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DISPERAZIONE.

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Che fai? Che pensi? A che pur dietro guardi

Nel tempo, che tornar non puote omai,

Anima sconsolata!….

Cerchiamo il ciel, se qui nulla ne piace.

PETRARCA.

Il vento di scilocco umido e grave soffia dalla marina, spingendo contro Roma nuvole sopra nuvole, che si succedono paurose e sinistre come i cavalli dell'Apocalisse. Coteste nuvole sono pregne d'ira di Dio, però che portino in grembo la gragnuola, la malaria, e forse il fulmine per qualche testa consacrata. Intanto a quel soffio molesto i corpi s'indeboliscono, e s'irritano; le pareti e le masserizie grondano umidità; i capelli si attaccano giù alle guance; intorno al collo ti reca fastidio un senso di freddo sudore: le anime facilmente trascorrono alla ira, le parole suonano amare, le voci più dolci ci rabbrividiscono come il raschiare dei marmi, o il disanellare dei chiavacci:—invenzioni infernali! Stando chiusi ti opprime l'affanno; aprendo le finestre fogli, panni ed oggetti altri siffatti si aggirano a rifascio per tutta la casa; oltre la polvere fine che penetra nei capelli, nelle pieghe della camicia, e logora gli occhi. Durante simile notte, entro povera stanza si trattenevano ragionando moglie e marito: in mezzo a loro era posta una tavola rozza di legno bianco senza tingere, e su la tavola si consumava tristamente, a modo di tisico, una candela di sego, scarsa a rischiarare il luogo, e non per tanto bastevole a palesare scambievolmente le loro sembianze. Quelle dell'uomo erano abbattute; aveva il braccio steso su la tavola, e la mano giù penzoloni, come persona scorata; la donna attrita dai patimenti, ma con un tal quale piglio di fierezza romana, che in quel punto si faceva più manifesto, imperciocchè sembrasse aver udito o sofferto cose che l'accendessero tutta. Infatti con gesti e voce impetuosi ella diceva:

—No, voi non mi darete ad intendere queste scelleratezze mai… Ma che vi pare egli? fermerebbero il sole…

L'uomo era Giacomo Cènci, la donna Luisa Vellia. Giacomo, come avvertimmo, toccava appena gli anni ventisei; di persona era piuttosto grosso e corto, che no; ma adesso dimagrato fuori di modo. Crebbe alla scuola dei crucci paterni; e, male istruito nelle discipline gentili le quali hanno virtù di mansuefare il cuore, sarebbe per avventura, in forza del tristo esempio, riuscito poco dissimile dal padre, se lo amore non avesse inspirato tempestivamente nell'anima sua dolcissimo affetto. S'invaghì di Luisa leggiadra e valorosa fanciulla, ma di piccolo, quantunque agiato, lignaggio; ed ella gli corrispose non perchè appartenesse a potente famiglia, ma perchè lo sapeva fuori di misura infelice.

Così è, bisogna pur dirlo; non vi ha creatura che tanto si esalti pel sagrificio quanto la donna. Ente dilicato, di leggieri s'infiamma per tutto quello le apparisce generoso: per lei è gloria consolare i pianti altrui, e curare lo infermo di malattia disperata:—quando il medico e il prete lasciano il giacente, chi rimane intorno al suo guanciale? la donna. Ella fu sua gioia, forse anche dolore, in vita; ma nella sventura l'ebbe divina compagna; e dopo la sua morte, genuflessa accanto al letto, gli recita le orazioni dei defunti. La donna si allontana dal fianco dell'uomo ultima—anche dopo la speranza.—Il servo di rado sente affetto, che oltrepassi il giro della moneta del suo salario. Gli antichi finsero il dio del Commercio con le ali al capo e ai piedi: fecero male; perchè si sbaglia, almeno pei tempi che corrono, col dio dell'Amicizia:—questo alcione della sventura, appena vede sul confine dell'orizzonte il segno precursore della procella apre l'ale, e fugge via. Quante donne contemplate a piè della croce di Cristo, e quanti uomini? Per tre Marie contate un san Giovanni, solo. Che Dio mi perdoni, ma io sono forte tentato di riprendere d'ingratitudine il primo uomo che dipinse gli angioli adolescenti. Chiunque ricordi l'affetto religioso della madre, le cure amorevolissime della sorella, e i sospiri della fanciulla desiderata, e le ardenti consolazioni della sposa, di leggieri converrà meco che gli angioli hanno ad essere giovanette; e se mai ciò non fossero, bisognerebbe farle ad ogni modo. Non mica di bellezza procace, col riso lascivo, e l'occhio umido e sfavillante come le Uris di Maometto: cessi Dio questo turpe pensiero di continuazione di voluttà terrestre; ma semplici e schiette quale dipinse il Beato Angelico, con occhi bassi, con la tinta del pudore su le gote; sollecite a volare per soccorso colà dove un'anima, pure ora uscita dal suo carcere mortale, pende incerta a qual parte indirizzarsi per trovare la via del paradiso.

Se la causa della libertà e della religione vanta più uomini per combattere, ella ebbe troppe più donne per predicare, e per soffrire. Vergini, e liete di giovanezza, esultando tinsero le bianche rose delle loro ghirlande in vermiglio col proprio sangue. Sarebbe per avventura peccato, credere che uno sguardo di vergine cristiana, diffuso sopra le turbe mentre la scure vibrata per reciderle il collo fendeva l'aria, abbia convertito più gente alla fede di Cristo, che le prediche di san Giovanni Crisostomo? Se mai fosse peccato, io me ne confesserò.

Povere donne! Invano fra voi scelse lo Eterno il tempio del suo figlio Gesù; invano lo accompagnaste nella sua via di dolore; nulla vi giovò versargli sul capo il prezioso unguento; nulla il coraggio di asciugargli la fronte mentre lo traevano al supplizio. Senza pro vi fermaste sotto la croce a consolarne l'agonìa; lo riceveste nelle vostre braccia deposto, lo componeste nel sepolcro, e vi sedeste di contro a quello. Chi, se non voi, cercò di Cristo poichè fu morto? Chi, prima di voi, apprese la sua resurrezione per la bocca dell'Angiolo? Chi reputò degno Cristo di essere, dopo la sua morte, visitato da lui, se non voi altre donne?[1] Le migliaia di eroine martiri; la copia infinita delle pie monache; santa Orsola stessa con le sue undicimila vergini non valsero a procacciarvi rispetto, o almeno dimenticanza, davanti al consiglio spietatamente cupido e duramente ingrato dei nostri sacerdoti, quando Gregorio VII, aspirando allo impero del pensiero del mondo, intese a comporre una rigida armata di uomini, i quali ogni potenza dell'anima concentrassero a promuovere il concetto di Roma. Allora voi foste perseguitate senza pietà; nessuna bestia, o sozza o feroce, venne dai santi stessi vilipesa quanto voi create da Dio, perchè conobbe «non esser bene che l'uomo fosse solo[2]». San Piero Damiano correva forsennato le terre d'Italia chiamandovi: «esca di Satana, schiuma del paradiso, veleno delle anime, barbagianni, lupe, civette, mignatte, sirene, streghe, capezzali di spiriti maligni» con altre più cose, che si lasciano per lo migliore. È vero che il Santo non si curò risparmiarle; ma egli era santo, e le poteva dire: io, che non sono santo, per pudore devo tacerle[3]. Nè si rimasero agli obbrobrii; ma con ogni maniera di tormenti s'ingegnarono disertarvi. Chi non conosce la miseranda storia di Elgiva, sfregiata in volto da Odone arcivescovo di Cantorbery con ferro rovente, e poi uccisa col taglio doloroso dei garetti perchè amata troppo dal regio consorte, ed ella amante di lui così, che nè per minaccia, nè per prego sofferse di vivergli lontana[4]? I Preti potranno ordinare: vade retro, Satane, e saranno ancora ubbiditi; su ciò io non contrasto; ma alla Natura non si dice: addietro, perchè ella manda a gambe levate chiunque avverso le si para davanti.

L'uomo trovò nella colpa di Eva circostanze attenuanti; ad ogni modo gli piacque piuttosto esporsi perpetuamente alla tentazione, che rimanere privo della sua amabile tentatrice. La fiamma di amore, secondo la ragione del fuoco, divampò più gloriosa quanto più compressa. La donna di compagna diventò signora, e regina. Sedè giudice dei Tornei, presiedè le sfide di poesia, e le Corti di Amore. Un nastro della donna fu preferito a un capello di san Pietro[5]. Gl'illustri baroni di guerra, dopo il piacere di scavalcare emuli famosi, e mandarli vinti a rendere omaggio alla Dama dei loro pensieri, non n'ebbero altro più grato che ricevere buoni colpi di lancia o di spada, per sentirsi medicare dalle mani della donna diletta: questo pei laici. Se i chierici poi, impediti nei legittimi connubii, cercassero mescolarsi in amore alla spartita empiendo le famiglie di vergogna, e il mondo di scandalo, potrete domandarlo agli stessi scrittori di cose ecclesiastiche[6].

Le figlie della terra, che furono una volta cagione di peccato per gli Angioli[7], scalarono il cielo; e, più felici dei Titani, se non balzarono di seggio il sommo Giove, n'equilibrarono il culto. Maria fu salutata deipara, madre di Dio: a lei si volsero i cuori di tutti, appellandola con dolcissimi nomi; i buoni l'amarono per la sua bontà, i tristi per la sua misericordia: orgoglio delle vergini, esempio delle madri; a lei si volgono i marinari pericolanti invocandola stella del mare; a lei i cuori dolenti perchè consolatrice degli afflitti; a lei i colpevoli perchè avvocata dei peccatori. Non bastò sostenerla immacolata dopo il parto, ma la vollero immacolata da macchia originale unica tra i viventi; e il mondo, malgrado la opposizione di san Bernardo e dei Domenicani, volle credere così, e così sia[8]. Quante chiese occorrono consacrate al Padre Eterno, e quante a Maria? Davvero ella non volse mai in cuore pensieri, che non fossero tutti umiltà; pure è forza confessare, che poche preci s'innalzano a Dio se non per mezzo della consolatrice degli afflitti. Conoscete voi titolo di umana grandezza, che possa paragonarsi a questo? Il Sommo Sacerdote, geloso degli affetti del sacerdote, e tutto intento a impedire che si disperdessero in famiglia, mentre su questa terra vitupera, perseguita e calpesta la donna, consente poi che sia venerata regina dei cieli. Insano consiglio! In cielo e in terra la donna impera regina del cuore degli uomini.

Altre volte, (io lo rammento gemendo) agitato da cattive passioni, scrissi male parole contro le donne: me ne confesso colpevole, e me ne pento; cancellatele via: si abbiano per non iscritte; io le ritratto, e intendo farne, come ne faccio, ammenda onorevole. Se ad emendare il fallo abbisognasse presentarsi con la croce in mano e la corda al collo, mi chiamo parato a tutto; non mi tratterrebbe neppure replicare la penitenza dello imperatore Enrico III, quando Gregorio VII, prima di togliergli la scomunica, lo fece stare tre giorni a piedi nudi sopra la neve fuori dei muri di Canosa, mentr'egli si tratteneva dentro davanti al fuoco a ragionare con la Contessa Matilde. O secoli di oro pel Pontificato, deh! dove siete or voi?—Io intanto, per non menomare la grazia vostra, che spero avere recuperata intera, tacerò come il bene che ho detto delle donne non si trovi mica in tutte; anzi talvolta neppure nella medesima donna sempre: anche il cuore ha le sue tavole meteorologiche; ed ora fa sereno, ora nuvoloso, ed ora piove a dirotta. Altri dica, non io, come quando le donne furono giudici nelle Corti di Amore pronunziassero sentenze poco edificanti; a modo di esempio quella di Ermengarda contessa di Narbona, la quale dichiara che il marito divorziato può benissimo essere accolto Amante dalla sua moglie maritata ad un altro; e quella di Eleonora di Guienna, che decide non poter durare amore tra sposi, e doversi scegliere un secondo amante per provare la costanza del primo.—Molto meno riferirò il celebre parallelo fra la donna e Diana; con la sola differenza, in ultimo, che Diana porta la mezza luna sopra la fronte, e la donna la fa portare. Queste, ed altre simili novelle vanno cacciate via come tentazioni del demonio; la fede non ammette dubbio; e in fatto di femmine, ora che mi sento vecchio, io mi son reso credente. Sembrami tempo di tornare alla storia. E le amabili leggitrici mi perdonino la digressione: io ho peccato per colpa loro.

Dal matrimonio di Luisa Vellia con Giacomo Cènci nacquero a breve intervallo di tempo quattro figli, i quali dalle carte di famiglia ricavo avere avuto nome Francesco, Felice, Cristofano ed Angiolo. Vivevano nella via di san Lorenzo Panisperna dentro casa, lontana certo dallo splendore che desiderava l'alto lignaggio di Giacomo; pure una volta secondo i bisogni della famiglia con discreta convenienza fornita: ma Francesco Cènci, passata che gli fu la paura incussagli da papa Clemente VIII quando lo costrinse a somministrare al suo figlio 2000 scudi annui di pensione, e conoscendo come (quantunque egli stesse su l'austero) bene altra fosse la sua dalla mente di Sisto V, incominciò prima a stentargliela, poi a ridurgliela, e infine non gli dava quasi più niente; onde la famiglia vivevasi in angustia grande, stretta da ogni necessità.

Luisa comecchè molto soffrisse, e meno per se (come di leggieri può credersi) che per la famiglia, tuttavolta si aiutava come meglio le riusciva; mostrava ilare il volto al marito, e lo confortava a starsi di buona voglia, chè le cose si sarebbero mutate in bene. Dopo le nuvole apparisce il sole, ella gli diceva, e ogni giorno passa il peggio; nè a un modo solo può durare; con altri simili luoghi comuni che il labbro profferisce, e il cuore non crede: imperciocchè, pur troppo! la fortuna ghermisca l'uomo a' capelli, e lo strascini dentro la tomba, e non lo lasci se prima non lo abbia calcato bene nella fossa, e calpestato la terra sopra che lo copre. Le tribolazioni della animosa donna stavano tra Dio e lei: e sì che si sentiva scoppiare il cuore quantunque volte contemplava il suo nobile consorte tanto non pure dimesso, ma abietto di abbigliamenti; i figli quasi nudi, e talora affamati. Alle frequenti scosse la sua anima però si era non poco mutata; un senso di dubbio serpeggiava là dentro; soffocava non senza sforzo una voce di rimprovero, che suo malgrado vi sorgeva di tanto in tanto a riprenderla della sua troppa pazienza. Incominciava a pentirsi del sagrifizio sofferto: chi l'avesse osservata sottilmente poteva comprenderlo di leggieri dal volto, e dalla voce con la quale profferì le ultime parole.

Ma Giacomo, oppresso dalla tristezza, non aveva comodo a instituire coteste osservazioni, e:

—Luisa mia, soggiungeva in suono di mistero, bene altre… bene altre ne ha commesse costui… Senti… accostati, affinchè i bambini non odano.—

—E siccome ella repugnando non si accostava, Giacomo avvicinò la sua alla sedia della consorte.

—Tu hai da sapere, che la madre mia fu onesta quanto bella… angiolo mio, come te… Però se mantenne purissimo sempre alla fedeltà coniugale il suo cuore, tu capisci ch'ella non potè impedire che altri s'innamorasse di lei. Il signor Gasparo Lanci, nostro gentiluomo, ne concepì altissimo affetto; e procedendo meno discretamente che a bene avvisato cavaliere non convenga, pubblicò la sua passione stampando un funesto sonetto, che mi rammento benissimo, e diceva così:

Posciachè amor per voi mi accese il core Forse di troppo a me onrata fiamma, Così di fuoco ho la sinistra mamma, Che non ho refrigerio al fiero ardore. Mi nutrisco di pianto, e di dolore; E bench'io mi consumi dramma a dramma, Mi restaura il calor, che sol m'infiamma; Così mi ancide, e mi ravviva amore. Virginia il guardo onde tanto arso fui Ei tanto fisso nella mente siede, Che non posso pensar se non a lui. Se da voi non impetro hormai mercede Cenere mi farà, chè non di altrui Si può smorzar l'ardor che ogni altro eccede[9].

Questo sonetto, che può considerarsi come un crimenlese di poesia, forse fu assoluto dallo amore, non da mia madre. Il giorno dopo, che il signor Gasparo glielo ebbe mandato in dono impresso sopra mantino rosso, egli venne, secondo la usanza, a visitarla, assente Francesco Cènci. La signora madre tostochè lo vide si levò in piedi; e, fattagli reverenza, con voce alquanto alterata prese a favellargli così: «Carissimo signor Gasparo; dopo la pubblicità del suo sonetto, speravo che vossignoria comprendesse come una gentildonna onorata non potesse riceverla più oltre; e poichè il suo buon giudizio qui le ha fatto fallo, non posso risparmiarmi d'insegnarglielo di mia propria bocca». Poi, mossa a pietà del pallore del gentiluomo, con suono più dolce aggiungeva: «Che sia benedetto, signor Gasparo; ma perchè vossignoria offre a me uno amore che, sposa altrui, non potrei partecipare senza colpa; mentre presentato ad una fanciulla da par suo sarebbe prezioso, e la colmerebbe di giubbilo? Giri, di grazia, l'occhio intorno, e veda come Roma sia copiosa di fanciulle per bellezze e per costumi rarissime; dirizzi a qualcheduna fra loro le sue fiamme pregiate, e viva pure tranquillo che saranno accolte, come meritano, più che volentieri».

Il signor Lanci interdetto si sprofondava in inchini; la voce gli negava l'ufficio consueto, ma le lacrime gli sgorgavano dagli occhi. Però, siccome amore si pasce di sospiri, di pianto e di speranza, non per questo smetteva il costume di farsi vedere sotto il palazzo, pago di contemplare almeno la dimora della donna amata. Certo giorno, poco innanzi l'alba, udii sotto le finestre di camera mia parecchie voci, che gridavano: «Misericordia, Gesù!» Scesi subito per la via con la spada in una mano ed un torchietto nell'altra, e vidi presso l'arco di casa il corpo del signor Gasparo trapassato da un coltello che dalla spalla destra gli riusciva sotto la mamma sinistra, dove aveva cantato di sentirsi il fuoco. Ma questo è nulla. Mia madre, già logora dai sofferti dolori, diventò più trista pel caso avvenuto al signor Gasparo buona anima; parendole, come pur troppo era chiaro, che per cagione sua egli avesse incontrata la mala morte. Già anche prima di cotesta strage poco ella usciva di casa; adesso poi non si lasciò più veder fuori, vivendo ritiratissima tutta chiusa nelle sue afflizioni. Così travagliata da nuovi e vecchi dispiaceri decadde per modo, che a quanti conversarono con esso lei parve che ormai pochi giorni le rimanessero a dimorare sopra la terra: inoltre la voce della sua prossima morte veniva sparsa a sommo studio da Francesco Cènci, novellamente accesosi, piuttostochè d'amore, di furore per la Lucrezia Petroni nostra matrigna. Certo dì, quando reputò il tempo opportuno, Francesco Cènci, colto il destro che mia madre, seduta a mensa al suo fianco, volse il capo per chiamare uno staffiere, egli, pronto come la lingua dell'aspide, gittò una presa di polvere nel suo bicchiere. La madre bevve; e, provato un gusto amaro, ne rimproverò il credenziere. Il Conte premuroso si fece recar la boccia, saggiò il vino con accuratezza, e accertò parergli lo squisito alicante che sempre aveva trovato. Io già era per aprir bocca e dire della polvere, quando il Conte, troncatami la voce in gola con una occhiata tagliente, così prese a favellare soave: «Signora Virginia, non ve ne fate caso; allorchè ci sentiamo male disposti, la prima cosa che ci venga a fastidio è sempre il vino.» Quindi, senz'altro aggiungere, si levò da tavola. Tre giorni dopo alla medesima ora mia madre, che Dio abbia in pace, moriva; e senza imbalsamarla, per motivo della subita corruzione, ben chiusa dentro tre casse la trasportavano in fretta a lontana sepoltura.

Luisa aveva ascoltato questo racconto con viso arcigno, e a modo d'incredula. Finito ch'egli ebbe, così alla trista riprese:

—Io non vo' dire, che il Conte sia un santo. Dio me ne guardi! Ma questo perpetuo vituperare che voi fate vostro padre, non vi ha recato altro che danno…

—E come lo vitupero io?

—E' non fu per simili obbrobrii che Sua Santità, tenendovi figlio senza cuore e desideroso della morte del padre, vi dimise dal suo cospetto sconsolato?

—La buona fortuna di cotesto demonio è pari alla sua perversità.

—Vergogna!… Rammentate che discorrete di vostro padre, e i vostri figliuoli vi potrebbero sentire.

—E se sentissero, che mal sarebbe? È bene, anzi, che sappiano quanto lo avo loro sia diverso dal padre.

—Voi?—Ah! se fosse vero quanto raccontate del Conte, voi avreste comune con lui l'odio dei figli…

—L'odio dei miei figli! Luisa, sei folle stasera?—E Giacomo sollevò la testa come trasognato…

—Sì, sì—gittate finalmente l'argine prorompeva Luisa con traboccante passione—l'odio del vostro sangue: ecco le vostre creature che hanno fame, e voi non le sapete cibare di pane; eccole ignude, e voi non procacciate vestirle: di me non parlo. La casa, che già vi fu cara, adesso v'incresce; rado venite, torbido state, presto partite, e non vi prende pensiero alcuno di noi, che fra le angosce vi aspettammo intere notti invano…

—Luisa! l'anima, che potrebbe forse sostenere le vostre strida, non regge allo spettacolo del muto dolore della mia famiglia:—io non posso sopportare la vista di tanta miseria. Sposa mia, vuoi attribuirmi a colpa la soverchia tenerezza?

—Dite, Giacomo, la vostra lontananza profitta meglio ai figliuoli? Quando non vi veggono, piangono essi meno? La vostra assenza gli alimenta, li cuopre, li consola? Perchè lasciar me, povera donna, desolata, senza consiglio e senza soccorso? Non ci siamo congiunti per sollevarci scambievolmente? Perchè dunque voi fate portare la croce a me sola?

—Luisa hai ragione; ma non troverà perdono presso di te la mia tenerezza, e, se vuoi ancora, la mia pusillanimità?

—Uomo finto, e crudele… la tua tenerezza!… la tua pusillanimità!

E dove consumi la pensione di tuo padre?

—Ch'è questa furia? Non ti diss'io le mille volte, ch'ei me l'ha cessata, ed ora mi getta tre scudi, ora quattro come la elemosina al mendico importuno?

—Sì, eh!… la pensione ti ha tolta? Ti getta la elemosina di tre scudi o quattro! E le tue cortigiane, di', con che le mantieni? E i tuoi bastardi con che cosa gli nudrisci?

—Luisa tu deliri…

—Oh! di me nulla m'importa, vedi, perchè io tornerò a casa dei miei parenti; e quantunque abbiano provato la fortuna contraria, pure so che mi accoglieranno di cuore; e poi a me non duole guadagnarmi, lavorando, da sostentare la vita. Non ti rimprovero la mia bellezza sfiorata, la mia gioventù logora teco:—certo esco da casa tua troppo diversa da quello che io vi entrai… ma che importa? Siamo fiori, noi altre donne, troncati per gusto passeggiero; odorati, e gittati via. Io non ti auguro male, me ne guardi Dio!; che lo augurerei al padre dei miei figli…

—Luisa mia… deh! che nuova passione ella è questa? Ma parlami pacata… ascoltami…

Inutile;—tanto era possibile impedire con le mani che il Tevere straripasse quando è pieno, che reprimere cotesta fiumana di passione…

—Va in braccio di altra donna… va… tanto non troverai creatura che ti ami quanto ti ho amato io… Ma queste sono parole di donna, e tu non le hai a badare… attendi, ti scongiuro, a quelle altre, che sono di madre: Ti prenda pietà di questi sciagurati fanciulli… guardali in volto… guardami in volto,… e il cuore ti dirà che sono tuoi figli… sangue del tuo sangue… amali almeno quanto i figli che avrai avuto da altra donna: non li condannare a morire di fame. Il bimbo Angiolino, finchè ho potuto ho nudrito col mio latte… adesso, vedi, incomincia a mancarmi… O Vergine del pianto benedetta! Anche il latte mi si è inaridito nel seno… misericordia di una misera madre…

Giacomo girava gli occhi stralunati dintorno, e con quel suo profondo sbigottimento, anzichè dissipare, confermava i sospetti della moglie. Alla fine, come avvilito esclamò:

—Ah! chi mi avvelena il cuore della mia donna? chi divide la carne dalla mia carne? Quello che unì il volere di Dio discioglie la malignità di Francesco Cènci. Francesco Cènci, io ti sento qui dentro! Il tuo alito m'investe sottile, irreparabile, e mortale come il contagio… Luisa di', chi fu colui che mi calunniò al tuo cuore?—

—Calunnie! Quanti sono i colpevoli che si battono il petto dicendo: peccavi? E la collana comprata alla tua druda è calunnia? Calunnia ancora il guarnello di broccato d'argento al tuo bastardo? La casa rifabbricata al marito compiacente è ella calunnia?

—Se la passione non mi stringesse il cuore, in verità di Dio le tue parole mi farebbero ridere.—Basta via, Luisa; sono menzogne coteste…

—Menzogne, dici? Or via, leggi.

E trattasi un foglio dal seno, glielo gettò sopra la tavola. Giacomo lo spiegò, e lo lesse. Era una lettera anonima scritta di pessimo carattere in istile plebeo, con la quale si dava contezza a Luisa della infedeltà di suo marito con la moglie del falegname di Ripetta, e del gran profondere di moneta ch'ei faceva con cotesta femmina, acciecato nello amore di lei: la informava ancora averle il signor Cènci rifabbricato la casa, e provveduto il marito di danaro pei suoi interessi; non taceva dei gioielli preziosi e delle vesti sfoggiate donate alla donna; e di più ancora, e questa era stata la trafitta maggiore per l'anima della povera madre, da questo illecito commercio essere nato un figliuolo bellissimo, a cui Giacomo voleva il più gran bene del mondo. Sul dono del guarnello di broccato d'argento trattenevasi con maligna compiacenza.—

Giacomo rese con atto languido e lento il foglio alla consorte, e scuotendo mestamente la testa disse:

—E come mai Luisa, consorte mia, con quel buon giudizio che ti trovi, hai potuto prestar fede a così infame e stupido scritto?

—Perchè è vero—rispose la donna petulante con singhiozzo convulso.

—Luisa, e vorrai tu credere piuttosto al calunniatore a cui manca perfino il coraggio di manifestare il suo nome,—che può avere, ed ha certo mille fini ingiustissimi operando così proditoriamente; come alienarmi il tuo cuore, turbarmi la pace domestica, rapirmi l'unico bene che mi resta, l'amor tuo,—e non a me…..che ti amo come la pupilla degli occhi miei, che ti onoro come madre dei miei figli… e che questo ti affermo, e ti giuro su l'anima mia?

—Io credo più al foglio che a te, perchè il foglio dice la verità, e tu sei un bugiardo.

—Luisa, in miglior punto io vi ricordo lo insegnamento che presumeste testè darmi: avvertite che i vostri figliuoli non già possono ascoltarvi, bensì vi ascoltano, e che io sono il loro padre.

—Io te lo dico a posta in loro presenza affinchè imparino a conoscerti per tempo.

—Silenzio!—Donna—silenzio! Quanto andate fantasticando è falso; io ve lo giuro su la fede di gentiluomo onorato, e basta.

—Davvero, voi siete un gentiluomo senza macchia; vi avanza ad essere senza paura per rassomigliare al Cavaliere Bajardo! E quando a me e alla mia famiglia voi deste ad intendere come il consenso di vostro padre concorresse alle nostre nozze, non giuraste del pari su la fede di gentiluomo onorato?

Giacomo arrossì fino alla radice dei capelli, poi ridivenne pallido; all'ultimo disse con parole di amarezza:

—Veramente, colei per amore della quale commisi un fallo… non dovrebbe così severa rimproverarmelo;… allora la passione per voi mi tolse il senno…

—E adesso, che cosa vi toglie essa?—Insisteva sempre e più sempre la donna, improvvida a frenare l'animo acceso.—Giacomo inasprito duramente ordinava:

—Tacete…

—E se io non volessi tacere?…

—Troverei modo a chiudervi la bocca—io—.

—Tu troverai… oh! tu hai già trovato questo… Quando poniamo i nostri capi sul medesimo guanciale, chi sa quante volte hai pensato di farvi scomparire il mio!…

—Luisa!—

—Ora la serpe ha cacciato fuori il suo veleno. Uomo crudele! Non ti basta la vittima? Tu vuoi ch'essa taccia; non mandi un sospiro, che turbi la voluttà che senti della sua morte. Abbi almeno la cortesia degli antichi sagrificatori… incorona la tua vittima di fiori, e cuoprila di porpora…

—Ma taci una volta, per amore del tuo Dio…

—No… non voglio tacere io… no; io voglio parlare… voglio accusarti della tua empietà agli uomini e a Dio—traditore —mentitore… marrano.

Lo sdegno fece ribollire la passione nel petto di Giacomo già inacerbito dalla sventura così, che, come acqua per soverchio calore ribocca impetuosa dagli orli del vaso, egli proruppe cieco e tremendo. Cacciò la mano convulsa sotto il farsetto; ma, come piacque alla fortuna, aveva perduto il pugnale: aggirandosi per la stanza frenetico gli capitò uno di quei stocchi lunghissimi, taglienti da quattro lati, che si chiamavano verduchi[10], e impugnatolo si gittò cieco di furore contro la moglie.

Luisa presi in fretta i figli, si pose intorno i maggiori; il pargolo si recò al collo, e, caduta in ginocchio dinanzi al marito che le veniva incontro, senza battere palpebra disse:

—Nudriscilo del mio sangue, dopo che il latte mi è venuto meno… carnefice!—

Giacomo stette; come persona percossa sul capo traballò, gittò via lo stocco, e tese smanioso le braccia alla moglie; la quale volgendo altrove il volto esclamò:

—No… mai…

Allora Giacomo ricorse ai figli tutto smarrito, e con senso di tenerezza ineffabile scongiurava:

—Deh! figli miei, persuadete voi vostra madre che s'inganna; ditele che l'ho amata sempre, e l'amo. Voi almeno corrispondete al mio amplesso—venite al mio seno… consolatemi voi… che il mio cuore è inebriato d'infinita amarezza.

—No—tu hai fatto piangere mamma.

—Volevi tirare a mamma—va…

—Noi non ti vogliamo più bene, cattivo…

—Va via:—va via… gridarono a coro i tre fanciulli.

—Va via? Sta bene. I miei figli mi scacciano dal seno loro… mi bandiscono dalla mia casa—andrò.—Ma tu almeno,—soggiunse Giacomo volgendosi al fantolino che Luisa aveva riposto nella culla,—innocente creatura, che gli uomini non hanno ancora potuto avvelenare… tu che sentirai vergine il grido della natura, ricevi il mio amplesso, e tienlo come la unica eredità che possa lasciarti il tuo padre infelice.

Il bimbo, spaventato dal sembiante sconvolto e dagli atti concitati di lui, sollevò ambedue le manine facendosene schermo al viso, e mandando fuori strilli di paura. Giacomo si fermò—lo contemplò—piegò le braccia in croce sul petto, e con accento concentrato profferì queste parole:

—Ecco; il padre mi perseguita a morte—la moglie mi rinnega—i figli, mi scacciano—la stessa natura rovescia le sue leggi per me, e il fantolino mi abborrisce come cosa, che lo istinto gli addita malefica. A questi fati non dovrebbe mai condursi l'uomo… ed io soffersi valicarne il termine estremo! A modo di tronco in mezzo alla via, io mi attraverso alla vita dei miei, ingombro odiato e insidioso.—A che più stai, anima sconsolata? Ora la tua partita giova a me e ai figli miei:—un giorno gli educai sotto le mie fronde, adesso la mia ombra toglie loro il sole:… velenose sono le rugiade, che cascano da me:—andiamo;—devo benedirli, o no? Vorrei… e non ardisco… No… chè le mie parole potrebbero, prima di scendere sul capo loro, convenirsi in maladizione.—Vita acerba, morte miserabile, memoria aborrita.—Tu, Dio, queste cose vedi? Le vedi, e le consenti?—Tu hai rotto la canna inclinata… ed io mi chiamo vinto… oh! oh!

E così mormorando, con la morte nell'anima e le mani nei capelli, traendo dolorosi guai abbandona la casa. Chiunque lo avesse visto, e gli fosse pure stato nemico, avrebbe detto: «il Signore abbia misericordia di questo sciagurato!»

La moglie, sebbene la procella continuasse a scompigliare il suo spirito, sentiva levarsi in cuore un'aura mite foriera di pianto appassionato, mercè la spontaneità dello amore mostratole dai suoi cari figliuoli; e se per questo le venissero mille volte più cari non è da dire.

Vive nei genitori, io non dirò senza accorgersene, ma senza che lo confessino a se stessi, una emulazione nello affetto dei figli, la quale suole procedere ordinariamente così. Alle madri riesce farsi amare in preferenza del padre dalle femmine, ed anche dai maschi fino a tanto che si sentono deboli ed infermi; ma quando la vita rifiorisce in loro vigorosa, vaghi dei campi aperti o del fragore delle città, dalle madri mano a mano si scostano, e si avvicinano al padre. Ora i figli di Giacomo si trovavano nella età in che il bisogno gl'inclina meglio alle carezze, ed agli aiuti materni: quindi natural cosa era, che tutti per la madre parteggiassero.

Luisa non avvertì la partenza del marito, o, se pure l'aveva avvertita, poco le calse; sazia, per così dire, di amore filiale. I baci ardenti e le focose carezze che in quel punto riceveva, e più partecipava, le fecero obliare che il vincolo più forte di famiglia giaceva infranto. Ahimè! Quanto le costerà amaro il mal momento in cui ella, incauta, commise la sua anima in balìa di cieca passione!

Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI

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