Читать книгу La vita comincia domani - Guido da Verona - Страница 4
III
Оглавление— Un'imprudenza? Ebbene, sì, mi è piaciuto commettere un'imprudenza! — disse Giorgio a Novella ed al Ferento. — Se sapeste con quale delizia un malato, come un bimbo, cerca di fare le cose proibite! Povero me!... non poter muovere un passo, non poter respirare senz'essere ascoltati!... Dio buono, diventa una vera persecuzione!
— Sei oggi d'umore a veder tutto in nero, — gli disse Andrea. — Senza volerlo noi finiamo con irritarti.
— Fors'anche sono ingiusto, — egli convenne con un sorriso amaro. — Ma dovete avere un poco di pazienza... ancora un poco! Vedi: mi reggo a stento: il fianco mi duole per le punture che mi fai... È doloroso quel tuo siero! Quante ne occorrono ancora?
[pg!34] — Circa una decina, — rispose Andrea, rapidamente.
— Oh, se poteste lasciarmi un poco di pace! Voi non sapete cosa valga la pace. No!... via questi scialli! — disse a Novella, che intanto lo ricopriva; — basta, basta con tutte le cure inutili, con le inutili medicine! Vedete: io non sono un timido; la morte, se ha da venire, non mi spaventa affatto; ma quello che m'annoia è d'essere trattato già come un moribondo.
— Sei di cattivo umore, ti ripeto! — esclamò Andrea con una voce scherzosa. — L'ho già detto a Novella ed agli altri: voi, con l'eccesso delle vostre premure, non fate che esasperarlo; curatevi meno di lui.
— Ecco: non datevi di me alcuna pena, e vi prego, vi prego, non sacrificatevi per me! Con questo bel sole, immagino che avrete certo voglia di fare una lunga passeggiata. Stefano e Maria Dora son scesi alla fattoria: se li andaste a raggiungere? Tu, Novella, hai bisogno di aria: impallidisci ogni giorno più. Quanto a me, sto benissimo solo. E se poi mi venisse la voglia di conversare, c'è di là Marcuccio che lavora: l'andrò a disturbare. Con Marcuccio vado sempre d'accordo, perchè in tutta la casa è il solo che se ne infischi della mia salute!
— Io ti ubbidisco, — rispose Andrea. — Non vado alla fattoria, ma scendo in paese.
— Benissimo. E tu, Novella?
— Io rimango, — ella rispose, levando il capo da un libro che sfogliava. — Se qui t'annoio, salirò nella mia stanza; oggi non ho voglia di camminare.
— Ti farà male, Novella. Sono tre giorni che non esci di casa, — disse il malato, mutando singolarmente lo sguardo e la voce nel parlare a lei.
— Tuttavia permettimi di rimanere, — pregò Novella con un sorriso.
— Come vuoi.
Udirono il passo di Andrea lontanarsi per il giardino, e rimasero soli nella sala terrena, egli seduto [pg!35] presso la finestra, ella presso il cembalo, con una lunga striscia di sole, piena di pulviscolo, tra loro.
— Cosa leggi? — egli domandò.
— Nulla: guardo un tuo libro. È «Il Riso Rosso» di Andrejeff. L'hai letto?
— Non ancora.
Entrambi fissarono gli occhi su quella striscia polverosa di sole, dove s'agitava un microcosmo infuriato, una specie di convulsione continua che non faceva rumore, come le tempeste dell'anima. Avevan quasi paura entrambi di guardarsi nel viso; il silenzio li avvolgeva come uno strepito assordante.
— Vuoi suonarmi qualcosa, oppure sei stanca? — egli domandò.
— Volentieri.
Si alzò, sedette macchinalmente su lo sgabello del pianoforte, con una compostezza d'automa, evitando quasi di far rumore, o forse timorosa di sbagliare in checchessia. Aperse il cembalo, scoverse la tastiera, e leggermente, con le dita veloci, cominciò a suonare una fuga di Bach.
Un bel rubino, rosso come una goccia di sangue, le macchiava la mano pallida.
Ora, non veduto da lei, dietro quel velo di sole, Giorgio abbandonò il capo su la spalliera della poltrona e rimase immoto a contemplarla. La cassa d'ebano, ferita in un fianco da quella polvere accesa, mandava dal legno curvo un gran mazzo di scintille. L'opposta parete rifletteva mutevolmente l'ombra della suonatrice. Le sue spalle trasalivano, accompagnando la nervosa celerità delle dita; il suo busto si curvava un poco in avanti con un oscillamento leggero, e messo in evidenza da quella positura su l'alto scanno appariva di una mirabile plasticità; la curva del seno, calma e forte, si delineava di scorcio, sotto le braccia irrequiete. Traverso quel raggio la sua capigliatura prendeva tutt'intorno la chiarità stessa del sole, mentre nel mezzo era fosca e folta, con riflessi color del mogano, [pg!36] come un caldo velluto. E nella faccia dell'infermo, non sorvegliata più dalla vigilanza interiore, s'incavava una squallida miseria, quasi un furore taciturno, una visibile distruzione. I suoi occhi erano spenti, la bocca s'appesantiva; ne' suoi radi capelli, traendone un luccicore quasi umido, penetrava il sole.
Sì, l'amava, l'amava! e morendo l'amava... il che è più disperato che tutto, più irremediabile che tutto!...
Due volte, dietro l'uscio, una vocina di bimba fece:
— Si può?
Ella s'interruppe, e sùbito rispose:
— Avanti.
Era Natalissa, la bambina del giardiniere, con un grande fascio di rose tra le braccia. Teneva i lunghi steli ravvolti nel grembiulino per non pungersi le dita; il visetto gaio le sbocciava sopra quei fiori con un sorriso di donnicciuola grande.
— Il papà mi manda con i fiori da mettere nei vasi. Dice che se li deve accomodare lui, verrà più tardi, perchè adesso è occupato nell'ortaglia e sùbito non può salire.
Parlava con un cinguettìo di passera, tenendo in braccio quel gran mazzo di rose, che per la lunghezza degli steli parevano maggiori di lei.
— No, piccina, — ella rispose, lieta che alcuno fosse venuto a interrompere la loro solitudine. — Dalle a me; le accomoderò io.
— Eccole, signora. Guardi che belle rose!
E alzando le braccia quanto poteva, diede a Novella il mazzo fragrante.
— Il papà mi ha detto che queste rose gialle sono le prime delle margotte, e di farle vedere al signor Stefano. Non c'è il signor Stefano?
— No, è fuori; ma presto ritorna.
— Allora glielo dica, sa...
— Certo, piccina. Hai detto queste gialle, non è vero?
— Sì, le gialle, signora; che si chiamano «Maréchal Niel».
[pg!37] — Guarda un po' come se n'intende la piccola Natalissa!
— Eh, già!... — ella fece con un modesto orgoglio.
Stava tutto il giorno appresso al padre, ond'era divenuta pratica di giardinaggio. Novella prese qualche confetto in una scatola di porcellana e li offerse alla bimba.
— Grazie, signora, non s'incomodi.
E attorcigliava con vergogna le mani dentro il grembiulino; poi accettò i confetti e se li mise in tasca.
— E lei sta meglio, signor Giorgio?
— Sì, piccina, sto abbastanza bene.
— Bravo, signor Giorgio! Se viene in giardino, mi chiami, che io le mostrerò tutte le pianticelle nuove. A rivederla e grazie.
Se ne andò seria seria, con quelle sue maniere di piccola massaia.
— Com'è graziosa e brava quella bambinetta, — disse Novella, che si affacendava nello sciogliere il grande mazzo di rose. Egli frappose un lungo silenzio, guardò la moglie, poi disse:
— Alle volte penso che anche tu, Novella, forse hai desiderato di averne una.
Ella odorò le rose fragranti, accarezzandole, dividendole ad una ad una, con attenzione soverchia, per disporle nei vasi.
— Di avere una bimba?... — fece. — Sì, vagamente, qualche volta... come forse tutte le donne lo hanno desiderato.
— E invece io t'ho impedito anche questa gioia legittima, che poteva darti un altr'uomo qualsiasi, perchè la nostra casa è rimasta senza figli.
Ella trasalì nell'intimo, e temendo che una vampa le salisse al viso, per nascondersi, affondò la bocca in una gonfia rosa, cárica di pólline giallo.
— Di questo non ti ho mai mostrato alcun rammarico, — rispose.
[pg!38] — Infatti; ma il silenzio è talvolta assai peggiore di un rimprovero. Mi ammalai poco tempo dopo averti sposata, e fu bene che tu non avessi un figlio mio. Da me, Novella, non ti vennero che tristezze; talora penso che veramente mi devi odiare.
— Ma Giorgio! — ella esclamò nervosamente, — odio solo questi discorsi che mi fai! Non ho alcun bisogno d'avere bimbi e mi tormenti per nulla.
— Non sai forse che i malati sono crudeli? Soffrono ed amano far soffrire. Ma in me, vedi, è la coscienza che talora mi rimorde. Penso che ho legato senza volerlo una gioventù bella e forte come la tua alla decrepitezza d'un infermo, e penso a quello che deve necessariamente agitarsi nel tuo cuore... a tutti i desiderii che vi reprimi, perchè io non li veda.
Egli parlava con un tono ambiguo, che voleva sembrar pieno di dolcezza, mentre suonava come una indulgente ironia.
— Non ti nascondo nulla, Giorgio, — ella rispose, molestata. — Sono più semplice che tu non creda.
— Semplice, hai detto? Così mi pareva una volta, ma ora non più. Ora, studiandoti meglio, con quella divinazione dei malati che hanno tanto tempo per riflettere, ho scoperto in te un viluppo di cose inestricabili, di passioni oscure... Ed anzi non sei semplice affatto, ma un nodo mi sembri, serrato e forte.
Ella rise, accarezzando con frivolità le rose gialle disposte in un bel vaso.
— Perchè? ma perchè tante ubbìe?... Lasciamo stare, Giorgio! Senti piuttosto queste rose delle margotte, che odore inebbriante!... stordiscono... senti!...
Gli si avvicinò, portandogli le rose da odorare. Ma Giorgio bruscamente le afferrò una mano:
— Vorresti non lasciarmi parlare, è vero?
— Io? perchè?... — rispose la moglie, turbata.
— Vorresti che fra noi, sino all'ultimo, perdurasse l'equivoco dietro il quale ti nascondi? Sì?
— Ma Giorgio...
[pg!39] — Però io, poichè sono crudele... — via, non t'imbiancare così!... — poichè ho taciuto così a lungo... troppo a lungo!... vorrei parlare una volta con te. Ma, vedi, quel vaso non è sicuro nelle tue mani... Perchè tremi? Pósalo giù, siéditi e dimmi...
— Ah, ma non è vero!
— Sì, che tremi: lo vedo. Siéditi qui vicino e ascóltami.
— Che vuoi? che vuoi, Giorgio? Non ti affannare così; dopo starai male... — balbettava ella smarritamente, guardandosi attorno, quasi cercasse nelle cose circostanti una via di salvazione.
— Anzi, — egli rispose, — parlarti mi fa bene, un bene infinito, Novella, se tu puoi essere sincera con me. E lo dovresti essere, perchè nessuno... intendi? nessuno potrà mai amarti con l'amore mio, l'amore senza confini d'un uomo che se ne va...
— Non dire così!... non devi dire così!
— Ma cosa temi? ch'io t'accusi forse? o ti minacci? o sia così pazzo da domandarti altra cosa che un poco di buona e di vera sincerità? Ascóltami, Novella. Se un giorno avrai nella tua vita lontana, — e Dio te lo risparmi! — uno di quei dolori così grandi che non si sa come un'anima li possa contenere, soltanto allora comprenderai perchè voleva oggi parlarti quel Giorgio che sarà uno scomparso, un punto nero nella tua memoria, un'ombra... Làsciami dire; làsciami dire!... Anzi tutto sappi una cosa: non ho rancore contro di te, non il più lieve rancore, Novella, perchè ti comprendo, anzi ti difendo io stesso.
— Ma da cosa?...
Egli scosse il capo, e seguitò:
— L'amore non è tale se non quando giunge ad essere un'infinita bontà. Il resto è unicamente una rabida passione, la quale non può nè perdonare nè beneficare. Più tardi ricorderai quello che ora ti dico, e più tardi, poichè l'anima dell'uomo ha bisogno di generare fantasmi, più tardi, quand'io non ci fossi più, [pg!40] potrebbe darsi che anche nell'anima tua nascesse quella paura insoffocabile che si chiama «il rimorso». Ora io ti parlo appunto, perchè non voglio che tu lo conosca mai. Ho invece un altro sogno: quello d'aiutarti ad essere felice, se lo posso ancora, e dirti che non mi devi temere affatto, nè ora nè dopo, e lasciarti la sicurezza che tu non mi hai fatto alcun male, anzi sei stata nel mondo la mia sola felicità...
Ella smarrita lo guardava, senza bene intendere le sue parole, ma sopraffatta dal suono tormentoso di quella voce, attonita, nel vedere quel viso trasfigurarsi e risplendere per un'altezza di sentimento più che umana.
— Quando, — egli riprese, — quando il tuo cuore ti dirà con un morso: «Lo hai fatto soffrire...» — tu rispondi serenamente: «No; sono stata invece il suo pensiero più dolce, il sorriso ch'egli vide fino all'ultimo nel colore della vita». — Quando il tuo cuore ti dirà: «Egli purtroppo conosceva il tuo amore, l'altro amore, il solo che avesti...» — e tu rispondi serenamente: «Che importa? Egli non mi amava perchè l'amassi... Poi sapeva che nessuno può comandarsi di non amare». — E se il cuore infine ti dicesse: «Ma è stato geloso... orribilmente geloso di te...» — allora non rispondere nulla, perchè gelosa può essere soltanto la carne... quella si distrugge, finisce, e per lei non vale che si pianga.
Egli fece una pausa e la guardò fissamente, con una tetra luce negli occhi:
— Saprai non ripetere nulla delle parole che ti dico?
E parve che la maschera umana, la febbre umana del suo dolore gli ricadesse d'un tratto sul viso.
Poich'ella taceva, egli disse parlando a sè medesimo:
— Forse no; ma non importa.
Allora ella ebbe uno schianto, e dalla seggiola dov'era scivolò a ginocchi, nascondendosi fra le mani la faccia impaurita, poichè sentiva, così genuflessa, [pg!41] d'esser meglio rifugiata sotto l'ala della sua grande anima.
Insieme, tuttavia, poich'era invincibilmente donna, o forse per quel pensiero carnale ch'egli aveva mesciuto nella sua misericordia, le risaliva struggente nelle vene la memoria della notte trascorsa, e quasi per acuire il suo rimorso fisico riviveva in una specie di prostrazione l'ebbrezza di quei loro baci avidi e soffocati, sicchè non sapeva dividere dal terrore della sua colpa l'immagine stessa del peccato, e dall'immensa paura di quel momento in lei nasceva una più grande voluttà.
Allora, così armata della propria gioia, così piena di quell'assente che la teneva in potere, quasi per una ribellione de' suoi nervi crudeli, sentì, nel luogo della pietà, insorgere un sordo rancore contro colui che si faceva troppo umile per atterrirla, e sentì ruggire in sè, tra vena e vena, tra fibra e fibra, una specie di avversione incoercibile, quasi un odio, contro quel nemico disarmato, il quale, non altro potendo, cercava d'incatenarla con la propria bontà.
Ed allora, senza più mercede, si levò di ginocchi diritta, con una rapida mossa piena d'orgoglio, e crudamente lo fissò. In quell'atto apparve da lui così lontana, ch'egli ebbe immediata la percezione di quella inesorabile distanza.
— Cosa vuoi dirmi? Cosa vuoi sapere da me? — diss'ella, rattenendo a stento l'impeto della voce. — Di cosa dunque mi rimproveri?
— Di nulla, — egli ripetè, chiudendo gli occhi per nascondere la sofferenza che vi saliva. — Di nulla, come ti ho detto.
Ma ella pareva non l'ascoltasse, nè averlo ascoltato fino allora, e sentisse invece imperioso il bisogno d'una discolpa.
— Da che sei malato, qual'è la mia vita? Ho pensato forse a me stessa? ho trascurato forse il più [pg!42] piccolo de' miei doveri? ho passato un giorno, un solo giorno fuori di casa?
Egli voleva interromperla, ma ella parlava concitata, con rapidità.
— Non mi sono forse negletta come una donna vecchia? Ho riso forse? Hai veduta una sola volta la mia bocca ridere, dacchè tu soffri? Dillo, se mento.
— Non questo, — egli fece sconsolatamente.
— Ti ho mai mostrato, per caso, un rancore anche ingiusto, un rammarico pur lieve, che un'altra donna forse non avrebbe saputo nascondere in una vita così dolorosa?
— Non questo, non questo!
— E che allora? — ella esclamò con veemenza. — E le mie lacrime, le sai tu? Lo sai quello che ho soffocato nel cuore perchè tu fossi meno triste?... Se tu soffri, non soffro anch'io? Se tu perdoni, sii giusto, non perdono forse anch'io?
— Ma perchè ti difendi? — egli gridò con tutto lo sforzo della sua voce fioca. — Perchè ti difendi?!
— Non mi difendo, — ella rispose duramente. — Mi ribello! Insorgo tutta contro l'accusa che mi fai continuamente, anche tacendo, anche solo guardandomi, e che mascheri male dietro la finzione d'una bontà che non senti. Allora, poichè hai voluto rompere quel silenzio che ci proteggeva entrambi, allora preferisco un'accusa diritta e precisa... Dimmi: di cosa m'incolpi? Sono qui per risponderti, e non mentirò.
— Oh, questo è impossibile!... — egli disse, mettendo nella lentezza della voce un sottilissimo scherno.
Ella si sentì pungere come da una staffilata in pieno viso, ed ebbe voglia di gridargli su la faccia l'intera sua colpa, la splendida verità, per mostrargli che infatti non mentiva.
Ma il suo senso femminile di prudenza e di pazienza fu ancora più forte.
— Prova, — disse, — e vedrai!
Arretrátasi di qualche passo, entrò nella striscia di sole, che le si avvolse intorno alla gonna e parve [pg!43] stringere le sue ginocchia in un'armatura splendente.
Egli la guardò fiso, per qualche attimo, con odio e con stupore, poi esclamò:
— Come gli rassomigli!
— A chi? — ella chiese, più rigida, sentendosi correre dalla nuca ai talloni un lungo brivido di paura e di fierezza.
— Oh... a chi!... È vano che lo nómini, — egli rispose con sarcasmo. — Tuttavia, se proprio ci tieni, lo dirò: — Al mio fratello Andrea... al mio medico!
— E poi? — ella fece, senza batter ciglio.
— Nulla... dicevo questo perchè i tuoi occhi mi guardano come i suoi, e la sua bocca mi parla come la tua. Una volta ti movevi lenta, calma, con una specie di pigrizia; ora, nelle tue mosse, talvolta sorprendo un poco della sua rapidità.
Egli tacque un momento, poi soggiunse:
— Hai ragione d'amarlo, è un uomo che merita di essere amato.
Ma ella taceva, ravviluppata nel suo silenzio come in un freddo e crudelissimo rancore. Giorgio riprese:
— È l'uomo più virile ed è l'anima più vasta che incontrai su la terra. Bada che non símulo; egli forse mi odia, io no.
— Non ti odia, — ella disse con fermezza. — Andrea non ti odia.
— Lo sai tu?
— Sì, certamente. Ma voglio anche dirti una cosa, una cosa che tu dimentichi, Giorgio... Quando una donna riesce, con affetto, con serenità, vorrei dire, con passione a compiere il suo dovere nella vita, nessuno avrebbe il diritto di frugare come tu fai dentro l'anima sua, per rubarle un secreto ch'ella cerca di seppellire nella sua intimità più profonda, e non certo per risparmiare sè... L'anima, credo, è un possesso che si può negare inesorabilmente alle violenze altrui.
— Sì, l'anima, ed anche il corpo, Novella.
— Oh, il corpo no! — ella disse con audacia. [pg!44] ben sapendo che l'uomo, comunque creda di amare, qualsiasi nome purissimo voglia dare all'amor suo, non è mai altro nel fondo che un accanito e geloso pretensore, il quale perdonerà tutte le dedizioni, tranne quella, o bestiale o divina, che avviluppa due corpi amorosi. Ella intuì che il malato, frammezzo a tante parole, voleva sopra tutto conoscere una cosa: fino a qual punto ella non fosse più sua.
— Il corpo no, — disse un'altra volta, armandosi di quella inflessibilità che faceva splendere la sua bellezza come un freddo metallo.
— Perchè cerchi d'ingannarmi?... Una pietà inutile!
— No, Giorgio; la mia carne si è dimenticata e si è spenta nella lunga solitudine. Se qualcosa di lui mi turba, non così mi turba. Se può chiamarsi amore quel senso timoroso che ho di lui, non è l'amore d'una donna; ma invece un'ammirazione senza desiderio, e tuttavia così femminile, che forse un uomo non potrebbe giungere ad intenderla mai.
Ella mentiva con una facilità sorprendente, convincendosi di far opera buona, e dicendolo a sè stessa per darsi cuore; ma in fondo per difendere sè dalla sua colpa, sè e lui che s'amavano, dalla potenza del padrone. Mentiva, pur sentendo nel suo grembo agitarsi una vita oscura, la quale sotto gli occhi dell'infermo non poteva nascere, nè poteva, in quella casa vigilata, secretamente morire.
— Tuttavia, Giorgio, — diss'ella, pronunziando le parole con una dolcezza proditoria, — se tu sospetti vi sia fra noi qualcos'altro che una dimestichezza necessaria, perchè nata appunto nel curarti insieme, allontánalo dunque da questa casa, chiama un altro medico... vuoi?
Ella tremava dentro di sè per la paura ch'egli accettasse quell'offerta, e ne tremava così forte, che non ebbe alcun rossore della sua duplicità.
— Ma tu diméntichi, — disse pensierosamente il [pg!45] malato, — che siamo stati veri fratelli durante l'intera vita. Forse a lui debbo quello che fui, e nulla basterà per distruggere la mia riconoscenza. Vorrei solo poter credere che tu non menti.
Ella intravvide la speranza di riuscire ad illuderlo ancora.
— Come potrei farti credere, Giorgio, se la tua diffidenza è così grande? Sì, è vero: io sento il potere della sua forza; sono un po' schiava di quel dominio ch'egli esercita su tutti. Ma la mia vita, Giorgio, è ben altra; ed è così lontana dalla sua, come potrebbe esserlo da quella immaginaria d'un uomo conosciuto in un libro. La mia vita vera è di camminare in silenzio vicino al tuo letto, di portarti uno scialle perchè tu non abbia freddo, e di sentirmi lieta come non mai se un giorno ti desti più riposato, e mi guardi sorridendo, con un poco di riconoscenza nel viso...
Egli l'interruppe, tendendo una mano per incontrare la sua:
— Oh, se sapessi quanta ne ho! E che rimorso anche! Senza di te, mi sarei già liberato di questa mia vita inutile... Se rimango, è solo per vederti un giorno di più; e so bene d'altronde che il tuo sacrificio non sarà lungo.
— Giorgio, Giorgio, per carità!...
— Ne sono certo. Però, vedi come lo dico tranquillamente. Ciò che si chiama la morte è una cosa viva ed enorme, che avvicinandosi fa rumore. Fa, dentro le vene, un rumore sordo e confuso, che somiglia un poco al rombo d'una cavalcata lontana. Si avverte un freddo impercettibile, che agghiada tutti i sensi, ed allora l'anima fa come il sole nel tramonto: lancia, con una specie di delirio, i suoi raggi più luminosi verso ciò che possedeva nel mondo...
Parlava con una voce quasi meccanica, in cui certi suoni, certe sillabe, spiccavano stranamente, come fossero schianti di riso secchi e malvagi in un racconto monotono. Ella pure gli prestava un'attenzione puramente [pg!46] meccanica, e soltanto l'eco di quelle frasi le batteva sui timpani, facendole male.
— Perchè mi tormenti? perchè mi tormenti? — voleva dirgli quasi con rabbia, sopraffatta da un malessere fisico, che le rendeva insopportabile anche la voce, anche la presenza di lui. E lo guardava trasognata, vedendo insieme l'obliqua lama di sole fendere la stanza, piena di pulviscolo, di vita e di tempeste, come il suo cervello sovreccitato. Lo guardava senza pietà, e per la prima volta con un desiderio singolare di vendetta. Le pareva che dicendole: «Io so», — dicendole: «Io ti perdono» egli avesse rotto quel prestigio che gli conferiva il dolore taciturno, ed apparisse ora nudamente, come il solo divieto al suo bene, come l'ombra inseparabile dal suo nascosto sole. Anzi, quanto più le parlava egli di morte, tanto più si sentiva ella trascinata nell'orbita necessaria di un tale pensiero, e quell'immagine di funerali ch'ell'aveva respinta con tutte le forze dell'anima, d'un tratto egli stesso la faceva balenare davanti a' suoi occhi, non più come una remota ombra, ma come una imminente possibilità.
— Sì, è una cosa viva ed enorme, che avvicinandosi fa rumore, — egli ripetè lentamente, come per imprimere queste parole nella sua profonda memoria. — Ed è allora che assale, non un rammarico solo della partenza, ma il rimpianto irremediabile di tutto quello che la vita poteva essere per noi. Ed allora nasce verso gli uomini, anche verso quelli, sopra tutto verso quelli che ci hanno fatto male, un'affettuosità grande e stanca, una voglia quasi di render loro tutto il bene possibile, tutto l'amore possibile, perchè un solco di buona memoria continui dopo di noi. Non si pensa che anch'essi a lor volta finiranno, e la vita che prosegue ha qualcosa di stupefacente, come se fosse una forza radiosa e mostruosa che urla e splende mentre soffoca noi...
E tacque, attendendo forse una risposta, una sillaba qualsiasi, un cenno. Ma quelle sue labbra sigillate non si mossero, nè le sue ciglia batterono.
[pg!47] — Mi ascolti? — egli domandò allora.
Comprimendosi una mano sul petto, ella trasse un lungo respiro:
— Non ti ascolto, no! non ti ascolto...
Egli bruscamente sorse in piedi e s'avvicinò a lei. Teneva la fronte bassa, era mutato, pareva dibattersi fra un pauroso dubbio ed una grande speranza.
— Non ti ho mai domandata una cosa, — disse.
Ella trasalì, ed i suoi splendenti occhi nascosero fra le ciglia uno sguardo pieno di sospetto.
— Quale cosa? — domandò.
Ma egli esitava, come se avesse una profonda vergogna della domanda che stavale per fare; poi disse:
— Bada: non è una sciocca domanda che ti faccio. Vorrei sapere se, infuori da tutto quello che si chiama una religione od una fede nell'inconoscibile del mondo, senti con certezza di appartenere a qualcosa che non finisce, a un Dio insomma... o se invece ti senti sola.
Egli fece una pausa, e la guardò come per indovinare la sua risposta. Ma ella, senza forse aver preso il tempo di lasciar parlare la propria coscienza, rispose con una voce opaca:
— Sì, credo in Dio.
E così dicendo pensava a quello ch'egli le avrebbe domandato poi.
— Bada, — egli l'ammonì, — non rispondere con le labbra soltanto.
— No, no...
Egli le aveva presa una mano e la teneva serrata, quasi per comunicare con le vene del suo polso, con i battiti del suo cuore.
— O Andrea ti ha pure insegnato il suo gelido ateismo? — egli mormorò, curvandosi.
Ma ella scosse il capo, il braccio, con ira.
— Basta! — gli comandò; — basta!
— Allora, se un poco di fede non ti manca, — egli disse, tutto acceso dalla febbre della sua [pg!48] religiosità, — se veramente hai nell'anima Dio, non mi potrai mentire... bada!
— Che vuoi?...
— Sapere! sapere! — gridò il malato con forza convulsa. — Io, che finisco la strada, io, che non ti ho mai fatto alcun male, io ti domando: «Sei stata sua? In verità, in verità, sei stata sua?»
Ella scosse il capo con rabbia, come per prepararsi allo sforzo di rispondere: No! — poi si fece bianca d'un pallore quasi livido, e, scandendo le sillabe, disse con una voce che pur lenta sibilava:
— Non sono stata sua; non lo sarò mai!
Ma sentendo irrompere dall'anima in ribellione, più forte che il suo medesimo cuore il bisogno di gridare la verità, si tese tutta interiormente in una acerrima ira, e per costringersi alla menzogna disse ancora più volte: — Mai! Mai!
Esausto, egli si lasciò ricadere nella poltrona, premendosi le due mani sul petto, e la guardò perdutamente, con un senso d'inanità, di vergogna, stremato come un fanciullo che avesse voluto scagliarsi contro una porta di bronzo. E nelle sue membra malate sentì quasi una paura fisica di quella forte creatura, che aveva diritto a vivere, a ridere, a godere, a mentire, a far tutto ciò che fanno i vivi, mentr'egli non era più che un morto ancora barcollante, un travolto su cui la vita degli altri passava come un torrente infrenabile...
Perchè la voleva contendere ad un altro amore, se questo amore nasceva in lei, necessario e spontaneo come il suo profumato respiro? Perchè voleva dilungare la sua squallida ombra nel loro invisibile sole?
A queste riflessioni, un riso amaro di sarcasmo gli echeggiò dentro l'anima, senza salirgli fino alle labbra, mentre i suoi occhi smorti fissavano con una specie d'incantamento la bella creatura femminile, avviluppata in quel manto di sole che la ingloriava, che pareva splendere da lei, essere il colore della sua bellezza, il raggio della sua tutta ingemmata carne.
[pg!49] Gli sembrò che un rumore lontano, come di sonagliere su la strada, come di campanelli infuriati nell'alte camere della casa, gli stormisse dentro l'orecchie ronzanti, gli scrosciasse nel cervello vuoto, fra vena e vena, doloroso, incessante. Quel sole!... che macchia faceva quel sole! che barbaglio insostenibile, che incendio giallo su tutte le cose circostanti!...
Ella era là, così vicina e pure inaccessibile, avvampata di quella fiamma come un gioiello d'oro. E quel rumore continuo, come di sonagliere su la strada, come di campanelli infuriati, gli cresceva dentro senza posa, lo stordiva, lo accasciava, suscitando nelle sue pupille dilatate una continuità velocissima di bagliori e di vampe. Cos'erano? Forse quelle grandi rose gialle, cáriche di profumo e di pólline, che parevano d'un tratto roteare nella striscia di sole, incendiarsi, ardere? Le rose, o i suoi capelli scintillanti, o il braccialetto d'oro che le balenava al polso, o tutta la sua materia giovine e viva, cárica di profumo anch'essa, di pólline e di voluttà?... Vampe, vampe, sonagliere, in una ridda confusa, in una specie di vertigine gialla...
Accecato, chiuse le palpebre e sognò.
Sognò di lei, paurosamente, voluttuosamente, quasi per un bacio ch'ella gli desse, non più su la fronte, come soleva, ma con le calde labbra su le sue labbra ardenti, — un bacio snervante, lungo, lento, che gli assorbiva dalla gola turgida il respiro, che gli scorreva sui nervi non placati come una molteplice carezza. Un bacio carnale di amante, com'ella saprebbe dare se volesse, un bacio lascivo come la nudità, voluttuoso come la colpa... E in quella specie di torpore, mentre vedeva dietro il velo delle palpebre quel polverìo luminoso del sole, risentì, quasi per una evocazione fisica, sotto le narici un poco ansanti fluttuare l'odor femineo di lei, quell'odore soave che l'accerchiava come un malefizio, che intorbidava un poco l'aria come la fragranza eccessiva d'un fiore, che l'ubbriacava talvolta, [pg!50] nella sua debolezza di malato, come una droga troppo forte.
Ora egli la vedeva, non più nel mezzo della stanza, ma come l'aveva sorpresa una volta, all'uscir dal bagno, tutta nuda e gocciolante, cosparsa di oscurità furtive il suo corpo voluttuoso. Quella volta ell'aveva gridato, per il pudore subitaneo, con un piccolo grido acuto e quasi ridente; poi s'era in fretta raggomitolata nell'accappatoio tepido, schermendosi dall'esser veduta e chiudendo gli occhi quasi per timore. Così la rivedeva ora, nell'abbaglio, e risentiva sotto le narici ansanti quell'odor fresco di carne bagnata, di cipria e di lavanda, quell'odore buono e colpevole del suo corpo che incitava all'amore.
...ed egli era sopra di lei, curvo, e la baciava; metteva le dita un po' tremanti nel gran volume de' suoi capelli raccolti su la nuca, aspersi qua e là di gocciole iridate; le strofinava il dorso pianamente, le spalle pianamente, per rasciugarla; sentiva traverso la stoffa spugnosa il tepore umido della sua pelle, s'inginocchiava dinanzi a lei, l'avvolgeva con le braccia, la serrava contro di sè, più forte, più forte... Ella si rannicchiava, freddolosa e vogliosa, dentro l'accappatoio caldo: le uscivano dal basso i piedi rosati, le sue ginocchia tonde gli urtavano contro il petto, stando ella tutta raccolta in sè, tutta piegata come per ischermirsi...
Ma non si schermiva interamente; forse non era che un'arte leggiadra, un amabile gioco; ed egli, tenendola per la cintura come una preda non riottosa, piano piano addentrava una mano cauta nella scollatura dell'accappatoio, prolungando la sua carezza per la gola turgida, e giù, più giù, lentamente, con soste, come un ladro, nella dovizia calda, rigogliosa del seno...
Vampe, vampe, sonagliere... Cos'erano? le rose gialle? i suoi capelli?... Vampe.
Oh, come suonavano! che urlìo! che scampanìo forte, lacerante!... Che male! che male! Barbagli, guizzi, [pg!51] come di grandi rose gialle, infuriate, che roteassero... Una ridda... il sole... troppo sole... Ah, che male!... Sonagliere, vampe.
Cos'era? Una specie di schianto nel cuore fioco; una specie di rimbombo fragoroso entro le arterie stanche; una pietra infitta nel cervello, così greve, così greve... Rose, vampe, sonagliere.
Cos'era? Una lussuria di moribondo, che non di rado lo tormentava, la notte, nelle lunghe insonnie, mentr'ella se ne stava presso di lui, a piè del letto, assonnata sopra una pagina interrotta.
Talvolta egli chiudeva gli occhi, fingeva d'essere addormentato, per poterla desiderare senza tradirsi; gli entrava nel sangue un'accensione dolorosa; la sua tenebra interiore s'illuminava di rosso, ed in quella specie di febbre, come se le giacesse accanto, l'avvolgeva in più modi nella sua lussuria inane.
Quand'era sano ancora, non l'aveva mai desiderata così; quando le dormiva ogni notte accanto, non le aveva mai conosciuto questo irritante calore di femmina e di posseditrice, che ora tentava sino allo spasimo il suo desiderio spossato. Quando per la prima volta l'aveva baciata nel talamo nuziale, gli era solamente sembrata una inquieta e sperduta fanciulla, stanca forse della sua verginità, e per lungo tempo non aveva nemmeno sospettato in lei quella tentatrice ch'ella era, così turgida e sparsa di peccato in ogni piega del suo corpo, dalla fronte al piede.
Sì, forse aveva sin d'allora, nel cavo degli occhi, negli angoli della bocca, nella forma de' suoi labbri, quand'era in silenzio e pensava, o forse nella medesima sua voce, che talvolta si velava di risonanze opache, forse nelle spalle affaticate per il peso del suo petto fiorente, forse nelle braccia pieghevoli, nelle ginocchia pigre, un non so che di stanco, di lascivo, anzi una specie d'indefinito languore, che pareva, come un fumo d'oppio, addormentare le sue dolci membra in un letargo pieno d'insensibilità. Ma nel suo letto [pg!52] maritale non era, — e Giorgio se ne rammentava — che un'amante quasi inerte, una pigra onesta sposa che sopportava l'amore.
Più tardi, — ma solo più tardi — ella era fiorita così; più tardi, quando già per lui non era divenuta che una infermiera assidua ed una buona sorella, quando le loro bocche non s'erano più congiunte in altri baci che non fossero di consolazione o di dolore.
E chi dunque l'aveva così occultamente ridestata? Chi aveva ritolto da' suoi sensi violenti quella fascia di torpore? Chi aveva diffuso per il suo corpo soave quella virtù malefica di tentazione?
Oh, sì! egli le aveva ben detto, guardandola: — Come gli rassomigli!
Ed ella s'era drizzata senza rispondere, con un moto nelle vertebre del collo che le rovesciava un poco la fronte all'indietro: un moto abituale in lui, che scolpiva la sua dura fierezza e rendeva imperiosa la sua fredda volontà. Aveva imparato a dire: Sì! No! — rapidamente, con una voce ferma, che pareva inginocchiasse di colpo le resistenze altrui, — a dire: Voglio! — a dire: Devi! con quella decisione immediata e serrata che pareva in lui quasi l'urto d'un impeto fisico, il guizzo subitaneo d'una lama che si pianta e sta.
Ell'aveva detto: «Mai! Mai!...» — dopo la sua domanda... Ma quali parole potevan distruggere il valore delle osservazioni accumulate giorno per giorno dall'istinto che non falla, e sotto la vigilanza di una indagine involontaria? Ella diceva di no con la bocca, ma era invece visibilmente più che la sua amante: un oggetto suo, una sua possessione irredimibile, una vita congiunta con la sua vita, un sangue frammisto nel suo medesimo cuore.
Egli l'aveva presa, forse dolcemente, ma come si afferra una preda, quasi con artigli, bollandola d'un suggello di possesso che non si cancellerebbe mai più.
[pg!53] Ed allora perchè volersi adergere fra loro come un miserando padrone, goffo della sua gelosia? Perchè averle parlato, averle messo a nudo sotto gli occhi la sua lunga e vana disperazione? Perchè interrompere quel silenzio, che certo li proteggeva da una più grande calamità?
Come la riguarderebbe ora? Come fisserebbe i suoi occhi negli occhi di Andrea?
E diceva a sè stesso: — «Due creature umane, due vivi, hanno intessuta insieme la loro felicità. Si amano. Questo non è soltanto una parola; è vivere! Per spaventoso che a me paia, il lor diritto è più forte, più necessario di ogni altro vincolo.
Se urlo, dove arriverà il mio grido? Io sono l'immobilità, sono qualcosa d'inerte e di spento, che deve tacere.
Sì, di fatti: erano il mio amico e la mia donna...
Parole! tutto questo non è che un telaio fragile di parole! Vivere! questa è la sola verità; con tutte le sue rapine indispensabili, con tutte le sue crudeltà fatali. Dunque, se grido, che può fra loro, il mio grido? Nulla. Sarà una cosa tutt'al più ridicola, come la trattan nelle loro commedie gli uomini di buon umore... Od è invece un dramma? Sì, forse; un piccolo dramma futile, come ne succedon tanti, ogni giorno, su la faccia della terra impassibile... Povero cuore stanco, bisognava tacere! La tua bellezza ultima era il silenzio; poichè si può fino all'ultimo possedere una bellezza che sopravviva come un ricordo non distruttibile nel pensiero altrui. Perchè l'hai sciupata miseramente? Povero cuore, perchè sei stato così barbaro contro te stesso? Perchè hai voluto «sapere?» anzi «essere certo?...» Bisogna che chi muore abbia il coraggio di abbandonare ai vivi la loro felicità.»
Così ragionava seco stesso, in una specie d'assopimento fisico che gli toglieva la percezione immediata delle cose circostanti. Non vedeva più lei, nè la striscia di sole che ora inondava la stanza d'una sfrenata [pg!54] luce, nè il gran mazzo di rose gialle ch'ell'aveva ordinate nei vasi, lentamente, ad una ad una. Quasi non ricordava più le parole acerrime dette fra loro; o per lo meno tutto questo gli pareva già lontano, in un tempo quasi remoto, come al di là da un lungo svenimento, e solo a sbalzi, nel turbinìo del suo cervello, nella vuota concavità de' suoi timpani, ricominciavano a stormir sonagliere, ma più fievoli, come se andassero per una strada più lontana, e campanelli a ronzare, ma più confusi, come se infuriassero in alto, lassù, per camere più distanti...
Aperse gli occhi, rinvenne da quel torpore come da un sogno che fosse durato senza limiti, e la cercò. Dov'era? Non súbito la vide: quell'irruenza del sole pomeridiano faceva della stanza una prigione infiammata, traeva da tutte le cose un fulgore insostenibile, simile quasi ad un frastuono assordante.
Poi la vide: stava seduta dinanzi al cembalo, con la testa china, il mento piegato sul petto, una mano su la tastiera, l'altra posata sul grembo, quasi affondata nella gonna scura; ed ella medesima era coperta d'ombra fino alle ginocchia, ma con il busto avvolto dal sole come dalle spirali d'una fiamma che divampandole intorno al capo, quasi alla sommità d'una torcia, le sprigionava dagli accesi capelli un volo di pulviscoli d'oro.
— Novella... — chiamò con le sue fredde labbra.
Ella trasalì, si eresse; nell'atto brusco della mano tre tasti diedero tre note veloci.
— Non dormivi?...
Ma, invece di rispondere, Giorgio la chiamò a sè, tendendo le mani verso di lei con un gesto supplichevole. Ella si levò, confusa, temendo perfino il rumore che faceva nel muoversi, e con il cuore gonfio di commozione s'avvicinò all'infermo.
— Che vuoi? Stai male? Ecco, vedi!... — gli andava dicendo con una voce piena di umile fedeltà.
— No, no, ascóltami...
[pg!55] Ella prese le sue mani, con dolcezza; le strinse. Ardevano entrambi, nei palmi, nei polsi, d'una diversa febbre; si guardavan come fossero entrambi colpevoli, con timore, con esitazione.
Allora ella vide su le ciglia dell'infermo, su quelle ciglia bionde, così buone, sotto le quali non s'era mai fermata alcuna ombra iniqua, vide brillare due lacrime grandi e limpide, che caddero insieme, scavando ancor più la sua faccia devastata. Ed ella pure sentì un singhiozzo rompere il nodo che aveva nella gola, irrefrenabile...
Senza parlare, senza mentire, si chinò su lui, su la sua bocca addolorata, — e piansero.