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X.
Costituente.
ОглавлениеParliamo della Costituente. Innanzi tutto fa di mestieri sapere come nella prima conferenza che ebbi con S. A. io le domandassi quali dovevano essere le condizioni del Ministero. Il Granduca rispondeva interrogando: «E non gliele ha esposte il sig. Montanelli?» — «Sì certo, replicai, me le ha esposte; ma io desidero udirle confermare dalla bocca dell'A. V.» Allora il Granduca stesso, con le sue labbra, mi dichiarò, programma del nuovo Ministero sarebbe stata la Costituente del sig. Montanelli, — e questo mi disse senza ambagi, assoluto, non parlando punto di condizioni, o di riserve. — Rimasi percosso; e mi ricordo avere soggiunto: «Altezza, io soprattutto mi studio essere onesto.» E il Granduca: «Ed io pure sono tale.» — «Non vi ha dubbio, ripresi, e quindi non devo astenermi dal cerziorarla che l'A. V. può correre eventualmente il risico di perdere la corona con la Costituente del sig. Montanelli; ora mi permetta, Altezza, che io le domandi se ella ha bene pensato a queste accidentalità.» — «Io ci ho pensato, replicò S. A., e quantunque io fossi parato anche a questo per benefizio del mio Popolo, pure, a parlare schietto, non lo temo, perchè la mia famiglia ha bene meritato della Toscana, ed io penso, ai meriti paterni avere aggiunto qualche cosa di mio; laonde il Popolo consultato non vorrà scambiarmi per un altro, e credo che voterà pel Principato Costituzionale e per me.» — «Lo credo ancora io, ripresi; ma era mio dovere avvertirla;» e ammirando la fiducia del Principe, e volendo come per me si poteva corrispondervi in quel punto stesso, continuai: «Non era da aspettarsi meno dal suo cuore; ma se (e qui con l'atto della mano accompagnai le parole), ma se per mutate vicende V. A. avesse a pentirsi della consentita Costituente, ora per allora la prego a volermelo confidare, chè io le prometto industriarmi in maniera, che spero V. A. potrà dimettere il nuovo Ministero piuttosto con aumento che con iscapito della sua reputazione.»
Qui l'Accusa, secondo il suo stile, aggruppa insieme varie circostanze a me estranee, per lo intento (secondo la egregia espressione del Guizot) d'immergermi dentro una atmosfera di preordinazione criminosa.
Parla primieramente d'invio ordinato da Giuseppe Montanelli di Giovanni La Cecilia a Roma, dopo la partenza del Pontefice da cotesta città, allo scopo di procurare che il dominio temporale cessasse, una Costituente si bandisse, Leopoldo Secondo a presidente si eleggesse, la unione di Toscana con gli Stati Romani si operasse, senza fare per allora quistione di dinastia o di repubblica. Inoltre, l'Accusa espone, come, proclamata la Costituente a Roma, il Montanelli scrivendo al Ministro Bargagli la combattesse, come quella che imponeva limite ai poteri dei Deputati, e rispettava la personalità e le condizioni organiche dei singoli Stati italiani.
Intorno a questo particolare rispondo, che di rado il signore Montanelli mi partecipava gli atti del suo Ministero, ed io immaginando che li concertasse col Principe, taceva; ond'ebbi a maravigliarmi non poco certo giorno, che S. A. mi domandava, che cosa vi fosse di nuovo. Alla quale domanda risposi: «Chi meglio informato di V. A., che avrà ricevuto in giornata le partecipazioni del Ministro degli Esteri?» Ed egli a me: «Io non so nulla; mi si fanno mancare le necessarie notizie.» Mi permisi rispettosamente osservargli, che di me non poteva lamentarsi, perchè non mancavo di giorno in giorno tenerlo informato di tutto, anzi pure di ora in ora così di giorno come di notte, quando ce n'era il bisogno; in quanto agli altri Ministri avrei provveduto; ed infatti tornato allo Uffizio, mi dolsi col sig. Montanelli, che tanta poca diligenza ponesse a compire non pure un riguardo verso persona tanto autorevole, ma un dovere costituzionale verso il Capo dello Stato. Queste lettere, questi trattati a cui accenna l'Accusa, io non conosco; non mi furono esibiti; ignoro qual carattere rivestano; non sono chiamato a rispondere di loro.
Con questa riserva esaminandoli, osservo che egli spediva lo Incaricato segreto quando già il Papa si era allontanato, e quando le cose romane versavano manifestamente alla Repubblica, onde impedire che questa fiamma in paese confinante si accendesse e su noi si avventasse, procurare che aderisse a Governo ordinato, promuovere, in qualunque vicenda (e tutte erano temibili o sperabili allora), gl'interessi del Principe nostro colà; frattanto nè di principato, nè di repubblica si favellasse. Se io non isbaglio, mi sembra che il Montanelli in questo modo operando, mettesse in pratica lo ammaestramento del sommo Politico, che nelle improvvise e non riparabili fortune, il meglio è, potendo, aspettare: da cosa nasce cosa, e tempo la governa. Ed anche acconsentendo che il Montanelli si affaticasse in prevenzione a volgere a pro del suo paese lo esito probabile di cotesti tramutamenti, io non so come e in che lo si voglia incolpare.
Nel volume dei Documenti, a pag. 543, trovo lettera particolare del sig. Montanelli al conte Bargagli Ministro Toscano a Roma: «Se Roma convoca immediatamente la Costituente, e vota la Presidenza di Leopoldo, noi avremo ottenuto un doppio effetto: 1º Fusione dei due Stati dell'Italia Centrale. 2º Centro italiano, al quale il Piemonte e certo anche Napoli dovranno concorrere.» (28 novembre 1848.) — Più sotto, a pag. 544: «Colla Costituente sarebbe tutto rimediato (ogni padre ama i suoi figliuoli).... I Repubblicani non farebbero colpi di mano. Gli Albertiani sarebbero temperati nelle loro ambizioni dinastiche ecc.» (Senza data.) — «Tocca agli Stati a decidere se convenga meglio Deputati con mandato senza limiti o con limiti.» (pag. 545). — «Sebbene, qual è stata proclamata, la Costituente romana non sia d'accordo con quella proposta in Toscana, pur non ostante è sentita la necessità di astenerci da tutto ciò che può essere causa di discordia, e l'adesione Toscana, alla Costituente non mancherà.» (Senza data.) — «Sterbini...... assentì molto volentieri, che la Costituente fosse proclamata a Roma sotto la Presidenza di Leopoldo Secondo.» (Rapporto di La Cecilia del 30 novembre 1848, pag. 547.) — Di qui scendono le conseguenze: 1º Che Montanelli trattava comporre uno Stato della Italia Centrale, che servisse nelle prevedibili eventualità di equilibrio fra Napoli e Torino. 2º Che si adoperava a prevenire la Repubblica. 3º Che s'ingegnava di comporlo a benefizio di Leopoldo II. Io comprendo ottimamente che al Governo Pontificio questo possa e debba riuscire amarissimo; ma in che, e come possa essere argomento di crimenlese di faccia alla Toscana, io non veggo. E neppure mi persuado in che guisa questi trattati offendano la pietà cristiana del signor Montanelli. — Carlo V imperatore teneva imprigionato il papa Clemente VII in Castel S. Angiolo, e faceva nei suoi Stati esporre il SS. per lui; di più, egli fu persecutore acerrimo della Riforma Luterana, e morì santamente da frate nel convento di S. Giusto. Nè tacciarono il Bossuet di empietà per avere composto nel 1682 gli articoli della Libertà della Chiesa gallicana sotto Luigi XIV; nè empio chiamarono Napoleone quando elesse suo figlio Re di Roma. Chi conosce le conferenze dei trattati di Vienna, sa come i sovrani più religiosi e cattolici stessero per tôrre al Pontefice lo Stato, il quale gli fu salvo mercè la destrezza del cardinale Consalvi, e l'appoggio della Inghilterra, ma non sì che in qualche parte non gli venisse tarpato.
La premura del sig. Montanelli per impedire la limitazione del mandato dei Deputati alla Costituente, sia intorno alle cose, sia intorno alle persone, era conseguenza del suo Programma accettato dalla Corona come condizione del Ministero; ma non si opponeva che gli altri Stati conferissero mandato limitato; nè ricusava aderire alla Costituente comunque fosse. Qui non vi è delitto; o se vi fosse, sarebbe delitto da essere accusato dalla Camera dei Deputati, giudicato dai Senatori; ma nè Deputati accuserebbero, nè Senatori giudicherebbero, però che essi alla unanimità votassero la Legge della Costituente. Strano suona poi lo addebito al Montanelli di avere difeso energicamente il suo progetto, avvegnadio pei Ministri Costituzionali questo è dovere, come quello delle Camere, se non piace, disapprovarlo con le orazioni, rigettarlo co' voti, e costringere il Ministero a ritirarsi; nè gioverebbe punto la violenza (comodo arnese in mano dell'Accusa, la quale per iscusare i fatti altrui, lo ha sempre in pronto; per iscusare i miei, o non lo crede, o lo pretende provato luminosamente), dacchè vedremo in breve i Deputati stessi attestare averla votata spontanei, e i Senatori poi non venissero neppure disturbati dagli schiamazzi delle tribune.
Secondariamente, l'Accusa s'ingegna cercare un nesso relativo fra le dimostrazioni del Circolo e la presentazione della Legge della Costituente; ma insinuazioni siffatte cadono, quante volte tu consideri, che la Costituente formando la sostanza del Programma ministeriale, il Montanelli, senza mestiero pretesti e senza sollecitazioni, doveva proporla, difenderla, vincere, o ritirarsi.[118]
Aggruppare intorno al Ministero le intemperanze, e di straforo perfino le stragi, condirle di benevole insinuazioni d'inerzia, o di complicità, e allacciarle con i suoi atti, come se tutto cotesto turpe, stolto, e insidioso mosaico fosse fattura ministeriale, non è ufficio da Giudici. L'Accusa intemperantissima, penetrando con le sue supposizioni fin dentro le secrete stanze dei Consigli del Principe, mi costringe a rivelare le consulte. Se davanti le Camere fossi stato interpellato intorno a siffatte materie, io, seguitando le tradizioni costituzionali, mi sarei schermito da rispondere senza previa facoltà della Corona: ma qui si tratta di Accusa, qui si tratta di Accusatore che mi muove incontro co' ferri arroventati; egli è pel diritto chiamato moderamen inculpatæ tutelæ, che mi devo difendere; ed io potrei consentire tacendo alla offesa della persona, ma a quella della fama non mai.[119]
Da parecchi giorni il signor Montanelli aveva presentato il Decreto della Costituente alla firma del Principe, e questi andava differendo a restituirglielo. La trattativa di questo negozio, come di cosa a lui spettante, aveva assunto sopra di sè il sig. Presidente; solo ci dichiarava la sua dimissione sicura, là dove il Principe non gli avesse firmato il progetto. Certo giorno, il Presidente si recò per questo motivo al regio palazzo, ma anche allora egli ebbe a partirsi sconclusionato, chè il Principe lo rimandò ordinandogli gl'inviasse il Ministro dello Interno; io pure per negozii del mio ufficio ero andato a Pitti, e il Principe si restrinse immediatamente meco a consulta. — Ecco le considerazioni, che sottoposi al giudizio della Corona: «Piemonte è in guerra con Austria; nè deve supporsi che lo armistizio si converta in pace, perchè a romperlo lo persuaderanno il dolore della sconfitta, il cruciare della vendetta, l'antica cupidità dello acquisto, tanto più intensa adesso in quanto per un momento appagata, il desiderio di gloria, la irresistibile violenza delle cose; e questa forza avrebbe strascinato anche noi, quantunque, discorrendo strettamente degl'interessi della Toscana, questi ci consigliassero a posare; poco il nostro soccorso a vincere, e troppo per provocare lo sdegno del nemico; pericolosa forse la vittoria piemontese, esiziale certamente la perdita. Due essere naturali vicende della impresa contro Austria, vincere o perdere. Vincendo Piemonte, venivamo ad acquistare per confinante uno Stato di 10 milioni di uomini all'incirca, orgoglioso per vittoria, e intento sempre a dilatarsi; noi piccoli, deboli e senza frontiere difendibili dalla parte del Piemonte. Ora non era da supporsi, che Piemonte, in mezzo alla petulanza compagna ordinaria della buona fortuna, si mostrasse più temperato verso di noi di quello che fosse prima di vincere. Invero, avemmo a provare dalla parte di cotesto Regno una lotta difficile, per cagione dei confini; voleva tôrci l'Avenza, la quale perduta, era forza le tenesse dietro Carrara; e se ottenemmo che i Lavenzini tutti votassero per Toscana, ciò devesi agli sforzi supremi da me stesso operati: nè qui si rimase; chè continuava a bisticciarci per Panicale, Mulazzo, Calice e Parana, come altrove sarà con più lungo ragionamento dimostrato. Il Governo Sardo, mentre da un lato esigeva ogni maniera di sagrifizii da noi per impresa dove raccoglieva principalissimo vantaggio vincendo, perchè riuniva sotto di sè Lombardia, Venezia, Modena e Parma, e correva minore pericolo perdendo, perchè la Francia non avrebbe sofferto mai la invasione austriaca in provincia confinante; dall'altro si mostrava per modo tenace, che io, scrivendo lettere confidenziali al Ministro Gioberti, ebbi ad usare le seguenti espressioni: «Con quale coraggio potremo noi consigliare la Corona a persistere nel proponimento di correre le vostre fortune, se voi vi mostrate sì fervidi a contenderci frammenti di terra più che ad altro somiglievoli a pezzi di pan secco co' quali si fa la zuppa ai cani?» Si scusavano con lo incolpare di coteste improntitudini lo zelo importuno dei Sarzanesi. Certo di che cosa sia capace lo zelo importuno, conosco ancora io, ed ho provato, e provo; ma però non cessarono punto i lamentati maneggi. Vinta pertanto dal Piemonte la guerra, ponendo ancora che lo acquisto della Toscana non lo tentasse, noi dovevamo aspettarci ad essere ridotti in istato di assoluta subiezione. Infatti la Toscana, se lasciata durare, diventava provincia piemontese: ogni posta ci avrebbe portato ordini da eseguire: la Corona Toscana avrebbe dovuto scadere alla ignobile parte di vassalla tremante della Corona Sarda, e stenderle supplichevole la mano quotidianamente, — anzi di ora in ora, — anzi di minuto in minuto, per limosinare il misero vanto di parer padrona, — ludibrio a un punto, e agonia di Sovranità! A questo evento, che cosa avrebbe opposto uno Stato di un milione e mezzo, contro Stato di dieci milioni? Armi non avevamo o poche, e in guerra nazionale non si sarebbe voluto nè potuto adoperarle. La protezione delle Potenze estere forse? Ma di che cosa sappiano queste estere protezioni conosce il mondo; il cavallo, che cercò l'uomo per combattere il cervo, è favola antica di applicazione sempre moderna; nè la durata della Toscana avrebbe formato mai quistione di equilibrio europeo. Arrogi a questo, che le trasformazioni minacciate dai tempi portentosi non avrebbero permesso alle Potenze di badare tanto pel sottile, se in condizioni tranquille noi le avevamo vedute accomodarsi con la paziente dottrina dei fatti compiti. Bisognava pertanto cercare un freno da imporgli, e questo freno a me pareva vedere nella Costituente italiana; la quale, a senso mio, avrebbe dovuto consistere in un Congresso di Stati Italiani, dove si determinassero i diritti, gli obblighi e le guarentigie del patto federativo, non meno che le riforme, per quanto era possibile uguali, da estendersi alla universa Italia. Annullate le condizioni e le sicurezze dei Trattati del 1815, era pur forza crearne nuove. La necessità di riordinare uno equilibrio italiano tanto più stringeva, in quanto diventava maggiore il disequilibrio dello Stato convicino. In qual parte trovare un freno immediato ed efficace di opinione a un punto e di forza, se la Costituente italiana non lo somministrava?
«Nè il Piemonte dissentiva punto da aderirvi: a condurre le trattative veniva mandato da Torino, negoziatore straordinario, il Deputato Ferdinando Rosellini, uomo di mente sveglia e di arguti consigli. Sola obiezione mossa da lui era il mandato che egli pretendeva limitato non solo ai Commissarii piemontesi, ma bene anche ai toscani; questa limitazione poi consisteva in due cose: 1º nel tenere per accetto il Regno della Italia Superiore composto di Piemonte, Lombardia, Venezia, Modena e Parma, e casa di Savoia sovrana; 2º nel conservare Pontefice, Granduca, Re di Napoli in Italia. Per questo modo il limite del mandato, in quanto concerneva Carlo Alberto, riguardava due scopi, il reame e il regnante; rispetto agli altri Principi accennava alle persone soltanto; per gli Stati poi non dissentiva che potessero eventualmente stringersi od allargarsi. Breve, non voleva mettere in compromesso quanto si augurava conquistare, anzi prima della conquista esigeva la ratifica degli altri Stati Italiani. Il sig. Montanelli, fermo nel suo sistema, procedeva onninamente contrario; mandato illimitato pretendeva, e per tutti i Deputati e per tutto, così per le cose come per le persone. Conciliando io, nella impossibilità di far cedere il sig. Montanelli sul punto del mandato illimitato, lo richiamava a considerare quanto esorbitante fosse la pretensione d'imporre per parte sua le norme del mandato agli altri Principi italiani; come questi non avrebbero mai consentito la Costituente, se vi avessero ravvisato minaccia o pericolo; e per siffatto modo chiudere egli la porta alla possibilità di vedere attuata quella Costituente, che pure era stata bandita da lui; correrci anzi tutto il dovere di essere coerenti al programma, il quale aveva promesso che la Costituente non sarebbe stata causa di lite, ma sì all'opposto di concordia fra gli Stati Italiani: gli bastasse il mandato illimitato pei nostri Commissarii; questo egli avere promesso; questo solo avere potuto promettere, però che gli altri non dipendessero da lui: il suo onore essere salvo, e doversene stare pienamente tranquillo. Dall'altra parte richiamavo il Negoziatore sardo ad avvertire che, com'egli trovava strano che Montanelli presumesse dettare le condizioni del mandato ai Commissarii piemontesi, così al Montanelli dovesse sembrare nuovo ch'egli ai nostri le assegnasse; il sig. Montanelli persistere a credere il suo onore impegnato in questa promessione, nè rinvenire modo di recederne, se non dimettendosi dal suo Ministero, avvenimento che il Negoziatore stesso non pareva desiderare; ora le cose del mondo, quando e' non si possono fare come si vorrebbe, si hanno a fare come le si possono; ed io mi sarei ingegnato a piegare il Montanelli a questo, che mantenendo il mandato libero ai Commissarii toscani si contentasse che agli altri fosse conferito limitato. Inoltre, io mi legava per fede a dare istruzione ai Commissarii nostri, che al partito della maggiorità senza obietto alcuno immediatamente aderissero. Così, aggiungeva io, si concilia ogni differenza; il sig. Montanelli mantiene la promessa, e i Commissarii riuniti esibendo prima di tutto i mandati, circoscrivono i limiti e pongono le basi sopra le quali hanno ad aggirarsi le trattative. Un'altra considerazione mi muoveva a consigliare così, ed era, che quantunque andassi persuaso, che il mandato illimitato non fosse mai per nuocere all'A. S., ma piuttosto giovarle, pure questa mia persuasione studiava assicurare con quelle guarentigie che mi era dato conseguire maggiori.
«Lo Inviato sardo parve penetrarsi di queste mie considerazioni, e dichiarò scriverne al suo Governo. Io ho motivo di credere che ci saremmo trovati d'accordo, sebbene rimanesse a spianare la difficoltà relativa al Regno della Italia Superiore, la quale avevo lasciato sospesa onde sembrasse che in qualche punto cedessimo, ma disposto a consentirlo per due ragioni, una migliore dell'altra; la prima, perchè al contatto di due Potenze principali era necessario per la indipendenza d'Italia porre uno Stato forte; la seconda, perchè quando Carlo Alberto se lo fosse acquistato, chi sarebbe stato quegli che glielo avrebbe potuto contrastare? Certamente non noi.
«Considerando la seconda ipotesi della vittoria austriaca, la quale si è verificata, nemmeno mi pareva inutile nel futuro interesse del Trono Costituzionale toscano il merito di avere proclamato primo la Costituente italiana. Se la vita umana è breve, brevissima è la ministeriale; quindi non parrà cosa strana nè forte che i Ministri, secondo le facoltà dello ingegno loro, si addentrino nei tempi che verranno, e su gli eventi probabili discorrano.
«Vincendo Austria, era a credersi che i Trattati del 1815 sarebbono stati mantenuti in Italia, se pure se ne contentava. Ma pensando così diceva: le durerà eterna la buona fortuna? Dopo la vittoria rimarranno spente le cagioni della guerra in Italia? Non credo; anzi sorgeranno maggiori: mutabilissime sempre le vicende umane; le battaglie sono un giuoco di zara dove invece di dadi gittiamo anime umane, e il chiodo alla ruota della Fortuna nè uomo nè Popolo hanno posto fin qui. A noi, che vedemmo il tremendo tramutare delle sorti da Napoleone in poi, e non siamo vecchi, nessuno venga a sostenere immortale la opera degli uomini. Propone l'uomo, Dio dispone. — Pongasi Austria trionfante delle angustie nelle quali adesso si trova, e delle guerre italica ed ungherese; poserà forse tranquilla? È da dubitarsi. I Magiari parteggiarono in prima per lo Impero a danno dei Popoli slavi; se ne divisero quando alla superbia loro volle imporsi un freno; allora, côlto il destro, gli Slavi sostennero lo Impero vacillante, per odio della preponderanza magiara, e per amore di libertà: gli uni e gli altri a vicenda presero la bandiera dello Impero per ingagliardirsi agli scambievoli danni. Gli Slavi vittoriosi, estimandosi salvatori, non diventeranno più importuni e più difficili a contentarsi dei vinti? L'aiuto russo non riuscirà più tardi molesto, però che la memoria del male presto passi e il fastidio della subiezione duri? Concesso ancora che per la parte dei Russi non si operi cosa che valga a fomentare negli Slavi sentimenti di origine, di religione e di lingua comune,[120] per cui desiderino un giorno collegarsi in una sola famiglia, non è da credersi che questi sentimenti si svilupperanno spontanei? Gli stessi Stati ereditarii non sono travagliati da umori socialisti troppo più pericolosi dei repubblicani? Questo contagio non si estende nella intera Germania? Non dura e si prolunga, tela penelopea della alemanna politica, l'assettamento della Germania? Cesserà l'antagonismo fra Austria e Prussia? Il bisogno di tenere in piedi eserciti enormi per guardare Ungheria, Italia, Boemia, Germania, non sopravviverà alla vittoria, seme nuovo di guerra? Le sue finanze non sono disastrate, i Popoli non si esauriscono anch'essi? E posto ancora che la buona fortuna e il senno dei Ministri austriaci vincano prodigiosamente queste ed altre difficoltà, forse tutte le cose nostre non hanno la morte? Non si spengono i reami come gl'individui? È questa una verità, che nè anche la superbia potrebbe smentire:
Cadono le città, cadono i regni....
Per le quali considerazioni mi parve consiglio buono mettere il nostro Stato in vantaggiosa condizione per qualsivoglia eventualità. — Se mai vorrà il destino che Austria debba un giorno abbandonare la Italia, allora avrebbe potuto valere alla Toscana riprodurre la Costituente italica, per nuovi eventi celata sotto il moggio, onde tornare più tardi a splendere sul candelabro.
«Per quello poi che riguardava il tempo attuale, la Costituente ci salvava dallo impeto repubblicano, come ho scritto di sopra discorrendo dei motivi probabili che persuasero il Presidente Capponi a consentirne il bando al signor Montanelli.» —
Il Principe, ascoltate le mie riflessioni attentissimamente, si degnò favellare queste parole: «In quanto dice vi è del vero, ma Lord Hamilton sente in modo contrario.» — «Lord Hamilton, risposi, è uomo peritissimo nelle faccende politiche; mi permette l'A. V. che io lo consulti su questo proposito?» — «Ella può farlo, il Principe soggiunse; anzi lo può fare immediatamente, perchè è qui in Palazzo.» — «Altezza, dove?» — «In salotto giallo.» — «Mi concede l'A. V. che io vada?» — «Sì, volentieri.» Nel luogo indicato, rinvenni Sir Carlo Hamilton, fratello dell'onorevole signore Ministro che adesso deploriamo defunto, col quale tenni lungo e grave colloquio, di cui conclusione fu cadere insieme intorno alla convenienza di presentare il progetto di Legge della Costituente alle Camere nel modo indicato da me. Tornai nelle stanze di S. A., e le detti ragguaglio dell'esito della conferenza; parve maravigliarsene, e desiderò udirlo confermare dal prelodato Sir Carlo; la quale cosa fece, lasciando me solo nella sua stanza: dopo lunga ora tornò, e firmando il progetto, a me lo consegnava piuttosto premuroso, che repugnante, affinchè il Ministero lo sostenesse alle Camere.
Io mi sarei vergognato adoperare parole capaci a diminuire nel Principe il libero esercizio della regia prerogativa; nè la dignità di S. A. lo avrebbe sofferto; e lascio poi considerare se di questa maniera argomenti avrebbero sortito effetto con un Ministro di tale Potenza quale Inghilterra si è. Chi vorrà, con alquanto meno disprezzo di quello che l'Accusa sapientissima si faccia, avvertire il modo col quale io sostenni la discussione della Costituente, penserà che le ragioni, trovate plausibili dalla Corona e da Sir Carlo Hamilton, non dovessero presentare poi tutte quelle stupidezze che l'Accusa si compiace immaginare. Se questo fosse caso di dannazione, bisognerebbe dire che mi sarei dannato in ottima compagnia!
E se non ho perduto il bene dello intelletto, il Documento donde l'Accusa ricava indizio di violenza usata alla Corona, la esclude del tutto. Questo Documento è il Dispaccio telegrafico del 22 gennaio 1849 al Governatore di Livorno: «Dopo molte ore di combattimento, avemmo il Decreto Regio per la Costituente italiana.» Qui, innanzi tratto, è chiaro come la parola combattimento fosse scambiata con l'altra più acconcia di dibattimento; ma via, lasciamo combattimento, chè la contesa di raziocinii si risolverà in dibattimento pur sempre. Ora io dico, che chi la violenza sostituisce alla ragione non ha mestieri di formule prolisse; il ragionare che giova? Porgete il collo alla dura necessità. La impressione del meto è cosa breve per colui che l'adopera e per quello che la subisce: non si discute mica la paura; e il dibattimento di molte ore non può referirsi alle conseguenze di un subito moto dell'animo, sibbene alle avvisate e lente operazioni del pensiero. — La quale intelligenza anche più si manifesta leggendo il rimanente Dispaccio: «bisognerebbe mostrarci grati al Principe con una grandissima dimostrazione.» Se avessi usata forza alla volontà di S. A., queste parole sarebbero a un punto vituperevole scherno per lui, immane atrocità per me..... Se non che all'Accusa costa tanto poco pensare atrocità, che scarso frutto questi argomenti ponno fare con lei!
L'Accusa, che andò a rifrustare mostruosi motivi d'insinuazioni pessime, perchè non considerò il voto unanime della Camera dei Deputati? Perchè non pose mente alle parole pronunziate dal Deputato signor Socci, nell'adunanza del Consiglio Generale del 25 gennaio 1849? «Questa immensa fiducia gliel'ha dimostrata anche la Camera, quando alla unanimità approvava la Legge sulla Costituente italiana, e credo che tutti la votassero di gran cuore.»[121]
Ma all'Accusa non basta la testimonianza del Socci, che nell'ardua sua virtù ella forse come cagnotto del Potere disprezza; onde, la mano sempre sul petto,
Da quella parte ove il cuore ha la gente,
e gli occhi al cielo, l'Accusa attesta andare nei precordii della sua coscienza convinta, che soffocata quasi la discussione della Camera, in virtù del tumulto delle tribune, riuscisse al Montanelli di ottenere il mandato illimitato[122] — Deh! abbassa, o coscienziosa Accusa, cotesta mano, e quegli occhi, e prendi il Monitore, e leggi ciò che arringando dichiarava Ridolfo Castinelli, uomo per fermezza di carattere, ai tempi che corrono, piuttosto singolare che raro; e bada, Accusa, ch'egli è quel desso che i libertini più accesi pretendevano escluso dalla deputazione pisana: e avverso al Ministero reputavasi, e certo egli professava dottrine conservatrici, e sopra i banchi dell'Opposizione sedeva; — e avverti ancora (dacchè tutte le Accuse sogliano talvolta disgradare nella memoria Magliabechi, e tal altra, quando lor torna, superare in ismemoraggine Messala), che il sig. Castinelli queste parole profferiva il 25 gennaio 1849, discutendo la Legge su i Buoni del Tesoro, e però spontaneo così e liberissimo, che neanche l'argomento del discorso, o lo impeto della improvvisa orazione gli facesse violenza.
«.... E ciò prova che è veramente insussistente l'accusa, pure pronunciata in questa Assemblea, che il Ministero abbia a combattere una Opposizione sistematica. — Il voto unanime che il Consiglio Generale dei Deputati diede alla Legge di convocazione della Costituente Italiana, non prova luminosamente ciò che ho affermato? — Se alcuni onorevoli nostri Colleghi amarono sentire dalla bocca stessa dei Ministri, quanto era spontaneo il desiderio del Principe che lo portava a sottoscrivere l'atto d'inaugurazione per il Popolo Toscano alla vita rappresentativa italiana, non resultava dalla discussione e dallo sviluppamento degl'intimi moventi dei Ministri, se fosse bello e rifulgente il serto col quale tutti concordi incoronammo questo grande Atto?»
Forse, chi sa, potrebbe darsi che alcun poco dolesse all'Accusa di trovarsi perpetuamente in tutto quanto ella afferma smentita; ma considerando dall'altro canto, che il renunziare a questa parte della truce novella sconcerebbe l'architettura della fabbrica, delibererà nella sua coscienza dovere persistere a ritenere e dare ad intendere violentata la Camera dei Deputati nel voto della Legge intorno alla Costituente. — Rispetto a ciò, confesso non sapere che cosa rispondere; ed auguro all'Accusa su le piume della coscienza un sonno d'oro. Che se non le talenta la Camera dei Deputati, almeno tenga in pregio il Senato, corpo creato dal Principe e conservatore per eccellenza. Tenga in pregio lo scrutinio segreto, dove ognuno poteva deporre nell'urna, senza sospetto, il voto riprovatore. Tenga in pregio le parole dello illustre senatore Bufalini: «Non avrei altre considerazioni a soggiungere in questo proposito, sopra il quale non mi pare sia occorsa divergenza di opinione. Dirò solo che, come il Senato fu sempre penetrato della grande importanza di riacquistare la nazionale Indipendenza, e fu sempre sollecito altresì, per quanto era in lui, di provvedere a tutto ciò che potesse meglio conferire allo acquisto di quella; così se dall'adozione della proposta Legge avesse egli potuto temere nocumento per lo acquisto della Indipendenza nazionale, certo che il Senato avrebbe avuto il coraggio, inspirato dal dovere, di palesare francamente non essere ancora venuta la opportunità di approvare una Legge, che invece di partorire i benefici frutti che si desiderano, avrebbe anzi attirato sopra la Italia le calamità che più si vogliono fuggire. Così non temendo il Senato questi mali, si conduceva più facilmente a servire al principio che lo aveva condotto alla unanime persuasione di dovere adottare la Legge proposta; e quando la Commissione esprimeva al Senato questo pensiero, esprimeva appunto il pensiero che unanimemente le Sezioni avevano accolto.»
Ma il voto unanime non giova, il voto segreto neppure, molto meno la mancanza di qualsivoglia obietto nel seno delle Sezioni; non giova il silenzio delle tribune assistenti alla discussione del Senato, non giova la solenne dichiarazione, che i Senatori avrebbero avuto il coraggio di rigettare la Legge dove l'avessero reputata dannosa: l'Accusa li pretende ad ogni modo costretti a votarla sotto la impressione del terrore; e se essi lo impugnano, l'Accusa predicherà, che non sanno quello che dicono, e che ella lo sa per loro, e meglio di loro, ed anche contro a loro, perchè così le fa comodo di sapere; e badino a stare cheti, che nel Senato han favellato assai. O Accusa!.... Accusa!.... Accusa!....
L'Accusa, non ci ha rimedio, è ferocissimamente incaponita a pretendere violati i Senatori, come a volere me non tocco, negli atti co' quali, e nei quali venne a consumarsi la perduellione.
Io per volere del Principe dettai il Programma ministeriale e il Discorso della Corona. In questi Documenti, afferrato il concetto avventuroso della Costituente, badai a renderlo benefico con le dichiarazioni solenni: «La Costituente ha da essere pegno di amicizia, non offesa ai Popoli amici, molto meno impedimento a conseguire la suprema delle necessità nostre, la Indipendenza Italiana. Quindi preparandola noi, non vogliamo togliere che venga convocata in città più inclita della nostra, comecchè nobilissima ella sia; e neppure vogliamo proseguirla in guisa, che non riesca per poca autorità del nostro Stato, o turbi le relazioni fraterne co' Popoli vicini.» — (§ 12 del Programma ministeriale.)
Prima gettai il principio che la Costituente avesse ad essere motivo di unione con gli altri Stati; la quale cosa importava che non si dovesse turbare la Italia con proposte importune di mutamenti politici: quindi, per ovviare ad acerbe censure, posi la suprema necessità della concordia per la guerra della Indipendenza: più tardi, persuasi che le quistioni governative si aggiornassero: infine, che la Costituente avesse a presentare due stadii; il primo di difesa, il secondo di forme; nè si muovesse parola intorno al secondo finchè non fosse conseguito il grande scopo della Indipendenza italiana; e, quantunque non senza molta difficoltà, indussi il Presidente del Consiglio ad abbracciare questo partito, conforme apparisce dalla Circolare ai Rappresentanti del Governo toscano presso i Governi italiani del dì 8 novembre 1848.[123]
L'Accusa, che si mostra così curiosa a ricercare sui Giornali cose che valgano a danneggiarmi, o perchè non lesse le acerbe polemiche dirette principalmente contro me, rimproverando la falsata indole della Costituente, la fede pessima di attenuarla, e ridurla in fumo?[124] In quanto a me, suonavano coteste accuse ingiuste, imperciocchè io avessi bene aderito alla Costituente, ma a patto che non fruttasse seme di discordia fra gli Stati Italiani.
Intanto si ritenga che mercè gli sforzi miei, cui aderì la maggioranza del Consiglio ministeriale, la Costituente doveva presentare due stadii: 1º la guerra; 2º gli ordinamenti interni aggiornati dopo lo acquisto della Indipendenza. — Domando in grazia di bene avvertire questo fatto a cagione della importanza delle conseguenze che ne scaturiscono.
Rimaneva a discorrere del tempo, del luogo, delle condizioni del mandato.
Tutto questo rimase indeterminato, e non senza consiglio. La stampa chiedeva il luogo fosse Roma, il tempo il 5 febbraio, giorno della convocazione della Costituente romana, il mandato illimitato; dei due stadii non si voleva sentire parlare, — perchè, nei concetti del Partito repubblicano, senza ordinamenti nuovi non si poteva acquistare la forza necessaria per combattere la guerra della Indipendenza.
Riguardo al luogo, io m'ingegnavo non impegnarmi per iscegliere il più conveniente, e di Roma (se non vado errato) sempre si astenne favellare il Ministero. Procurai rimanesse incerto il tempo, per evitare la coincidenza del 5 febbraio richiesta dalle pretensioni popolari; e a questo preciso scopo nella seduta del 22 gennaio 1849 mi sforzai a fare discutere la Legge sul Bilancio del 1849 prima della Costituente, richiamando l'attenzione della Camera sopra la prima Legge, e confortandola a deliberare con pacato consiglio. Ecco le mie parole: «Crede il Ministro dello Interno fare atto di coraggio, quando profferisce parole che sieno argomento a temperare la bella, ma soverchia, voglia del Popolo. Sta al Popolo concepire le nobili passioni, ma sta al Ministero il grave carico di attuarle e renderle possibili. Ora dunque desidererei che l'ordine presentatovi dal meritissimo Presidente fosse mantenuto, imperciocchè non solamente è vero, nella guerra, quello che diceva il Maresciallo Montecuccoli, cioè, che ci vogliono: danari, danari, danari, — ma anche in ogni altro ramo di pubblica amministrazione. Ora pregovi considerare che forse la Costituente aumenterà i bisogni della guerra; quindi io vorrei che innanzi tutto si discutesse quella Legge che somministrasse i mezzi pei quali questa Costituente non riuscisse parola morta. Concludo perchè piaccia alla Camera tenere fermo l'ordine del giorno proposto dal nostro Presidente.» — (Seduta del Consiglio Generale del 22 gennaio 1849.)
Io pertanto proponevo che l'ordine del giorno si estendesse non pure alla lettura, ma ancora alla discussione della Legge sul Bilancio; la Camera non comprese la mia proposta, nè il motivo che la dettava.
Alla inchiesta che fosse discussa immediatamente la Legge intorno alla Costituente io opponeva: «Riguardo alla proposizione, che domani deve essere discussa la Legge intorno alla Costituente italiana, a me, come Deputato, siffatta coartazione non piace, e l'Assemblea non la deve per niente subire. La Legge della Costituente è d'importanza così grave e solenne, così ella può mettere il paese in condizione perigliosissima, ch'è bene che tutti i Deputati ci portino quella maggiore considerazione che si desidera e che la importanza della cosa vuole.» — (Seduta medesima.)
L'Assemblea, malgrado la dilazione da me insinuata e la causa grave per motivarla, non attese gli avvertimenti del Ministero, anzi li contrariò, e volle nel giorno successivo discutere e votare la Legge nello insieme e nei suoi articoli.[125] Nè si dica che la Camera patisse violenza; imperciocchè io stesso, e lo ricordano tutti, io stesso la confortai ad usare animosamente dei suoi diritti, e infastidito a un punto dello schiamazzare delle tribune e della pazienza del Presidente, uscii in queste avventate parole: «Poichè, per le regole parlamentarie, a me non è lecito in questo recinto favellare al Popolo, prego il signor Presidente indirizzargli una parola formulata così: «Dichiaro traditore della Patria chiunque con intempestiva e indegna perturbazione fa sì che in questo momento la discussione non proceda solenne e liberissima.» — (Detta Seduta.) Veda dunque l'Accusa, che per me si fece anche troppo per mantenere la libertà e la dignità della Camera; ragione le porsi e modo di aggiornare a tempo ben lungo la Costituente, dacchè la discussione del Bilancio suole occupare parecchie Sedute. L'Accusa dirà: e' sono parole; — ma coteste parole corrispondono a' fatti, e si persuada che non era piccolo cimento profferirle allora.... oh! riesce molto più facile dissimularle adesso.
Ancora: per evitare il domandato invio dei Deputati alla Costituente romana il giorno 5 febbraio, dava spazio lo adempimento dello articolo 6 della Legge. Poco mancò che anche questo benefizio andasse perduto, per la proposta di un Deputato diretta a invitare il Ministero «a presentare il Regolamento per l'elezioni entro tre giorni da quello in cui la presente Legge avrà ricevuto la finale sanzione.» — (Detta Seduta.)
Un'altra considerazione. La petizione del Circolo intendeva che la Costituente italiana subito, a tutti i fini, sia ordinamento interno, sia apparecchio di guerra, si stabilisse a Roma, allegando la promessa del Ministero, che l'avrebbe convocata tostochè vi aderissero due Stati d'Italia. — (Detta Seduta.)
I petizionarii erravano, perocchè il Ministero avesse promesso unicamente: «Che la Costituente comincerebbe le sue operazioni appena due Stati si fossero intesi ad iniziarla, ma al solo ed unico scopo di provvedere alla guerra della Indipendenza, ch'è quanto dire al primo stadio: rispetto al secondo, non potersene parlare finchè non concorresse il voto di tutto il Popolo italiano, gran parte del quale non potrà eleggere i suoi rappresentanti finchè geme nel dolore della straniera servitù.» — (Circolare dell'8 novembre 1848, Art. 12.)
Così ho inteso dimostrare: 1º quali fossero i motivi pei quali a me importava rimanessero incerti il tempo e il luogo della Costituente; 2º come la petizione del Circolo non s'accordasse col progetto ministeriale pel tempo, nè per il luogo, nè per lo scopo che la Costituente si proponeva; e questo serva a confutare il nesso che l'Accusa (con intento trucidatore del vero) pensa discernere tra la petizione del Circolo e la presentazione della Legge: anzi, dicasi senza ambage, il concertato di me Ministro col Circolo.... — Faccia pure l'estreme prove l'Accusa, ella non giungerà mai a conseguire il sospirato disegno di trovarmi cospiratore contro la fede di Ministro del Principe.
Adesso favellerò del mandato e dei motivi che me lo fecero lasciare indefinito. Quali discussioni sostenessi col signor Montanelli su questo proposito, in parte esposi. Ai ragionamenti riferiti aggiungeva: — «supposto che Carlo Alberto esca vittorioso dalla guerra italiana, egli è verosimile che voglia deporre la sua Corona davanti ai Commissarii della Costituente, rassegnandosi a portarla quando essi glielo avranno concesso? E quando, per vano simulacro, adoperasse così, chi avrebbe osato disdire a lui trionfante e gagliardo su le armi? Il Re di Napoli gli pareva egli uomo da cacciarsi a chiusi occhi in questi ginepraj? Voglionsi le cose o le immagini delle cose?» — Montanelli andava pensoso, ma diceva assai avere sofferto sbocconcellato il suo progetto; nè potere senza scapito di reputazione consentirlo più oltre; e poichè gli riusciva difficile sostenere il suo programma politico, probità di uomo e dovere di Ministro consigliarlo a dimettersi. Il signor Montanelli propose alla Corona espressamente, esplicitamente, la sua dimissione, e per dimostrare la parzialità sua pel Ministero, accettava la rappresentanza toscana presso la Corte di Torino.
Alla Corona piacque farmi l'onore di consultarmi su questo negozio, ed io le osservai: «Vuolsi o no conservare il signor Montanelli al Ministero? Se no, accettisi la dimissione; in quanto a me, riduco volentieri la Costituente in termini più limitati. Se sì, egli non può moralmente nè politicamente tirarsi indietro.» Ho motivo di credere che il Ministro d'Inghilterra consigliasse accettarsi la dimissione del Montanelli. Alla Corona non parve prudente accettare, almeno per ora, il congedo del Presidente del Consiglio, nè inviarlo a Torino; in quanto a me, è agevole sentire per quali motivi di convenienza dovessi rimanermi da insistere. Invitato dal Principe a ricondurgli il Montanelli, lo feci, e fu accolto con modi più che cortesi, affettuosissimi.
Adesso pertanto bisognava mettere d'accordo il progetto del sig. Montanelli con l'esitanze della Corona, ed anche co' dettami di buona politica.
Proposi si lasciasse nella Legge indefinito il mandato, e le ragioni, per così fare, furono queste. La Costituente deve validare la concordia degli Stati Italiani; ora la maggiorità di questi, se avessero inviato (come era da aspettarci) Commissarii con mandato diverso da quello dei nostri, dovevamo noi porre questi al duro passo di partire dal Congresso, con danno e scandalo del Paese? La Costituente non rigettava verun progredimento razionale e possibile; questo aveva proclamato il Ministero nel programma, la Corona nel discorso di apertura; dovevamo noi ostinarci adesso a volere Cesare o nulla? Il Popolo non pure poteva, ma doveva dare mandato generico, imperciocchè sia chiaro che egli in anticipazione non avrebbe saputo nè come, nè quando, nè su che cosa sarebbesi adoperato, specialmente nel possibile progresso verso lo scopo della Costituente. La cognizione di tutto ciò apparteneva al Potere Esecutivo; e a questo solo spettava per necessità (essendo egli ottimamente informato delle condizioni mutabilissime dei tempi) ampliare o restringere il mandato adattandolo alle contingenze. — Intanto fino d'ora, come istruzione fondamentale, si doveva annunziare che i Commissarii nella preliminare verificazione dei poteri si uniformassero alle condizioni del mandato della maggiorità.
Per questo modo il suffragio universale eleggeva i Commissarii con mandato generico; ma il Potere Esecutivo ne formulava le condizioni a norma del suo discernimento per darne conto a suo tempo alla Rappresentanza del Paese.
Questo non fu avvertito dall'Accusa, anzi dissimulato affatto: non importa; basta che bene lo avvertano coloro cui piace lo studio della verità.
Ora io sostengo, che questa facoltà posta in mano del Potere Esecutivo, oltre all'essere razionale per le ragioni discorse, riusciva favorevole alla sicurezza della Corona, e al conseguimento dei suoi giusti desiderii, più di qualunque mandato, comunque strettamente formulato.
Infatti, applicabile così a tutti i casi contingibili, avrebbe il Potere Esecutivo avvertito, che il mandato non riuscisse mai inane; — commesso al suo discreto giudizio, il Potere Esecutivo n'era assoluto moderatore ed arbitro, onde nè ai danni proprii nè agli altrui si traducesse.[126]
Intanto, e giova ripeterlo, per le dichiarazioni esposte, il Potere Esecutivo doveva ordinare preliminarmente il mandato generico a questi tre fini: 1º Le trattative di ordinamento interno fino a guerra vinta si sospendano; 2º i Commissarii si occupino ad assicurare la Indipendenza italiana; 3º trascorso questo periodo, i Commissarii toscani per riordinare la Italia, aderiscano a trattare dentro i limiti prescritti dalla maggiorità dei mandati dei Commissarii italiani. La Costituente Montanelli veniva per questo modo ridotta dentro confini possibili, e giusti: la quistione dello interno ordinamento prorogata a tale termine, dove ricorrere alla Costituente sarebbe stato rifugio desiderabile e accettissimo: — quantunque dubito se efficace, pure l'estremo, che avrebbero concesso le contingenze future di fronte alle cupide voglie di un Regno forte su le armi, baldanzoso per fresca vittoria.
La diversità dei pareri e i faticosi dibattimenti col Presidente dei Ministri di tanto non poterono celarsi, che traspirati nel pubblico non si qualificassero come dissentimenti profondi fra i Membri del Consiglio,[127] per cui il Monitore del 25 gennaio 1849 ebbe ad avvertire: «Siamo autorizzati a dichiarare per la seconda volta, che le voci di men che perfetta concordia fra i membri componenti il Ministero, sono senza fondamento.»
I Giornali avversi al Ministero, intesi a screditarlo per ogni via, e gli altri di parte esaltata, me denunziavano al Pubblico come ligio alla Corte[128] e nemico alla Costituente. Di qui ebbe origine la diffidenza dei Repubblicani, e il sospettoso sorvegliarmi più tardi.
Prove dello assunto fino ad ora discorso si ricavano evidenti negli atti pubblici. Si ponderino le espressioni della Circolare del 12 decembre dettata in questo spirito: «La limitazione proposta dal Ministero romano, non è in alcun modo necessaria quanto al primo stadio della Costituente. Trattandosi in questo d'indirizzare tutte le forze armate italiane alla cacciata dello straniero, la Costituente assume il vero e proprio carattere di Federazione militare, con un centro unico di direzione; e nessuno degli Stati Confederati può temere, che la propria esistenza sia posta neppure in problema. Quanto poi al secondo stadio, la limitazione riesce affatto superflua per altra ragione. L'opinione nazionale italiana, resultante dalla contemperanza di tutti i pareri e di tutti gl'interessi, sarà quella che farà legge, qualunque sia il limite col quale oggi si presuma signoreggiarla. Ora dal nuovo rimescolamento di tutte le forze italiane agitate nella guerra della Indipendenza, o questa opinione uscirà favorevole alla unità federale, o alla unità assoluta. Se alla unità federale, sarà superfluo avere imposta questa forma alla Costituente, come la sola possibile, essendochè proromperà dal libero voto della stessa Nazione solennemente interrogata. Se alla unità assoluta, le restrizioni attuali non potranno impedire di acquistarla alla Nazione che la vorrà.»
Da queste parole si ricava come eventuale riuscirebbe e lontanassimo trattare degli ordinamenti interni, e come ogni pensiero dovesse volgersi adesso alla guerra; da queste altre si dedurrà, che, venuto ancora il tempo di provvedere alle forme governative, il Ministero toscano annunziava rimettersi al volere dei più. «Gelosi della Costituente autonoma, noi ci guarderemo dal fare di essa una bandiera di scisma. E poichè qualunque passo sì faccia verso la Unità lo riguardiamo come un progresso, se il voto di altri poderosi Governi si manifesti per la limitazione che noi respingiamo, ci uniremo a loro, contenti del non imporla ai rappresentanti inviati da noi.» — (Circolare suddetta.)
Così lo stesso signor Montanelli esprimeva il concetto della maggiorità del Ministero, comecchè non consentanea affatto al primitivo suo.
Invero, confrontato il Programma della Costituente pubblicato dal signor Montanelli a Livorno, consentito dal Ministero Capponi, troveremo come il concetto della Costituente ministeriale fosse non pure diverso, ma contrario, dal suo. La Costituente del Montanelli proclamata a Livorno esclude i due stadii, nega che l'ordinamento governativo deva posporsi alla guerra; all'opposto intende che la preceda, poichè per esso egli crede che la guerra potrà condursi gagliardamente: «Ma questo gran fatto di un Governo nazionale dovrà precedere o seguitare la conquista della Indipendenza italiana? Noi abbiamo creduto che avesse a susseguire alla espulsione dello straniero, e questo fu il nostro errore fatale!!! — Ma che cosa mancò alle forze insorte per compiere l'opera della Indipendenza? Mancò l'unità della direzione. Quindi il non avere un Governo nazionale, il combattere come Piemontesi, come Toscani, come Napoletani, come Romani, e non come Italiani, fu la causa prima per cui questa grande impresa mancava. La fondazione dunque di un Governo nazionale è necessaria per effettuare la stessa impresa della Indipendenza italiana.» — (Vedi Corriere Livornese del 9 ottobre 1848.)
Mi sembra, che la dimostrazione non possa essere più evidente.
Il Conte Mamiani alla lettura di cotesta Circolare ebbe a dire che l'apprendeva come adesione alla Costituente romana, e la annunziò alla Camera dei Deputati romani.[129] D'altronde io aveva promesso secondarlo nella conferenza ch'ebbi seco nel novembre a Livorno,[130] e mantenevo la promessa.
Ma sopra tutto, di simili discrepanze, di tali compromessi, e cautele, appariscono traccie nella Seduta del 23 gennaio 1849. Noi vediamo uscirne quattro opinioni. Una, che per sospetto del poco intende sia specificato immediatamente il mandato; un'altra, che per paura del troppo vuole sia determinato in seguito da una Legge; una terza, che sostiene il Progetto abbia a lasciarsi incerto, nel modo col quale fu proposto, sperando ogni sconfinata conseguenza; la quarta, che lo pretende preciso perchè lo teme.
Il signor Montanelli modificando, in virtù di più maturo consiglio, la sua dottrina, sostiene la necessità dei due stadii; dichiara il principio della Nazionalità non doversi discutere se non intervengono due condizioni di fatto: la prima, che tutta la Nazione Italiana possa essere rappresentata; la seconda, che da ogni parte a lei accorrano gli eletti dal suffragio universale. (Seduta della Camera dei Deputati, 23 gennaio 1849.) — Per ora dovere accordarci per combattere non come Piemontesi, Toscani, Romani o Napoletani, ma come Italiani. — Non parla di luogo, ed esprime il desiderio, che la Costituente potesse tenere la sua prima seduta sotto la tenda nelle pianure lombarde. — Non potere essere il mandato limitato nel secondo stadio della Costituente, perchè davanti il voto della universa Nazione non era dato imporre limiti; se però i Deputati delle altre parti d'Italia avranno un limite, essi renderanno impossibile l'applicazione del principio.
A me parvero assurde le proposte, 1º di specificare adesso il mandato; 2º di aspettare a specificarlo poi con Legge. Adesso, non si poteva sapere come rimarrebbe la Italia, compita fortunatamente la guerra della Indipendenza; e il mandato avrebbe potuto non essere applicabile allora. Questo caso successo, una Legge che avesse anche in seguito determinato tassativamente il modo del trattare, avrebbe potuto rendere vani o difficili i negoziati. — Essendo commessa al Potere Esecutivo la facoltà di formulare il mandato, rimaneva in suo arbitrio adoperarlo nel modo il più utile alla Patria comune. E in me era convincimento assoluto, che fosse benefizio della Patria mantenere il Governo Costituzionale di Leopoldo II.
Quindi più volte arringando, io mi sforzava di bene inculcare:[131]
§ 1º Come la Costituente si dividesse in due stadii: «il primo, di concorrere con tutti i Potentati italiani alla guerra della Indipendenza; il secondo, di determinare le forme della nostra Nazionalità.
§ 2. Come ai fini della Costituente da me sostenuta, bastasse questo solo primo scopo: «Se i Rappresentanti degli altri Stati italiani non vorranno subire questa larga formula, e se consentiranno all'Assemblea Costituente al solo scopo di proseguire la guerra per la Indipendenza, vorremo noi imitare lo improvvido padre di famiglia, che ricusa porzione di pagamento perchè non gli saldano il debito intero? No, noi accetteremo.»
E successivamente: «Nella verificazione dei poteri vedranno quanti sono Deputati dal mandato limitato, quanti dal mandato illimitato; e là dove il numero dei primi soverchiasse il numero dei secondi, egli è certo che determinata allora la periferia delle trattative, rimarrebbe impedita agli altri perfino l'aperizione della bocca sopra materie le quali oltrepassassero il termine stabilito.» E poco dopo: «I Deputati nostri mossi da spirito di concordia, e da carità patria, lo restringano, se così il bene della Italia desidera, unicamente allo scopo di conseguire la sua Indipendenza.» Ancora: «Se fin qui non vogliono giungere gli altri Stati Italiani, in ogni caso diremo sempre ai Deputati: non tornate, ma fermatevi, e concertatevi con tutti, a patto che la Italia sia libera. Agli altri fini provvederanno il tempo e la buona fortuna.» Finalmente: «E però stando a conferire (il mandato) al Popolo ai termini della Legge, non può definirsene lo esercizio, dovendoci prima mettere in conveniente relazione con gli altri Stati Italiani, affinchè la nostra Costituente non sia motivo di discordia, ma di unione e di forza.»
Insomma, mercè i miei sforzi in Consiglio e fuori, l'avventurosa Costituente montanelliana corrispondeva sostanzialmente alla proposta mossa nel 14 agosto 1848 alla Romana Assemblea:
«Preghisi il Ministero a scrivere a tutti i Governi italiani, invitandoli ed esortandoli, uditi ciascuno i suoi Parlamenti, a spedire subito in Roma dei Deputati per discutere e deliberare in comune e sotto l'alto patrocinio di Pio IX, intorno al modo migliore di difendere la Italia e assicurare la sua Indipendenza.»[132]
§ 3. Come questo mandato avesse a esercitarsi conforme alle istruzioni, le quali sarebbero date dal Potere Esecutivo al momento della partenza dei Deputati: «In questo concetto i Deputati ricevono il mandato AL MOMENTO DELLA ELEZIONE, e la NORMA DI ESERCITARLO AL MOMENTO DELLA PARTENZA.» — E in altra parte: «il Potere esecutivo ha da indicare le istruzioni per eseguire il mandato un momento prima della partenza.»
§ 4. Come allorquando il signor Montanelli, stretto dalla Opposizione, emetteva proposizioni conformi al suo concetto primitivo pubblicato in Livorno, e discordi dal mio, pronto accorressi a fare palese che la Costituente non doveva fare ingiuria al Principe, che il mandato non poteva neppure in pensiero credersi esteso alla sua esclusione, e finalmente che l'ora della Repubblica non era suonata in Italia: «Quando un Principe generoso e magnanimo, come mi gode l'animo dichiarare Leopoldo II, non ha aborrito sottoporsi al Consesso universale d'Italia, il Ministero ha fermamente creduto che il Popolo si mantenga, come sempre fu, grato e leale; ha sentito che il Popolo avrebbe pagato di generosità la generosità di Leopoldo II; il Ministero ha sentito ed è persuaso che l'ora della Repubblica in italia non è suonata; il Ministero ha sentito ed ha creduto che Italia voglia e debba conservare la forma della Monarchia Costituzionale, e verun altro Principe meritasse più di Leopoldo II la corona dal libero consentimento del Popolo. Il Ministero pertanto, quando ha proposto a Leopoldo II questa Legge, ha creduto, crede, e crederà sempre avergli persuaso un atto di gloria e di benevolenza capace a procacciargli l'amore e la eterna riconoscenza di tutta la Italia.»[133] — (Applausi vivissimi e prolungati, con evviva a Leopoldo II.)
Pareva a me che in questo modo adoperando avessi bene meritato della Patria e del Principe, conciossiachè il principio avventuroso della Costituente montanelliana per le mie cure ridotto a plausibile disciplina ponesse la Corona in grado di scegliere quattro vie, per una piena di dubbiezze ch'ella medesima mi aveva imposta.
Prima via. La Corona poteva accettare la dimissione del signor Presidente, inviarlo ministro a Torino, e modificare, secondo che io consentiva, il progetto della Costituente.
Seconda via. La Corona poteva, della Legge intorno alla Costituente, accettare quella parte che si referiva al primo stadio; negando per ora formulare il mandato e dare istruzioni circa al secondo.
Terza via. La Corona poteva accettare, in genere, tutto il progetto della Costituente per valersene poi a tempo opportuno e secondo la contingenza dei casi, o come difesa contro le cupidità di potente vicino, o come istrumento per fondare la Confederazione Italiana, giovando alle stesse condizioni del Pontefice (il quale è da credersi che meglio informato non l'avrebbe reietta), o come mezzo di allargare lo Stato, se tale era la mente della Provvidenza, suprema ordinatrice delle cose.
Quarta via. La Corona, se tutto questo non le andava a grado, poteva chiamarmi e dirmi: «Mantenete la promessa di potervi licenziare senza scapito della mia reputazione, perchè la Costituente mi è diventata incresciosa.» Ed io avrei, con gli espedienti che mi sarebbero parsi più acconci, mantenuta la fede.
La Costituente promossa dal Ministero toscano poteva, anzi doveva, restringersi allo acquisto della italiana Indipendenza. E se questo proponimento nobilissimo, con tanto fervore, con tanta necessità di conato, con tanta immortale agonia dell'anima, e perfino con pericolo della propria persona promosso da famosi Pontefici, meritava la scomunica del Papa, io non so più vedere che cosa avrebbe meritato la sua benedizione!...[134]
L'Atto di Accusa afferma che se fosse stata accolta l'ammenda proposta dalla Commissione, si sarebbero forse salvati o rispettati almeno i dubbii e le riserve del Principe, note allora al Ministero. — Esaminando con rispetto le parole della Corona che mi oppone l'Accusa, avvertirò come quella non affermi punto di avere dichiarato al Ministero le sue riserve, bensì essere consiglio riposto nell'animo suo il riservarsi ad osservare lo andamento della discussione. La Corona parla di dubbio manifestato ad alcuni dei Ministri, non al Ministero: in quanto a me, non mi sembra avere udito di questi dubbii mai: dove gli avessi conosciuti, mi sarei ingegnato come poteva meglio chiarirli. E confido, che io glieli avrei molto agevolmente chiariti con queste proposizioni che trovano largo comento nelle cose discorse nel presente Capitolo. — I mandatarii non possono informare il mandato ai mandanti. — Importa e giova lasciare indeterminato il mandato, perchè, discutendolo, potrebbero uscirne norme rigorose, cagione di gravissime difficoltà alla Corona. — Basti avere proclamato alla faccia della Toscana, della Italia e della Europa: 1º questa Costituente tendere a due scopi; 2º non doversi trattare del secondo che ad epoca eventuale e lontana;[135] 3º adesso restringersi a promuovere la guerra per la Indipendenza italiana; 4º non potere cospirare mai a danno altrui; 5º proporsi la comune concordia; 6º quantunque il mandato indeterminato, stare in potestà della Corona e del suo Consiglio determinarlo prudentemente a norma della contingenza dei casi; 7º fin d'ora essere stato annunziato, che al parere della maggioranza degli Stati Italiani avremmo, senza pure aprire bocca, aderito; 8º finalmente avere io (discorde in questo dal Presidente) espresso che intendevo impiegare la Costituente in benefizio del mio Paese e del mio Principe e del Principato Costituzionale in Italia.[136]
Poichè l'Accusa crede discreto allegare il regio scritto, voglia non fargli dire quello che non dice: questo non è decente nè giusto. Ora l'ammenda proposta dalla Commissione suonava così: «I poteri dei Deputati, le forme della elezione, e la epoca della convocazione dei Collegi elettorali dovranno stabilirsi da Legge a parte.» Ciò posto, io non dubito dichiarare come la osservazione dell'Accusa apparisca evidentemente erronea. Immaginiamo accolta la ammenda, quale effetto avrebbe ella partorito? Forse lo scioglimento della quistione? No per certo; sibbene lo aggiornamento accompagnato co' pericoli dell'ansietà delusa, e dal sospetto di fede mancata. È manifesto errore supporre che l'Assemblea legislativa possa conferire mandato alla Costituente nominata dal Paese. Questa dottrina leggemmo professata in questo punto stesso dal signor Moulin negli Ufficii dell'Assemblea di Francia, in proposito della discrepanza insorta intorno a convocare la nuova Costituente, per rivedere tutta o parte la Costituzione, e vediamo oggi avere prevalso negli Ufficii, che a maggiorità di voti si pronunziarono per la revisione totale, o piuttosto per la necessità del non imporre alcun mandato. La ragione per tutti, ma specialmente pei giurisperiti, apparisce chiarissima. Le Camere, o Assemblee, rappresentano la parte di mandatarie; ora quando, per gravità di casi sopravvenuti, è forza ricorrere al mandante, con quale diritto può il primo imporre al secondo l'obbligo di formulare, pel seguito, il mandato nella guisa che meglio desidera? E, come di diritto, egli manca di autorità e di forza. Assurda cosa pertanto. Però sento obiettarmi: E se il Popolo, a cui si aveva ricorso col suffragio universale, avesse conferito mandato illimitato, come avreste saputo limitarlo voi? Per necessità, rispondo, della natura e dello esercizio di questo mandato. Per necessità della natura del mandato illimitato, che appunto, perchè generico, ha bisogno di norme e istruzioni successive; e se queste non prescriveva la Corona, non si conosce chi altri avesse potuto indicarle, ponendo mente che l'azione del suffragio universale versava unicamente sul voto elettorale, e quindi cessava; — per necessità dello esercizio, essendo il mandato nostro di natura complessa, e tale che senza consenso e concorso degli altri Stati rimaneva inane. E supposto eziandio che le istruzioni del Ministero per esercitare il mandato fossero parse a taluno, o a molti degli Elettori, diverse dal suo concetto, egli avrebbe chiesto e agevolmente ottenuto la conferma dell'operato, o, come si dice con parole inglesi, un bill d'indennità; conciossiachè costretto dal voto maggiore di Stati più potenti del nostro, non avesse potuto estenderlo agli scopi desiderati; e averlo speso nella opera della Indipendenza italiana lealmente ed efficacemente, non sarebbe stato piccolo merito. Il Montanelli avrebbe dovuto, dopo pochi giorni, presentare nuova Legge alla Corona intorno al mandato dei Commissarii ch'egli avrebbe richiesto illimitato, a norma della sua dottrina. La Corona avrebbe concessa o negata la discussione della Legge; se negata, il Presidente si dimetteva, e tanto era accettare la sua dimissione pochi giorni prima che pochi giorni dopo; anzi, meglio prima, perchè allora spontanea, e con promessa di sostenere la politica del Ministero riformato; se conceduta, la Camera naturalmente votava o rigettava la Legge: rigettavala, ed ecco ritornare la necessità della ritirata del Ministero, e in questo modo con clamore e scandalo, mentre poteva congedarsi di quieto; la votava, ed allora per tortuoso avviluppamento si replicavano le condizioni medesime del voto della Costituente. Nonostante, piacemi di esaminare le fortune probabili della Legge sul mandato. Se s'intendeva formulare come quello del Piemonte, voglio dire la persona e gli Stati della A. S. si rispettassero, e in quanto agli altri Principi italiani la conservazione unicamente delle persone loro in grado principesco qui in Italia si raccomandasse, è certo che a questa maniera di mandato non avrebbero acconsentito il Papa nè il Re di Napoli; il primo, perchè fuori dei suoi Stati, e poco davvero gli sarebbe premuto restarsi principe di Pontecorvo o di Benevento; il secondo, perchè in quel punto privo di Sicilia. Se invece fosse stato espresso nel mandato, che il Papa e Ferdinando di Napoli avessero ad essere restituiti nelle provincie perdute, e queste allora avrebbero repugnato da una guerra, di cui il fine sarebbe stato costringerle a sottostare nello antico dominio; quindi, invece di concordia per combattere la guerra straniera, avrebbe la Costituente partorito la guerra civile. Di qui veda l'Accusa quanto sia avventata la sua considerazione, messa fuori solo per ismania molta e senno poco di trovare ottimo quanto avversava il Ministero. Nel mare politico del 1849, pieno di súbite procelle e di non prevedibili fortune, era mestieri avventurarci fidando nella propria rettitudine e nello aiuto di Dio; e il mandato indefinito, anzichè nuocere a verun disegno, stava apparecchiato come vela buona ad ogni vento. Se ne persuada l'Accusa; la politica contiene tante latébre così profondamente misteriose, così portentosamente improvvise, che il suo risoluto sentenziare non sembra cosa umana, ma piuttosto divina;[137] però che presagire il futuro e penetrare nei cuori si è di Dio.
E finalmente, se io avessi consigliato la Costituente (mentre all'opposto, già concertata fra la Corona e il Presidente del Consiglio, a me fu imposta come una croce da portare), se io l'avessi, ripeto, consigliata, ed avessi commesso errore, con quanta giustizia l'Accusa vorrebbe oggi incolparmene? — Odasi un po' quello che scrive David Hume nel Cap. 64 della sua Storia della Inghilterra, intorno al processo di Lord Clarendon, ministro sagrificato da Carlo II alla rabbia dei suoi nemici, i quali non paghi della caduta del Cancelliere ne vollero la totale rovina.... — «Molti degli articoli dell'Accusa erano frivoli o falsi.... — Lo avere consigliato la vendita di Dunkerque sembra l'articolo di accusa più importante e più vero; ma sarebbe dura cosa dar colpa ad un Ministro di uno sbaglio di giudizio (se pure fu tale), ove non apparisca segno di corruttela, o di cattiva intenzione.»
Comprendo che adesso, per questa esposizione, io dovrò sperimentare avverse due maniere di gente che già ho provato duramente moleste, voglio dire, i partigiani del Piemonte, e quelli della Repubblica: a entrambi questi (comecchè invano) risponderò breve: «Ministro costituzionale di Leopoldo II, io doveva curare la sicurezza e la grandezza del mio Paese, e del Principe.»