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II

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Egli era nella sua camera, insonne, affacciato al davanzale, quando già nella casa dormente più non udivasi alcun rumore. Aveva spento il lume, per abbandonarsi al torpore delle proprie meditazioni; ma la stanza era piena d'una luce quasi fantastica, per il chiarore che vi tramandavano le infinite stelle. Splendeva il suo letto, splendeva il grande armadio vetrato, carico d'orciuoli, di fiale, di vasi, d'ampolle medicinali.

Ondeggiante, sfioccata, lontana, una striscia di nebbia navigava sopra il mare delle foreste, ogni tanto mutando colore, come un naviglio veliero, nell'incantesimo della notte. E quella striscia di nebbia era una immagine dell'anima sua, sospesa fra i più grandi abissi, incerta e pur navigante.

A stordirlo salivano dall'inebbriante giardino vampe di profumi e d'aromi, come se la primavera dormente fosse un'ara infinita e vi bruciassero incensi; ma, chiudendo appena gli occhi, vedeva un immenso lenzuolo nero scendere su quel mondo stellato e gli pareva che fantasmi orrendi si aggirassero nella tenebra disperata.

Egli pensava ancora una volta all'amore e al delitto: — le eterne fiabe degli uomini: il delitto, e l'amore.

[pg!25] Poi gli parve udire quel lievissimo fruscìo noto, dietro l'uscio, quel respiro di lei che sentiva quand'era impercettibile, quel profumo di lei che lo snervava quand'era pur lontana, e si volse.

La vide infatti, che socchiudeva la porta con precauzione, appena tanto da potervi passare; la vide che tremava per un lieve scricchiolìo dei cardini, tutta raccolta nelle spalle, quasi volesse annullare anche il proprio respiro... e fu nella camera. Girò la chiave con cautela, perchè la serratura non stridesse, poi gli scivolò accanto, lieve, con un brivido, nel quadrato azzurro della finestra.

Egli non si mosse, non la baciò. La guardava. La guardava con una specie di stupefazione, tanto il timore e l'amore facevanla bella. Ma poich'erano vestiti entrambi di nero, ad entrambi sembrò che vi fosse qualcosa di funereo in quella veglia che facevano davanti alle stelle.

— Che hai? — diss'ella.

Il respiro della sua bocca, poichè aveva il sapore medesimo della sua carne, parvegli che fosse un bacio. Sotto quel bacio egli s'irrigidì, chiuse gli occhi, volendone quasi godere una tentazione più prolungata. Ella nervosamente gli posò le mani su le spalle:

— Che hai? Perchè mi sfuggi?

Allora, d'improvviso, l'attrasse nelle sue braccia, se la strinse al cuore con una specie d'amor convulso, affondando la bocca nel tepore del suo collo, nel principio della sua nudità. Ella era piena d'istinti lascivi, come nella più matura estate un favo è gonfio di miele. Tanto pallore le scorreva nel viso, che di quel solo bacio pareva godesse un estremo piacere.

— Perchè mi sfuggi? — domandò ancora, ma contro la sua bocca. — Durante il giorno, appena mi guardi; quando arrivi, quando parti, cerchi sempre di non parlare con me.

Egli non rispose; ma sostenendo sul braccio il peso della sua nuca rovesciata, le carezzava gli occhi [pg!26] dalle ciglia quasi d'oro, a lungo e piano, come si fa talvolta per addormentare un bimbo.

— Non mi ami più?... — ella disse, mentre invece sentiva la passione dell'amante invaderle ogni vena come una immateriale carezza.

— Sì!... sì!... — egli proruppe; — ma sono un vilissimo uomo, Novella, e fra noi ci sono troppe ombre.

Allora ella si strinse nelle braccia dell'amante come in forte rifugio.

— E adesso, dorme? — domandò Andrea.

— Sì, dorme.

— Ne sei certa?

— Sì.

— Ti ha parlato di... noi?

— Non ancora, ma ogni momento pare che sia per farlo.

Tre stelle filanti, lontane, veloci, caddero insieme. La notte si accendeva di chiarori fantastici, di vampe fatue, per ogni dove, come un rogo. Egli, tenendola nelle sue braccia, le fissava la fronte illuminata, quasi fissasse un punto magnetico, seguendo le bufere de' suoi propri fantasmi. E vedeva su quella fronte le radici dei capelli scintillare minutamente, quasi fossero cosparse d'una invisibile polvere d'oro.

— Novella, — esclamò, — che faremo?

Egli disse queste parole con un'esausta voce desolata, e le disse, lui così forte, come un bimbo.

— Non importa, — ella fece, scuotendo il capo. — Se tu mi ami, non importa! Quello che vuoi... anche uccídimi!

Parlava come in un'ebbrezza, piena di lui, sotto il potere del suo fermo sguardo. E rovesciando la gola turgida esclamò di nuovo: — Poichè fra poco saremo scoperti, e poichè il nostro bimbo non può, non deve nascere... poichè non possiamo avere la nostra felicità... uccìdimi, se vuoi, ma con le tue mani... con le tue sole mani, che amo... non mi farai male.

[pg!27] Ora la sua passione la transfigurava in una bellezza più che umana, e questa offerta di martirio pareva, su la sua bocca, semplice.

Egli s'irrigidì; un lampo sinistro gli splendette negli occhi: tutta la volontà parve gli balzasse d'improvviso al sommo dell'anima, inflessibile.

— Era il mio amico e non lo è più, — disse con una tetra lentezza; — era il mio fratello, e non lo è più. Ho creduto ad altre cose false nella vita, e le rinnego; una sola cosa è vera, necessaria, inevitabile: te.

Fece una pausa dura e guardò nella notte che brillava; brillava come un incendio di fosforo, su tutte le cime, vertiginosa. Poi affermò, piano con le labbra, ma forte nel cuore: — Sì, è possibile!

— Che dici?

— Nulla; non voler sapere. Questo solo posso dirti: non ti perderò. Se ho potuto per questo amore giungere alla frode in cui viviamo entrambi, se ho potuto annullare la mia coscienza fino a tradirlo nella sua casa, vicino all'ora forse della sua morte... questo solo posso dirti, Novella: non ti perderò.

Ella ebbe un sorriso estatico, che le rideva fin su le ciglia, che le sperdeva gli occhi in una immensa felicità.

— Così mi ami?

— Così, e più forte. Non dimenticare queste due parole: «più forte».

Fiumane, fiumane, quasi d'un sole notturno, invadevano lo spazio, ravvolgendo come di gloria il loro colpevole ma stupendo amore.

Sul tetto della casa, forse, o forse nei rami dell'antichissima quercia, un usignuolo cominciò a cantare. Le ghiaie frammiste con frantumi di vetro mandavano sprazzi, simili a quelli che davan i suoi denti nel riso d'ogni bacio, fra i due fili rossi delle labbra. Ella fu sua con tanta disperazione, con tanto delirio, che le sembrò veramente di sentirsi dare la morte, fra [pg!28] vena e vena, per tutto il sangue, fino al cervello, senza patirne, come aveva detto, alcun male.

Nello stesso tempo, e solo qualche passo più in là, diviso appena da leggere pareti, un uomo afferrato già dalla morte vera, da quella bieca e putrida che porta indosso un lenzuolo per coprirsi le costole nude, sussultava in un sonno angoscioso, respirando a fatica il lezzo del suo proprio respiro, con la fronte che si bagnava di uno stillar gelido, l'anima che si rompeva in un tormento senza pace: carcame d'uomo incominciato a marcire.

Ancora una volta era necessaria quella vicinanza, che non è fortuita ma universale, della voluttà con la disperazione, del nascere con il morire: inestricabile nodo che s'aggroviglia nell'ironia continua della vita. Una casa d'uomini dormiva insensibile nella notte bianca, e da due finestre vicine usciva unitamente a sperdersi nell'aria stellata un respiro voluttuoso d'amanti che s'inebbriavano ed un fioco rantolo d'addormentato, ch'era già quasi un rantolo d'agonia. Sopra questi aliti vicini e dissimili, che sono tuttavia la parola di tanti silenzi notturni, sul tetto della casa, forse, o forse nei rami dell'antichissima quercia, un usignuolo, come per ischerno, s'era messo a fischiare.

E forse in quel sopore affannoso, come traverso un velo di lontana irrealità, il malato sognava...

Si rivedeva nella piena giovinezza, povero ma risoluto a far molto cammino, senz'altra ricchezza nella vita che il suo forte ingegno ed un amico più forte. Questi era medico ed egli ingegnere di ponti e miniere, sbalzato dalla sorte in ricche terre inospitali, a tutte le temerità risoluto pur di conquistarsi la vita. E si vedeva nei pozzi profondi, ne' corridoi angusti, malsani di miasmi e di gas asfissianti, con le squadre di operai destinati alle galere sotterranee, armati di maschere e di lanterne cieche, non più simiglianti ad uomini ma quasi a rettili tenaci contro i forzieri della terra; si rammentava le tragedie, gli eroismi laggiù, dove il sole non è mai giunto, e riudiva quel sordo rombo della macchina [pg!29] calata nelle viscere della terra, per rovistarla e ferirla come una sonda nell'utero materno, e rammentava le catastrofi repentine, con gli urli delle vedove e dei figli intorno ai cadaveri carbonizzati...

Poi le ore di vittoria, quando si era messo con i cercatori d'oro, con gli impavidi pionieri che l'umanità spinge come vessilli a' suoi limiti sconosciuti, e quando, per aprire altri valichi alla potenza temeraria dell'uomo, aveva trionfalmente forato il grembo calcareo delle montagne, gettato ponti leggeri come ghirlande di ferro sopra fiumi turbolenti, e condotta l'acqua ove le terre ardevano di siccità, e deviata la piena delle valli di straripamento...

Non amori inutili, non sciocche ambizioni, ma la voglia di vincere, sola e terribile nella sua bellezza, e quest'unico amico del cuore splendente come l'acciaio, che a sua volta vinceva nei dominî liberi della scienza, che scopriva bacilli nefasti, che inventava sieri prodigiosi: questo rinnovatore che le Università si contendevano, questo violento sollevatore d'uomini che lanciava traverso il mondo possa di volumi clamorosi... Certo l'avevano contesa palmo a palmo, fraternamente, la lor terra di conquista, e ciò che aveva spronato l'uno a superare sè stesso era la vittoria del compagno; ciò che li aveva sorretti entrambi nelle ore più tragiche, era soltanto la loro scambievole fraternità. Non mai fra loro un'ombra d'invidia, che non fosse la più generosa emulazione; mai secreto nè diffidenza fra loro, tanto eran certi e fermi nel voler compiere insieme, fra qualsiasi evento, l'intero cammino della vita.

Sì, forse il malato sognava...

Sognava di lei, quando la vide per la prima volta e la guardò per la prima volta con un pensiero d'amore, così bella che gli parve una cosa inaspettata, nuova nel mondo, benchè sembrasse allora un po' malata, e non d'altro forse che della sua faticosa verginità. Si ricordava d'aver comprato per lei forse il primo, l'unico mazzo di fiori ch'egli mai desse ad una donna, e ricordava [pg!30] la prima volta che ardì stringerle una mano, con paura profondamente soave, per dirle infatti ch'era bella, bella, bella, e che l'amava con un cuore ignoto, con un'anima nuova, nata in quel momento...

Si ricordava quella voce di lei, così grave, così lenta, quando chinò la faccia e gli rispose:

— Sì, Giorgio, vi sposerei volentieri, se lo voleste...

Allora gli si aperse negli occhi un infinito paradiso, e queste parole gli parvero piene d'un immenso amore, perch'egli fino a quel tempo non era stato amato mai.

L'aveva poi svestita, una notte, religiosamente, quando ancora fra i suoi capelli sciolti fluttuava l'odor nuziale della corona d'arancio; e nel vederla sua, per sè, per sempre, si sentì naufragare in una gioia troppo grande, che gli soverchiava l'anima, onde gli parve che ogni cosa di quel momento si disperdesse fuori dalla vita, in un colore d'impossibilità. Erano stati felici insieme — o così gli parve — qualche anno, poi... Poi, già nello svestirla quella prima notte, si era sentito ruggire dentro un male sordo, crescente...

E infine accadde che una volta fu sorpreso di attonita maraviglia nell'ascoltare la voce di sua moglie che parlava con Andrea...

Era un sogno, poteva non essere che un sogno... e l'usignolo, nell'azzurra notte, spietatamente cantava.

. . . . . . .

Ella s'avvinghiò al suo collo, seminuda, sobbalzando sul letto, e mormorava con voce soffocata:

— Ascolta...

Tesero l'orecchio, ambedue mortalmente paurosi, verso la parete, verso l'uscio, verso la camera lontana.

— No, t'inganni, — egli disse. — Non sento alcun rumore.

— Sst... taci!

Ascoltava, protesa innanzi nello splendore del raggio lunare, che vestiva d'innocenza la sua lussuriosa [pg!31] nudità; teneva un braccio intorno al collo dell'amante, l'altro puntato su la sponda del letto, con le dita aggrappate nella coltre come bellissimi artigli, tra l'ansia del pericolo, atterrita ma pronta. Il respiro contenuto le gonfiava la gola, palpitante ancora di voluttà; i capelli semisciolti le ingombravano il collo bianchissimo; tra i pizzi della camicia un seno erto le sbocciava come una splendida melagrana.

Ma non udiron altro che l'usignuolo infatuato lanciare i suoi fischi melodici nell'odorosa notte, sopra una orchestra lieve che l'accompagnava in sordina, con brividi appena di foglie nei respiri del vento.

Racquetata, ella si compresse il cuore con una mano e s'allentò nelle sue braccia.

— Se mi chiamasse di nuovo, come la notte scorsa? — mormorò.

— Sì, hai ragione. Làsciami.

— Ancora un momento... Guarda quante stelle!

Ubbriacato, egli le passava le dita fra i capelli, posava la bocca su la sua pura fronte.

— Dimmi... — ella fece; — una cosa orribile che finora non ti ho mai domandata... Andrea, tu che sei medico...

Per osare una tale domanda ella nascose la faccia contro di lui, affinchè non la vedesse. — Tu che sei medico, dimmi: È grave?... è molto grave il suo male?

Egli rispose bruscamente, con una scossa che lo percorse da capo a piedi:

— Non so! non so!

Ed ella, con un filo di voce appena percettibile:

— Può guarire?...

— Ah... taci!

Ma la strinse così forte a sè, che tuttavia non si sentì odiata. Allora ella cominciò a parlare sommessamente, con una voce cauta, pressochè insidiosa, mettendo lunghe pause fra parola e parola.

— Vedi, questa notte, quando ti ho chiamato, ed [pg!32] eravamo curvi, tu da un lato, io dall'altro del suo letto, soli, nel chiarore di quel lume così funereo, io, come in un lampo, involontariamente, ho pensato: Se... se domani...

— Se non ci fosse più! — egli disse con una voce tetra.

Ed ella non li vide, ma gli occhi di lui splendettero d'una luce quasi micidiale.

— Anch'io, — diss'egli lentamente, con uno sguardo atono, — anch'io ho pensato questo. Era quasi un incubo, ed avevo la visione precisa del cadavere, come se dalle sue membra immobili soffiasse già quel freddo che mandano i morti.

Rabbrividita, ella si agitò nel letto e si ristrinse contro il tepore dell'amante. Ma egli, senza un tremito, e quasi provando una gioia malvagia nel torturare sè e lei con queste parole, ricominciò:

— Era veramente un incubo, e chinandomi sopra il suo cuore fioco, io, medico, io suo amico, sentivo solo dall'altro lato del letto il profumo che veniva dalla tua persona bella e viva, l'odore di te che mi sopraffaceva, quell'odore de' tuoi capelli un po' disfatti, che portavano ancora il segno del guanciale... e l'orrore di sentirmi così colpevole davanti a quella specie d'agonia, accresceva smisuratamente il desiderio, il desiderio fisico, intendi? che avevo di te.

Ora fu ella, smarritamente, che supplicò:

— Taci!...

Ma egli s'inebbriava della sua propria nefandità, si esaltava della sua propria tortura.

— Lo sai che ho dato finora tutte le mie forze umane alla difesa della vita? Lo sai che sono un medico? un salvatore? Lo sai che ho fatto rinascere centinaia di uomini, e tanto amore mettevo in quest'opera, che per salvare la più inutile vita serenamente avrei data la mia?... M'intendi? Ebbene, ora per la prima volta concepisco la possibilità astratta di rinnegare la mia missione; e questa morte, questa ingorda morte, che ho [pg!33] combattuto accerrimamente, con il cervello e con le braccia, nelle corsìe degli ospedali, fra i crogiuoli de' miei laboratori, questa morte che fu la mia nemica dappertutto, che odiai fino all'eroismo, la vedo per la prima volta come un'alleata, quasi come una benefattrice... e mentre le mie mani avvezze lottano ancora contro di lei, macchinalmente, su questo corpo che ci divide, il mio cuore, il mio spirito, il mio nascosto essere che vuole te, la chiama, la chiama, e le dice con un'oscura voglia di tradimento: — Sì, che tu sii la più forte... e ch'io non ti sappia vincere mai più!

Ella gli pose una mano su la bocca, una sua mano fredda, che aveva il profumo della colpa, e quella buia fossa che andavano scavando al morituro, ancora una volta colmarono di voluttà.

La vita comincia domani

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