel volto gran parte di cielo; il crepuscolo dorato lo vestiva di luce serafica: ci guardò mesta, non abbattuta; secura non baldanzosa; e aprendo la bocca favellò: Figliuole mie, che voi sceglieste piuttosto la morte con onore che la vita con vergogna, stamane con parole io v'insegnava; guardate, — adesso ve lo confermo con l'esempio. — Ah! il pianto mi toglie facoltà di raccontarvi partitamente com'ella, spiccato un salto, si precipitasse nel fiume: — come vedessimo ora apparire su le acque, ora scomparire sotto, la santissima donna; e tanta era in lei la voglia di preporre l'onestà alla vita che quante volte l'impeto dei vortici la respinse su a galla, altrettante ella mettendosi le mani sul capo si attuffava giù nel fondo. Urlando correvam lungo le rive dell'Arno, strappandoci i capelli e invocando Dio. Il capitano, improvvido di consiglio, rimase stupido di terrore. I suoi non si movevano; — egli poi, quando si riscosse ed ebbe trovato barche e corde per riaverla, trasse dal fiume un cadavere. — Scendeva intanto la notte. — Il corpo inanimato adagiarono sopra una bara: — portavano intorno due torce infiammate; e il capitano seguiva livido e muto. — Già ci accostavamo al campo quando vedemmo, quasi scaturito dal seno della terra, un uomo sordidato di fango, co' capelli scomposti sul volto, ardentissimi gli occhi, stringere una daga ed avventarsi contro il capitano Recanati gridando: — Rendimi mia moglie! — E il capitano, quasi agitato dalle medesime furie, trasse in un baleno il suo pugnale gridando più forte: — Rendimi l'amor mio! — L'uno contro l'altro correndo rovesciano un masnadiero che porta una torcia; — di subito li circondano le tenebre; — ne segue fiero scompiglio: — i portatori fuggono, la bara precipita rovesciando la morta sopra i due forsennati... Se quel tremendo avvenimento giungesse a separarli, se più infelloniti si uccidessero, io non so dirvi, perocchè anch'io mi detti alla fuga, — e tanto corsi, tanto mi affaticai che, quando per lassezza mi rimasi, la notte era alta; — intorno a me silenziosa la terra; solo da lontano mi veniva un rumore come di acque che si rompano per le pile dei ponti. Pensai movessero dal campo; e rinfrancata, quantunque mi sentissi rifinita di forze, ripresi il cammino opposto a quel suono. — Andai per un tempo alla ventura, poi, ravvisando strade a me note, deliberai tornare dove fu la mia casa, sperando rinvenire il corpo di mio padre, dargli sepoltura e quindi commettermi alla fede di taluno conoscente od amico. — Pur giunsi, — riconobbi i cancelli atterrati, il bel giardino svelto; — ma mi premeva altra cura. Dal terrore agitata e dalla pietà cercai per le fosse l'amato cadavere. Per quanta diligenza io vi adoperassi, non mi venne fatto trovarlo. — Mi avvio dolente verso l'aia dove surse la casa, adesso ingombra di frantumi e di ceneri. — Mentre più mi avvicino, odo un sospiro fievole, e subito dopo vedo un simulacro umano in mezzo a quelle rovine; intendo più alacre il guardo... e mi parve lo spettro di mio padre. Se pure fosse stato tale, amore mi consigliava di andargli incontro, ma la paura mi vinse, e fuggii prorompendo in altissimi stridi. — Nel tempo stesso la voce paterna mi percuoteva le orecchie chiamando: — Figliuola, figliuola! — Così vicini a riunirci per miracolo del cielo, di nuovo ci dividevamo, — e forse per sempre, — se all'improvviso il cane fedele, superstite a tante sciagure, non mi avesse, afferrando il lembo della veste, impedito di correre. Ci abbracciammo dimentichi dei sofferti mali; caduto era il padre non già di palla, bensì per essergli mancato il terreno di sotto i piedi, e al tempo stesso, sparando l'archibuso, parve rimanere ucciso, mentre per divina provvidenza la palla, strisciategli le vesti, appena l'offendeva. Precipito il racconto: albergammo in casa amica; ci ristorammo della fame e del disagio; e poi, così volle mio padre, saliti sopra poderoso cavallo, per lungo circuito, correndo a precipizio, ci riducemmo a Fiorenza. — Forse dieci miglia discosto incontrammo un convoglio di carra e di gente che abbandonavano il contado: infranta nella persona, desiderai adagiarmi sopra un carro pieno di strame e di leggieri me lo concessero i villani dabbene; qui presi sonno; mi risvegliai precipitando e caddi tra voi. — Ed ora mio padre dov'è? E perchè tarda? Qualche fiera avventura gli accadde, e voi me la celate pietosi. O padre mio!...»

L'assedio di Firenze

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