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VII

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Il malato si levò ancora dal letto e parve per alcun tempo godere di un benessere nuovo. Siccome i giorni si facevan caldi, sua moglie lo accompagnava durante il pomeriggio sotto un pergolato a riparo dal vento, e là sedevano, rimanendo per lunghe ore insieme. Ogni tanto li venivan a trovare o Maria Dora o gli altri della casa, e la giornata passava quasi rapida, nonostante l'inerzia di quella calda primavera. Talvolta capitava su Maurizio, a parlar della sua caccia o dei campicelli di suo padre, che li aveva laggiù, verso valle, con una piccola cascina. Ed erano allora lunghi discorsi, che il malato ascoltava con un sorriso benevolo, mettendovi qualche parola ogni tanto, sempre con dolcezza.

Il Ferento andava, tornava, dalla città in villa, sin tre o quattro volte per settimana. Il malato gli diceva continuamente, con un sorriso calmo: — Perchè mi curi? Tanto è inutile...

Ma si sentiva più felice quand'egli era lontano, quando poteva restar solo con lei, senza che nessun estraneo interrompesse con la sua presenza quella specie d'intimità nuova ch'era nata fra loro. Dopo la crisi terribile, pareva che il male volesse dargli una tregua, una di quelle tregue ingannevoli che talvolta precorrono l'agonia.

[pg!85] Egli rimaneva lungamente a guardarla, con un sorriso pallido su le labbra, gli occhi un po' velati, come se non fosse mai sazio del suo bel viso e volesse portar seco nella morte la più compiuta immagine di lei. L'anima sua traboccava di dolcezza, e, quasi per comunicarle questo senso d'amore, ogni tanto allungava la mano a carezzar la sua mano; le diceva una timida parola d'affetto, con l'esitazione d'un innamorato che parlasse per la prima volta. Ella era triste, accasciata, stanca; tutti i sintomi della maternità travagliavano il suo corpo; la opprimeva una disperazione taciturna davanti a quel pericolo che ogni giorno si faceva più prossimo. Che sarebbe stato di lei, di loro, se non avesse potuto più nascondere, prima della sua morte, quella vita inconfessabile?

La sua morte? Ma chi le aveva mai detto ch'egli dovesse morire?

Infatti, per una specie di graduale suggestione, s'era già quasi avvezza a questo pensiero come all'attesa d'un fatto inevitabile, d'un'ora imminente, e per vari giorni, senza volerlo, senza ben sapere cos'attendesse, era vissuta nell'aspettativa da un attimo all'altro di quel grido che la chiamerebbe lassù, nella camera semibuia, presso il letto dov'egli rimarrebbe disteso...

Il giorno anzi dell'ultima crisi, udendo il suo rantolo, aveva creduto, senza volerlo, provandone anzi un orrore immenso, che il momento inevitabile fosse venuto, e rimanendo come in croce, là, nel corridoio, attendeva che alcuno, forse Andrea, nell'uscire da quella camera le dicesse con uno sguardo: — Sai...

Ma ora lo vedeva sorridere, camminare, parlare... lo spettro funerario s'era di sùbito arretrato, e mentre in addietro quell'avvenimento le pareva lì lì per succedere, ora non lo immaginava neanche più; non aspettava più quel grido. E nell'esame interiore che ognuno suol compiere di sè medesimo, s'accorgeva con terrore di averlo desiderato.

[pg!86] La sua morte? Ma chi le aveva mai detto che dovesse morire?

«Forse fra poco, forse fra qualche anno...» Vagamente le pareva di aver intese una volta queste parole su la bocca di Andrea.

E allora qual'altra possibilità rimaneva per lei — e non per lei sola — davanti a questo nodo inestricabile che nulla poteva troncare? Qual dramma scoppierebbe nella casa il giorno in cui la sua maternità divenisse manifesta? Non era forse uccidere, ma d'una morte più barbara, quell'uomo dolce che l'amava? Ed il suo padre che farebbe? e la sua mamma, e la sua fresca sorella che direbbero di lei? Ecco: la casa, il nome sottomesso allo scorno della gente. Una creatura nata nella tragedia, senza padre, senza diritto a vivere... E Andrea? e il loro amore?...

In quelle ore d'ozio, stando seduta presso il marito che non moveva gli occhi da lei, senza tregua ella si rivolgeva nella mente queste domande affannose, lasciandosi cullare da un'inerzia totale delle membra e dello spirito, come una povera creatura che, perduta ogni speranza di salvezza, si lasci travolgere senz'alcuna resistenza verso l'urto che la dissolverà.

E tuttavia, nascosto nell'anima, impreciso, indefinibile, aveva quasi un filo di speranza... di speranza in quell'uomo così risoluto e così certo, che le pareva capace di soverchiare tutte le impossibilità; in quell'uomo che le aveva detto una notte, una notte d'amore: — Così ti amo, e più forte. Non dimenticare queste due parole: «Più forte».

Ella non ne aveva compreso il senso, non aveva nemmeno cercato di comprenderne il senso; ma era come una sensazione di forza che aleggiasse intorno a lei, una potenza incontrastabile che avesse radici profonde in quel suo petto virile.

Non si parlavano più che a rari intervalli, di sfuggita. Egli era più che mai taciturno; quando non doveva tornare in città, passava le giornate chiuso nella [pg!87] sua camera, trasformata in una specie di laboratorio, fra i libri di scienza e le ampolle delle sue misteriose medicine. Soltanto a lunghe distanze di giorni, talvolta, nel cuore della notte, quando la casa era tutta spenta, ella scivolava giù dal letto per andare a lui, per temprare in quell'animo forte il suo stanco dolore.

Tutto gli raccontava, tranne, per un pudore involontario, le parole di quel pomeriggio, quand'ella era seduta presso il cembalo ed una striscia di sole feriva obliquamente la stanza, piena di polvere viva. Ma nelle sue reticenze tuttavia si era tradita più di una volta. Finchè, un giorno, egli non fece che prendere le sue mani, poi, senza farle violenza, ma con quella voce che aveva ogni potere su lei e che pareva rimproverarle il silenzio come un disamore, le domandò:

— Perchè mi nascondi qualcosa? perchè non mi dici tutto quello che sai?

Ella non tacque oltre. A faccia china, gli ridisse tutte le parole, una per una, tutte.

Egli notò solo che l'infermo l'amava tuttora d'una passione d'amante, e che dal suo dolore traspariva una orrenda gelosia.

— Dimmi, ed hai sentito che ti amava? che ti desiderava... proprio così? Dimmi!

Elle ebbe, nel ricordo, una specie d'ira.

— Perchè vuoi che lo dica? Sì, ho sentito il suo desiderio caldo come una febbre avvinghiarmi, soffocarmi... ed ho avuta per un attimo la tentazione di gridargli in faccia: «No! làsciami... làsciami... perchè infatti, è vero, lo amo!... sì, lo amo con tutta la gioventù delle mie vene!... lui amo: Andrea. Non farmi più mentire!» — E per un momento, con una specie di crudeltà voluttuosa, tutto quello che vi è d'immondo in me, nel mio cuore pieno di tormento, nella mia carne piena di vizio, mi ha fatto sentire l'odio, un vero odio, contro questa creatura malata che m'incatena al suo letto come un'infermiera, che si trangugia la mia gioventù come una medicina, mentre là, fuori appena [pg!88] dalla finestra, c'è il sole, c'è l'aria, c'è il vento... ed io vorrei lanciarmi a quella finestra e gridarti: Sì, vieni, vieni!... préndimi! pórtami via!...

Egli ascoltava senza dir motto, chiuso in una rigida impenetrabilità, come se ascoltasse piuttosto la voce del suo proprio cuore che non la voce di lei. Vedendolo pensare così profondamente, lo chiamò per nome, indi lo scosse, poichè le parve che una sofferenza fisica gli alterasse la fisionomia.

— Guárdami, Andrea... Che hai?

Con un gesto vago della mano egli scacciò la torma dei pensieri che l'assediavano, e disse:

— Idee!... null'altro che vuoti fantasmi!

Su la sua fronte, divisa dalla ruga profonda come una ferita, ella passò, per diradarne l'ombre, la sua mano lieve.

— E non li puoi disperdere, tu che sei così forte?

— Disperdere? Anzi, no! Bisogna invece discutere con essi, poichè veri e temibili fantasmi sono quelle ombre che la nostra coscienza non osa prendere di fronte, alle quali non osa dire: «Tu ti chiami, per esempio, rimorso; per esempio, delitto; per esempio, morte.» Poichè, vedi, la nostra coscienza è talora un senso involontario di giustizia, ma più spesso è una paura dell'anima davanti alla felicità. Molte volte un atto infinitesimale di coraggio basterebbe all'uomo per risolvere tutto il problema della sua vita... e non l'ha! Pensa che schiavi siamo, noi che poniamo quasi sempre i nostri desideri là, dove questa paurosa coscienza ci impedisce di giungere.

Poi fece una pausa, e guardò negli occhi la donna che amava, colei che portava nel grembo il lor figlio concepito, e quasi tremando le domandò:

— Novella, se un giorno tu sapessi che nel lontano passato io commisi una colpa orrenda... se tu sapessi d'un tratto che sono macchiato, che porto nel mio cuore un suggello d'infamia incancellabile... cosa diresti allora di me? cosa faresti per punirmi, Novella?

[pg!89] — Che importa? — ella rispose: — questo non è vero...

— Ma, se fosse vero?... — incalzò l'amante: — Rifletti bene: «Se è vero?»

Ella sorrise, lo abbracciò, divenne scherzevole, quasi volesse allontanare quel pensiero molesto.

— Ne avresti orrore, — egli concluse. — Anzi, non mi ameresti più.

— Oh, — ella fece, — come sei pazzo!

Gli fece passare le dita fra i capelli, ravviandoli, quasi adoperasse un pettine fino. I capelli spartiti risorgevan ondosi, con una specie di ribellione, dietro il solco delle sue dita.

— Cosa può importare a me quello che avresti fatto? Io non ti giudico: ti amo.

— Sì?... e la sapresti perdonare, dimenticare, la mia colpa? anche se fosse la più grande?...

Ella s'avvinghiò a lui, forte, per comunicargli traverso le vene quella verità che stava per dirle, e con un filo di voce, poichè vi son cose che van dette piano anche quando si è soli:

— Senti... — bisbigliò, — qualsiasi cosa tu faccia, ora, e nel passato, e sempre, penserò che quella cosa è giusta, e che fai bene... perchè ti amo fino a trasformarmi nella tua propria volontà e sono in te più fortemente che il tuo stesso cuore...

Egli premette le labbra contro la sua gola calda, e rise, d'un riso convulso che lo faceva trasalire, illuminandolo di gioia come un repentino sole.

— Ora, — disse perdutamente, ora ti possiedo per la prima volta come volevo, e più nulla — ricórdati! — più nulla ci saprebbe dividere.

Senza busto, con i capelli raccolti da un pettine solo, ravvolta in una vestaglia di seta che la fasciava senza nasconderla, con i piedi scalzi nelle pianelle di raso orlate d'ermellino, il pizzo della camicia che si arruffava nell'incrociatura, ella raccolse contro di lui tutto il calore del suo corpo innamorato, sentendosi a [pg!90] poco a poco disperdere in un oblìo voluttuoso, come se al di là da tutte le angoscie, da tutte le servitù cui la vita incatena, ella non volesse più rimanere altro che l'amante, l'innamorata, la femmina perdutamente sua, nè volesse ormai conoscere altra disperazione oltre quella de' suoi baci ubbriacanti nella complicità e nell'ebbrezza d'una notte d'amore...

Allora, con la mano che brancolava in cerca del suo tepido grembo, egli sentì nel ventre non piano trasalire — o così gli parve — la forma della creatura.

La vita comincia domani

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