Читать книгу Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI - Francesco Domenico Guerrazzi - Страница 33

NOTE

Оглавление

[1] Francesco Cènci, figliuolo di Cristofano, attese a terminare questo tempio e corredarlo delle cose necessarie all'ornato ed al culto divino, come colui che n'era diventato il patrono. In memoria eterna del fatto. L'anno del Giubbileo 1575.

[2] Questi miracoli leggemmo riportati nelle gazzette dei nostri tempi: però mentre la fama di quelli operati dalla Madonna di Rimini si mantiene e si spande, si dilegua l'altra della Madonna di Tredozio. Io mi guarderò bene d'ingolfarmi in siffatte materie; e protestandomi parato sempre a ritrattarmi da qualunque opinione mal sonante, non posso astenermi da confessare, che talora sono venuto pensando tra me e me: «Dacchè alla Beata Vergine ha preso vaghezza di operare un miracolo, o non era meglio mandare qualche quattrino a Sua Santità, che ne ha tanto e poi tanto bisogno?» Capisco ottimamente anch'io, che in questi negozii non si può mettere mica la legge in mano ai santi; tuttavolta, favellando umanamente, bisogna convenire, che sarebbe stato più utile per gl'interessi della Chiesa avere scudi, che lacrime. Basta, speriamo sempre: quod differtur non aufertur.

[3] Queste notizie furono ricavate dal Tesoro Sacro del Cavaliere GIUSEPPE VASI, tomo II.

[4] Durante la mia prigionia l'arte di mutare vestito ha fatto notabilissimi progressi, e non poteva essere a meno. I sarti, per accomodarsi ai bisogni dei tempi, hanno inventato un vestito che si mette da due parti, ed è diverso il colore: così, laddove prima per mutare casacca bisognava almeno tornare a casa, adesso si può entrare nero nel primo uscio che si para davanti, ed uscirne rosso scarlatto. I sarti, nel presagio dei tempi, hanno fatto quanto Carlo in Francia: il punto sta nel vedere se il giuoco duri.

[5] Genesi, C. II.

[6] Lettera di Cristoforo Colombo a Ferdinando ed Isabella, dopo il suo quarto viaggio in America. NAVARETTE citato dal MICHELET, Storia dei Francesi, t. III. p. 106.

[7] HUME, Storia d'Inghilterra, t. I. p. 64. THIERRY, Storia della Conquista de' Normanni, t. I. p. 63.

[8] Apparecchiarsi alla morte è disprezzare la vita.

[9] Se grazia tu cerchi e carità, le troverai qui dentro. Francesco Cènci, non ingrato padrone, procurò si ponesse questa memoria al benemerente suo cane Nerone.

[10] Fu sparsa voce, che Lord Byron si comportasse verso la sua moglie Mibbank presso a poco come il Conte Cènci con la Lucrezìa Peroni. Nelle Conversazioni del capitano Medwin Lord Byron così si esprime intorno a questo argomento: «Mi accusano averle detto, salendo in carrozza, ch'io l'aveva sposata per dispetto, e perchè ella mi aveva rifiutato due volte. Comecchè io rimanessi, anzichè no, impermalito della sua repugnanza, o come meglio vi piaccia chiamarla, sono convinto che se avessi adoperato seco lei un linguaggio così poco gentile, per non dire brutale, Lady Byron mi avrebbe piantato in carrozza con la cameriera; ella non è donna da sopportare simili affronti». Lady Byron gode una triste celebrità per le angustie arrecate al suo inclito sposo: possano le mogli buone aborrire da questa sorta di fama!—La figlia di Lord Byron, viaggiando in Italia, visitò tutti i luoghi dove aveva albergato suo padre. Mi narrano ch'ella si recasse a Montenero, dov'egli stette prima di andare a Genova: vi si portò sola, accompagnata dalla sua pietà. Sua madre non le permetteva guardare il ritratto di suo padre, che teneva coperto di un velo nero come quello di Marino Faliero decapitato pro criminibus. La figlia si mostrò degna della magnifica invocazione dello Child-Harold, e la madre dell'allusione del personaggio Inez nel Don Giovanni. La figlia di Lord Byron presto moriva, la moglie tuttavia vive, ed è ragione; avvegnachè a viver molto, ammoniva certo Vescovo di buono umore, si richiedano principalmente due cose: stomaco buono, e cuor cattivo.

[11] «Mi chiedete se Lady Byron mi abbia mai amato? Ho già risposto a questa interrogazione. No: era di moda quando ella apparve nel mondo, ed io aveva fama di rompicollo, e di vagheggino: ora le femmine amano molto queste due maniere di uomini; ella mi sposò per vanità, e con la speranza di convertirmi, e d'incatenarmi ai suoi piedi». MEDWIN, Conversazioni di Lord Byron, p. 50.

[12] Fatto noto, che se ti piace puoi leggere in Svetonio, e lo merita perchè è bellissimo, come quello che dimostra lo stupore affannoso dell'ambizione resa sterminatamente presuntuosa dalla fortuna. I Tedeschi sterminarono due legioni di Romani ladroni antichi del mondo, che andarono ad opprimerli in casa loro, e fecero bene. Arminio, o Herman, uomo di guerra (donde il nome di Germani) generoso capo del popolo dei Cheruschi, a buon diritto forma adesso altero vanto della Germania. Popoli e re gli eressero statue, e di recente il Re di Baviera collocò la sua immagine nel Vaux-hall: poeti illustri lo celebrarono; Klopstock, il cantore della Messiade, fra gli altri (e veramente chi cantò le glorie del divino Redentore meritava dire le lodi dello eroe della indipendenza della patria): nè il prode Tedesco mancò d'illustrazione fra noi, che il gentilissimo Ippolito Pindemonte lo tolse a soggetto di nobile tragedia.

[13] La dote di Luisa Vellia, moglie di don Giacomo Cènci, fu di scudi diecimila, come si ricava dal chirografo del luglio 1600 col quale Clemente VIII conferisce facoltà a Monsignore Taverna di transigere le liti dei Cènci: et præsertim quod ejus dotem scutorum 10m. eidem Jacobo præsolutam usque modo recuperare minime potuit.

[14] Riccardo Cuore di Leone della iniqua sua stirpe diceva: «Non esse mirandum si de tali genere procedentes mutuo se infestent tanquam de diabolo revertentes, et ad diabolum transeuntes. BROMTON apud MICHELET, Storia dei Francesi, t. III p. 379.—Le infamie della famiglia dei Cènci, pur troppo in cotesti tempi comuni a parecchie famiglie d'Italia, assai si rassomigliano a quelle dei Plantageneti. La barbarie, o la società corrotta sogliono partorire i medesimi frutti. Onde non paia, che per noi la malvagità umana venga esagerata, leggasi la famiglia Plantageneta qual fosse, secondo che ci racconta il medesimo MICHELET nel luogo citato: «Fu casa piena di sangue, e di perfidia. Certa volta, che il re Enrico venne a conferenza co' figli suoi, i soldati loro trassero le armi contro di lui. I figli di Guglielmo il Conquistatore più di una volta nel paterno petto puntarono la spada. Folco aveva messo il piè sul collo al figlio debellato. La gelosa Eleonora, veemente e vendicativa come donna di paese meridionale, coltivò la turbolenza e la ribellione dei figli educandoli al parricidio. Questi figli, nei quali si mescolava il sangue di tante diverse razze normanna, aquitana e sassone, pareva riunissero, oltre l'orgoglio dei Folchi di Angiò e dei Guglielmi d'Inghilterra, tutte le opposizioni, gli odii e le discordie delle razze donde uscivano. Non seppero mai se derivassero da mezzogiorno, o da tramontana: quello che sapevano si era, che uno odiava l'altro, e il padre odiavano più di tutti. Riandando la genealogia loro incontravano in qualunque grado o stupro, o ratto, o incesto, o parricidio. Un santo uomo profetò all'avo di costoro, quando certa femmina rapita al suo consorte gli partorì Eleonora: «da voi non può nascere nulla di buono». Eleonora fu druda del padre di Enrico III, e i figli ch'ella ebbe da questo correvano pericolo di trovarsi fratelli del proprio padre. Intorno a lui citavano il detto di santo Bernardo: «dal diavolo viene, al diavolo ritornerà.» Riccardo, uno di questa stirpe, affermava altrettanto. Quando un Chierico con la croce in mano andò a scongiurare Goffredo di riconciliarsi col padre, e non imitare Assalonne: «E che? rispose il giovane, vorresti tu ch'io mi spogliassi del mio diritto di nascita?» A Dio non piaccia, signor mio, rispose il Sacerdote; io non voglio cosa, che vi apporti danno. «Tu non comprendi le mie parole, soggiunse il Conte di Brettagna; è destino della nostra stirpe odiarci, e veruno di noi renunzierà a questo retaggio». Correva certa tradizione popolare intorno ad una antica contessa di Angiò ava dei Plantageneti, la quale era questa: suo marito, dicevano, aveva notato che di rado andava a messa, e sempre usciva alle segrete: deliberò pertanto di farla tenere in quel punto da quattro scudieri: ma ella lasciò loro il mantello nelle mani, e volò via dalla finestra senza comparire più». Nei tempi in cui visse Francesco Cènci, per tacere di moltissimi fatti, Darnley re di Scozia ammazza Riccio in camera di sua moglie Maria Stuarda la quale adultera con Bothwell, e fa ammazzare il marito Darnley. Elisabetta commette ad Amia Paulet avvelenare Maria Stuarda; questa consente, che Elisabetta venga trucidata da Sauvage, ed altri sei gentiluomini. Enrico III fa scannare a tradimento il Duca, e il Cardinale di Guisa. Filippo II commetteva ad Antonio Perez suo ministro l'omicidio di Escovedo segretario di Don Giovanni di Austria; e basta. Ora quando i principi sono violenti, traditori, fedifraghi, qual maraviglia è mai che i sudditi gl'imitino? Il pesce incomincia a infracidire dal capo, dice il proverbio greco, e due esempii buoni fanno più profitto di una dozzina di ammonimenti.

[15] La empietà dei Cènci non era derivata da una sola setta, bensì partecipava di tutte, e ne aggiungeva di suo. Lo spregio dell'ostia sembra che lo imparasse dagli Albigesi, specie di Manichei di Linguadoca, i quali «annullavano i sacramenti della Chiesa così alla ricisa, che pubblicamente insegnassero: non correre divario alcuno fra l'acqua del battesimo, e quella del fiume; l'ostia del santissimo corpo di Gesù Cristo pane comune, insinuando alle orecchie dei semplici questa bestemmia orribile: che quando ancora il corpo di Gesù Cristo fosse stato grande come le Alpi, da lungo tempo l'avriano logoro tutti quelli che ne avevano mangiato ec. Estratto di un antico registro della Inquisizione di Carcassona apud MICHELET, Op. cit. t. III, p. 417.—Ma figlia del perverso pensiero del Conte Cènci era la empietà, che si affaticava stillare nell'animo di Beatrice, per vincere il suo errore da commettere incesto, come dal connubio del padre con la figliuola nascessero santi; anzi i maggiori santi, che sieno vissuti nel mondo, avere avuto per padre il proprio nonno. Manoscritto intorno alla scellerata vita, e miserabile morte del conte Francesco Cènci—presso di me—p. 2.

Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI

Подняться наверх